Nella cripta della Medaglia Miracolosa di Cagliari le storie delle vittime della strada. Fra esse, quella di Vladimiro Marchioni, giovane sfortunato cronista de “L’Unione Sarda”, di Gianfranco Murtas

 

Se vai nella chiesa cagliaritana della Medaglia Miracolosa, nel cuore del quartiere San Michele, trovi sotto la grande aula sopraelevata una cripta che fu officiata negli anni in cui il maggior edificio era ancora cantiere, fra l’agosto 1962 ed il settembre 1969, appunto quando esso – il maggiore e più capiente edificio – venne inaugurato dal cardinale Sebastiano Baggio e da allora quotidianamente utilizzato per i servizi religiosi. E’, tutto intero, un complesso non soltanto riservato al culto ma aperto alla socialità del quartiere e, fin dall’inizio, affidato alle cure pastorali dei padri vincenzianii.

Merita spendere qui due parole di approfondimento. Nella crescita tumultuosa, demografica ed edilizia, vorrei dire urbanistica, di Cagliari nel secondo dopoguerra, una direttrice rilevante fu, dal punto di vista della residenza dei ceti popolari, quella Is Mirrionis-San Michele: da sa Duchessa (poi sito delle facoltà umanistiche e della casa dello studente) e dalla costa nord del Monte Claro fin verso il colle (invero più “monte” dell’altro monte) San Michele e con i raccordi viari ed edilizi in progress verso il borgo di Sant’Avendrace e in direzione della laguna di Santa Gilla. Così andando a coprire buona parte di quella che si ritiene sia stata la città di Sant’Igia, la Cagliari dei tempi giudicali, intorno all’anno Mille o dal X secolo e per tre secoli circa o quattro, fino alla devastazione pisana e al trasferimento forzato degli abitanti nelle cosiddette appendici di Stampace, Marina e Villanova.

Quella era una parte, soltanto una parte della città Carboni, un territorio che apparteneva o era prevalentemente appartenuto a Michele Carboni, un genio e un generoso della Cagliari del secondo Ottocento, quello stesso del primo stabilimento balneare non discosto dal vecchio porto e del teatro e di cento o mille altre cose belle. E di cosa fosse Is Mirrionis, senza perdersi in grandi ricerche, basterebbe sfogliare alcune annate – giornali a un solo foglio, due pagine, si fa in fretta, del 1944 e 1945 – de L’Unione Sarda (al tempo a gestone CLN), con i suoi dibattiti sulla possibile e però problematica e… però ancora doverosa ricostruzione di Cagliari dopo i rientri dallo sfollamento (quanti nelle casermette attorno all’ospedale!). Da pochi anni – dal 1940 per la precisione – era funzionante allora anche il secondo cimitero civico, quanto rivelatosi prezioso per le ricezioni negli anni di guerra! Indimenticabili, a tal riguardo, le pagine di Francesco Alziator che altre volte ho riproposto e che, dai paginoni de L’Unione sono poi rifluiti nell’antologia-guida storica cagliaritana cui si dette il titolo di L’Elefante sulla torre (un titolo tolto da un bellissimo inserto di otto pagine tutto curato, sul quotidiano cagliaritano, da un Alziator ancora brioso e creativo).

I padri lazzaristi e le suore, e con essi alcuni piccoli gruppi di apostolato lavorarono sottotraccia e sopratraccia sul piano sociale e non soltanto su quello religioso per lunghi fecondissimi anni: il quartiere sorse forse nel caos ma venne su certo complicato però vitale nel dopoguerra e nei vent’anni a seguire, sviluppando le premesse piuttosto a pelle di leopardo nella grande piana o, potrebbe dirsi, mezza collina, fra altura e altura. Ricordo sempre, trattando di Is Mirrionis e delle sue progressive espansioni tanto più verso il colle di San Michele presidiato dal castello millenario e, dal 1960, anche dal seminario diocesano, un delizioso libretto fuori commercio, dovuto all’encomiabile solerzia dell’indimenticato can. Luigi Cherchi, che racconta le vicende della chiesa e della parrocchia (o delle parrocchie) nel maggior contesto del quartiere, fra anni ’30 ed anni ’80: un cinquantennio di imponenti trasformazioni edilizie e sociali: Breve storia del quartiere S. Michele, Cagliari, 1987.

La posa della prima pietra del cantiere della nuova chiesa intitolata alla Medaglia Miracolosa – quella tutta vincenziana di Santa Caterina Labouré, che a Cagliari riporta anche attraverso certe elaborazioni missionarie del monsignore Angelo Giuseppe Roncalli in occasione della visita cagliaritana da lui compiuta nel 1921 – avvenne, ad opera dell’arcivescovo Paolo Botto, nel novembre 1960, ma la parrocchia in quanto tale era canonicamente costituita fin dalla primavera 1953, con un ritaglio territoriale dalla antica e quasi indeterminata giurisdizione di Sant’Avendrace e una convenzione sottoscritta dallo stesso monsignor Botto con la provincia torinese dei Padri della Missione. Così per 15 o 16mila abitanti in rapida implementazione. A ricevere l’incarico di parroco erano stati, in successione, i padri Candido Cubeddu, Giovanni Cau e Nicola Abbo. Ecco lo spazioso centro religioso e sociale del nuovo quartiere, ecco l’imponente edificio coperto da una gigantesca cuspide mariana, esito progettuale delle intuizioni di un architetto piemontese e prete pure lui, Angelo Verri.

Una cappella per le vittime nell’asfalto insanguinato

Se dunque vai in visita alla Medaglia Miracolosa e chiedi di accedere alla cripta coglierai lì, sorprendenti e mestamente vibranti, particolari pietose suggestioni. Sono le suggestioni che vengono dalle lapidi affisse alle pareti e recanti i nomi delle vittime di incidenti stradali. Domenica 10 gennaio 1965 l’arcivescovo Botto, presente anche l’on. Efisio Corrias, al tempo presidente della Regione, benedisse i locali: erano soltanto cinque o forse sei quel giorno, le lapidi murate – quelle di Vlady Marchioni, Pier Andrea Napoli, Michele Napoli, Paolo Illario, Giovanni Accastello –, esse sarebbero (purtroppo) raddoppiate e triplicate ecc. nell’arco di pochi mesi od anni (sarebbero state 28 a un’altra conta ravvicinata, nel novembre 1966, più del doppio oggi). Il presule celebrò la messa e all’omelia osservò come una disgrazia non potrebbe mai avere la forza di stroncare gli affetti: «L’uomo non si spegne, rimane per sempre nel ricordo di quanti gli hanno voluto bene». In un tempo di accelerata motorizzazione di massa, di forte incremento delle immatricolazioni automobilistiche e del traffico stradale, la religione doveva appellarsi alla coscienza di chi, conducendo un veicolo, sempre e costantemente aveva l’obbligo morale di tener presenti le regole della prudenza e del rispetto assoluto del codice, nell’interesse immediato di tutti. Consolatore degli afflitti, monsignor Botto, attorniato dai parenti delle vittime, recitò la preghiera dei defunti e benedisse una ad una quelle prime lapidi collocate ai lati dell’altare.

Pochi mesi prima di quella cerimonia, L’Unione Sarda aveva dedicato alla cappella “segreta” una pagina speciale e dato anche conto della statistica che segnalava, nei primi cinque mesi del 1964, oltre trecento incidenti (345 per la precisione) con trentatré morti e trecentocinque feriti, nella sola provincia di Cagliari. Coinvolti automobilisti o motociclisti, ma anche poveri e indifesi ciclisti e pedoni.

L’idea pietosa di onorare in un luogo raccolto, particolarmente intimo, quelle vittime giovani od anziane, vittime della spericolatezza propria o di altri, più spesso vittime innocenti, l’aveva avuta padre Nicola Abbo, parroco lazzarista, appunto della Medaglia Miracolosa, dal 1957. Personalità d’eccellenza come i suoi due fratelli Giuseppe, gesuita, e Domenico prete della Missione pure lui, egli era il responsabile pastorale della maggior periferia cittadina che custodiva (e custodisce) un luogo sentimentalmente forte individuabile – l’ho anticipato – nel cimitero nuovo di San Michele, padre Abbo precedette, nel servizio di accompagnamento religioso dei morti, i suoi colleghi di Sant’Eusebio, San Massimiliano Kolbe e SS. Pietro e Paolo, insomma i parroci delle comunità che si sarebbero presto costituite a Is Mirrionis e in direzione di Mulinu Becciu, quartiere ancora di là da venire attorno a vigna Pernis.

Tanti funerali e una parrocchia di servizio, aperta alle mille necessità sociali urbane. In essa, appunto, una chiesa di rango parrocchiale che s’abbinava idealmente al nuovo grande camposanto civico. «Quanti pensano, nel soccorrere una vittima di un incidente stradale, a chiamare un sacerdote che si prenda cura di confortare un’anima che sta per varcare le soglie dell’eternità?». Ecco la prima riflessione e preoccupazione di padre Nicola Abbo. Associare l’assistenza spirituale a quella materiale, a quella medica d’urgenza e di trasporto, estendere quell’accompagnamento religioso ai congiunti coinvolti nel lutto e nello sconforto, spesse volte nelle trepidazioni di un’agonia prolungata o sospesa nella speranza poi frustrata di un esito favorevole. Da missionario lazzarista quale egli era, a Cagliari dai primissimi anni ’50, padre Nicola avvertiva in sé la necessità di spandere il suo apostolato a un campo del tutto nuovo.

L’Unione Sarda raccontò dell’impresa, dunque, in una sua pagina della cronaca cittadina, all’interno di un ciclo di servizi speciali, in uscita domenicale, all’insegna di “Cagliari poco nota”. Ecco una breve parte dell’articolo, che vale qui come fotogramma di un’ideale pellicola:

«La cripta della maestosa chiesa le cui strutture in cemento armato si elevano in una snella eleganza – pur nella loro incompletezza – che richiama facilmente alla mente i più classici esempi dello stile gotico è ora adibita a chiesa vera e propria. I muri perimetrali sono scabri, non rifiniti; anche i pilastri di cemento armato nella loro grigia, severa e massiccia mole (sopportano il peso di tutta la costruzione superiore secondo l’ardito progetto di un sacerdote architetto torinese) creano un netto contrasto con il piccolo altare centrale illuminato da ceri che riflettono le loro tremule fiammelle sui variopinti fiori, segno di omaggio dei fedeli al Santissimo esposto in adorazione. La voce di padre Abbo si abbassa ad un sussurro quando, indicando coll’indice il pavimento sul quale in uno strano miscuglio di mattonelle di diversi colori e di cemento campeggiano alcuni tratti più chiari che segnano i limiti della cappella che tra breve dovrà essere dedicata alle vittime della strada, espone il suo progetto. I grossi pilastri e i muri perimetrali che delimiteranno la nuova cappella accoglieranno delle piccole lapidi, con il nome ed un breve ricordo della vittima, segno di pietà e di omaggio dei parenti, degli amici alla memoria dello scomparso. In suffragio delle vittime della strada, saranno le messe officiate nella cappella. Messe che anche ora padre Abbo celebra per i morti in incidenti stradali. Fino ad ora l’iniziativa ha avuto un carattere saltuario legata com’è alle necessità di una cappella che deve contemporaneamente servire da chiesa parrocchiale, ma con il completamento della chiesa in cripta sarà interamente dedicata alle vittime della strada e tutti coloro – e purtroppo sono tanti – che vorranno ricordare un loro caro tragicamente perito, potranno farlo in un ambiente raccolto ed intimo nel quale la loro preghiera si eleverà in memoria dei cari scomparsi con l’accoratezza e la pietà proprie di chi ha dovuto sopportare le dolorose conseguenze di una tragedia.

«Questa per sommi capi l’idea di padre Nicola Abbo […]. L’opera di un uomo, autista egli stesso, a contatto con la realtà quotidiana, giorno dopo giorno nelle sue peregrinazioni alla ricerca di aiuti che possano condurre a buon fine l’opera iniziata ed in grado quindi di rendersi pienamente conto della gravità del dramma e delle inevitabili conseguenze che quotidianamente colpiscono tante persone e tante famiglie. Un dramma che è insieme un prodotto della civiltà della nostra epoca e degli uomini che di questa civiltà hanno fatto insieme un vessillo simbolo di progresso ed una insegna quasi perennemente listata a lutto. Piccole lapidi in una piccola cappella fiocamente illuminata potranno servire allo stesso tempo alla pietà dei fedeli e da tragico ammonimento a quanti per ignoranza, per incoscienza o per deliberato dispregio delle norme stabilite per salvaguardare la vita umana si accosteranno ad un monumento eretto in memoria di quelle che furono o sarebbero potute essere le vittime del loro comportamento».

Sarebbe entrato nel calendario delle liturgie di pietà della parrocchia una messa con cadenza mensile, e sempre affollata, in suffragio dei caduti, dei cari perduti per sempre. E combinando il servizio strettamente religioso ad un impegno educativo – educazione alla responsabilità della prudenza – e, magari con un tanto di innocenza (e comunque replicando un’iniziativa tedesca), avrebbe, la parrocchia stessa, realizzato e diffuso fra gli automobilisti (per affiggerla nel lunotto posteriore della loro vettura) una targhetta portante l’acronimo «SOS», come a dire «Save ours souls», «Salvate le nostre anime», come a voler dire «Sono cattolico, in caso di incidente desidero l’assistenza di un sacerdote».

Fra i primi oblatori privati della cripta, con un contributo di 500mila lire, sarebbe stata la Società Editoriale Italiana, l’editrice cioè de L’Unione Sarda. Così in onore di Vladimiro Marchioni, giovane redattore del giornale.

Storia gentile d’un cronista

Vladimiro – Vladi o Vlady, per il più, nelle relazioni e anche nella scrittura – era nato a Brescia (il 29 novembre 1935) ma aveva conosciuto la Sardegna già da piccolino, qui trasferitosi con la sua famiglia. Suo padre, il dottor Francesco, nell’Isola era giunto, portando i suoi, per dirigere a Sassari la filiale della Sospisio spa, una società triestina che aveva la gestione di acquedotti ed officine del gas. L’incarico s’era poi spostato, dopo la guerra, a Cagliari (ma con la permanente reggenza anche della sede turritana) e nel capoluogo s’era dunque trasferita tutta la famiglia: così la signora Maria Jacobs – belga di ascendenze israelite –, così i tre figli: Enio (Eugenio), Alba ed Ele (Adelaide).

Direttore del gazogeno cagliaritano, fra l’area portuale e la zona di Bonaria, il dottor Francesco aveva preso casa a un passo dallo stabilimento, sicché la famiglia aveva stretto le sue prime amicizie radicandosi nel mix fra l’antico e il moderno che è costituito dalla via Sonnino, dal viale Bonaria e dai loro pressi. Ed avrebbero poi, crescendo in età, i ragazzi – Enio Alba ed Ele – fatto famiglia. Avrebbero anche sviluppato le loro attività professionali, Enio nella stessa Azienda del gas di Cagliari (Estigas Sarda), Alba nella docenza alla facoltà di Scienze (istituto di Botanica e Orto botanico), Ele anch’essa all’Università, nell’istituto di Farmacologia e Farmacognosia.

La parrocchia di San Lucifero, al tempo affidata alle cure di monsignor Giuseppe Lepori e con un bell’apparato di associazioni laicali e giovanili, aveva costituito, per i giovani Marchioni e per Vladimiro in particolare, uno dei centri di maggior attrattiva formativa. E di lato alle presenze associative egli aveva coltivato la sua carriera scolastica, fra il Dettori e la facoltà di legge (preside la mitica professoressa Paola Maria Arcari).

Cominciò allora la collaborazione a L’Unione Sarda e a L’Informatore del lunedì. Ma il giornalismo all’inizio fu una delle attività prodotte da una fucina morale, intellettuale e sociale in cui pareva identificarsi la personalità poliedrica e dolce di Vladimiro. Umanitario per vocazione, forse anche per la scuola scout frequentata negli anni sassaresi: l’educazione alla prossimità si intrecciava nel suo quotidiano con lo studio e la pratica sportiva (la bicicletta in primo luogo allora: e una volta rischiò veramente la vita finendo con le due ruote contro le sbarre di un passaggio a livello). Il senso solidaristico gli rimase e anzi si rafforzò negli anni dell’adolescenza e prima giovinezza: non c’era nessun bisognoso del quale egli avesse notizia che restasse senza soccorso da parte sua, secondo le possibilità della sua tasca e delle sue energie.

A L’Unione Sarda era arrivato nel 1956, grazie anche all’amicizia famigliare con Franco Porru, vice direttore del quotidiano e, proprio da quell’anno, responsabile de L’Informatore del lunedì. Trovò altri praticanti o giovani redattori anch’essi ancora quasi al loro debutto – Gianni Filippini, ma poi anche Tarquinio Sini (che come Filippini era figlio di un redattore/collaboratore del giornale fin dagli anni ’30) – e altri di poco più grandi come Sebastiano Ponti o Angelo De Murtas e Filippo Canu, o già relativamente maturi, maestri senza iattanza, da Vittorino Fiori a Mario Mossa Pirisino, ecc.

I primi incarichi al giornale si sarebbero svolti con una collaborazione preferenziale al settimanale, ora (invero piuttosto raramente) per lo sport ora per la cronaca. Sarebbe poi passato, anche formalmente, nella più grande famiglia del quotidiano. Nel settore della cronaca, e dunque firmando piuttosto poco, ché prassi del giornale (così come del giornalismo del tempo) era quello dell’anonimato tanto più, appunto, in cronaca.

Poi i pezzi di cronaca in prima pagina, alcuni con approfondimenti per più giorni. Pezzi firmati, questi, e di rilievo. Scrittura nitida e partecipata la sua. Fra gli articoli più belli, su L’Informatore del lunedì, uno all’indomani della morte di fra Nicola da Gesturi. Di spalla, in prima, dal 1961, una quindicina di servizi, tanto più di nera, fra omicidi e sequestri (tempo di Peppino Pes), ma poi anche alluvioni e altre tristi vicende.

Sei-sette anni intensi nella “cucina” del giornale affidato dal 1954 alla direzione di Fabio Maria Crivelli.

E intanto, sul piano più privato, eccolo convolare a nozze a ridosso del Natale 1962 con Floriana Garau, neodottoressa in lettere (con una tesi sul teatro di Jean Anouilh) figlia dell’architetto Emilio Stefano, notissimo professionista di Cagliari in forza agli Ospedali Riuniti del capoluogo. Testimoni, per Vladimiro, Franco Porru e Roberto Sorcinelli, presidente dell’Editoriale, per Floriana il capo dell’Ufficio Stampa della Regione (e già redattore sportivo, e non solo, de L’Unione Sarda) Mario Mossa Pirisino e l’industriale Giovanni Zedda.

Vladimiro Marchioni, redattore de L’Unione Sarda e de L’Informatore del Lunedì, morì a 27 anni quasi all’indomani del matrimonio con Floriana, in un incidente d’auto occorsogli fra Genneruxi e il viale Marconi, mentre cercava di raggiungere Selargius per un urgente servizio di cronaca. Viaggiava con un collega, Ruggero Melis, rimasto ferito.

Quel pomeriggio, s’era infilato in macchina per raccogliere dettagli su un fatto di cronaca di quell’hinterland; doveva essere una rapida, ancorché necessaria, fiondata sul luogo dell’evento di cui dar conto. Per questo aveva anche lasciato un foglio infilato – e scritto già nelle prime righe – nella sua dattilo sul tavolo della cronaca.

I funerali, in una chiesa di San Lucifero piena, la mattina del 10 gennaio, celebrati da monsignor Lepori, giornalista di lunga lena anche lui, per otto anni direttore de Il Quotidiano Sardo… Alla famiglia e alla redazione del giornale un flusso ininterrotto di messaggi di condoglianze, dimostrazione di un lutto condiviso. Un telegramma anche dal Quirinale: il presidente Antonio Segni ben conosceva la famiglia, per le prove sassaresi prima di quelle cagliaritane.

Il suo giornale ancora lo ricordò nell’anniversario della scomparsa, annunciando una messa di suffragio ancora a San Lucifero. Lo ricordò ancora a giugno di quell’anno anniversario perché uno spazio della cripta della nuova chiesa dedicata alla Medaglia Miracolosa, nel quartiere popolare di San Michele, s’era deciso di riservarlo – per la felice intuizione di padre Abbo – alle vittime degli incidenti stradali: e la prima lapide che lì affissa portava inciso appunto il nome di Vladimiro Marchioni. Alle spese di quello speciale spazio della cappella seminterrata volle contribuire allora – come detto –, proprio per onorare la memoria del suo giovane redattore, la stessa Società Editoriale Italiana, l’editrice della famiglia Sorcinelli.

Dando notizia del fatto, L’Unione Sarda realizzò nella circostanza una pagina speciale, riferendo anche del tragico bilancio del convulso traffico di quegli ultimi mesi: “Una cappella per le vittime della strada”, “A Cagliari e in provincia oltre trecento incidenti con trentatré morti nei primi mesi dell’anno”, così sul numero del 14 giugno 1964. Altre lapidi si aggiunsero poi a quella di Vladi – dalle famiglie Laccu e Maxia… – e il giornale non esitò a notiziarne ai suoi lettori.

Un repertorio breve per molto merito

Nel 1971, meno che ventenne, incontrai – e fu incontro felice – Giuseppe Della Maria che da poco tempo aveva dato alle stampe il suo Storia e Scritti de L’Unione Sarda (1889-1958) – di cui mi donò l’edizione ricognitiva delle direzioni, da Marcello Vinelli, o anzi da Andrea Cao Cugia, a Fabio Maria Crivelli.

Per molti anni del regesto del 23mila e passa lemmi, risultato della decennale schedatura commissionata dalla SEI a Della Maria (e i due volumoni uscirono nel 1968, nell’80° anniversario della testata), ho fatto un ausilio di molte ricerche tanto più di storia cittadina o regionale nelle quali ho dovuto impegnarmi per varie pubblicazioni o interventi convegnistici. Spontaneo m’è venuto così di pensare oggi che sarebbe bastato ancora poco perché il nome di Vladimiro Marchioni potesse essere incluso anch’esso in quelle pagine…

Mi è sembrato giusto dunque, onorando in questo caso anche la memoria benemerita di Pippo Della Maria, repertoriare gli scritti del giovane e sfortunato cronista, quasi fossero i primi scritti destinati ad una ideale replica espansiva di quelle ormai lontane edizioni, consultatissime dagli studenti per le tesi di laurea e che io vedo come luogo di sintesi ed insieme di analisi d’una storia collettiva…

Su L’informatore del lunedì

30 luglio 1956, “Senza un velodromo langue il ciclismo sardo: la drammatica situazione di uno sport popolare nell’Isola” (sommario: “In condizioni di inferiorità i nostri corridori costretti ad acrobazie dannose nella preparazione – Una pista efficiente migliorerebbe la qualità dei ciclisti e riavvicinerebbe le folle allo sport del pedale”)

24 settembre 1956, “Marini vince in volata: la 98.a San Pellegrino” (sommario: “La gara, valevole per il campionato sardo dei dilettanti, è stata movimentata da una lunga fuga di Pisu”)

16 dicembre 1957, “Vittoria dei cadetti rossoblu: col Tempio B”

23 giugno 1958, “Una donna e una bambina miracolate da Fra Nicola: a pochi giorni dalla morte lo chiamano già santo” (sommario: Commoventi episodi della vita dell’umile cappuccino – Regalò alla sorella il podere avuto in eredità – L’infinita bontà con gli animali – ‘Potrò pregare per te più efficacemente dal Paradiso’”)

25 agosto 1958, “Quanto costa la vita in città: in un rapporto statistico con le maggiori città” (sommario: “Alto il prezzo del gas e non quello della luce per illuminazione – Care le calzature e non i vestiti – La media dei fitti eguale a quella di Bologna e di Genova – Alcune sensibili differenze nei prezzi dei generi alimentari e dei divertimenti”)

10 novembre 1958, “Ritrova la madre che lo credeva morto: la patetica vicenda di un giovane cagliaritano” (sommario: “Il commovente incontro in un bar di Nizza Monferrato, presso il quale la donna lavora – Per anni il giovane ribellandosi alla sorte dei ‘figli di nessuno’ aveva condotto ostinate ricerche – Ora dovrà prestare servizio militare: per una fortunata coincidenza è stato destinato a Cuneo”)

30 marzo 1959, “Anche per la Sardegna l’ora X dei telefoni: entro la fine dell’anno in corso” (sommario: “Assolutamente insufficiente l’attuale centrale di Cagliari sarà sostituita da una più moderna i cui lavori sono stati iniziati cinque mesi fa – Una disponibilità iniziale di quindicimila numeri – entreranno in attività i servizi di teleselezione tra l’Isola e il Continente”)

15 giugno 1959, “Riduce il padre in fin di vita per sottrarre la madre alla sua furia: alba tragica ieri in viale Elmas” (sommario: “Dinanzi ad un ennesimo litigio dei genitori un ragazzo di 15 anni ha posto fine alla discussione con cinque coltellate – La singolare ossessione dell’uomo, rimasto invalido dopo una caduta da cavallo – In preda a un’inspiegabile gelosia, chiudeva la moglie in casa sbarrando porte e finestre con filo di ferro”)

24 agosto 1959, “Tremila donne pilotano l’auto: il numero delle automobiliste aumenta in città ed in provincia” (sommario: “Dal 1950 ad oggi le patenti rilasciate alle rappresentanti del gentil sesso si sono moltiplicate – Tra le guidatrici figurano molte massaie e madri di famiglia – Prudenti, pazienti, minuziose osservatrici conducono sovente la macchina meglio degli uomini e le statistiche non registrano a loro carico mortali o gravi incidenti”)

19 ottobre 1959, “Fugge in Sardegna per sposare un minatore: romantica avventura di una studentessa tedesca” (sommario: “I genitori della ragazza si oppongono alle nozze ed hanno fatto rintracciare la figlia dalla polizia – Rimpatriata sotto scorta la giovane diciassettenne”)

25 gennaio 1960, “L’esplosione atomica nel Sahara non è pericolosa per la Sardegna: secondo l’opinione di uno studioso di meteorologia” (sommario: “Soltanto le circostanze eccezionali e non prevedibili, venti di velocità superiore ai 200 chilometri orari potrebbero portar sull’isola in otto ore le polveri radioattive – In ogni caso il ripetersi degli esperimenti costituirebbe una grave minaccia per i sardi”)

6 giugno 1960, “La morte ha atteso per tre settimane: si è spenta la giovane sposa in extremis” (“sommario: “La sventurata ragazza, consumata da un male inesorabile, è spirata ieri all’alba dicendo: ‘La Madonna mi chiama, ma mi piacerebbe poter stare ancora con mio marito’”)

23 gennaio 1961, “Spogliatoi all’Acquedotto. Rigotti: il nervosismo ha tradito tutti”

13 febbraio 1961, “Un sacerdote tra le rovine confortò la donna sepolta: la tragedia della casa saltata in aria” (sommario: “Il parroco di San Michele fu tra i primi ad accorre nello stabile devastato dall’esplosione – ‘Padre, preghi per me’, gli disse vedendolo la sventurata signora rimasta prigioniera sotto le macerie”)

Su L’Unione Sarda

14 gennaio 1961, “Tre sardi fra i protagonisti del lancio da Perdasdefogu: i primi particolari sul razzo italiano” (sommario: “Gli abitanti della zona hanno appreso la notizia dal giornale – Giornate di ansia e di tensione tra i tecnici della base – Il racconto dei testimoni”)

12 febbraio 1961, “Salta in aria una casa sepolti madre e figlio: terrificante sciagura a Cagliari per l’esplosione di una bombola” (sommario: Il giovane, studente di ingegneria, è morto – La signora, che ha perduto entrambe le gambe, è in fin di vita – Miracolosamente incolume il fratello della vittima – La drammatica opera di soccorso”)

9 luglio 1961, “E’ tornato sul luogo del delitto il giovane assassino di Sanluri: dopo il suo arresto a Falconara Marittima” (sommario: “Subito dopo l’allucinante omicidio era partito tranquillo a fare il soldato – Ha ucciso lo zio per una somma che non gli era stata restituita – Come sono sorti i primi sospetti”)

24 novembre 1961, “Rovine e miseria nella scia del mare di fango che avanza: pauroso bilancio dell’alluvione nel Campidano” (sommario: “Cinquemila ettari di campi allagati, danni che si aggirano sui dieci miliardi, centinaia di case distrutte e di famiglie senza tetto, costituiscono il compendio di una situazione che si fa ogni ora più drammatica – Salvate dalle forze dell’ordine decine di persone – Bloccate le linee ferroviarie”)

25 novembre 1961, “Incombe su migliaia di persone lo spettro della miserie e della fame: mentre nel Campidano le acque cedono il passo al mare di fango” (sommario: “Duecento le famiglie rimaste senza tetto ed alloggiate, in condizioni di emergenza, negli edifici pubblici, comprese le chiese dei paesi colpiti – In via di normalizzazione la situazione delle acque – Ristabilito il traffico sulle strade”)

19 dicembre 1961, “Nessuno ha udito le sei revolverate che hanno freddato l’avvocato Beccu: avvolto nel più fitto mistero il ‘giallo’ di Oristano” (sommario: “Il noto legale di Santulussurgiu è stato colpito in pieno viso mentre si accingeva a discutere una ‘pratica’ nel salotto della propria abitazione – Ancora oscuro il movente del delitto – Le indagini condotte in stretta collaborazione dalla Polizia e dai Carabinieri”)

20 dicembre 1961, “Scompare misteriosamente dalla Karalis l’uomo che avrebbe ucciso l’avvocato: un giallo nel giallo di Oristano” (sommario: “Antonio Sechi, un vecchio, ex agente del controspionaggio e ricco proprietario terriero, è stato perseguito da un mandato di cattura – gli agenti saliti sulla nave a Olbia per arrestarlo, non lo hanno però trovato – Avrebbe agito per motivi di interesse – Due ipotesi sulla scomparsa: fuga o suicidio?”

21 dicembre 1961, “L’ex agente segreto Sechi sarebbe stato visto ad Oristano: mentre la polizia continua le affannose ricerche” (sommario: “il gestore del bar della stazione afferma con sicurezza di aver visto martedì mattina, all’arrivo della Freccia Sarda, l’uomo sospettato di ver ucciso l’avvocato Beccu – L’assassino avrebbe usato una pistola col silenziatore”)

22 dicembre 1961, “Nel giallo di Oristano tutto è ancora incerto: vale le ricerche dell’ex agente segreto” (sommario: “La psicosi del riconoscimento si è impadronita degli oristanesi che hanno tempestato di telefonate i posti di polizia – Riacquista invece vigore l’ipotesi del suicidio”)

23 dicembre 1961, “la vita romanzesca del presunto assassino: continuano senza successo le ricerche del comm. Sechi” (sommario: “L’ex agente segreto aveva scritto perfino a Gonella per chiedere che l’avvocato Beccu venisse radiato dall’Albo degli Avvocati”)

20 febbraio 1962, “Catturato Peppino Pes in una casa di Sedilo: è finita all’alba per il fuorilegge la latitanza durata cinque anni” (sommario: “Quaranta carabinieri hanno per tutta la notte atteso al varco il bandito che si trovava assieme a una donna – E’ stato alla fine sorpreso, mentre tentava di fuggire, disarmato e in pantofole – Aveva nella giacca abbandonata mezzo milione in contanti”)

21 febbraio 1962, “Mio figlio non è un assassino afferma la madre di Peppino Pes: dopo la cattura del bandito di Sedilo” (sommario: “Una straordinaria figura di donna – ‘L’uomo che uccise suo padre è ancora vivo e libero ‘ – Nel diario del fuorilegge la storia di romantici amori – A chi andranno i cinque milioni di taglia?”)

22 febbraio 1962, “All’esame dei periti la pistola di Peppino Pes: attive indagini dopo la cattura del bandito” (sommario: “Anche il calcio di un fucile da caccia, oltre alla Browning calibro 9, trovato nella casa in cui il fuorilegge trascorse l’ultima notte di libertà – La decisa azione dei carabinieri ed i suoi riflessi sulla vita del paese di Sedilo”)

31 luglio 1962, “Tre marescialli uccisi nello scontro con un camion: grave sciagura stradale a Sanluri” (sommario: “Erano in forza nell’aeroporto NATO di Decimo – Un quarto sottufficiale gravemente ferito – Viaggiavano alla volta di Cagliari su una ‘Moretti 750’ – Oscure le cause della tragedia”)

14 settembre 1962, “Trovato in un pozzo il cadavere di una bimba uccisa da un bruto: un orrendo delitto nelle campagne di San Sperate” (sommario: “L’allucinante episodio di violenza è avvenuto a meno di cento metri dalla casa della vittima – Il più stretto riserbo sulle indagini e sugli esiti della perizia necroscopica”).

A questi scritti rimane legata la memoria cittadina di un giovane cronista, educato e bravo.

 

 

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