Pietro Mastino fra democrazia e sardismo. Summa e mediazione, di Gianfranco Murtas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse non ci si è resi conto, da parte di nessuno, neppure a Nuoro – con l’eccezione dell’amico Annico Pau, già sindaco della città – di quanto Pietro Mastino abbia rappresentato nella politica, non soltanto nella professione, in anni in cui – prima della dittatura, singolarmente durante la dittatura (per avversarla!) e dopo ancora, per altri due decenni e più – il protagonismo dei “grandi” polarizzava la scena pubblica. I “grandi”: taluno, sminuendo, avrebbe detto o direbbe: i “notabili”. E certo comunque, una qualifica così, depurata dal tanto di paternalistico che nel tempo l’ha caratterizzata e ingessata, e se integrata da un riferimento pedagogico, di pedagogia civile, ben potrebbe attribuirsi a Pietro Mastino che non fu soltanto un ricettore di preferenze politiche sulla scheda elettorale, ma fu anche, e intensamente, un leader, un traghettatore da una fase storica ad un’altra, nella continuità dei suoi filoni ideali che lo portarono dai margini cavallottiani e dal radicalismo antiprotezionista d’inizio Novecento alla fondazione del Partito Sardo d’Azione, all’antifascismo testimoniale, alle funzioni governative (con Parri e poi De Gasperi) in costanza di CLN, alla deputazione costituente e parlamentare, alla sindacatura della piccola patria del cuore, alla guida-patronato di un sardismo teso sempre a non oscurare dalla sua memoria e dalla sua prospettiva l’humus democratico della grande scuola repubblicana nel cui quadro si poneva: fuori dal socialismo, fuori dal liberalismo, appunto nella democrazia (secondo le classiche categorie del pensiero politico).

Al tempo delle mie ricorrenti residenze nuoresi, grazie soprattutto alla liberalità della famiglia multinominale Salis-Offeddu-Mastino, potei prendere visione e raccogliere molto materiale che, incrociando i prevalenti miei interessi di studio, dovevano attenere agli anni della ricostruzione democratica dell’Italia, dopo la guerra e la fine ingloriosissima della ingloriosissima dittatura fascista, così quella monarchica del regime come quella repubblichina dei filoburgundi.

Tutti i miei sforzi di ricerca e scrittura, in politica, sono stati mossi dal bisogno di documentare e, nell’oggi, sostenere il rapporto, il ponte, del regionale con il nazionale, della Sardegna con i mondo, e intanto della Sardegna con l’Italia: in una osmosi mai fattasi o candidata a farsi assorbenza o, dall’altra parte, oblazione passiva e schiava.

C’è stato troppo sangue nelle guerre dell’indipendenza fino alla quarta – al gran macello della guerra mondiale per strappare le terre irredente all’Austria – e c’è stata troppa storia di costume di vita condiviso per pensare che la Sardegna non sia Italia, scrisse press’a poco così Camillo Bellieni. E quanto di più dovrei dire oggi, che da quella lettera-documento del 1920 sono passati ben 99 anni. Ripensando ai contributi sardi all’oscuramento delle libertà, nel ventennio, alle loro scalate nelle gerarchie fasciste, alle loro compromissioni nella negazione della libertà di stampa e di insegnamento o di associazione (oggi direi, continuando nel negativo, ai salti sul carro del vincitore pagano, berlusconiano o leghista fa lo stesso); ripensando anche, per contro, al martirio – ora di presenza ora perfino ferale, valga l’etimologia! – dei sardi nelle campagne drammatiche per la riconquista degli spazi di critica, nel comunismo certo, nell’articolato schieramento di Giustizia e Libertà, senza Stalin alle spalle, forse con Mazzini come spirito animatore, anche e soprattutto: con Giuseppe Zuddas e Dino Giacobbe in Spagna, già con Francesco Fancello e Cesare Pintus in patria, poi anche con Fanuccio Siglienti nella costrizione galeotta di via Tasso… il sardismo in Giustizia e Libertà! E dopo, nella resistenza, sul continente, quando i partigiani si chiamavano patrioti (oggi si chiamano patrioti quelli della onorevole Meloni, che vergogna!): con Armando Businco, anche, lui perfetto mazziniano da adolescente alla morte, venuta nel 1967, lui repubblicano e sardista e azionista, sequestrato dai burgundi per essere rinchiuso in un lager e fortunosamente liberato dai partigiani padani (padani! non quelli del dio Po e dell’ampolla oggi alleati dell’onorevole Solinas! Un tempo alleato di Giovanni Battista Melis era Ugo La Malfa, incontrato nel carcere di San Vittore, 23 anni l’uno, 25 l’altro, isolani in fraternità, nonostante le differenze ma per un comune sogno democratico e per una vita intera che fu una vita di impegno per la democrazia partecipativa).

Pietro Mastino, con le sue singolarità, ovviamente, io l’ho conosciuto – pur soltanto sulle carte – nelle complessità e negli ardimenti anche della tensione patriottica, quando il Partito Sardo d’Azione, come un qualsiasi partito degno di questo nome – altra cosa è il movimento, che può andare per temi specifici, o battaglie o missioni particolari (dall’antiproibizionismo al rispetto rigoglioso della lingua minoritaria, alla riduzione delle servitù militari, ecc.) –, si sforzava di avere una visione larga della politica. Non ci si dimentichi che fu per la scelta a favore della NATO operata dal suo partito che un uomo di eccezionale valore come Gonario Pinna si determinò (sbagliando a mio avviso) ad uscire, nel 1949, dal Partito Sardo.

In quella visione politica larga Pietro Mastino si mise nella sola posizione in cui, io credo, potesse mettersi per interpretare e positivamente mediare le diverse sensibilità o i diversi orientamenti presenti nel suo partito a proposito dell’alleanza con il Partito d’Azione (che rinunciò alle proprie sezioni isolane in cambio della federazione “alta” fra le due formazioni).

Non sono parole di Mastino, fissate sulla carta del numero unico Forza Paris! dell’estate 1946 le seguenti (evidentemente da cogliersi per il tanto di sostanziale sotto il profilo ideale e politico, al di là della traduzione pratica che poi ne ebbero o non ne ebbero, anche per la forzatura socialista imposta da Lussu Partito d’Azione dopo l’uscita da esso di Ugo La Malfa e Ferruccio Parri):

«I lugubri profeti che vaticinavano morto il nostro partito si disilludano e si rassegnino a saperci più forti di prima; l’ampia liberissima discussione sull’orientamento politico del partito, sui suoi rapporti con quello italiano d’azione, si è conclusa con un voto chiaro, esplicito, senza sottintesi, affermato sull’altra tendenza con diecimila voti di maggioranza… Esaminare ampiamente la questione, volerla definitivamente decidere ed averla decisa con una manifestazione di volontà che non può consentire dubbiezze, sono tutte riprove della grande e sicura vitalità del partito.

«Dal Congresso di Macomer esso esce rafforzato materialmente ed idealmente, e, ciò che più conta, le decisioni assunte gioveranno grandemente alla soluzione dei problemi isolani. Ne esce rafforzato materialmente perché è stata riconosciuta l’impossibilità di coesistenza nell’ Isola di due gruppi politici che assumano la difesa degli stessi principi e tale funzione dovrebbe spettare al Partito sardo; ne esce rafforzato materialmente perché, riconoscendo come propri i punti programmatici del Partito italiano d’azione, ha riconfermato le proprie origini ideali e riconsacrata, diremmo, la propria giovinezza. Le decisioni di Macomer dovrebbero poi giovare alla Sardegna perché alla soluzione dei suoi problemi rimarrebbe anche impegnata tutta l’opera del Partito italiano.

«Ciò nondimeno i pudibondi, preoccupati della nostra verginità politica, grideranno allo scandalo perché nel campo nazionale l’attività del Partito sardo si dovrebbe uniformare alle direttive del Partito italiano (quando, si badi, non fossero in contrasto con gli interessi vitali dell’Isola). Si scandalizzino e gridino pure, fingano di dimenticare che i principi di carattere istituzionale, come quelli di carattere sociale, sono fondamentalmente identici nei due partiti, e che C. Bellieni, F. Fancello ed E. Lussu, tre autentici sardisti, portarono, fin dai 1921, nel campo nazionale i principi federalistici ed autonomistici del Partito sardo.

«Noi continueremo la nostra strada; la continueremo in cordiale accordo con i nuovi amici politici che lealmente verranno e lealmente accoglieremo nelle nostre file, animati tutti dalla speranza che la Sardegna, con tutte le altre regioni italiane – e cioè la Patria – sorga, dopo tanto sangue, ad una vita che sia veramente di libertà e di giustizia sociale per tutti».

E ancora. In uno dei documenti che trovai nei faldoni di casa Mastino uno, manoscritto del gennaio 1947 (così potei datarlo), si riferiva ad una certa lezione politica svolta dall’allora costituente ai giovani sardisti. Eccone alcuni passaggi:

«Il Risorgimento ebbe dei meriti innegabili d’un’importanza straordinaria per la Nazione perché ne stabilì l’indipendenza e l’unità, ma falli dinnanzi alla non raggiunta piena soluzione democratica per una ragione fondamentale: che cominciato nel 1821 e continuato nel 1848-9, come movimento del popolo, finì nel 1859 come movimento e come guerra guidati dal Re. Non vi fu, com’è attualmente, una Costituente, dalla quale sia sorta una costituzione democratica dello Stato ma permasero, col potere d’intervento regio e con la Camera Alta, di nomina r., una struttura dello Stato che se rappresentava un chiaro progresso di fronte al passato, non consentiva lo svolgersi d’una vita nazionale nuova e libera con la necessaria ampiezza di respiro.

«A questa ragione di deficienza se ne deve aggiungere un’altra importantissima ed è quella rappresentata dalla soluzione di accentramento, anziché autonomistica, nella costituzione dello Stato.

«Il prevalere di determinate categorie sociali, forze finanziarie, alte cariche militari ecc. presso la Corona, situazione di privilegio non solo per determinate categorie di cittadini ma anche per intere regioni, dovuta, appunto, alla vita centralizzata dello Stato, avevano fatto sì, come abbiamo detto, che il Risorgimento fallisse ai suoi scopi maggiori. L’unità, che non avrebbe dovuto essere solo territoriale, ma anche degli spiriti e nel campo della giustizia, cioè del comportamento dei poteri e degli organi dello Stato, di fronte a tutti i cittadini, in effetti non era stata raggiunta.

«Ho voluto premettere questo rapido accenno al Risorgimento a quello che potrà essere esame dell’attuale stato della vita della Nazione e del momento politico che adesso attraversiamo, sia perché anche nel campo politico occorre sempre risalire alle premesse storiche e logiche delle situazioni in esame, ma, soprattutto, perché oggi si combatte proprio per il raggiungimento definitivo di quegli scopi ultimi che il Risorgimento avrebbe dovuto raggiungere.

«Vi fu una permanente tradizione e vi fu soprattutto un grande partito, quello mazziniano, che avvertirono subito come l’eliminazione della monarchia e la soluzione repubblicana, come forma dello Stato, dovevano costituire la base prima per una costruzione democratica. Questa prima vittoria è stata raggiunta ed il Partito Sardo può veramente congratularsi per avere sempre affermato la propria pregiudiziale repubblicana, e per avere, durante la recente lotta per il referendum in materia, a viso aperto, in contrasto in ciò con altri partiti, ad es. la democrazia cristiana, sostenuta la tesi contraria alla monarchia.

«Altro errore del Risorgimento o altro fine non raggiunto fu quello della costituzione autonomistica dello Stato e qui, ciascuno di voi intende subito, che siamo proprio arrivati a quello che costituisce ragione d’essere del nostro partito. Un partito ha ragione d’esistere quando abbia un programma omogeneo e vitale cui ispirarsi, che gli dia, in certo senso, una propria fisionomia e che lo distingua dagli altri partiti.

«Quando si dice partito repubblicano (o socialista, o sardo) ciascuno intende…

«Aveva ed ha ragione di essere il partito sardo? Aveva una così manifesta, vitale ed urgente ragione d’essere che tutti i partiti hanno dovuto riconoscere la necessità che all’attuale struttura centralizzata si sostituisca quella autonomistica. La seconda sottocommissione della Costituente ha riconosciuto la personalità giuridica delle Regioni, con attribuzione di facoltà legislativa, anche, in certi campi, in senso esclusivo, ed ha anche, per certe regioni, e, fra le altre, la Sardegna, riconosciuta la necessità d’uno speciale statuto autonomo. Non si dica che a ciò si è arrivati per l’influenza e per l’azione esercitata dagli altri partiti sia perché (e lo vedremo in seguito) taluno non è autonomista, sia perché il lavoro, la forza, l’entusiasmo per la lotta e per la vittoria furono doti del partito sardo.

«Ciascuno di noi, ciascuno di voi, giovani, deve gloriarsi di questo successo. È da prevedere che la Sardegna avrà il suo consiglio regionale… La riforma dello Stato in senso regionalista ed autonomista è uno dei lavori fatti dalla Costituente, servendosi dell’apposita commissione. Ora è da prevedere un lavoro più proprio conclusivo.

«Ora, fra le più urgenti questioni, c’è quella dell’approvazione del trattato di pace. È bene che, a questo proposito, io vi dica qual è il mio pensiero…».

(Appena possibile vorrei riproporre integralmente questo e altri testi utili a comprendere fino in fondo il profilo democratico, oltre che di pensatore politico, di Pietro Mastino, ultimo grande, forse, con Salvatore Satta, dell’Atene sarda che politica e non soltanto – mi piace pensarla così – letteraria od artistica).

 

 

Fabbricando una repubblica, quella postfascista

Mastino 1943-1949. Quasi sette anni, ognuno denso di novità, di trasformazioni, tutti insieme assolutamente rivoluzionari. Nell’Isola come nell’intera Italia. Dalla dittatura alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica, dal centralismo all’autonomia. Rinascono i partiti, si rilegittimano le rappresentanze parlamentari. Stagione di dibattiti e di congressi. Stagione delle conte, dei chiarimenti e, perciò, anche delle divisioni.

Lussu, che è tornato in Sardegna dall’esilio francese durato ben tre lustri e dalla permanenza sul continente italiano dilungatasi per un anno intero – ed è un anno che la dice lunga sull’aggiornamento della sua visione politica – ha prima inutilmente cercato di riassorbire il sardismo nelle file azioniste, poi ha imposto l’esatto contrario per l’organizzazione isolana, quindi ha vanamente tentato di colorire di socialismo il PSd’A, dunque ha spaccato tutto fondando un partito nuovo: il PSd’A Socialista, per decidere infine di sopprimere l’infante facendolo risucchiare nell’antico, glorioso e massimalista PSI.

Così in Sardegna. Sullo scenario nazionale ha invece giocato la grande partita con Ugo La Malfa, e l’ha vinta – vittoria di Pirro – consacrando il Partito d’Azione all’ideologia classista e, l’anno successivo, rinfoderando la gloriosa Spada fiammeggiante e cedendola all’organizzazione di Nenni, Basso e Pertini.

Ha fatto e disfatto e rifatto, Lussu, a Cagliari (e a Sassari e a Nuoro) come a Roma, nel Partito Sardo d’Azione come nel Partito d’Azione, in sette anni. Mastino non è clamoroso in niente, ma nell’Isola gli ha tenuto testa cosciente di essere il “vero” leader, colui cioè più in sintonia con la mentalità della grande maggioranza dei 37.000 iscritti alle sezioni sardiste: un numero forse eccessivo rispetto alla realtà dei fatti, ma che viene ufficializzato al congresso di Macomer del luglio 1944 e che Lussu – con la sua solita e teatrale, prorompente voglia di darsi ragione e di millantare in vista di obiettivi ben concreti – tenderà ad arrotondare addirittura a 50.000! Così per esempio nel congresso di Cosenza, primo della breve parabola azionista.

Mastino non è uomo da bluff né da eclatanti sconti o da bracci di ferro. Non concede nulla alla retorica, ma è granitico nelle sue convinzioni, nei suoi orientamenti. L’impegno politico – il suo modo di fare politica – riflette straordinariamente il concettuoso ma scabro senso della vita che lo caratterizza e che egli identifica con l’attività professionale, con l’arte dell’avvocato, dove insegna la misura e, insieme, la fermezza. Al dire e al fare di Lussu, di Lussu giramondo e capo-popolo, di Lussu che infiamma le piazze col suo fascino di eroe di guerra e di perseguitato nel ventennale dopoguerra, lui non contrappone nulla e nessuno che possano infrangere il mito del suo amico-avversario, collega alla Camera dal 1921 al 1924, collega dell’Aventino morale e politico del post-delitto Matteotti, collega di nuovo all’Assemblea Costituente (dopo che nel Governo Parri). Non presenta alcun controvangelo, Mastino. Piuttosto, con opera discreta e tenace, svuota il sardismo dei più incandescenti ed eterodossi materiali lussiani. Non solo del socialismo, ma anche del federalismo. Al quale crede, s’intende, ma “secondo possibilità e modo”.

Uomo della realpolitik, egli riunifica attorno a sé le mille pulsioni ideologiche, politiche e anche di programma del Partito Sardo d’Azione cui assegna, nel secondo dopoguerra, un ruolo strategico all’interno del complesso gioco degli equilibri politici: di alleato-contrappeso della formazione cui il popolo italiano (e quello sardo) ha liberamente riconosciuto la netta leadership: la Democrazia Cristiana.

Mastino uomo della realpolitik

Uomo-riassunto degli infiniti sardismi esistenti (ogni sardista – naturale interprete del tradizionale individualismo degli isolani – rappresenta una particolare modulazione dell’ideologia permanentemente in fieri), domina la scena e sa già dall’inizio di poter pronunciare le sue sentenze, di poter notificare i suoi “no” alle deviazioni dalla scuola consolidata e da lui solo autenticamente interpretata, “no” destinati ad esser sempre vincenti. Quasi sempre fa a meno della platea, non ha bisogno dell’applauso in diretta. Ascolta tutti e decide. Altri sarà, poi, a dar attuazione alle delibere.

Ha detto il suo primo “no” – e s’è fatto appoggiare, nell’impresa, dal fedele Luigi Oggiano – già nell’autunno del 1943 a Luigi Battista Puggioni. Ha riscritto intere e sostanziali proposizioni del nuovo programma sardista steso dall’esponente sassarese (che non ha obiettato alle correzioni). Ha poi detto il suo secondo e duplice “no” al congresso di Macomer: ai Mori di destra, che avvertivano l’azionismo come un nemico in casa, una specie di cavallo di Troia, ed ai Mori di sinistra (portavoce i Fancello ed i Siglienti), che spingevano per il risucchio del regionale Forza Paris! nel grido di battaglia giacobino ed universale del Partito d’ Azione. Ha detto il suo terzo “no” al nuovo congresso di Oristano del marzo 1945, quando l’ha rivolto – con l’abile copertura di motivi tecnico-procedurali, perché lo schiaffo fosse meno doloroso – personalmente a Lussu intestardito nel suo dogmatismo socialista. (E in linea col proprio temperamento è stato il primo a gioire, e coram populo — perché il sentimento reso noto è esso stesso indicazione politica –, per la decisione dello sconfitto di rimanere nel Partito Sardo).

Continuerà a dire, con voce piana, garbata ma definitiva, i suoi “no” a chiunque voglia tralignare rispetto agli indirizzi che egli ha dettato, recependo umori ed ansie e valori della militanza non meno che della dirigenza. L’ultimo sarà quello pronunciato fra 1967 e 1968: un “no” amaro, nonostante la consueta maschera di imperturbabilità, e per sempre, il “no” al sardismo etnicocentrico che inizia a scivolare verso le posizioni indipendentistiche dell’ultima parte di secolo. Sarà allora che qualcuno, a Nuoro, oserà “espellerlo” dal partito che egli ha fondato e che è stato il suo specchio per cinquant’anni, il partito però che egli ora bollerà come fedifrago, ubriaca deviazione e deformazione dello specchio di mezzo secolo, della tradizione ininterrotta.

L’ultimo “no”. Ma gli altri, nell’arco degli anni della “rifondazione”? Fondamentale quello, ancora a Lussu – ma un Lussu ormai non più disposto a riceverlo ed a transigere sulle “tavole della verità” – nel luglio 1948, in pieno congresso, a Cagliari. Da quel “no”, ricapitolativo dei tanti innumerevoli “no” dell’assemblea riunita alla Manifattura Tabacchi, della larga maggioranza, anche, dei quadri di partito, verrà la scissione sardo-socialista e sorgerà quindi, ufficialmente, il PSd’A Socialista.

C’è – datata 22 febbraio 1946, in costanza di Ministero De Gasperi cioè, e con anticipo di oltre due anni dal divorzio – una pesante lettera di Lussu a Mastino che sembra scavare un fosso fra i due. Così scrive il neodimissionario ministro per i rapporti con la Consulta al sottosegretario al Tesoro:

«Caro Mastino, a mio parere, e non solo mio, è una vergogna che vi mettiate a difendere, col pretesto dell’autonomia (!) un covo di militari fascisti che si è accampato all’Alto Commissariato per la Sardegna. Il generale Pinna è stato nominato A.C. non già dai sardi ma da Badoglio. È rimasto a quel posto per nostri, o vostri, errori politici, ed è stato riconfermato in forma ridicola da rappresentanti di partiti più o meno esistenti, per giunta scelti da lui in una rosa di nomi.

«Io non ne ho mai fatto una questione formale, ma una questione politica. All’Alto Commissariato devono esservi dei civili e non dei militari. È quello che ho detto a Pinna fin dal primo giorno che l’ho visto. Militari che, per giunta, diventano sempre più infidi man mano che ci avviciniamo alla Costituente.

«Finalmente, il governo centrale sta per fare un’opera onesta, e sardi intervengono nel nome dell’autonomia. Bella roba!» (1).

Colpiscono le sottolineature a matita rossoblù che rivelano l’attenta lettura che del messaggio dà l’esponente nuorese: «vergogna… pretesto… autonomia… vostri errori… ridicola.., scelti… nome dell’autonomia…». Presa d’atto del j’accuse lussiano, per lui un obbligo di riflessione e, quindi, di assunzione di responsabilità. Come sempre.

Rapporto ambivalente, quello fra i due massimi rappresentanti del multianime Partito Sardo, coloro che, vent’anni dopo, hanno rianimato la ditta moribonda, ognuno col suo elisir.

Si pensi: colleghi alla Costituente, membri del gruppo cosiddetto “autonomista” nell’assemblea di Montecitorio impegnata a formulare nientemeno che la Carta fondamentale della neonata Repubblica sì democratica e laica e pluralista ecc., ma anche – secondo la storica aspettativa del movimento sardista – fondata su un solido impianto di autonomie territoriali, comunali e regionali. Lussu e Mastino costituenti, impegnati come sardi e come sardisti a dar corpo – con altri – a un articolato coerente all’aspirazione di fondo, largamente condivisa dall’assemblea eletta a suffragio universale da quasi 23 milioni di cittadini.

Vicini a chi, Lussu e Mastino? Vicino a chi, nel gruppo autonomista? Senz’altro agli azionisti, ai sette esponenti tutti eletti nel collegio nazionale (voti complessivi 334.877, pari all’ 1,4 per cento): da Piero Calamandrei a Leo Valiani, da Alberto Cianca a Fernando Schiavetti, da Tristano Codignola a Vittorio Foa a Riccardo Lombardi. Deve infatti essere sempre tenuto presente che Lussu, ancora per larga parte del 1947, è dirigente e forse number one del Pd’A. Con gli azionisti, vicini a Giulio Bordon, l’eletto valdostano del Fronte Democratico Progressista Repubblicano, che ha aderito anch’egli al gruppo di Montecitorio.

Vicini, senz’altro, anche agli ex azionisti ora eletti (pure essi nel collegio nazionale) nella lista della Concentrazione Democratica Repubblicana (voti 97.000 pari allo 0,4 per cento): Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, i quali nel settembre 1946 entrano nel partito dell’Edera che è, per eccellenza, il partito della Repubblica e del regionalismo.

Senz’altro, dunque, ai repubblicani storici, arrivati a Montecitorio con 23 eletti (14 nelle circoscrizioni e 9 nel collegio nazionale), grazie ai 1.003.086 suffragi ottenuti, pari al 4,4 per cento dei voti validi espressi. Anche qui un gruppo di primissima qualità, dove eccellono i nomi del generale Arnaldo Azzi, esonerato da Umberto per aver chiesto una radicale riforma democratica dell’esercito; di Giuseppe Chiostergi, capo dell’antifascismo italiano emigrato in Svizzera; di Giovanni Conti, anima del più puro mazzinianesimo; di Ugo Della Seta, esponente dell’ala più avanzata della Massoneria; di Cipriano Facchinetti, già deputato aventiniano e quindi emigrato, con Lussu, in Francia, al pari di Aurelio Natoli-Lamanteo (pure internato dal governo di Vichy); di Cino Macrelli, con un bel passato di confinato e di resistente; di Randolfo Pacciardi, comandante del Battaglione “Garibaldi” (Brigate Internazionali) nella guerra antifranchista; di Tomaso Perassi, giurista di fama mondiale; di Carlo Sforza, già presidente della Consulta nazionale e prossimo ministro degli Esteri; di Oliviero Zuccarini, il più caro ai sardisti federalisti, fondatore della Critica Politica, e così via.

Vicini senz’altro, Lussu e Mastino, a taluni – seppur minoritari – settori del Partito Socialista, forte di un gruppo di ben 115 deputati (106 eletti nelle circoscrizioni e 9 nel collegio unico), fra i quali vanno ricordati i sardi Angelo Corsi e Michele Giva. Un gruppo, quello socialista – vai la pena di ricordano – a netto orientamento antiautonomistico (2)

È interessante, di Mastino, questo atteggiamento – che solo apparentemente è contraddittorio e forse indecifrabile – verso le forze politiche nazionali. Espressione – è stato detto – di una cultura supponentemente paga di se stessa, cultura alla fine chiusa e provinciale, nonché stabile referente del moderatismo programmatico e garante dell’autonomia politica ed organizzativa del Partito Sardo, Pietro Mastino è invece colui che, della leadership dei Quattro mori, è il più esposto, il più avanzato – eccezion fatta per Lussu – nel dialogo con le correnti e le forze della politica nazionale. Così con l’azionismo, come sarà, verso la fine degli anni ’60, col repubblicanesimo. Il sottosegretariato nel Governo Parri è, sotto questo profilo, ben più d’un simbolo di solidarietà politica col Partito d’Azione.

Certo, contano gli atti politici. Ed essi non mancano e saranno esaminati e valutati. Colpisce però intanto – dell’immenso archivio “domestico” dell’avvocato-onorevole Mastino (che non aspetta altro che un suo ordinatore e classificatore… a tempo pieno, così l’epistolario come l’emeroteca o i dossier o gli appunti per conferenze) – una lettera-circolare, indirizzatagli al recapito romano di Corso Italia 108, datata dalla capitale stessa il 30 aprile 1946. Esattamente un mese prima della consultazione generale alla quale il PSd’ A— per concorde volontà della dirigenza (sarebbe emersa, particolarmente incisiva e convincente, qui, la voce di Gonario Pinna) – si presenta svincolato da collegamenti di sorta. Due mesi e qualche giorno, anche, dopo la celebrazione del congresso azionista di Roma e la rottura del gruppo La Malfa-Parri con il partito ormai “lussiano”. Lettera-circolare marcata da un doppio “viva”: per il Partito d’Azione e per la Repubblica.

«Caro compagno, Ti inviamo accluso alla presente un pacchetto di certificati di partecipazione alla Sottoscrizione Nazionale per la Costituente e per la Repubblica [...].

«Tu conosci già senza dubbio i fini e l’estrema importanza di questa Sottoscrizione la quale dovrà procurarci rapidamente i mezzi per finanziare la lotta elettorale. E quindi utile che insistiamo con Te per raccomandarTi di darci tutta la Tua collaborazione. Si tratta della conclusione di una lotta in cui il Partito d’Azione si è impegnato sin dalla sua formazione e che deve essere portata a compimento. Confidiamo sul Tuo vivo interessamento e sulla Tua devozione al Partito.

«Siamo perciò sicuri che Ti metterai subito al lavoro e che ci comunicherai presto delle buone notizie. È questione di giorni: il Partito d’Azione ha urgente bisogno di soldi!» (3).

Allegati sono dieci attestati da L. 500 e cinque da mille.

La Direzione centrale del Pd’ A avrebbe indirizzato all’ancora consultore nazionale e sottosegretario al Tesoro (per designazione azionista anche nel primo Governo De Gasperi) questa lettera se non fosse stata convinta della sua ricevibilità politica?

Vero è che meno di un anno addietro – all’indomani cioè della liberazione, e precisamente nel luglio 1945 – il Partito d’Azione si è dato un organo esecutivo finalmente davvero nazionale che unifica le espressioni delle regioni settentrionali e quelle del centro-sud. Le deliberazioni adottate a Milano (16 e 17 luglio) ed a Roma (28, 29 e 30 luglio) hanno creato un organismo unitario composto di 34 elementi. E Mastino è uno dei 34 (4), né può dirsi che partecipi in quanto membro del Governo, tant’è che altri esponenti ministeriali (i sottosegretari Bruno, Ragghianti e Rossi) non compaiono nell’elenco.

E comunque, la rappresentanza – in simbiosi con Lussu – di ben 78.554 elettori sardisti (lo 0,3 per cento in sede nazionale, ma il 14,9 per cento nella regione) costringe ad una equilibrata “esternazione dialogica”, senza dunque ipoteche isolazioniste o concessioni ad improbabili mitologie nel segno dell’autosufficienza isolana. Anzi, la coscienza nazionale è avvertita in Mastino come in pochi altri uomini politici sardi e – tolto Lussu – forse come in nessun altro esponente del Forza Paris!

E con spirito italiano e sardo – o europeo, italiano e sardo (egli sarà fra i sostenitori del Movimento Federalista Europeo) – partecipa prima al governo dello Stato non ancora repubblicano ed alla Consulta nazionale (appunto nell’interregno luogotenenziale) e quindi all’Assemblea Costituente. In parallelo è attivo nella Consulta regionale chiamata ad affiancare l’Alto Commissario Pinna nel complesso passaggio dell’Isola al regime di autonomia grazie ad uno statuto provvisto del rango di legge costituzionale della Repubblica.

Presente, onnipresente, leader riconosciuto. Due settimane prima dell’arrivo di Lussu in Sardegna, e dunque prima pure del congresso della ripresa sardista, a Macomer, Puggioni – il fiduciario regionale – gli scrive:

«Caro Mastino, i commenti entusiasti che ho trovato sulla tua magnifica orazione rientrando a Sassari, mi hanno fatto rimpiangere di non essermi trovato a Sassari per ascoltarti.

«Ero andato via il sabato, dopo fatto partire il telegramma della nostra Concentrazione per l’avv. Satta, nella quasi sicurezza che tu l’indomani non saresti venuto e, per tale eventualità, avevo dato istruzione per la nostra astensione. In tal senso avrebbe agito anche Devilla per il suo gruppo e per il Comune di Sassari. Ma tutto, invece, è andato bene ed il solo ad averci perduto sono stato io» (5).

Il riferimento è alla grande manifestazione svoltasi domenica 11 ai Politeama “Verdi”, ad iniziativa del CLN provinciale, per onorare la memoria di Giacomo Matteotti nel ventennale dell’assassinio da parte degli squadristi neri. (Mastino celebra il martire socialista insieme con Angelo Corsi, leader sardo del PSI. Parla da politico e da avvocato: il quadro che riesce a dipingere, efficacissimo, scalda l’uditorio che avverte un forte bisogno di esser posto davanti alla propria memoria storica per prender finalmente coscienza delle nuove responsabilità che sovrastano la nuova Italia, l’Italia redenta) (6).

Aggiunge Puggioni: «Ti prego di far sapere a Melis che attendo le relazioni scritte sugli argomenti all’ordine del giorno del congresso. Io verrò il giorno prima, provenendo da Cagliari ove ho udienza il 27 presso la Corte d’Appello.

«Ad Oggiano ho mandato copia della lettera inviata all’Alto Commissario circa i nostri rappresentanti nell’Assemblea Consultiva. Se avessi ritardato qualche giorno a fare le designazioni un nome l’avrei certamente omesso. E sulla posizione da prendere su quel nome dovremo accordarci a Nuoro»  (7).

Dal che emerge, chiaro, il riferimento alla condotta del PSd’A in sede di Comitato antifascista (siamo ormai in piena routine concentrazionista, anche con un coordinamento interprovinciale), al lavoro intorno alle designazioni per la Giunta consultiva da affiancare, per qualche mese, al gen. Pinna.

Mastino demiurgo

Son passati una decina di giorni dal congresso di Macomer. Il fiduciario sardista di Noragugume scrive al «presidente Comitato provinciale» del partito per chiedere un suo «gentile intervento» sul prefetto, «affinché si provveda d’urgenza alla conferma degli assessori effettivi (sic) Fois Adamo fu Salvatore e contemporaneamente all’immediato insediamento della giunta comunale sospesa ingiustamente dall’attuale sindaco. Tanto per poter agire incontrollato».

Si invoca un intervento risolutivo. In paese monterebbero pericolose tensioni. «Farò di tutto per frenare qualsiasi turbamento ordine pubblico se ciò mi sarà però difficile declino ogni responsabilità» (8), conclude il fiduciario.

Ecco un altro segno – uno dei mille, diecimila di questi anni di singolari fermenti – del ruolo assegnato all’uomo che, spendendo della sua autorevolezza, può risolvere ogni problema. Mastino patriarca e, appunto, demiurgo.

A settembre una bomba viene lanciata contro la sua abitazione, ai Giardinetti, a Nuoro. Non manca, fra le prime attestazioni di solidarietà, quella dei giovani universitari di Cagliari, di cui si fa portavoce Anton Francesco Branca. Per anagrafe e cultura e temperamento, di certo lontanissimo dai suoi giovani compagni, Mastino è gratificato di espressioni di grande deferenza, tipo «luminosa persona», «stimatissima persona», «uno dei più grandi agitatori del movimento politico che darà alla nostra Sardegna “libertà e giustizia”». Per concludere: «Come sempre, sotto la stessa Bandiera, nelle ore liete e tristi in cui ci incontreremo combattendo per la stessa causa, il nostro grido sarà sempre: Forza Paris!» (9).

Va detto che Mastino sarà altre volte soggetto ad attentati dinamitardi. Così, per esempio, nel novembre 1946. Presunti responsabili: estremisti «delinquenti dediti al malfare professionale». E Il Solco scriverà, fra l’altro, nell’occasione:

«La cittadinanza e la regione hanno dimostrato il loro sdegno per la viltà criminale degli attentatori ed il loro affetto verso una delle più nobili figure della vita politica sarda che col suo ingegno, la sua probità, la sua dirittura onora la regione e la Nazione. Il Partito che ama Pietro Mastino si stringe solidale a lui».

E ancora: «Noi tutti serviamo la causa del popolo sardo con dedizione senza macchia. Nessuno dei nostri uomini rappresentativi, dopo la marea di fango che ha degradato la vita pubblica sarda, nell’abbrutimento di tutta la Nazione, ha nulla da rimproverarsi. Abbiamo servito gli Ideali, pagando di persona [...]. Siamo qua, come nel tempo fascista, a denunciare gli abusi, a contrastare le ingiustizie, a difendere la nostra terra [...]. Ed abbiamo gettato noi le basi della ricostruzione d’Italia, col seme fecondo dell’autonomismo che è presupposto essenziale di Giustizia e Libertà».

Questo il giudizio sulla vittima: «Pietro Mastino sintetizza, nella sua vita, la somma delle più alte virtù professionali, civiche e morali. Nella umanità equilibrata e serena della sua personalità espressa dalla generosità sul lavoro, senza sosta, non vi è posto pei compromessi, di nessun genere. La sua voce, alta e nobile, ha sempre e solo servito la verità: da Sardista. Perciò, per due volte, è stato oggetto di attentati».

La chiusa è nel segno dell’identificazione fra il sardismo ed il suo leader: «Il nostro è un posto difficile, noi rappresentiamo un’avanguardia di pensiero e di opere oneste contro il marciume che dilaga ed ammorba la vita pubblica. Pietro Mastino, come i nostri migliori, è contrastato perciò, fino al rischio della vita. La Sardegna domani, più di oggi, saprà dargli il titolo della sua nobiltà nel segno dal suo amore e della sua gratitudine. Il Partito Sardo è fiero, nella sua povertà, del suo posto di dovere e di sacrificio ed oggi, come ieri, come domani esalta nei suoi alfieri la bellezza della sua lotta. Viva Pietro Mastino!» (10).

Ancora Il Solco: “Unità necessaria” è il titolo in capo all’articolo che Mastino scrive all’ indomani del combattuto, lacerante e lacerato congresso di Oristano del marzo 1945, che vede Lussu confinato in una posizione di minoranza.

Il suo sforzo è teso a svelenire i contrasti, a sdrammatizzare il conflitto che pure a tutti è apparso reale e profondo. Ma le parole pretendono di aver qui il magico effetto di far nuove e “altre” le cose: «II congresso, com’è naturale, – scrive Mastino – non espresse il proprio pensiero programmatico respingendo l’odg della sezione di Cagliari. Tant’è vero che, mentre nel votare pro o contro l’odg sulla questione politico-sociale, le due correnti si mantennero compatte e senza deviazioni, tale compattezza venne meno nei riguardi dell’odg della sezione cagliaritana. Fu favorevole, ad es., Puggioni e fu contrario Oggiano».

«Falsa apparenza di gravi contrasti» così egli chiama il divorzio fra la maggioranza della dirigenza e della militanza e Lussu. I capi sardisti – aggiunge – «hanno ritrovato la ragione dell’azione comune nello sconfinato amore per la Sardegna e nell’ardente ed onesta passione con cui vivono la vita politica».

La conclusione è, naturalmente, all’insegna di “Forza Paris!. Il grido sardista significa concordia, volontà – «al di sopra dei passeggeri contrasti di un’ora – di stare e di agire uniti per la Sardegna. Per questa nostra piccola patria che tanto attende dai suoi figli nella grave ora che volge» (11).

E Lussu, che aveva fatto capire di esser pronto a lasciare, ci ripensa, rimane nel partito. Mastino celebra la buona nuova, tassello della sua politica mediana e mediatrice, la politica dell’assorbenza. Scrive: «Le eventuali diversità di tendenza o di indirizzo, l’appartenere, come suol dirsi, alla corrente di “destra” o a quella di “sinistra”, non sono ragioni che possano compromettere la unità di un partito quando vi sia un sostanziale accordo sui concetti e sui principi fondamentali». E confessa il symbolum, precisa i termini della fede comune: «1) sulla pregiudiziale repubblicana federalista; 2) sulla creazione dell’ente regione, con esistenza autonoma, non in senso isolazionista e tanto meno separatista; 3) su di una profonda riforma agraria, che tenga conto delle condizioni di ambiente in cui deve essere attuata; 4) sulla riorganizzazione e socializzazione di taluni complessi industriali con speciale riguardo ai diritti degli operai.

«Né vi può essere dissenso sulla opportunità di stabilire e mantenere dei contatti con un partito nazionale, così come fu deciso nel Congresso di Macomer e nei termini e con le condizioni allora affermate, poiché sono troppo evidenti da una parte la necessità e la convenienza che la nostra azione politica sia oggi sorretta da un partito che opera nella penisola, e dall’altra il vantaggio che possiamo trarne per la soluzione dei nostri problemi».

Infine argomenta: «In questo difficile momento della vita del paese e nel caotico ambiente politico romano, solo uomini che abbiano, come lui [Lussu], un’influenza di portata nazionale possono richiamare l’attenzione del governo sui nostri problemi e renderne più facile la soluzione. Si deve così principalmente alla sua autorevolezza ed all’opera sua, indefessa ed appassionata, l’istituzione, a fianco dell’Alto Commissario, di quella Consulta regionale che il 29 corrente terrà, in Cagliari, la sua prima riunione e che rappresenta, nel nostro proposito, il primo passo verso l’autonomia». Ragioni «di sostanza, di sentimento e anche di aderenza alla realtà politica – conclude – ci rendono lieti di combattere con lui per la Sardegna» (12).

Lussu-Mastino, Mastino-Lussu

A Cagliari domenica 29 aprile 1945, quattro giorni dopo la liberazione dell’Italia del nord dai residui nazi-fascisti. Inoltre siamo giusto a metà strada fra il congresso conflittuale di Oristano e l’utile abbinata governativa di Roma.

I lavori della Consulta regionale. L’Assemblea è stata aperta dal gen. Pinna, con un lungo discorso-radiografia sullo stato economico e sociale dell’Isola. Mattator Mastino – che proprio all’inizio della tornata ha proposto l’invio al CLNAI di un messaggio di gratitudine e di augurio «che al nostro Paese siano conservati i confini che natura le ha dato» – è anche colui che chiude, è l’ultimo ad intervenire per sollecitare la prossima investitura popolare di tutte le istituzioni amministrative e/o consultive regionali ed anche nuovi ambiti dei rispettivi poteri, superando le interferenze degli organi centrali nel regime dei prezzi, ecc.

Davanti a 20.000 persone nel largo Carlo Felice, di sera, il patriarca-demiurgo ed il capitano-tribuno trattano della questione istituzionale, sia a livello nazionale (Consulta, Costituente, Repubblica) che regionale (Alto Commissariato), scatenando l’entusiasmo della folla. Qui sardismo e azionismo sembrano identificarsi.

Mastino si replica. Apre invitando i sardisti e l’intera città che lo ospita e lo ascolta «ad elevare la mente a quanti nell’Italia del nord combattono contro la rabbia fascista e tedesca, agli eserciti alleati ed ai nostri gloriosi partigiani, che combattono non solo per riaffermare i termini sacri della nostra Patria, ma anche per un grande ideale di libertà e di giustizia». Aggiunge poi che la Sardegna, «per quanto negletta nei secoli e per quanto reclami una radicale riforma nella costituzione dello Stato, vuol dire oggi la sua parola d’amore a tutte le regioni d’Italia».

Premesso così l’”italianismo” dei sardisti rifà la storia del sentimento autonomistico della Sardegna, dice che nelle formazioni regionali della “Sassari” e della “Reggio” «maturò un’unica volontà e un’unica coscienza isolana, quella stessa che da Capo Teulada ai monti di Gallura si era espressa nella lotta antifeudale di G.M. Angioy. I combattenti vollero che continuasse nel campo civile la battaglia per cui avevano invermigliato del loro sangue il Carso e il Piave. Il popolo sardo, che fino ad allora aveva solo conosciuto l’esattore delle imposte e gli aguzzini, cominciò col Partito Sardo d’Azione ad essere immesso nella vita politica, a divenirne forza viva e cosciente: partito di popolo, di lavoratori, di umili, il Partito Sardo d’Azione fece splendere sui graniti di Sardegna l’aurora del rinnovamento, combatté le prime battaglie del riscatto sociale. Alfieri ne furono Camillo Bellieni, Francesco Fancello, Emilio Lussu ed altri generosi che mai piegarono sotto la violenza della tirannide».

Ribadisce che il PSd’A è nettamente schierato per la repubblica, contro «la monarchia liberticida, violatrice dello Statuto, corresponsabile di una guerra contraria ai nostri ideali ed ai nostri interessi». Esso propugna una «repubblica federale, che sola consente lo sviluppo autonomo delle varie regioni, l’espandersi delle energie locali che, secondo il pensiero di G.B. Tuveri, rappresentano l’elemento dinamico della vita nazionale, contro l’elemento rappresentato dallo stato centralizzato».

Si sofferma quindi sull’Alto Commissariato e sulla Consulta regionale, di cui rileva tutti i limiti in termini di rendimento autonomistico, lamentando soprattutto che il primo possa partecipare ai lavori del Consiglio dei ministri soltanto se chiamato e con solo voto consultivo. «Nelle esportazioni e importazioni, in materia di prezzi deve obbedire alla direttive di Roma. Questo perpetua l’esoso sfruttamento delle nostre risorse a favore degli speculatori continentali. È inutile che ci si prometta un miliardo in tre esercizi finanziari, quando giorno per giorno – sostiene – beni reali di valore ben superiore emigrano dalla Sardegna pagati a prezzo d’imperio, mentre tutto ciò che ci viene di fuori è lasciato ai libero mercato: così il formaggio, così il bestiame, così il carbone Sulcis pagato in Sardegna a prezzi bassissimi che non permettono di migliorare le condizioni dei nostri minatori, e venduto in continente a prezzi enormemente più alti al mercato nero. Per questo vogliamo che venga riconosciuto all’A.C. il diritto di veto contro le leggi di Roma la cui applicazione risulti dannosa alla Sardegna».

E Lussu? Lui riprende i temi sviluppati da Mastino, avvertendo che l’autonomismo sardista si combina con l’ansia innovatrice diffusa ovunque: «È l’Italia ufficiale – dice – che noi vogliamo trasformare, è lo stato centralizzato, è Roma dispotica, incompetente, burocratica, assolutistica, prepotente a cui vogliamo togliere per sempre il dominio arbitrario della nazione…».

E ancora: «La Consulta e l’Alto Commissariato sono un esperimento provvisorio dei principi autonomistici, ma ben altra è la nostra autonomia: né Consulta né Alto Commissariato, ma sovrano governo dei sardi nell’isola per i problemi sardi [...]. Tutto quello che riguarda la vita in Sardegna, pastorizia, agricoltura, trasporti, igiene, pesca, miniere, deve essere amministrato da noi con uomini nostri, con legge nostra, nel nostro piccolo parlamento sovrano». Allo Stato centrale competeranno le materie d’interesse generale, nulla di più.

Contesta duramente la lettera di saluto inviata dal presidente Bonomi alla Consulta appena insediata e particolarmente se la prende con l’infelice frase alludente ai «sardi pazienti e obbedienti»: «I sardi hanno finito di essere pazienti e di essere obbedienti. Essi intendono esser pazienti solo quando curano le piaghe sofferte per una causa volontariamente, liberamente combattuta; intendono essere obbedienti solo quando marciano per l’ideale che li libererà dalla millenaria oppressione».

Scarica poi i suoi fulmini sulla Corona, e anche qui, o soprattutto qui, le sue idee collimano con quelle del patriarca: «Democrazia e monarchia assieme non sono più concepibili, autonomismo e monarchia sono inconciliabili. La Costituente consacrerà la condanna della monarchia e la proclamazione della repubblica. Ma per garantire che il Paese venga imparzialmente condotto alla Costituente è necessario rimuovere la Luogotenenza sabauda, centro di intrighi e di reazione neofascista: ad essa bisogna sostituire una luogotenenza civile».

La conclusione è alta e patriottica: «Noi sentiamo che da questa città partirà l’avanguardia liberatrice di Sardegna. Io credo che nell’ambito dell’unità italiana noi faremo grandi cose per la redenzione della Sardegna sicuri che dopo tante tenebre, dopo così lunga e dolorosa notte, una nuova aurora sta per risplendere sull’avvenire della vita sarda».

Da notare i vocativi d’apertura: «Sardisti e popolo di Cagliari», ha detto Mastino; «Compagni, cittadini!», ha invece detto Lussu (13).

A giugno sono entrambi al governo, in rappresentanza del PSd’A alleato degli azionisti. Non meno di Lussu, che è titolare dell’Assistenza post-bellica, Mastino dimostrerà la maturità della coscienza nazionale (italiana) del miglior sardismo.

Ospitone, Angioy e gli altri

Interessante la notazione dell’Ortobene nuorese (a firmare è Ospitone alias Salvatore Mannironi): «Fatto nuovo nella più recente storia politica isolana, è la partecipazione al Governo dell’avv. Mastino, il maggiore esponente del Partito Sardo. I suoi amici di parte dovranno sentire d’ora in avanti quale sia, anche per i partiti, la responsabilità di Governo. Siamo lieti che anche i sardisti facciano l’esperimento. Si accorgeranno presto come sia più comodo e più facile starsene alla finestra per fare la critica non sempre tempestiva e utile: come quando si riduceva a fare dello spirito sui viaggi dei Ministri in Sardegna! Mandare i propri uomini al Governo significa impegnare in pieno anche il Partito per tutte le responsabilità. E questo esperimento era utile facesse il Partito Sardo. È importante, poi, che glielo faccia fare il Partito d’azione, per personale volontà di Lussu che non ha voluto essere solo, nel cimento. Va da sé che si tratta di un esperimento che seguono con interesse anche gli altri partiti» (14).

Inizia l’attività ministeriale ed anche del “gran debutto” romano non mancano le testimonianze documentali. Del 26 giugno è una lettera di Aldo Berlinguer che scrive: «Caro Onorevole, ho ricevuto una nuova telefonata da Mario, il quale mi conferma che Lei è stato nominato sottosegretario al Tesoro, sezione danni di guerra. Mario mi dice che il dicastero è molto importante, anche perché si tratterà di liquidare i danni di guerra per la Sardegna, ed un buon sardista come lei è sicura garanzia che i sardi non saranno trascurati nelle liquidazioni che loro competono.

«Quanto alla sua partenza, Mario mi dice che è opportuno che lei non tardi a recarsi a Roma, salvo a ritornar poi – subito dopo in Sardegna – per sistemar le sue cose» (15).

È passata l’esperienza governativa fotografata da altre innumerevoli carte dell’archivio (16), siamo ora quasi all’esordio dell’attività costituente, pure essa documentatissima. E Mastino è richiesto a Sassari, da Michele Saba, di tenere la celebrazione del 150° anniversario «del martirio degli “angioini”». Gli scrive il leader repubblicano: «Tu dovresti ricordare l’avvenimento in città, in giorno da destinarsi, ad iniziativa del Comitato che intende invitare tutti i partiti a rendere solenne la manifestazione» (17).

La commemorazione si svolge domenica 3 novembre – presenti il ministro Segni e l’Alto Commissario e con l’adesione di Lussu, Corsi e Spano – in un Politeama adornato dai policromi vessilli sardisti, repubblicani, socialisti e comunisti.

«In un momento in cui l’Italia ricostituisce la propria unità, dando riconoscimento giuridico e politico alle regioni…». Apre con l’attualità delle cronache da Montecitorio, il patriarca-oratore. Entra poi negli avvenimenti della storia, nella rivolta antifeudale della Sardegna di fine Settecento e nei moti mazziniani degli anni ’20 e ’30 del XIX secolo. «E sempre la stessa lotta che oggi non è più solo lotta per le libertà politiche, ma anche per le libertà sociali. Oggi potrà essere posto riparo – aggiunge – agli errori del Risorgimento. Questo, sorto come movimento di popolo, fallì al suo scopo perché fu poi guidato dalla monarchia che ne raccolse i frutti. Mazzini sconfitto allora è il trionfatore d’oggi».

Individua nel giusto punto d’equilibrio fra libertà individuali e libertà sociali quello che garantirà un futuro di progresso civile al popolo italiano, al Meridione, alla Sardegna. «I caduti della battaglia per la libertà politica come quelli caduti per la libertà sociale, i martiri angioini, quelli del Risorgimento e quelli di un più recente periodo, sono tutti circondati dalla stessa luce di sacrificio e di bellezza». Nell’elenco, che muove da Gio. Maria Angioy e passa per Efisio Tola, non manca Antonio Gramsci … (18).

Altre carte, certamente inedite e forse sorprendenti.

Dei 25 settembre 1946 è una lunga lettera di Giovanni Battista Melis, direttore regionale del PSd’ A nonché responsabile del Solco, che lamenta un certo isolamento e quasi una diffidenza che avverte attorno a sé, nell’ambito stesso del partito, e sul quale speculerebbero i democristiani. Sono i momenti caldi della tensione col clero, soprattutto con quello nuorese, e Melis ha da poco pubblicato, sul giornale del Partito, un articolo che potrebbe anche definirsi un “monumento di umanità in politica” per difendere le posizioni del PSd’A (19). Il patriarca è invocato come colui che lo può riaccreditare agli occhi dei tanti interni e dei tantissimi esterni che non gli concedono nulla o addirittura, a lui e alla sua famiglia, hanno decretato l’ostracismo. «Ai Suo cuore e alla Sua intelligenza la scelta del modo» (20).

Nell’ottobre 1947 Melis notificherà a Mastino, e stavolta pure a Lussu in quanto rappresentanti eletti nella più alta assemblea democratica della Repubblica, il suo proposito di ritirarsi dai posti di dirigenza. E un’altra lettera nobilissima: «La mia fatica è ormai insopportabile per le mie spalle ed io non posso più apparire per me e per gli altri come un forsennato per giunta inconcludente» (21). Ma evidentemente il “balsamo” mastiniano è tanto virtuoso da assorbire ancora una volta il malessere del generosissimo giovane segretario (direttore).

Pietro Mastino o dell’assorbenza, s’è detto. E assorbenza degli umori e dei malumori. Come pater familias egli riconduce ad unità il pluralismo, prospetta un indirizzo, una meta, tempi e modi del fare, a chi freme dà il senso della paziente continuità – che a lui viene dal suo legame con la terra, con i valori e le cadenze del mondo rurale in cui s’innesta tanta parte del sardismo – e, da saggio della montagna, conforta chi si smarrisce… Patriarca autorevole e ascoltato.

 

Note

(1) Anche questa lettera di Lussu, così come gli altri documenti (manoscritti di varia natura: corrispondenza, appunti, relazioni, articoli) che vengono citati nella scheda in riferimento, è custodita nell’archivio di Mastino a Nuoro. Sarebbe veramente auspicabile un’opera di generale ricognizione e classificazione dell’importantissimo materiale, magari da parte di un team di ricercatori specializzati per settore, trattandosi di una massa veramente imponente e diversificata di carte;

(2) Sulla composizione dei gruppi politici alla Costituente cfr. L’illustrazione italiana, fasc. speciale del 9 febbraio 1947, 11. 6;

(3) La circolare è firmata, per la Segreteria, da Fernando Schiavetti e Tristano Codignola;

(4) Cf. Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione, Milano, Feltrinelli, 1982, pag. 304, nonché Giancarlo Tartaglia, I congressi del Partito d’Azione 1944/1946/1947 Roma, Ed. Archivio Trimestrale, 1984, pag. 116;

(5) La lettera, manoscritta, è datata 15 giugno 1944;

(6) Cf. L’Isola, 10, 16 giugno 1944;

(7) Il congresso – primo dopo la rinascita democratica – verrà rinviato di alcune settimane rispetto alle previsioni, e sarà celebrato il 29 e 30 luglio 1944. Animato degli interventi di Stefano Siglienti, ministro in carica (primo Governo Bonomi), e di Francesco Fancello, entrambi portatori dell’impostazione lussiana, tendente ad assorbire il PSd’A nel Partito d’Azione, il dibattito vedrà emergere anche una discreta fazione separatista. Contrario ad intese permanenti col Pd’ A Puggioni, unitamente a Mastino, Oggiano e Melis, sarà tra coloro della dirigenza “centrista” che piloteranno le delibere congressuali sul patto federativo fra i due partiti, scongiurando l’ipotesi dell’unità anche delle strutture organizzative (altro che per l’autoscioglimento del Partito d’Azione nell’Isola e la conseguente confluenza nel PSd’A). Sul congresso di Macomer e sul dibattito che lo precede e lo segue, cfr. Gianfranco Murtas, Sardismo e Azionismo negli anni del C.L.N., Cagliari, Alternos, 1990, nonché, dello stesso autore/curatore, Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano, Cagliari, Alternos, 1990. In entrambi è presentata un’ampia bibliografia ed uno schedario di documenti inediti. Ad essi può ora aggiungersi, di mano mastiniana, il seguente di notevole interesse:

«Preso atto che il partito sardo d’azione, sorto fin dal 1921, dimostrò, con la sua resistenza al fascismo, di rispondere ad un’assoluta necessità di tutti i sardi, così che oggi continua la sua esistenza e vive su cento sezioni e sui trentamila suoi iscritti; che tale sua orgogliosa vitalità è la riprova del come non debba menomamente rinunziare ad alcuno dei suoi postulati programmatici fondamentali – autonomia dell’isola e vita del partito indipendente nel suo programma sardista e nella sua azione in Sardegna da qualunque altro partito;

«riconosciuto che sempre il partito sardo sentì e proclamò anche la necessità di un programma nazionale, sulla base – soprattutto – d’un riassetto dello Stato sulla base d’un’unione federalistica delle varie regioni italiane e per ciò, nel 1922, furono stabiliti patti d’alleanza coi partiti d’azione molisano e lucano; che l’attuale partito italiano d’azione per la figura dei suoi fondatori – Emilio L[ussu] e F[rancesco] Fancello, già fra i primi e maggiori fondatori del partito sardo – rappresenta lo sviluppo ed il completamento del principio animatore del partito sardo, il quale sempre s’è anche inspirato a quei principi di libertà e di giustizia, che rappresentano il motto del P[artito] italiano] d’azione,

«dichiara il partito sardo rimane con il suo programma regionale, col suo credo autonomistico, con le sue cento sezioni sardiste ed aderisce, per il proprio programma nazionale, ai principi del partito italiano d’azione, in attesa vengano fissati definitivamente da un congresso nazionale».

Circa il riferimento, contenuto nella lettera di Puggioni a Mastino, alla “Assemblea Consultiva” da affiancare all’Alto Commissario, va chiarito che l’organismo, denominato “Giunta consultiva”, sarà inizialmente costituito da sei personalità: il sardista Salvatore Sale, il democristiano Antonio Segni, il comunista Giuseppe Tamponi, il socialista Angelo Corsi, il liberale Guido Zoccheddu, l’indipendente Enrico Musio. La Giunta rimarrà in carica dal maggio al dicembre 1944. Cfr. fra l’altro L’Isola, 25 aprile 1944 e L’Unione Sarda, 2 giugno 1944;

(8) La lettera porta la data dell’11 agosto 1944;

(9) Datata 28 settembre 1944, la lettera è manoscritta su carta della Sezione di Cagliari del PSd’A con l’indicazione di “Univ.” (da intendersi “sezione universitaria”);

(10) Cf. Il Solco, 24 novembre 1946;

(11) Ibidem, 25 marzo 1945;

(12) Ibidem, 22 aprile 1945. Titolo dell’articolo: “Nel solco”;

(13) Ibidem, 6 maggio 1945. Cfr. inoltre L’Isola, 1° maggio 1945 e L’Unione Sarda, 3 maggio 1945. Il testo manoscritto del discorso di Pietro Mastino è custodito anch’esso nel suo archivio familiare;

(14) Cf. L’Ortobene, 22 luglio 1945;

(15) Rivelatrice dell’emergenza vissuta dall’Isola anche in materia di comunicazioni col continente italiano, la lettera di Aldo Berlinguer – ormai militante sardista, dopo le intese dell’autunno 1944 – così prosegue: «Per poter partire in aereo, ed è ovviamente il mezzo più comodo, e più consono alla nuova Eccellenza, basterà che lei lo richieda per telefono all’Alto Commissario Pinna, dicendogli chiaramente che desidera che l’aereo parta da Fertilia, ed il viaggio sarà così più breve e più comodo.

«Io spero che lei vorrà usarmi la cortesia di avvertirmi in tempo del giorno preciso in cui dovrà partire da Fertilia, perché, come le ho detto, io e mia moglie desideriamo profittar dell’occasione per venir con quello stesso mezzo a Roma. Sarà bene che lei, nel telefonar al Gen. Pinna, lo informi anche di ciò: posso dirle che Pinna sa già che io e mia moglie dobbiamo far questo viaggio. Ma io vorrei saperlo in tempo, per pensare a preparar la macchina che ci dovrà condurre – lei compreso naturalmente – da Sassari a Fertiia»;

(16) Sull’attività di Mastino come sottosegretario di Stato al Tesoro, con delega ai Danni di guerra, fra il giugno 1945 ed il giugno 1946, cfr. Gianfranco Murtas, Sardismo e Azionismo, cit., e segnatamente il capitolo “Eccellenze-non-eccellenze al Governo”, pagg. 151/201;

(17) La lettera di Michele Saba è datata 12 settembre 1946;

(18) Cf. Il Solco, 10 novembre 1946;

(19) Ibidem, 1° settembre 1946. L’articolo di Melis è titolato “Quel che è stato denunciato è vero”;

(20) La lettera al «Carissimo Onorevole Mastino» è anch’essa manoscritta e in qualche punto appare difficilmente decifrabile;

(21) La lettera di Melis datata 16 ottobre 1947, inviata da Cagliari per espresso, è stavolta dattiloscritta su carta del Direttore regionale del PSd’A.

 

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