Il capitale umano degli anziani. Abbiamo perduto la loro saggezza, di Antonio Polito

Non solo E nostri sistemi pensionistici,  ma lo stesso accumulo di tradizione è a rischio.

Oggi si condivide tutto: foto, selfie, pensieri, post, brandelli di vita, esibizionismi, appartamenti, taxi. E l’epoca dello «sharing›>. L’unica cosa che non condividiamo più, dice Papa Francesco nel suo ultimo libro, è la saggezza. La trasmissione di esperienze e di sapere, che naturalmente connetteva le generazioni tra di loro, si è interrotta perché stiamo rottamando gli anziani. «La nostra società ha privato i nonni della loro voce. Abbiamo tolto lo spazio e l’opportunità di raccontarci le loro storie e la loro vita.  Li abbiamo messi da parte – denuncia il Papa ¬ e abbiamo perduto la loro saggezza››. Così, proprio mentre gli over sessanta diventano per la prima volta nella storia d’ltalia più numerosi degli under trenta, prevale «la cultura dello scarto», che corteggia il giovanilismo perché consuma e condanna la vecchiaia perché non produce. <<C”è qualcosa di vile nell’assuefazione alla cultura dello scarto», protesta Francesco. Camminando di pari passo con l’invecchiamento della popolazione, l’emarginazione sociale e culturale degli anziani è forse il fenomeno più preoccupante del nostro tempo.

Se n’era già accorto, prima ancora che cominciasse l`era digitale, un altro grande vecchio, Norberto Bobbio. Nelle società tradizionali – notava nel suo «De Senectute» – il vecchio racchiude in se stesso il patrimonio culturale della comunità, sa per esperienza quel che gli altri non sanno ancora e hanno bisogno di imparare da lui. Ma «nelle società evolute il mutamento sempre più rapido ha capovolto il rapporto tra chi sa e chi non sa. ll vecchio diventa sempre più colui che non sa rispetto ai giovani che sanno, e sanno, tra l’altro, anche perche hanno una maggiore facilità di apprendimento».

A dispetto del corteggiamento agli anziani che va oggi di moda, e che consiste nel far credere loro di poter restare per sempre giovani, perennials come si dice in America, sempreverdi come i cipressi, perché «i sessanta sono i nuovi quaranta» e la data di nascita non conta, e giù foto ritoccate di George Clooney ed Helen Mirren, l’esperienza della terza eta è in realtà rifiutata quando non dileggiata; chi ha più bisogno della saggezza di un nonno se c’e tutto in Rete? E, d’altra parte, a chi servono più l`ufficio postale, il negozietto sotto casa, l’ultima edicola e il cinema di quartiere, se non agli anziani? E infatti chiudono.

Senza contare la feroce discriminazione sociale che l’invecchiamento moltiplica in maniera esponenziale: provate a confrontare un settantenne benestante, fresco di palestra e di chirurgo plastico, ancora stimolato dal lavoro e da una rete di relazioni, con un coetaneo con pensione minima, isolato in una periferia, magari del Sud, a chilometri da un discount, il cui unico rapporto con il mondo è la tv (ricordate Daniel Blake, il falegname sessantenne del film di Ken Loach?).

Questo progressivo isolamento può determinare nell’ampia fetta della società che è over 55 (un italiano su cinque) due reazioni opposte. La prima è un crudo e scettico pessimismo della ragione, accompagnato da un disincantato dispetto verso la dittatura dei giovani, «i quali guardano male noi anziani,  quasi fossimo scrocconi che gli occupano il posto auto», come ha di recente scritto con caustica penna Vittorio Feltri, confessando di avere come sola e paradossale consolazione la certezza «che soffriranno quando noi avremo finito di patire, cosi imparano». L’altra possibile reazione e l`ottimismo della volontà di Francesco, che sembra averne anzi fatto un centro del suo pontificato: «Da un po’ di tempo porto nel cuore un pensiero, sento che questo è ciò che il Signore vuole che io dica: che ci sia un’alleanza tra giovani e anziani›>.

Da quale stato d’animo finirà col prevalere nei prossimi anni dipende il futuro delle nostre società. L’equilibrio tra le generazioni si sta infatti spezzando per lo tsunami demografico senza precedenti.

Non solo i nostri sistemi pensionistici, ma lo stesso accumulo di tradizione è a rischio (<<tradizione›› viene da tradere, trasmettere, e la sua negazione è <<tradimento>>).

D i fronte a questi sconvolgimenti la nostra cultura occidentale deve fare una vera e propria conversione a U. Scrive Jonathan Rauch, in un saggio già considerato «seminale» negli Usa, che va ridisegnata la curva della felicità cosi come l’abbiamo finora concepita. Non considerare  più il nostro tragitto come una  parabola che va in sù dalla nascita fino ai cinquanta e poi declina bruscamente. Ma al contrario proprio come una U: arrivati a meta c’è la risalita, verso un periodo migliore e più felice, «in cui i nostri valori, le nostre priorità, e perfino i nostri cervelli tendono ad allontanarsi dalla competizione e dalla fatica sociale e a connettersi invece verso gli altri e verso il dare agli altri».

Recuperare a pieno titolo gli anziani nelle nostre comunità potrebbe diventare la più importante riforma sociale del secolo: un decisivo incremento di valore aggiunto. Altro che farli accomodare a 62 anni in un limbo in cui la pensione ti viene concessa solo a patto che sia incompatibile con il lavoro, con qualsiasi lavoro; con l’invito a <<godersela», a sostituire il pieno di prima «con il vuoto di un eterno presente edonistico» (Martha Nussbaum). lnvece non possiamo sprecare l’enorme capitale umano di esperienza e saggezza rappresentato da milioni di cittadini, che ci servirebbero come tutor nelle aziende, come volontari nelle scuole, come maestri nelle famiglie, come nuovi studenti di un apprendimento continuo e a loro volta docenti di vita, perche «memoriosi della storia», come li definisce Papa Francesco.

Da Il corriere della sera, 25 ottobre 2018

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    1 Comment to “Il capitale umano degli anziani. Abbiamo perduto la loro saggezza, di Antonio Polito”

    1. By Mario Pudhu, 6 dicembre 2018 @ 07:54

      S’antzianu si podet paragonare a unu chi “ha tirato i remi in barca”. Su zòvanu si podet cussiderare un’autotrenu ponindhe in motu: e ite no tiat poder carrare un’autotrenu!…
      Ma pro lu fàghere bi cheret CARBURANTE; bi cheret CAPATZIDADE DE AUTISTA cun sa libbertade no barrosa de chie faghet su chi li paret e piaghet e distruet mezu, gàrrigu e a iss’etotu (buon pro pro totu s’indústria mortuària, sanitària… , sanitària?!, e, ‘naturalmente’, machinària e relativi industriali), ma cun sa libbertade de chie CONNOSCHET BENE E RISPETAT MENZUS su codice ‘istradale’ e innantis de cussu su códice umanu; depet ISCHIRE A UE DEPET andhare e ischire ITE ISTRADA DEPET fàghere.
      Bi cheret un’ideale propriamente umanu, de cristianos, no de leones in gherra pro si zúghere carchi leonessa, inantis una e apustis un’àtera (mancari fintzas bochíndheli innanti sos leonedhos de naschidorzu).
      Custa tziviltade… tzivildade?!, si est tziviltade su machine, coltivat in manera ossessiva su machine, sa barrosia: macinare chilometri, correre, correre, correre a vincere e vinceremo. Coltivat in manera ossessiva sos consumatori (de donzi iscola ndhe at fatu una setzione de supermarket e si no bastat sa pubblicidade inue totu podent imbàtere sos ogros – televisiones, aradios, giornales, computeras, istradas, campos isportivos e donzi míninu ispàtziu, e fintzas giornales pubblicados a muntones de solu pubblicidades distribbuidos e postos in sa casseta de sa posta a domíciliu).
      E ite amus a nàrrere nois Sardos chi sos zòvanos ndh’ant ritiradu “remi” e “barca” puru, emigrados a ue podent… cúrrere!
      Sardigna depósitu de betzos (e handicapados). Depósitu de sabidoria “a remos in barca”? O a limba cancarada e isputzida comente noll’at sa “civiltà”? Sunt solu matéria prima pro s’indústria mortuària? Sabidoria, su chi est sabidoria, coment’e arga de frundhire? Betzos coment’e cosa de frundhire? E proite, s’esércitu de sos zòvanos disocupados coltivados e allenados a sa cultura e cumportamentos de totu sas dipendhéntzias no sunt frundhidos e arga de frundhire si no sunt arga pro sos ‘termovalorizadores’?
      Ma sempre postos sos zòvanos contr’a sos antzianos e sos antzianos contr’a sos zòvanos, coment’e chi in sa vida e pro sa vida umana no siant unos e àteros ateretantu netzessàrios, bonos e útiles pro issos etotu, ma útiles solu a chie los podet istrumentalizare e ndhe podet aprofitare de prus pro fàghere mercadu. Zente = soldi. Umanidade fata a dinari. Totugantos a merda de su dimóniu.
      Tocat a cumprèndhere ite podet fàghere donzunu de nois – ca sussa est sa libbertade/responsabbilidade chi distinghet su cristianu de s’animale – chentza ispetare sos ‘miràculos’ de sos miraculàrgios políticos assatanados pro sos votos ma no s’ischit mai ite corpu de balla depent o cherent fàghere a parte su “vota me!”.