Grandi amministratori e piccoli politici, di Antonello Angioni


 

Il 16 giugno p.v., vale a dire con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale, i cagliaritani sono chiamati ad eleggere il Sindaco ed il nuovo Consiglio Comunale che, salvo imprevisti, guideranno la città per i prossimi cinque anni.

La campagna elettorale, come sempre accade, è destinata ad infiammarsi e i sostantivi “rinnovamento”, “cambiamento” e “discontinuità” orienteranno proclami e programmi delle forze in campo. Tuttavia, uno dei principi cardine che governano l’attività della pubblica amministrazione è quello di “continuità dell’azione amministrativa”. Ciò significa che chi “vince” le elezioni non può certo ignorare – nel bene e nel male – i vincoli derivanti dall’attività svolta dai precedenti amministratori: ad esempio, il piano urbanistico comunale e i piani attuativi continuano ad avere validità, come pure i regolamenti che disciplinano l’erogazione dei contributi o l’applicazione delle imposte. Più in generale, tutti i contratti e gli impegni di spesa assunti non vengono meno se cambia la “maggioranza”.

E, a proposito di finanza pubblica, non è male ricordare che la maggior parte delle entrate comunali costituiscono “finanza vincolata”, vale a dire trasferimenti di danaro con vincolo di spesa. Ad esempio il Comune, se riceve dalla Regione una certa somma per eseguire la manutenzione degli edifici scolastici, non potrebbe destinare la stessa per realizzare impianti sportivi o viceversa. Ciò significa che l’autonomia amministrativa (intesa come discrezionalità di scelte), di fatto, è assai limitata.

In altri termini chi, per volontà popolare, avrà il diritto di insediarsi a Palazzo Bacaredda non potrà fare quello che meglio crede posto che una cosa è la “campagna elettorale”, dove si può dire ciò che meglio si crede, e altra cosa è l’attività amministrativa che, da chiunque esercitata, deve comunque essere orientata al fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, come prevede la nostra Costituzione.

Tutto ciò, ovviamente, non significa che eleggere Tizio o Caio sia la stessa cosa. E allora cerchiamo di tracciare l’identikit dell’amministratore modello. In primo luogo dovrà essere “onesto”: si tratta di un prerequisito, vale a dire di un presupposto che chiunque si candida dovrebbe avere. Chi si sottoponeva al giudizio degli elettori per aspirare a una carica pubblica (il “candidato”) doveva indossare una tunica candida, simbolo di onestà e pulizia. Ma questa verifica preliminare non è sufficiente.

Occorre anche scrutinare la “specifica competenza”: nessuno di noi avendo un problema cardiologico, ad esempio, si affiderebbe ad un dentista, seppure di chiara fama, o viceversa. E allora va detto che, per amministrare bene la città di Cagliari (soprattutto nella nuova dimensione “metropolitana”) occorrono competenze in materia di urbanistica, pianificazione territoriale, scienza dell’amministrazione, contabilità dello Stato e degli enti pubblici, legislazione sul commercio, ecc.

Quindi, dopo aver verificato l’onestà, occorre anche valutare quali dei candidati dispongono di tali competenze, avendo ben presente che non bastano le competenze astratte. La conoscenza e il sapere vanno sempre misurati su una certa realtà, nel caso di specie la città di Cagliari (nella nuova dimensione “metropolitana”): un organismo complesso che chi aspira alla carica di amministratore pubblico dovrebbe ben conoscere. Diceva la prof.ssa Nereide Rudas, grande neuropsichiatra, che ogni malato è un universo a sé e che, per poterlo curare, è necessario conoscerne e capirne la storia, i motivi specifici della sofferenza e della malattia.

Stesso discorso vale per la città. Cagliari è una città malata che necessita di attenzioni e cure particolari. Quindi, per intervenire in modo appropriato, occorre conoscere il suo territorio, le sue vicende storiche, la sua evoluzione politica e amministrativa, la cultura che esprime, le criticità che presenta. Solo se si hanno quelle conoscenze è possibile indicare terapie adeguate.

La sociologa Lilli Pruna, di recente, ha scritto che «Cagliari è una città inospitale per gli studenti, per migranti e poveri, per la vita indipendente delle persone giovani e adulte che non appartengono alla borghesia cittadina, da cui provengono invece gli amministratori della città». Ed ha aggiunto: «A Cagliari manca tutto ciò che potrebbe farne una città moderna e aperta, accogliente e meno diseguale […] Cagliari ha bisogno di moltissime manutenzioni, quindi di moltissimo lavoro. Ha bisogno di cura, di un’attività quotidiana e silenziosa di riparazione e attenzione per le persone e per le cose, che non paga in termini elettorali perché non è un evento, anzi è antitetica agli eventi, che consumano e calpestano per finalità effimere. Cagliari è piena di abbandono…».

Un giudizio lucido, a tratti impietoso, espresso da una persona che non potrebbe certo essere accusata di un’ostilità preconcetta, ideologica, verso chi ha amministrato in questi ultimi anni.

É invece l’Amministrazione Comunale che, troppo spesso, ha sacrificato il territorio cittadino a scelte preconcette (quale si è rivelata, ad esempio, quella riguardante la realizzazione delle piste ciclabili in parti consistenti del centro cittadino) o dettate dalla mera logica dei finanziamenti acquisibili, con un inammissibile rovesciamento di prospettiva: anziché individuare i programmi e quindi cercare le risorse per attuarli, talvolta, si sono fatte le scelte in funzione dei possibili contributi. Così, ad esempio, sono stati sottratti importanti spazi destinati alla circolazione dei veicoli e ai parcheggi con la conseguenza che è sempre più difficile sostare. Le auto, prima di trovare un parcheggio, devono girare per molto tempo con conseguente consumo di carburante e inquinamento ambientale.

Chi amministra, nel caso di conflitto tra più interessi, tutti astrattamente meritevoli di tutela, dovrebbe privilegiare l’interesse prevalente. E allora dovrebbe capire che a Cagliari, anche per la peculiare conformazione del territorio, i genitori non accompagnano i bambini a scuola o non vanno al mercato o al supermarket con la bicicletta. E che quindi sottrarre spazi pubblici (che poi sono gli standard di legge) ai parcheggi e alla circolazione, di fatto, finisce col sacrificare, per uno sport di pochi il prevalente interesse dei cittadini.

E che dire delle zone a traffico limitato (ZTL) e dei parcheggi riservati ai residenti? Il cittadino di Villanova, ad esempio, gode di veri e propri privilegi nel “suo” quartiere ma se solo si sposta di poche decine di metri e, ad esempio, va a San Benedetto o alla Marina scopre di non avere più diritti! Una città divisa in tanti piccoli feudi, dove il particolarismo costituisce la regola. Meglio sarebbe riaffermare un’idea di cittadinanza unica dove il civis caralitanus è portatore di diritti su tutto il territorio, con rare e giuste eccezioni (ad esempio in favore dei disabili). Ancora, una città disseminata di buche, di transenne e di ostacoli che danno un senso di precarietà, di “provvisorio”, che, col passare del tempo, diventa sempre più“definitivo” e sa di abbandono e degrado.

In conclusione, Cagliari ha sempre più bisogno di “grandi amministratori”, portatori di onestà e competenza, che, con umiltà e in silenzio, lavorano con tenacia per la città e non di “piccoli politici”, in cerca di visibilità e gloria effimera, ma incapaci e privi di vero amore per la città!

Antonello Angioni

Cagliari, 16 maggio 2019

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    1 Comment to “Grandi amministratori e piccoli politici, di Antonello Angioni”

    1. By Mario Pudhu, 17 maggio 2019 @ 06:34

      Eletzionis “políticas” o “amministrativas” (chi sempri política funt!), naraus “demogratzia” po no nàrriri “giogu a istrumpas”. Poita?
      Su “vademecum” chi narat Antonello Angioni – chi depit èssi s’imperativu categóricu de is candidaus e, prus puru, de is “candidadoris” – est tropu pagu (si no in sa “propaganda”) s’ispédhiu de amministrai su bèni púbblicu comunu e meda de prus s’ispédhiu, antzis s’imperativu assolutu de sa “campagna elettorale” po binci: tocat a gherrai po Vincere! E Vinceremo! (ojamomia, si arregodaus fintzas isceti a Castedhu!) Sa gherra est isceti prus “civile”, s’iat a nàrriri “campagna di guerra civile” a istrumpas de… demogratzia, coment’e chi sa demogratzia siat a gherrai a istrumpas!
      Cali depit èssiri, intzandus sa ‘calidadi’ e ‘cumpeténtzia’ de is candidaus? Imperativu assolutu, categóricu: Essere portatori di voti. Certu, sentza de votus no dhui at demogratzia. Però!… Però sa demogratzia est fintzas cambiamentu in mellus, antzis est demogratzia po cussu e no po fai donniunu is afàrius suus che in dónnia guerra.
      Me is bidhas, aundi sa genti si connoscit giai totu, fendi sa lista contant inderetura cantus votus podit “portai” su candidau contendi innantis “cantus funt is votus suus” coment’e chi siant propriedadi personali cosa sua e no libbertadi personali de is eletoris.
      In citadi sa ‘cosa’ est prus… civili, ma no de meda (o própriu meda si est guerra). Ca sa guerra, totu is guerras, ‘civilis’ e a cannonadas, est sempri po binci fendi perdi is àterus, vita mea mors tua, e no po su bèni ni de totus e mancu de su prus de sa genti e sanai is malis prus apretosus ca prus mannus o de su prus de sa genti.
      Intzandus, arrennesceus a èssi una civiltadi de paxi, postu chi su bèni comunitàriu est sa paxi, mancai cun prus de una e antzis medas fartas in d-una sociedadi umana chi no podit èssi cussa de is abis de unu casidhu? Arrennesceus a nosi educai a su bèni comunu o seus sempri in sa giungla?