La nazione sarda nella storia, di Francesco Casula

Nelle Primarias indette dal Partito dei Sardi e in svolgimento proprio in questi giorni si chiede all’elettore di votare il candidato governatore (fra i 5 nomi in gara) e insieme di esprimersi sulla Nazione sarda.

Ma questa, nella storia, come è stata considerata, descritta e “vissuta”?

1.La nazione sarda nel periodo giudicale

L’espressione “nazione sarda” comincia a ricorrere con frequenza e poi sempre più insistentemente in documenti (trattati e carte diplomatiche) che accompagnano le relazioni e i conflitti fra il Giudicato di Arborea e il regno d’Aragona (1353-1410) 1.

Ma anche prima si iniziano a cogliere alcuni elementi distintivi della Sardegna che si presenta all’Italia e all’Europa: primo fra tutti la lingua con il volgare sardo, appunto fin dal 1080-85 (nel Privilegio logudorese) e poi nei diversi Condaghi ma soprattutto nella Carta De Logu.

Il termine naciò sardesca viene usato la prima volta nel documento che sancisce l’atto di pace il 24 Gennaio 1388 fra i rappresentanti di Eleonora con gli inviati del re aragonese Giovanni I il Cacciatore e sta a indicare “la Sardegna non regnicola, la parte avversa alla corona, il territorio sardo riconquistato dai giudici e annesso allo stato arborense. Cioè la Sardegna auctotona” 2 .

L’uso del termine nazione sarda è comprovato dalle stesse carte della corona di Arborea: esso sarà alla base di quel monumento storico, giuridico e linguistico della Carta, come sosterrà Camillo Bellieni.

La lotta sanguinosa fra naciò sardesca (o nassione sardisca) e naciò catalana non si può considerare chiusa con la battaglia di Sanluri (1409), dopo di essa infatti si continua a parlare ugualmente di nazione sarda (traditrice e ribelle secondo il re di Aragona Martino il vecchio).

Affermatosi definitivamente il dominio aragonese a seguito della sconfitta dell’ultimo marchese di Oristano Leonardo Alagon (1478) la contrapposizione fra naciò sarda e naciò catalana non scompare: è presente negli atti dei parlamenti isolani e nelle richieste avanzati da questi cioè nei Capitoli di corte che erano dei patti fra la nazione e il re3.

2. La nazione sarda nel ‘500-‘600

L’intellighenzia isolana, dal canto suo, se una parte rimane acceccata di fronte agli splendori dell’impero spagnolo e da ascara si prostra servilmente ad esso ed evita con grande cura lo stesso termine di nazione sarda, penso allo storico Giovanni Francesco Fara4 che usa il termine natio (scrive in latino) per indicare “nascita”, il poeta ecclesiastico Gerolamo Araolla5 (1545-fine secolo XVI), alle lingue castigliana e catalana contrappose una lingua sarda che potesse vantare una sua dignità sul piano letterario. Non è questa la sede per verificare i risultati del tentativo di Araolla: certo è che in lui si inizia a delineare un embrionale coscienza del rapporto fra nazione e lingua.

Che sarà ancor più forte nello scrittore Gian Matteo Garipa, orgolese (?-1640) che scriverà « Totas sas nationes iscrien & istampan libros in sas proprias limbas naturales insoro…disijande eduncas de ponner in platica s’iscrier in sardu pro utile de sos qui non sun platicos in ateras limbas, presento assos sardos compatriotas mios custu libru »6.

Invito a notare i termini, estremamente chiari e significativi: parla di lingua naturale – oggi diremmo materna – che tutte le nazioni, compresa la sarda, hanno il diritto-dovere di utilizzare per rivolgersi ai “compatrioti”, ovvero ai sardi, abitanti dunque della stessa “patria”.

 

3. La nazione sarda nel ‘700-‘800

Ma è soprattutto nel vivo dello scontro politico e sociale che – a parere di Federico Francioni, storico sassarese7 prende sempre più corpo l’idea di nazione sarda. E cita il triennio rivoluzionario 1793-1796 che vedrà protagonista principale Giovanni Maria Angioy. I Sardi, prendono coscienza di sé e del proprio essere “popolo” e “nazione” prima quando si battono con successo contro l’invasione francese poi quando cacciano i piemontesi da Cagliari con il “Vespro Sardo” del 28 Aprile 1794. Al di là delle cause che stanno alla base di questo evento – scrive ancora Francioni8 –  e della stessa dinamica di quelle giornate, fu indubbiamente l’esasperazione dell’atteggiamento colonialistico, quasi razzista dei ministri regi (ampiamente documentato da uno storico in questo verso insospettabile come il Manno) la classica goccia che fece traboccare il vaso.

Il senso di appartenenza identitaria e di nazione sarda sarà fortemente presente nella stampa e negli scritti di quel periodo di grandi cambiamenti. « Gli ordini del regno sono depositari fedeli della sorte di tutta la nazione » si afferma nel “Giornale di Sardegna” un foglio periodico organo ed espressione del gruppo più dinamico e politicamente più progressivo degli Stamenti sardi. Ancor più forte sarà il sentimento di popolo sardo e di comunità nazionale nell’Inno di Francesco Ignazio Mannu “Su patriota sardu a sos feudatarios”; ”nell’Achille della sarda liberazione”; nella lettera “Sentimenti del vero patriota sardo che non adula” in cui l’istanza dell’abolizione del giogo feudale si coniuga con un atteggiamento anticoloniale e un sentimento nazionale sardo.

Ancor più chiaramente tale “Identità sarda” emerge nel Memoriale al Direttorio di Giovanni Maria Angioy  (Agosto 1799) in cui l’Alternos9 cerca di cogliere e di interpretare i tratti distintivi, peculiari e originali della individualità sarda, cominciando dal quadro geografico e morfologico, proseguendo con cenni sugli usi, i costumi, le tradizioni, i rapporti comunitari, l’atteggiamento dei sardi verso gli stranieri, fino a quello che si potrebbe chiamare un abbozzo “del carattere nazionale” isolano. In queste pagine non c’è solo il risentimento anticoloniale o il rimpianto per gli antichi diritti e i privilegi acquisiti dalla Sardegna nel corso dei secoli: il punto di approdo dell’esperienza e della riflessione angioyna nell’esilio parigino è ormai una repubblica sarda sia pure (come del resto, in quel frangente storico era inevitabile) sotto il protettorato della Grande Nation.

Nel solco tracciato da Angioy si muoveranno Matteo Simon che individua le linee di un carattere nazionale sardo più esteso e articolato ma soprattutto consapevole del legame fra nazione e lingua e Francesco Sanna Corda, parroco di Terralba che a nome del popolo e della sarda nazione tenterà una sfortunata spedizione in Gallura nel 1802.

Di carattere nazionale dei sardi parlerà il Tola, nello scritto giovanile omonimo rimasto incompiuto e di sardo dialetto parlerà lo Spano.

 

4. La nazione sarda dopo la fusione perfetta e l’unità d’Italia.

In genere fino al 1847 nessuno dubita che la Sardegna sia una nazione: da Carlo Alberto al viceré De Launay, agli storici sardi che lo ribadiscono a chiare lettere: il quadro comincia a cambiare dopo la perfetta fusione: l’idea di nazione sarda è del tutto assente in Asproni e Tuveri, per Mazzini addirittura l’isola è italianissima!

L’ingresso della Sardegna nella compagine statale unitaria, la conseguente imposizione dell’uniformismo centralistico da parte dello stato “unitario” non porta però alla completa omologazione o alla scomparsa di quella forte caratterizzazione individuale dell’Isola che viene messa in rilievo soprattutto nella memorialistica della seconda metà dell’ottocento. Ma che soprattutto emergerà sul fronte nel primo conflitto mondiale con la “Brigata Sassari”.

A questo proposito infatti – scrive Lilliu – “Forse sarebbe utile approfondire l’analisi delle gesta belliche della Brigata Sassari nella penultima grande guerra, demitizzandola nel ruolo assegnatole dalla politica e dalla storiografia nazionalistica e fascista, di fedele e strenuo campione di amor patrio italiano, di custode bellicoso della Nazione Italiana. Resistendo sui monti del Grappa, in uno spazio geografico che gli ricordava il proprio, guidati e formati ideologicamente da ufficiali (come E. Lussu) nei quali urgevano violentemente, sino a forme ritenute quasi di indipendentismo, le istanze dell’autonomia isolane, i fanti della Brigata, combattendo contro lo straniero austro-ungarico-tedesco, riassumevano tutti gli antichi combattimenti con tutti gli stranieri conquistatori colonizzatori e sfruttatori della loro terra, comprendendo fra essi, forse gli stessi “piemontesi” fondatori dello stato, centralista e unitarista italiano. In tal senso, il momento della Brigata, può essere ritenuto una trasposizione in suolo nazionale della resistenza sarda di secoli 10 .

 

Qui mi fermo: il problema della Sardegna come nazione in Antonio Simon Mossa – vero teorico dell’indipendentismo sardo moderno – e nel cosiddetto “neosardismo” degli anni Settanta, avrebbe bisogno di un’altra lunga disamina.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1.A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo, Cagliari 1917.

2.Francesco C. Casula, Breve storia della scrittura in Sardegna, Cagliari 1978.

3.Antonio Marongiu, I Parlamenti Sardi,  Milano 1979.

4.G. F. Fara, De rebus sardois libri quatuor, Torino 1835

5.G. Araolla, Sa vida, su martiriu et morte de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuari, Cagliari 1582.

6. Gian Matteo Garipa, Legendariu de santas virgines et martires de Iesu Christu, Ed. Ludovico Grignano, Roma 1627, ora ripubblicata dalla casa editrice Papiros di Nuoro nel 1998 con l’introduzione di Diego Corraine e la presentazione di Heinz Jürgen Wolf  e Pasquale Zucca.

7.Federico Francioni, Storia dell’idea di nazione sarda, in La Sardegna Enciclopedia, a cura di Manlio Brigaglia vol.II, Cagliari 1989

8.A. Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari 1925

9. Matteo Simon , Memoire pour Napoleon, 1803.

10. Giovanni Lilliu, Costante resistenziale sarda, Cagliari 2002.

 

 

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    1 Comment to “La nazione sarda nella storia, di Francesco Casula”

    1. By Mario Pudhu, 15 dicembre 2018 @ 18:17

      Is Sardos seus divisos e ispimpirallaos ca is políticos de is partidos dipendhentistas italianistas/regionalistas funt sa divisione e ispimpirallamentu e iscallamentu de sa natzione.
      E de is indipendhentistas tocat a nàrrere ca a su postu de coltivare die cun die s’unidade ant imparau sa política de is partios italianos a norma de “vita tua mors mea”, divisiones e contrapositziones, fratzionamentu, siglas a chi più ne ha più ne metta cricandho e coltivandho diferéntzias e divisiones chentza bíere e ne bòllere e ne fàere unione chentza presuntziones e cun umilesa, in sa méngius lógica de su divide et impera.
      Inue est s’atividade impare de informatzione, discussione, istúdiu de chistiones, propostas de initziativas e de passos cuncretos de fàere totus fache a s’indipendhéntzia? Comente petzant de coltivare sa formatzione de sa gioventude e de personas cun craresa, firmesa e capacidades de cambiare, ibertandho chi nascant is indipendhentistas che a sa prantàgia? O chi nascant is immaculaos chentza umbra de pecau, “vergini”, po si presentare chentza curpas de peruna genia po arregòllere votos a is sólitas votatziones chi nos’iscudent a conca, cun gente a muntones apedhiada a una promissa mancari pitichedha e cunditzionada mancari po duos sodhos chi però dha cumbinchent prus de un’ideale assolutamente necessàriu e giustu ma chentza promissas de ingannu? S’idea de s’indipendhéntzia bolet nàrrere po totus unu càrrigu de responsabbilidade e totu àteras capacidades de su prantu e de sa protesta po cambiare un’istória de isperdimentu; e sa gente abbituada e allenada, coltivada, a dipèndhere, dh’agatat prus in artziada. In custas cunditziones is indipendhentistas pentzant de tènnere prus capacidades e fortzas sighendho s’unu chentza e a iscórriu cun s’àteru? Sa natzione giai dhu’est, ma seus che crabas abbandhonadas, donniunu a contu suo, cun ‘pastores’ donniunu de sa chedhita sua, disunios fintzas ca própriu is indipendhentistas no est s’unione chi funt cricandho, e no po bòllere èssere s’unu sa fotocópia de s’àteru (si no est a nàrrere ca is ‘dirigentes’ (???) iant a bòllere gente chi siat sa fotocópia insoro, timendho chi dhis pòngiant in crisi sa “leadership”, ammachiaos de su liderismu de chie nosi bolet che brebès!).
      Ma sa natzione no benit mancu po cumportamentos assurdos e chentza cabu e ne coa de chie paret chi iat a bòllere fintzes fàere cosa po su diritu personale e colletivu, natzionale de is Sardos. Sa política depet naschire de sa realtade nosta comente est, no de sa política de chie nosi dóminat e aprofitat po carrieredhas personales ingabbiau in is partidos de sa dipendhéntzia.