LA SARDEGNA IN VENDITA: A QUANDO LE CAMPAGNE? di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE  della  DOMENICA,  della  FONDAZIONE


Per essere meglio accettato e compreso, questo articolo dovrebbe attendere il passaggio di mano della Saras di Sarroch, dalla famiglia Moratti – che lentamente ma inesorabilmente viaggia nella direzione di disfarsene (ma non ho particolari informazioni sulla cosa, se non impressioni sul succedersi delle scelte familiari  causate, se non da altro, dal corso naturale delle cose) – a qualche oligarca russo o ad un fondo statale cinese o arabo. Alcune settimane fa  si è letto che la Saras produce un quinto del PIL sardo. Più volte abbiamo trattato delle conseguenze su Cagliari di qualsiasi cambiamento avvenga in quell’azienda.

Immaginiamoci se venisse venduta a (ulteriori) forestieri, …. come  è stato per il Banco di Sassari ed il  Banco di Sardegna (il sistema bancario sardo al completo), la Tirrenia e Meridiana (i trasporti con l’esterno), l’intera industria petrolchimica, metallifera e tessile (Sir-Rumianca, Samin, Alcoa, Snia, Tessili Sarde, Chimica e Fibra del Tirso, Metallurgica del Tirso,tutto  il tessile di Macomer e Bitti ….) ed altra ‘minutaglia’ industriale e agricola. Tra quest’ultima, le terre incolte, che gli amici dei sindacati chimici insistono ad offrire alla coltura del cardo e  della canna palustre.

Abbiamo anche affermato che negli ultimi quarant’anni la Sardegna ha perso quanto costruito nei primi trent’anni di regione autonoma. Ma eravamo stati riduttivi. Oggi la Sardegna ha un sistema economico con minore produzione ed addetti – anche comparativamente a ciò che è accaduto nella penisola e nel mondo occidentale – di quanto non ne avesse nel tempo in cui è entrata nell’unità d’Italia (1861).

Quasi fosse una consolazione, da noi si parla e si scrive di turismo senza considerare dove risiedono ‘i proprietari’ e dove e per chi ritorna la grande quota dei relativi utili, sia del turismo aristocratico (Costa Smeralda, Forte Village) come di quello dei villaggi a frequentazione di massa. Ad esempio: non si conteggiano -  per lo meno non li si rende di pubblico dominio – il quantum del consumo nei ristoranti arrivi con i camion della Mar e simili ‘continentali’. Da dove arrivi e chi diriga il personale delle strutture. I Sardi?

La Sardegna è in vendita perché, non producendo beni in proprio, vende i gioielli di famiglia offrendo gratuitamente quelli che gli restano. Anzi, regalandoli.

Il modello Ollolai va avanti da tanto tempo come richiamo dei forestieri a prendere ad un euro ciò che noi non valorizziamo.

Una delle conseguenza dello spopolamento dei paesi è la veloce scomparsa degli ‘uomini di campagna’. Immensi territori spopolati lasciano campagne abbandonate, destinate a svalutarsi e pronte ad essere svendute al migliore offerente da parte di eredi lontani, che neanche ricordano di averle, e per le quali  basterebbe un aumento di tassazione sul reddito agricolo per aumentarne vorticosamente la svendita.

Già si parla di sensali nostrani all’opera.

C’è da accapponarsi la pelle nel pensare che possa succedere a noi quello che è capitato ai palestinesi non molto tempo fa. Hanno venduto le terre agli ebrei, che le hanno valorizzate e su di esse hanno costruito la propria ‘sovranità totale’.

In quest’ottica si legga cosa possa significare una zona franca integrale e senza regole. O l’ipotesi di un forte insediamento cinese per far diventare la Sardegna – secondo alcune opinioni interessate – la hub marittima della via della seta.

I poteri di una Regione autonoma valgono poco senza cittadini ‘autonomi’.

 

 

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    1 Comment to “LA SARDEGNA IN VENDITA: A QUANDO LE CAMPAGNE? di Salvatore Cubeddu”

    1. By gesuino loi, 30 ottobre 2018 @ 08:37

      E’ un’analisi che fa spavento, ma purtroppo reale e soprattutto vicinissima.