Scuola, autobiografia di una nazione, di Daniele Madau

EDITORIALE  della  DOMENICA,  della  FONDAZIONE

Questo editoriale andrà avanti per paradossi, così come potrebbe procedere per frasi celebri, cercando di evitare, però, i luoghi comuni.

Tutti ricordiamo la definizione di quel giovane speciale che fu Piero Gobetti sul fascismo come autobiografia di una nazione: ebbene tanti cose per l’Italia, purtroppo, possono fungere da autobiografia. Così come è abusata la citazione di Brecht sulla felicità del paese che non ha bisogno di eroi: ebbene, non passa quasi giorno che nei giornali italiani non ci sia qualche notizia di piccoli eroi quotidiani sul territorio italiano.

La scuola, per tutto questo, è un ambito privilegiato.

La scuola italiana, infatti, in questo momento, ha bisogno di eroi: insegnanti che si carichino di un peso educativo sproporzionato rispetto alle altre istituzioni e contesti che dovrebbero alleggerirglielo e che, contemporaneamente, devono affrontare lo svilimento, che a volte sfocia in aperta avversione, che il ruolo di docente sta subendo nella nostra società.

Restringendo per un attimo l’obiettivo alla realtà a noi più vicina, il quotidiano sardo più venduto, L’Unione sarda, per tre giorni consecutivi in questo mese ha avuto come titolo principale in prima pagina avvenimenti scolastici, chiaramente negativi: nei casi specifici aggressioni  a docenti o studenti.

È giusto che la scuola abbia risalto ma-inutile dirlo – è sconfortante che capiti solo in questi casi. Il paradosso è che il nuovo ministro dell’Istruzione, il leghista Busseti, in questa situazione di enorme complessità giochi, tenda a una rischiosa semplificazione. Seguendo Agatha Christie sappiamo che tre indizi fanni una prova di un delitto; il delitto è l’eterno paradosso per cui lo stato con più patrimoni Unesco al mondo -l’Italia – sia allo stesso tempo uno tra gli ultimi al mondo per spesa per la cultura e la scuola e sia ancora benissimo rappresentato dall’ormai famigerata frase dell’ex ministro Tremonti (ma lui continua a smentirla) che ‘con la cultura non si mangia’ .

Il primo indizio è la quasi totale scomparsa dell’argomento scuola dagli interessi di governo, con necessaria conseguenza di nessun investimento all’orizzonte.

Il secondo, il terzo e anche il quarto indizio riguarda quel ‘quasi’: quando il governo, nella persona del ministro, ha avuto modo di presentare le sue azioni, queste hanno riguardato varie tipologie di tagli o eliminazioni. Si va dal sempre agitato spettro del taglio agli stipendi degli insegnanti – in questo caso sotto forma dell’ancora non rinnovato contratto per il 2019-2022 – ai tagli alle ore di storia agli istituti professionali, all’eliminazione della traccia di argomento storico al primo scritto della maturità, alla, credo più problematica da affrontare, eliminazione del percorso abilitante degli insegnanti prima del concorso.   Questo viene sostituito dall’acquisizione di 24 crediti universitari durante gli anni di corso: 24 crediti possono assere equiparati a quattro esami.

Sono tante le cose che sorprendono: in un periodo in cui è richiesta, dappertutto, maggiore specializzazione, il ministro – forse volendo dare nuova dignità al percorso universitario – non ne riconosce l’importanza. Ancor di più, però, lascia sgomenti la destabilizzante alternanza di vedute al ministero, dove i governi, e i loro ministri, fanno e disfanno con una serenità sintomo di immaturità. Sì, proprio loro, ecco l’ennesimo paradosso, che si occupano di strutturare gli esami di maturità non ne possiedono a sufficienza, di maturità, per capire che, tra le altre cose, continuando in questo modo, complicheranno sino all’inestricabilità – per altro già molto vicina – la normativa scolastica in quanto, in futuro, sarà molto difficile riproporre i corsi abilitanti senza intasare i Tar di migliaia di ricorsi. Esattamente come accade ora a causa degli ultimi decenni di allegri cambi di idee e vedute.   Ecco, allora, che ogni ministro scrive qualche riga di quell’autobiografia di una nazione, che non sa di quante ‘sudate carte’ di uomini di cultura è formata la sua storia, che non sa come sia stata creata prima nella cultura – nella sua lingua e letteratura – poi nei suoi confini politici, che non sa valorizzarsi, nella sua scuola e nei suoi beni culturali. Ecco, quest’autobiografia rischia di avere un finale da tragedia, un finale col suicidio.

 

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