Scadenza dei termini e Mesina torna libero di Valeria Gianoglio. La magistrata denuncia: «L’ufficio gip è al collasso», di Mauro Lissia. La carriera criminale di un falso mito di Antonello Palmas

L’ex primula rossa del banditismo in cella per droga lascia Badu ‘e Carros. «Ci speravo, sono felice. Vado subito a salutare i parenti a Orgosolo» in  LA NUOVA SARDEGNA 7 giugno 2019


 

“Mesina – gli ha detto, intorno alle 15, un agente di polizia penitenziaria – si prepari subito che esce. All’ufficio matricole è appena arrivato dalla Corte d’appello il suo ordine di scarcerazione».

E così, dopo aver preparato la borsa, aver rimesso in ordine i pensieri e atteso l’arrivo del suo avvocato da Cagliari, dopo un paio di ore, Graziano Mesina varca l’uscita del carcere di Badu ‘e Carros.

«Se ci speravo? Certo che ci speravo. E adesso aspettiamo la Cassazione. La prima cosa che farò, adesso, sarà andare a Orgosolo per salutare i miei parenti».

T-shirt nera, jeans blu, viso che tradisce un po’ di emozione, seduto nel sedile riservato al passeggero, vicino al suo avvocato Beatrice Goddi che è appena andata a dargli la lieta notizia della scarcerazione per “decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare”, Graziano Mesina abbozza un sorriso timido davanti alle telecamere e ai microfoni che lo aspettano a pochi metri dalla sbarra all’ingresso del carcere di Badu ‘e Carros.

Sono le 17.20 e da due ore prima per lo Stato italiano l’ex bandito di Orgosolo entrato nel suo 77esimo anno di età, è a tutti gli effetti un uomo libero e in stato di “attesa di giudizio”. «Sono felicissimo – dirà poco dopo, al suo arrivo nel paese natìo – finalmente respiro l’aria di casa».

Della ormai vicina scarcerazione, Graziano Mesina ne stava parlando da qualche settimana, e in modo molto discreto, con le sue avvocate Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier, del foro di Cagliari. Sapeva che il 10 giugno sarebbero scaduti i termini per la custodia cautelare. Sapeva, perché informato dalle sue legali di fiducia e anche da una dose generosa di frequentazione delle aule dei tribunali, che nessun cittadino italiano può restare in custodia cautelare in carcere per più di sei anni, a meno che nel frattempo non si arrivi alla sentenza definitiva e con essa arrivi anche un ordine di esecuzione della pena.

Tutte tappe che per Graziano Mesina, finora, non sono arrivate. L’unico dato certo, finora, è la data nella quale era finito a Badu ‘ e Carros in base a un ordine di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta per traffico internazionale di droga che nel maggio dell’anno scorso era approdata al processo d’appello e gli era costata la conferma di una condanna 30 anni.

«Mesina era stato arrestato il 10 giugno del 2013 – ricorda l’avvocato Vernier, mentre si avvia verso Orgosolo per raggiungere il suo cliente – per cui sapevamo benissimo che i termini sarebbero scaduti il prossimo 10 giugno, visto che sono passati sei anni. Con la collega Beatrice Goddi eravamo pronte, lunedì prossimo, 10 giugno, a presentare l’istanza di scarcerazione. E invece, a sorpresa, qualche ora fa è arrivata la decisione della Corte d’appello che però a noi non è stata notificata. La notizia, a noi, ci è arrivata da Badu ‘e Carros, e così da Cagliari ci siamo precipitate verso Nuoro».

«Siamo felicissime – dicono ancora le avvocate di Mesina – ci abbiamo creduto sin dall’inizio e appena verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello, ci muoveremo per fare il ricorso in Cassazione. Ma adesso, per prima cosa, faremo fare un controllo medico completo al nostro cliente per valutarne le condizioni di salute, visto che in tutti questi anni, per sua scelta, non si è voluto sottoporre a controlli».

«E adesso? Vado subito a salutare i parenti a Orgosolo», dice Mesina seduto nell’auto del suo avvocato Beatrice Goddi, dopo aver superato la sbarra all’uscita del penitenziario di Badu ‘e Carros.

E così, dopo qualche decina di km di curve, l’ex primula rossa barbaricina può riassaporare il piacere di tornare a casa. «Finalmente sono di nuovo nel mio paese, sono felice – commenta poco prima di entrare nella nuova caserma di Orgosolo per comunicare la sua nuova residenza – in sei anni qui è tutto cambiato ed è cambiata anche la caserma». Da ieri, dunque, Mesina è un uomo libero, ma ogni giorno dovrà recarsi in caserma perché ha l’obbligo di firma, e non potrà uscire dalla casa che ha eletto come domicilio – quella di una delle sue sorelle – dalle 22 alle 6 del mattino.

La magistrata denuncia: «L’ufficio gip è al collasso», di Mauro Lissia

 

Ritardi, rinvii, processi per reati gravissimi che si fermano mesi e mesi nel pantano di una giustizia abbandonata a se stessa: mentre il mancato deposito di una sentenza riapre le porte del carcere al pluricondannato ergastolano Graziano Mesina, una magistrata di punta dell’ufficio Gip-Gup distrettuale di Cagliari, che tratta reati ad alta pericolosità sociale commessi in tutta l’isola – dalla criminalità organizzata alla pedopornografia – denuncia con una coraggiosa quanto significativa iniziativa personale lo stato di collasso in cui è costretta a operare insieme ai suoi nove colleghi. È Ermengarda Ferrarese, che appena pochi mesi fa ha presieduto e chiuso con la sentenza il lungo e faticoso processo alla banda dei rapinatori di blindati capeggiata da Giovanni Olianas. In una nota di una cartella e mezzo trasmessa alla presidenza della Corte d’Appello e del Tribunale, oltre che all’Ordine degli avvocati, la giudice cagliaritana lancia quello che lei stessa teme diventi «un grido nel deserto» mettendo a fuoco in poche parole una situazione insostenibile. Scrive Ermengarda Ferrarese: «Segnalo che oggi (6 giugno, ndr) ho dovuto rinviare sei processi per i delitti di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, omicidio colposo, violenza sessuale e lesioni aggravate fissati già a distanza di molti mesi dalla richiesta di rinvio a giudizio in quanto – spiega la nota – la cancelleria dell’ufficio Gip-Gup, oberata di lavoro e con un organico assolutamente insufficiente non ha potuto notificare gli avvisi». In ciascuno dei fascicoli processuali relativi ai casi segnalati ai vertici della magistratura sarda la giudice Ferrarese ha allegato la nota di segnalazione perché anche difensori e imputati fossero informati delle ragioni che hanno condotto ai rinvii delle udienze.L’organico, che la magistrata definisce insufficiente, consiste in due sole cancelliere per dieci giudizi in servizio, che trattano complessivamente circa ottomila procedimenti nell’arco di un anno, di cui 3529 assegnati complessivamente alla data di ieri ai vari gip. Due cancelliere sono troppo poche per andare al di là dei provvedimenti urgentissimi – ordinanze per misure cautelari, convalide di arresti, perquisizioni, intercettazioni e altro – e per garantire il rispetto dei tempi processuali. Le norme prevedono che l’udienza preliminare debba essere fissata entro dieci giorni dalla richiesta di rinvio a giudizio firmata dalla Procura, un autentico miraggio: i tempi reali vanno di media oltre i dodici-quindici mesi e sempre più spesso i procedimenti si arenano nelle cinque aule destinate ai gup per le ragioni che la giudice Ferrarese denuncia: «L’allarmante situazione – è scritto ancora nella nota – ormai cronica, incide notevolmente sugli imputati, sulle persone offese e sull’organizzazione del mio lavoro, in quanto le udienze di luglio, settembre e ottobre sono già occupate da altri processi». I processi assegnati alla magistrata verranno così rinviati a novembre «con gravissima, anche se incolpevole, violazione del criterio della priorità assoluta» che riguarda i reati più pericolosi.Ermengarda Ferrarese chiede che «siano adottati con la massima urgenza i provvedimenti necessari per evitare che la situazione ormai al collasso degeneri ulteriormente e si rischi anche la decorrenza dei termini di custodia cautelare». Per la magistrata «è ormai improcrastinabile che il dirigente adotti i provvedimenti necessari per assicurare la rapida definizione dei processi, soprattutto e anche per quelli per i quali è prevista la trattazione prioritaria assoluta. Rispetto a questi processi – spiega nella nota – sussistono esigenze di particolare urgenza legate spesso anche alla condizione psichica degli imputati e all’improcrastinabile necessità di assicurare la tutela delle vittime esposte ai rischi di ulteriori azioni contro l’incolumità personale».L’invito finale è rivolto agli avvocati perché «assumano le iniziative opportune».

 

La carriera criminale di un falso mito di Antonello Palmas


Dal primo arresto a 14 anni alle evasioni. Il ruolo nella liberazione di Farouk

L’uomo delle evasioni sfodera nella maniera più sorprendente e una delle tante “fughe” dal carcere, ben diversa da quelle vere e proprie che ne hanno fatto un assai discutibile mito. Che passerà la maggior parte dei suoi anni dietro le sbarre. Nato a Orgosolo il 4 aprile 1942, Graziano Mesina era il penultimo di dieci figli del pastore Pasquale Mesina e di Caterina Pinna. Fu arrestato la prima volta a 14 anni: porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale. Dopo aver ottenuto il perdono giudiziale, tornò in carcere nel maggio del 1960 per aver sparato in luogo pubblico. La prima evasione la mise a segno scappando dalla caserma dei carabinieri e dopo la cattura fu condannato a sette mesi. Sino a quel momento si trattava di reati di secondo piano, ma “Grazianeddu” imboccò per davvero la strada del crimine la sera dell’antivigilia di Natale del 1961: entrò in un bar di Orgosolo e ferì a colpi di pistola un pastore “reo” di aver detto in girò che la sua famiglia era implicata in un sequestro in cui fu ucciso l’ostaggio. Fu arrestato e condannato a 16 anni per tentato omicidio.Da allora la sua vita fu un tourbillon di evasioni: fuggì da un treno, da ospedali (nel 1962 dal reparto blindato del nosocomio di Nuoro) da carceri (quello di Sassari nel 1966 insieme a un altro detenuto spagnolo), da caserme. Così iniziò la sua “leggenda” criminale, mito accresciuto dalle voci di visite a ragazze innamorate di lui, da quella di una presenza tra il pubblico del Cagliari calcio mentre era latitante.Furono gli anni dei primi sequestri, ma nel ’68 fu riconosciuto a un posto di blocco. Nel 1973, mentre stava scontando il cumulo delle pene inflittegli per sequestri ed evasioni, tentò prima di scappare dal carcere di Volterra e poi da Regina Coeli, a Roma. Nel 1976 ci riuscì dalla prigione di Lecce insieme al terrorista dei Nap Martino Zichitella e altri. Fu arrestato di nuovo nel ’77 in Trentino. In carcere a Porto Azzurro dove scontava una condanna all’ergastolo per cumulo di pene, si giocò la semilibertà fuggendo con una ragazza che gli scriveva, durante un permesso. Catturato, tornò in carcere e ottenne la libertà condizionale nel ’91. Nel 1992 torno in Sardegna per occuparsi della liberazione del piccolo Farouk Kassam, sequestrato a Porto Cervo (una vicenda piena di ombre sul suo effettivo ruolo). Nel 1993, quando si pensava che avesse cambiato vita, ecco il ritorno in carcere dopo che furono ritrovate armi in un cascinale di San Marzanotto d’Asti, dove viveva facendo il guardiano. Nel 2004 il presidente della Repubblica Ciampi gli concesse la grazia e lui sembrò farne buon uso. Tornato a Orgosolo, si riciclò infatti in guida turistica nei luoghi dei sequestri. Ma nel giugno 2013 fu arrestato con l’accusa di essere a capo di un’organizzazione che trafficava droga: fu condannato a 30 anni in d’appello svoltosi nel 2018. Sei anni dopo le motivazioni della sentenza d’appello non erano però ancora state depositate, facendo dunque decadere la misura cautelare. Di ieri la clamorosa scarcerazione.

 

 

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