Paolo VI, ovvero la docenza dell’umiltà. Anche a Cagliari testimoniò la bellezza e la necessità della condivisione di sorte ed ideali degli ultimi, di Armando Mura

 

Nella piccola e suggestiva chiesa di San Rocco a Cagliari è stata ricordata, nei giorni scorsi, la grande figura di Giovanni Battista Montini, il papa Paolo VI recentemente proclamato santo, unitamente ad altre speciali personalità del mondo religioso, fra cui monsignor Oscar Arnulfo Romero. Ecco di seguito l’intervento svolto da Armando Mura che con alcuni presbiteri (come Efisio Spettu, Andrea Portas e Salvatore Loi) e diversi laici fu, nel 1978, tra i fondatori della comunità tutta impregnata di spirito conciliare.

Aspetti umani e spirituali di un grande pontefice

Per illustrare la vita e l’insegnamento del grande pontefice Giovanni Battista Montini non basterebbe un convegno di studi. Io quindi modestamente cercherò di cogliere alcuni aspetti umani e spirituali della sua personalità incominciando dalla prima formazione.

Come premessa credo sia giusto confessare la mia devozione per Paolo VI e la mia ammirazione dall’inizio del suo pontificato (21 giugno 1963), pur dichiarando che in un determinato periodo ho avuto perplessità e difficoltà a condividere certe prese di posizione. Mai, comunque, è venuto meno il rispetto religioso e filiale.

La prima formazione. Leggo dalla “Positio” del card. Parolin per la beatificazione: “Dai genitori, con la testimonianza dell’amore, imparò il senso della vita interiore e della preghiera, soprattutto dalla madre; il padre (direttore de Il cittadino di Brescia e importante uomo politico) lo educò all’impegno cattolico da perseguire con coerenza nella vita pubblica e all’attaccamento alla dottrina della Chiesa”.

Nell’età adolescenziale due sono state le scuole di vita che più hanno influito in modo permanente nella sua formazione culturale e religiosa: 1) l’oratorio della pace; 2) il monastero di Chiari:

1) L’Oratorio di Santa Maria della Pace dei padri filippini di Brescia, centro parrocchiale frequentatissimo con pluralità di impegni per la formazione religiosa, sociale e politica. E lì che G.B. Montini trova il suo direttore spirituale padre Caresana e il maestro, l’amico e fratello p. Giulio Bevilacqua.

(Di p. Bevilacqua mi sembra opportuno ricordare chi era: un grande educatore della gioventù, prete nel 1903, studioso di problemi sociali (laurea all’Università di Lovanio con una tesi allora “pericolosa” sulla condizione operaia.), fondatore di scuole di lavoro per operaie, apertamente ostile alla dittatura fascista tanto da essere costretto a lasciare Brescia per Roma. Maestro di spiritualità e liturgista, fu chiamato da Papa Giovanni a far parte della commissione preconciliare per la riforma della Liturgia. A Roma continuò la comunanza di vita spirituale e amicale con don Montini soprattutto nell’apostolato con i giovani universitari. Interessante e incisiva è la definizione di Jean Guitton su questa amicizia: Montini e Bevilacqua avevano “un rapporto di reciproca paternità”. Nel 1965 dopo tanti rifiuti accettò il cardinalato, con la clausola di rimanere parroco a Brescia dove morì dopo alcuni mesi. Saggista, scrittore, co-fondatore della rivista Humanitas e della casa editrice della Morcelliana; ha scritto la prefazione de Il giornale dell’anima di Giovanni XXIII).

2) Il monastero dei monaci benedettini di Chiari a 30 chilometri da Concesio. I padri marsigliesi (la politica francese li aveva banditi) trovarono accoglienza in un antico convento francescano messo a disposizione dal buon parroco del paese, amico della famiglia Montini. Il futuro Paolo VI, ospite in parrocchia, si recava tutti i giorni in Monastero per seguire la liturgia, cantare il gregoriano e gustare il silenzio monacale. Spesso da Concesio si recava a Chiari in bicicletta, anche solo per recitare i Vespri. Nel 1973 Paolo VI, ricevendo gli abati benedettini, ricordò l’impronta profonda ricevuta quando frequentava il convento di Chiari: la Liturgia, lo studio dei Salmi, il canto gregoriano.  E proprio lì nacque la vocazione alla vita religiosa: voleva diventare monaco benedettino. L’abate però lo dissuase: “è vero hai un’anima contemplativa, gli disse, ma per il tuo temperamento dinamico, per le doti umane e intellettuali la chiamata di Dio per te è per il ministero apostolico in mezzo alla gente”. Dunque: anima contemplativa e temperamento dinamico. Mettiamo a fuoco questo giudizio dell’abate su G. B: Montini e verifichiamolo, in sintesi, nelle scelte di vita.

Anima contemplativa. Significativa la continua frequentazione alle abbazie d’Europa e d’Italia, in particolare Montecassino, per esercizi spirituali e ritiri con i giovani e da solo; per il decimo anniversario di Messa (1930), si ricorda tra l’altro che aveva con sé un unico sussidio per la meditazione: il Messale delle Ordinazioni Sacerdotali. Da papa, il 24 ottobre 1964, dopo il pellegrinaggio in Terra Santa, si recò a Montecassino per riconsacrare l’Abbazia e proclamare San Benedetto patrono d’Europa.

Quando fu eletto arcivescovo di Milano (1954) scelse come motto una frase della II Lettera di Pietro cum Ipso in monte, l’Apostolo rievocava la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor: e io ero con Lui in estasi sul monte. I suoi collaboratori lo dissuasero: questa è una frase adatta per un abate, non per un arcivescovo chiamato a governare una grandissima ed impegnativa diocesi come Milano.

Incontrando diverse volte, già da 1946, il fondatore dei Piccoli Fratelli Renè Voillaume don Montini rimase affascinato dalla figura di Charles de Foucauld mistico del deserto, un faro tra mille luci fatue del nostro secolo. Accettò con entusiasmo di scrivere la prefazione italiana del libro Come loro: la vita spirituale e le regole della fraternità sull’esempio di Gesù a Nazaret e di fratel Carlo, ma chiese subito dopo di essere liberato da questa promessa non tanto per gli impegni in Vaticano, ma soprattutto a causa della sua serietà e umiltà: avrebbe voluto più tempo per approfondire questa nuova forma di vita contemplativa e di condivisione fattiva col mondo operaio e con i poveri. Infine da papa nella Populorum Progressio (1967) cita al n.12 Charles de Foucauld, caso raro in una enciclica, come esempio di missionario, Fratello Universale che ha saputo coniugare evangelizzazione e promozione umana.

Sorprendente è la fittissima documentazione epistolare, più che ventennale, col famoso trappista Thomas Merton, che si trasforma in legame tra maestro e discepolo a cui Merton attinge per dare forma e contenuto al rinnovamento della vita contemplativa. Di Thomas Merton ci piace ricordare almeno 2 libri conosciuti in tutto il mondo: Semi di contemplazione, La montagna dalle sette balze.

Temperamento dinamico. Voglio citare Inizialmente una frase di Giovanni Dore, già presidente della FUCI di Cagliari, che definisce con entusiasmo il suo assistente nazionale: don Montini mistico e dinamico.

Dopo l’Ordinazione (29 maggio 1920) avrebbe desiderato dedicarsi al ministero parrocchiale, ma fu inviato a Roma per proseguire gli studi –filosofia, diritto civile e canonico- intanto veniva chiamato a frequentare anche l’Accademia diplomatica e subito inviato alla Nunziatura di Varsavia durante i mesi estivi. Dal 1923 è minutante nella Segreteria di Stato, ma non trascura certo il ministero in diverse parrocchie della periferia romana. Inoltre dalla fine del ’23 è anche assistente nazionale della FUCI. A questo impegno decennale con gli universitari cattolici si dedicò anima e corpo in lungo e in largo per tutta l’Italia con l’ottimo presidente Igino Righetti, morto prematuramente (don Montini si sentiva chiamato e tagliato per questo servizio, ma ai piani alti della Segreteria c’era qualcuno che lo osteggiava e aspettava il momento per togliergli l’incarico). In seguito, tra gli altri fu presidente anche Aldo Moro. Don Montini ai giovani testimoniò una fede intelligente e libera, aperta al dialogo e una carità fattiva. Era un educatore sul campo, chiedeva a tutti uno studio sistematico dei problemi, la fatica del pensare per l’autonomia del giudizio orientato all’azione, all’apostolato. Teneva moltissimo al colloquio personale con tutti, altrimenti metteva in moto una fittissima corrispondenza: è incredibile il volume di carteggi che il Centro Studi di Brescia ha già catalogato. Aveva chiaro il senso dell’antropologia cristiana e il corretto rapporto tra valori umani, fede e ragione. Questa la dichiarazione programmatica: “Formare coscienze capaci di una forte testimonianza cristiana, alimentata dalla Sacra Scrittura e dalla liturgia, rifuggente da devozionismi e libera da emozioni superficiali, certo intima e personale, di respiro tuttavia non individualistico, ma comunitario ed ecclesiale, che guarda al mondo senza timori, senza rancori, senza complessi, che ha in Cristo il suo centro vitale”. Si può dire, ha accennato una volta card. C.M. Martini, che don Montini rifondò con i fucini i canoni di una teologia per laici.  A proposito di impegno e attivismo come assistente della FUCI non possiamo non rammentare la sua venuta a Cagliari. La prima volta nel febbraio 1928 per una settimana di studio: arcivescovo mons. Piovella e assistente della FUCI diocesana canonico Giuseppe Cogoni e presidente Pietro Manca. Parlerà di questo incontro il già citato Giovanni Dore nel 1970: “Fu una visita proficua di risultati perché servì, proprio per il serafico ardore impresso ai lavori da mons. Montini, a potenziare l’organizzazione fucina nella nostra città e a creare una corrente di simpatia tra l’Assistente e gli universitari cattolici di Cagliari…”

La seconda volta fu, nel 1932, per il congresso nazionale della FUCI a Cagliari. “Dal 31 agosto al 2 settembre gli esercizi spirituali; il 3 di settembre inaugurazione ufficiale in cattedrale; il 4 settembre inizio effettivo dei lavori congressuali, che saranno intercalati da 3 meditazioni dettate da Montini, la prima nella chiesa dei santi Giorgio e Caterina in via Manno, la seconda e la terza nella chiesa di S. Anna. Conclusione il 7 settembre con un ordine del giorno che segna l’avvio del Movimento Laureati di A. C.” (cfr. Mario Girau in un lungo e interessante articolo di news chorus, 3 ottobre 2013).

Paolo VI durante il pellegrinaggio a Cagliari del 24 aprile 1970 ricorderà, quasi con nostalgia, di sicuro col cuore in mano, questo congresso fucino del ’32 nel suo “discorso al laicato cattolico”: “… Voi ci ricordate quale fu la strada, meglio il sentiero stretto, tortuoso, faticoso, ma saliente dell’assistenza ecclesiastica a universitari che si chiamava la FUCI…per circa un decennio. Anni tormentati, per me difficili; ma a ricordarli ora, anni preziosi, anni magnifici. Anni pieni di studi, di idee, di problemi, di sogni, di speranze…soprattutto pieni di amicizie...”.

Un papa in ginocchio

Concludo questa prima parte proponendovi un altro aspetto particolare che mi ha personalmente colpito, un ritratto fisico e spirituale di G.B Montini: Paolo VI in ginocchio. Mi conforta in questo la testimonianza del segretario don Pasquale Macchi, quando gli fu chiesto: con una sola immagine, con un flash come potremo ricordare Papa Montini? Risposta: un papa in ginocchio! E aggiunse: “ogni sua giornata si chiudeva a notte avanzata e dopo le preghiere in comune rimaneva inginocchiato per terra, le luci spente. Era il momento in cui io discretamente dovevo scomparire “. Infine due aneddoti: a) Inaugurando il II periodo del Concilio Egli si paragonò al papa Onorio III come è raffigurato nel mosaico dell’abside della chiesa di San Paolo Fuori le Mura: di proporzioni minuscole, prostrato a terra che bacia i piedi del Cristo Pantokràtor. b) Il gesto straordinario, inaspettato e “scandaloso” quando il 4 dicembre 1975 nella Cappella Sistina di fronte al metropolita Melitone di Calcedonia si inginocchiò e gli baciò i piedi come atto di riconciliazione e di riparazione per l’offesa fatta da papa Eugenio IV, nel periodo del Concilio di Firenze, al patriarca greco Giuseppe II  costretto a baciargli la sacra pantofola come atto di sottomissione per la ricomposizione dello scisma d’Oriente.

Un Papa in ginocchio che chiede perdono. Resta indimenticabile il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa del 4-6 gennaio 1964: un ritorno alle sorgenti della fede; la prima volta che Pietro da Roma torna nella sua terra, nella Terra di Gesù. Tra le tante immagini che ci restano della visita ai luoghi santi la più suggestiva e commovente è la visita al Santo Sepolcro, dove appena giunto si accascia sul marmo che ricopre la pietra dove Gesù fu sepolto e recita quella famosa e drammatica preghiera personale di penitenza:

Siamo venuti come i colpevoli ritornano sul luogo del delitto. Noi siamo venuti come colui che Ti ha seguito, ma che pure Ti ha tradito; fedeli e infedeli lo siamo stati tante volte. Noi siamo venuti per confessare il misterioso rapporto tra i nostri peccati e la Tua Passione, la nostra opera e la tua Opera. Noi siamo venuti per batterci il petto, per domandarti perdono, per implorare la Tua Misericordia. Noi siamo venuti perché Tu puoi, che vuoi perdonarci… Signore Gesù nostro redentore ravviva in noi il desiderio e la fiducia nel Tuo perdono. Rafforza la nostra volontà di conversione e di fedeltà. Facci gustare la certezza e anche la dolcezza della Tua Misericordia”.

La “Positio”, già citata, riassume il profilo umano e spirituale di Paolo VI con questa frase:

Ebbe carattere riservato, umile e gentile…una eccezionale sensibilità e umanità… un uomo di spiritualità profonda. Da qui riprendo per le ultime riflessioni:

a) Ho ancora impressa nella mente la visita del Papa al Borgo di Sant’Elia in occasione del pellegrinaggio al santuario di N. S. di Bonaria in Cagliari il 24 aprile 1970 (io ero a un passo di fronte a Lui ): pressato dalla folla acclamante, smarrito, stanco, ma benedicente, con i suoi grandi occhi grigio azzurri tentava di fissare le persone una per una, quasi per tentare un colloquio personale con ciascuno. Così,  quasi timidamente in umiltà si è presentato e ha iniziato il breve discorso con parole semplici ma incisive “…siamo venuti per salutarvi, per rendervi onore, per rivendicare nella Chiesa e anche nella società civile il posto degno che a voi spetta e a riconoscere oltre ai vostri bisogni(e quanti ne avete!) i vostri diritti naturali :alla casa sufficiente e decente, al pane e al lavoro, alla scuola e all’assistenza sanitaria, alla partecipazione ad un comune benessere, per voi e specialmente per i vostri figlioli.” Il discorso parrebbe finito, ma la sensibilità e l’umiltà del papa che sa di non essere di fronte ai devoti fedeli di chiesa, legge nel cuore dell’uomo della strada la solita accusa provocatoria e la domanda sulle ricchezze del Vaticano; e così il dialogo-discorso continua: “il dialogo, Noi lo avvertiamo, vuole ancora continuare: perché ci si chiede il Papa non dà l’esempio? Miei cari accettiamo anche questa domanda il Papa sì, deve dare l’esempio. Ma il Papa non è ricco, come tanti dicono. Noi abbiamo difficoltà a sostenere le spese per i servizi necessari all’andamento centrale di tutta la Chiesa; e poi abbiamo tanta necessità, a cui provvedere, in tutto il mondo, quelle delle missioni, per esempio. Ma tuttavia cerchiamo di fare ciò che possiamo, col cuore staccato dai beni economici, e col cuore attaccato ai bisogni dei sofferenti. Non possiamo fare che poco, purtroppo; ma un segno cerchiamo di dare dappertutto del Nostro buon volere. Anche qui, un piccolo, un piccolo segno, Noi lasceremo…”.

b) Nell’omelia per i campesinos colombiani, Bogotà 23 agosto 1968 il linguaggio del papa è certo più solenne, ricco di profonda spiritualità, ma non perde in chiarezza e sincerità : voi siete un segno, voi un’immagine,  voi un mistero della presenza di Cristo Il sacramento dell’Eucarestia ci offre la sua nascosta presenza viva e reale; ma voi pure siete un sacramento…Non siamo venuti per avere le vostre filiali e pur gradite e commoventi acclamazioni ma siamo venuti per onorare Cristo in voi, per inchinarci perciò davanti a voi…Noi vi amiamo con un’affezione preferenziale e con noi vi ama, ricordatelo bene sempre, la santa Chiesa cattolica. Voi ora ci ascoltate in silenzio; ma Noi piuttosto ascoltiamo il grido che sale dalle vostre sofferenze e da quella della maggior parte dell’umanità. Noi non possiamo disinteressarci di voi, vogliamo essere solidali con la vostra buona causa che è quella dell’umile popolo, della povera gente…Lasciate infine che vi esortiamo a non mettere la vostra fiducia nella violenza e nella rivoluzione….

c) Il Pensiero alla morte di Paolo VI – scritto nei primi anni del suo pontificato, quindi in piena attività, non è una riflessione sulla morte, ma una meditazione sul senso della vita nella prospettiva della morte. Qui c’è tutta la ricchezza interiore di papa Montini, la sua dedizione totale ed il suo amore per la Chiesa, e per gli uomini, la sua fede, la mistica aspirazione all’ unione con Cristo nella luce, in un linguaggio lirico, suggestivo, coinvolgente eppure sobrio e intimo. Per questo è stato detto che dovrebbe rientrare a pieno titolo nella storia e nei testi della Letteratura Cristiana.  A riguardo il vescovo di Albano mons. Semeraro ha scritto: “mai avevo sentito una testimonianza così alta e profonda, spirituale e carnale insieme, che ancora oggi mi emoziona”.  Scelgo qualche brano, sicuro che ciascuno lo mediterà dall’inizio alla fine:

Curvo il capo ed alzo lo spirito. Umilio me stesso esalto Te, Dio. Lascia che in quest’ultima veglia renda omaggio a Te, Dio vivo e vero che domani sarai mio giudice e che dia a Te la lode che più ambisci, il nome che preferisci: sei Padre. Poi io penso, qui davanti alla morte, maestra della filosofia della vita, che l’avvenimento fra tutti più grande fu per me l’incontro con Cristo, la Vita… Ed avverto che io non posso uscire nascostamente dalla scena di questo mondo; mille fili mi legano alla famiglia umana, mille alla comunità che è la Chiesa….Prego il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata…e che per essa, non per altro, mi pare di aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse…Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze di tanti suoi figli…La pace sia con voi. E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte, amorosa verso Cristo. Il Signore viene. Amen”.

Non posso concludere se non riprendo, a suggello di tutto, i sintetici giudizi illuminanti di:

a) Giovanni Colombo, già arcivescovo di Milano: “era un grande pensatore, possedeva la capacità di rientrare in se stesso, di vivere in un continuo stato di riflessione come direbbe Leopardi ”in un perenne ragionar sepolto “Da qui quell’aria concentrata e assorta che a taluni sembrava distacco, era invece proprio il contrario e cioè la ricerca del contatto interiore con Dio nella preghiera  e nella Liturgia, e con gli uomini in questo interrogarsi e interrogare”.

b) Carlo Bo a commento della preghiera (…Tu non hai esaudito la nostra supplica) per i funerali di Aldo Moro: “una testimonianza grandiosa e tragica, di fede intensa e straziante eppure piissima; chiedeva ragione a Dio come un profeta biblico per la mancata risposta alla sua richiesta”.

c) Cardinal Martini: “Paolo VI è stato un credente, un maestro di fede che ha parlato all’uomo d’oggi da uomo moderno. E’ stata così limpida e matura la sua fede che è riuscito ad esprimersi anche nell’età della secolarizzazione, dell’incredulità e della contestazione. Paolo VI, un padre della Chiesa, fedele alla Tradizione, autentico, vero e per questo nuovo, ha saputo congiungere insieme cose nuove e antiche con fedeltà e originalità. E gli è costato caro”.

(M. Vergottini per le edizioni Studium ha curato un libro che raccoglie gli scritti del card. Martini su papa Montini, col titolo Paolo VI “uomo spirituale”. Da notare che il termine spirituale si riferisce alla Lettera di San Paolo  I ai Corinti 2,15: condurre i diversi momenti della vita in obbedienza allo spirito, non alla carne.)

 

 

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