Lettera aperta ai progressisti, ai socialdemocratici, ai liberali, ai cattolico-liberali, di Franciscu Sedda

Alla cortese attenzione degli organi d’informazione,

in allegato la mia lettera aperta ai progressisti, socialdemocratici, liberali e cattolico-liberali che, prendendo spunto da un recente intervento di Luciano Uras, vuole rilanciare il confronto con tutti coloro che hanno manifestato aperture o interesse rispetto alla nostra proposta di “primarie nazionali sarde”. Cordialmente

 

Caro Luciano,

Ho letto con interesse il tuo intervento in cui parli di “primarie del popolo sardo”. La cosa mi fa e ci fa, come Partito dei Sardi, ovviamente piacere. Così come ci fanno piacere le altre aperture che da più parti sono arrivate rispetto alla nostra proposta. Tuttavia, anche considerando gli altri temi del tuo intervento e del dibattito più generale, vorrei sollecitare te, la sinistra ma anche parte del mondo socialdemocratico, liberale e cattolico-liberale, a riflettere sull’eccezionalità dei tempi e sulle occasioni storiche che ci stanno davanti.

Da anni il “popolo sardo” viene evocato in ogni campagna elettorale, ormai persino dalle forze dell’estrema destra italiana. La stessa stagione autonomistica si aprì con una grande “Assemblea del Popolo Sardo”: gli esiti e i limiti di quella esperienza, fatta di molto orgoglio sbandierato ma ancor di più di troppa subordinazione interiorizzata e praticata, sono evidenti. E sono proprio ciò che oggi i sardi ci chiedono di superare per riconquistare un’esistenza libera, prospera, giusta e degna.

Vorrei allora ricordarti la lettera di Gramsci a Lussu del 1926, quando colui che era stato per sua stessa ammissione un indipendentista da giovane, prima di partire per Torino, chiede a colui che veniva reputato il capo dei sardi, se “la politica di compressione esercitata dal regime fascista, che ha condotto alla soppressione del regime rappresentativo nel 90 per cento dei municipi sardi” non dovesse portate tutti coloro che in Sardegna si opponevano alle derive autoritarie italiane a porre la questione sarda “su un terreno più radicale di rivendicazioni a tipo nazionale”.

Ora, la risposta di Lussu a Gramsci è nota. E qui non mi interessa tornare sulla sua idea della Sardegna come “nazione fallita”, destinata a fallire anche se fossimo stati “accesi” come i catalani. Mi interessa invece ripartire dalla domanda di Gramsci. E riproportela, riproporvela, adattata ai tempi.

Non credi, non credete voi progressisti, socialdemocratici, liberali e cattolici-liberali che finora siete stati parte del sistema politico italiano, che la politica di compressione esercitata dalle nuove derive autoritarie italiane, che si manifesta nella costante bocciatura, da parte dello Stato italiano e dei suoi governi, di leggi fondamentali votate democraticamente dal Parlamento sardo; nei costanti tentativi di ricentralizzazione dello Stato; nel modo sprezzante in cui gli interessi economici, occupazionali, di mobilità dei sardi vengono soverchiati da entità para-statali come Anas e Enel o ex-statali come Tirrenia e Alitalia, o più o meno apertamente protette dallo Stato come Saras o AirItaly; nell’impossibilità per i sardi di costruire un proprio sistema dell’istruzione che freni spopolamento e dispersione scolastica; nell’umiliazione di non poter gestire il proprio patrimonio culturale valorizzandolo come merita; nella costante frustrazione dei diritti dei sardi a connettersi direttamente con l’Europa e il Mediterraneo; per arrivare alla minaccia italiana, da cui la Sardegna potrebbe smarcarsi, di diritti sociali acquisiti (per le donne, i bambini, i disabili, gli omossessuali, i lavoratori…); a politiche sull’immigrazione a dir poco barbare, in contrasto tanto con lo spirito laico che con la carità cristiana, che peraltro non risolvono i problemi di sicurezza delle persone; a politiche di sostegno a regimi autoritari che generano solo venti di guerra e ricusazione dei valori europeisti in cui rischiamo di essere trascinati; fino ad arrivare all’invio di commissari ieri “romani” e oggi “padani” che pur essendo qui una minoranza finiscono per dire ai sardi progressisti e liberali che cosa devono fare e per chi devono morire; ecco, non credete voi, a fronte di tutto ciò, che la questione del popolo sardo vada posta su un terreno più radicale di rivendicazione di tipo nazionale?

Noi crediamo di sì. E crediamo che le primarie nazionali sarde siano il terreno su cui chiamare a raccolta i sardi, definire i contorni e i progetti necessari a dar corpo a questa nuova fase della storia della Sardegna, scegliere insieme chi debba guidare i sardi nell’affermazione dei loro diritti e interessi nazionali, dandogli il mandato e la forza che solo una mobilitazione nazional-popolare può dare.

Ti saluto, in attesa di una tua risposta, e sperando di trovarci insieme a costruire una grande coalizione nazionale sarda, pluralista e unita, dove la sinistra sarda e l’area moderata sarda possano tranquillamente riconoscersi: una coalizione nazionale sarda alternativa alle pratiche di subordinazione di ieri e alle derive autoritarie di oggi.

A innantis!

Franciscu Sedda

Presidente Nazionale Partito dei Sardi

 

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