RICORDO DI PAOLO PILLONCA, di don Mario Cugusi

La Fondazione Sardinia ricorderà Paolo Pillonca, domenica 25 novembre nel nuovo teatro dell’oratorio di Serdiana. Gli argomenti della mattinata toccheranno i contributi di Paolo nel giornalismo, nella produzione letteraria e poetica, nel rapporto con la gente su lingua e cultura sarda. Don Mario Cugusi , a mezzogiorno, celebrerà una santa Messa di suffragio. Nel pomeriggio, una gara poetica renderà onore a Paolo, a ringraziamento del suo impegno e dei suoi studi sulla poesia d’improvvisazione. Il programma è visibile nella locandina qui sotto.

La fede è sostanzialmente affidamento a Dio per realizzare il Suo progetto di mondo e di umanità. Molto  spesso invece la si concepisce come una serie di verità: ma questa è una “fides doctrinalis”.  Su questo concetto di fede si disquisisce, la si rivede e la si sistematizza a partire anche dagli orizzonti culturali dei suoi interpreti e, quando va bene, a partire anche dalle acquisizioni scientifiche e dalle sensibilità sempre nuove, buoni interpreti così dei segni dei tempi. Il modo abbastanza frequente di “viverla” la fa scadere in retorica, in ritualismo e abbandono di concretezza.

Faccio questa premessa per il fatto che in  scambi di opinioni con Paolo, ultimamente piuttosto diradati, anche in seguito al mio “ritiro” (non proprio volontario),  da circa sei anni, in quel di Serdiana, ho avuto modo di cogliere il suo amore e interesse per “le cose” della  Chiesa. Paolo non aveva un gran concetto della sua “nomenclatura”, specie di quella isolana, di cui stigmatizzava soprattutto il parlare vago, l’inconsistenza concettuale, la stessa scarsa “fondazione” teoretica, la distanza dal mondo reale e anche dalla  “intellettualità” (seppure Paolo non si sia mai fregiato in maniera altezzosa del ruolo  di intellettuale, e anzi era lontano da attribuirgli uno “status” particolare).

Credo che il punto stia proprio qui: Paolo “gramscianamente” credeva nel ruolo della Chiesa in funzione della crescita della società sarda. Lontano da qualsivoglia visione clericale della Chiesa,  auspicava una collaborazione di questa a servizio del vero progresso e crescita della nostra Terra. Lo intristiva una Chiesa ripiegata su se stessa e i suoi riti funzionali e in linea con la scenografia e non invece con la Chiesa-sacramento del Regno, e, per dirla con il linguaggio di Papa Francesco, una Chiesa “ospedale da campo”. E Paolo sentiva il bisogno di una Chiesa significativa per l’inculturazione dei valori alti del Vangelo nella società sarda. Questo era l’amore di Paolo per la Chiesa, scevro da sdolcinatura e archeologici tradizionalismi. E tutto questo detto di uno che la tradizione sarda l’ha amata e difesa, l’ha studiata e fatta conoscere, convinto che una più profonda conoscenza della “nostra “ tradizione, anche religiosa, non solo non è tradizionionalismo da museo ma identità, capacità di essere protagonisti della nostra vicenda storica e promotori di una nostra vera specificità. Paolo era ben distante da qualsivoglia atteggiamento isolazionistico,  veramente alieno da miopi visioni “particolaristiche” provinciali.

Sia ben chiaro che di Paolo ho sempre amato l’eleganza del parlare, la poesia con cui raccontava la bellezza paesaggistica, la vita animale più specifica e caratterizzante le nostre campagne e soprattutto i nostri boschi (quante volte avrò riascoltato “sos frores de mendula”, rielaborato in maniera sublime dalla musica e dalla voce di Piero Marras e che forse più di qualsiasi ragionamenti dipinge  il cuore e la sensibilità artistica di Paolo). E da questo cuore davvero ricco di umanità non erano assenti sentimenti di dolore, preghiera e supplica non solo verso il cielo per conoscere una società sarda “fora de sa barbaridade”.

Altri diranno della sua grandissima sensibilità nel servire la parola, il suo mandare messaggi a partire da esperienze personali di amicizia e di amore, il canto “georgico” delle bellezze e delle relazioni tra l’uomo che ama la sua terra e tutto quanto in essa vive.

Per il particolare rapporto di amicizia con Paolo mi piace sottolineare che Paolo ha interpretato cristianamente l’esortazione alla “prossimità” che proviene dalla straordinaria parabola evangelica del buon samaritano.

Se si prende per buona (e io sono tra questi) la stracitata espressione di Dostoievsky che “la bellezza salverà il mondo” mi sento di dire che da tanti punti di vista, meritevoli di altro approfondimento, Paolo ha dato il suo bel contributo a quel progetto di Dio di cui accennavo all’inizio di questa testimonianza.

Paolo, pur senza ostentazioni o stucchevoli tentativi di catturare vacue benevolenze, aveva  un sincero spirito religioso, coerente soprattutto con quel concetto di fede concreto  e funzionale al progetto di Dio che aforisticamente si può riassumere nel detto: “la soglia della fede la superiamo con la vita”.

 

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