La biblioteca della Camera di Commercio cagliaritana, un tesoro sottochiave, interdetto alla città e alla comunità degli studiosi, dei ricercatori e dei tesisti (per lauree e dottorati), di Gianfranco Murtas

 

Sarebbe forse materia tutta di urbanisti quella su cui vorrei portare qualche prima rapida riflessione prendendo lo spunto dalla recentissima uscita della seconda edizione, accresciuta e aggiornata, di un bellissimo catalogo, insieme informativo ed evocativo di atmosfere, che associa diacronicamente la città capoluogo ad una delle sue maggiori istituzioni economiche. Mi riferisco precisamente al catalogo della mostra La Camera di Commercio di Cagliari 150 anni di storia, curato da Maria Rita Longhitano in quanto ai testi, e dalla stessa Longhitano insieme con l’arte elegante della Publigrafic di Cagliari in quanto al progetto grafico e alla stampa.

Un viaggio forse rapido, questo mio, appena spennellato negli spazi e nei tempi attraversati, per arrivare al dunque: a rinnovare l’appello alla giunta, e in primo luogo al presidente Maurizio de Pascale ed al segretario generale Enrico Massidda, per la riapertura sollecita della biblioteca che costituisce, da un secolo ed oltre il fiore all’occhiello dell’istituzione camerale, il più bel dono che, in continuità lungo stagioni diverse della storia cittadina, essa ha saputo offrire a Cagliari, alla società degli studiosi, ai ricercatori universitari, ad innumerevoli giovani impegnati nella stesura della propria tesi di laurea e, ora, soprattutto a quelle di ricerca (per i vari dottorati banditi dai nostri atenei). Così fino a pochi anni fa, quando una opinabile decisione della ASL ha portato a sprangare l’ingresso ed a rimaneggiare l’attività di preziosa consulenza bibliografica dalla Camera sempre assicurata, senza che da parte della dirigenza (inclusa la commissaria in carica negli anni scorsi) sia venuta alcuna soluzione alternativa né una proposta da valutare circa la sua concreta praticabilità. Il primo rimando offerto dalla corposa pubblicazione – direi un vero e proprio libro: 60 pagine di formato quadrato e con suggestivo corredo iconografico e fotografico, ricercato e d’effetto – a quella certa materia “tutta di urbanisti” cui prima alludevo è dato dalla foto a colori in copertina (appartenente alla Collezione Colombini di proprietà dell’Istituto Superiore Etnografico della Sardegna), che presenta il largo Carlo Felice com’era negli anni ’80 e ‘90 dell’Ottocento e ancora all’inizio del Novecento. In maggior dettaglio è il fianco di destra, a scendere dalla piazza Yenne, fino ad arrivare al cantiere del nuovo municipio bacareddiano (finito nel 1907 in quanto alle strutture murarie, inaugurato in quanto all’aula consiliare nel novembre 1914). Si parte dal palazzotto Signoriello, che tappava la prossima via Mameli e collegava materialmente, sul filo dei prospetti, il (futuro) palazzo della Comit e quello dei Devoto-Cao, che sarebbe stato sostituito negli anni ’30 dalla nuova sede del Banco di Napoli (oggi Intesa Sanpaolo). A scendere ecco quindi gli altri stabili che han portato, nelle frazioni di tempo, varie denominazioni (Castangia, Delitala, Floris Mormone ecc.), fino a giungere al vico Carlo Felice (di collegamento con la retrostante e parallela via Gio.Maria Angioy), e più giù ancora i palazzi Signoriello bis, Scano ecc. fino a quello Accardo (col suo storico caffè Svizzero ed inglobante l’area della chiesa altomedievale di Sant’Agostino extra muros). A delimitare questo secondo grande isolato ed infilare il traffico tutto pedonale o, al massimo, di carrettieri alla piazza del Carmine o XXVII Marzo che dir si voglia (o si sia voluto dire per qualche tempo, quello attorno al 50° dell’unità d’Italia), la via Carmine – oggi Crispi – con il palazzo Boero da una parte, quello Vivanet (datato 1895) – dall’altra.

Questo a voler spennellare, con i suoi dintorni, il largo Carlo Felice che ancora, negli spazi più tardi perfettamente occupati dalla Comit e (dal 1928) dalla Camera di Commercio – esclusi dalla citata ripresa fotografica ex Collezione Colombini –, era quasi vergine di modernità, con i suoi resistenti pascoli di grilli e lucertole e le casupole allineate della proprietà di Romolo Cojana, per il più magazzini fatti orfani ormai del mercato in baracca (il cosiddetto “su Stampaxi” appena trasferito nelle strutture di ghisa al Partenone) e contraspalle delle osterieddas di su Conduttu: mille metri quadrati acquistati nel 1913 per metà circa dalla Camera e per l’altra metà dalla Comit (nel frattempo, dal 1906, insediatasi al pian terreno del vicino palazzo Devoto-Cao ed ivi, dal 1915, … inquilina del Banco di Napoli nuovo proprietario dello stabile). Di tutto si trova traccia negli archivi, anche quelli camerali – ricchissimi (nonostante qualche malaugurata dispersione, per bombardamenti e trasferimenti) –, nei giornali del tempo e nella letteratura civica purtroppo sparpagliata ma sempre preziosa; ne scrive anche, e felicemente, Luigi Colomo, il famoso “Giulio Molco” della stampa cattolica (sanjustiana) e poi fascista, nel prezioso suo Cagliari… che scompare.

A rappresentare per linee e colori il nostro Largo nella sua evoluzione secolare e fino alle sue proiezioni sul futuro probabile (o improbabile chissà) nel nuovo millennio, ci si sono messi in molti anche in epoca recente, e han fatto tutti bene, chi con articoli di rivista – si pensi a Sergio Serra sull’Almanacco di Cagliari del 1987 –, chi in libri di maggior o minore spessore, ma tutti di pregio, come ha fatto, mobilitando molti autori, il Rotary club Cagliari una volta nel 2004 e un’altra, associandosi esso agli altri club (Est, Nord, Sud, Anfiteatro) e d’intesa con le edizioni della Torre, nel 2006, all’insegna del Ritrovarsi nel Largo. Storia e progetti per Cagliari che si rinnova. (Con più modestia, ho fatto anch’io la mia parte con Cagliari 1889 e con La città chantant, monarchica clericale e socialista, due libri-finestra rispettivamente sull’anno di fondazione de L’Unione Sarda e su quello – il 1909 – che registrò la nascita, giusto in case piuttosto prossime al Largo, dei nostri Francesco Alziator e Giuseppe Dessì).

La city cagliaritana

Già negli anni ’10 e ’20, dimenticate ormai le sofferenze provocate dal crac bancario del tempo di Pietro Ghiani Mameli e soci, gli istituti di credito – uno dopo l’altro – avevano scelto di fissare proprio lì, in prossimità del nuovo municipio, degli uffici di spedizionieri e dei depositi dei maggiori grossisti, fra la Marina e Stampace, la propria sede: dapprima la Banca Commerciale Italiana, nel 1912-13 il Credito Italiano (che aveva rilevato gli sportelli della SBS di Ferruccio Sorcinelli orientato ormai verso i più fruttuosi investimenti minerari), nel 1924 la Banca Agricola Italiana, naturalmente il Banco di Napoli – che poteva vantare una “storia cagliaritana” più ricca d’ogni altra – e dal 1919 anche il Banco di Roma…

Così andò per lungo tempo. Ma se negli anni della dittatura il Largo – il solo “boulevard” cagliaritano – si divideva, con qualche segreta geometria, nelle due prevalenti anime segnate l’una dal monumentale mercato dei commestibili (muovendo dalla linea mediana e andando verso la via Roma), e l’altra dal mosaico bancario (da lì in su verso la piazza Yenne e, in direttrice fra loro opposta, la via Manno e il Corso), tutto diverso ed a crescere a favore appunto delle banche e a scapito dell’annona e dei suoi accoglienti presìdi esso era divenuto a partire dalla fine degli anni ’50, così configurandosi per trenta o quarant’anni e fin quasi alla conclusione del secolo.

La demolizione, dopo le offese della guerra, dell’indimenticato Partenone a due grandi comparti (quello della frutta e verdura nei 180 box de susu, quello della carne e pesce nei 56 de basciu) aveva fatto spazio alle nuove sedi di altri istituti di credito: della Banca d’Italia, in trasferimento dalla via Sant’Eulalia, e della Banca Nazionale del Lavoro, che aveva invece i suoi sportelli nella parte centrale della via Roma. Quelli che in antico erano stati gli spessi volumi delle mura di Lapola e del convento agostiniano e che settant’anni prima erano stati convertiti alle funzioni di mercato omnibus per le gustosissime descrizioni di David H. Lawrence, s’erano infatti trasformati anch’essi in uffici bancari, larghi e ariosi come ancora una certa tipologia architettonica (secondo il monumentalismo dei decenni precedenti) consigliava: invece delle sagome di pittoreschi banconieri ecco i bancari, altri bancari, ad implementare… la famiglia.

La Guida Città di Cagliari, pubblicata nel 1961 dall’editore Giuseppe Dessì, presenta, con qualche rigoglio anche fotografico, gli aggiornamenti ultimi, i moderni assetti tutti volti, come un gran scenario di teatro, ad accogliere i tanti impegnati a recuperare, con il dinamismo del tempo nuovo, il molto perduto con la dittatura imperiale ed autarchica e la guerra distruttiva imposta alla città e alla patria dal fascismo.

Ed allora eccoci qui a trattare del Largo, sia pure soltanto per accenni, tornando alla gran riflessione che, smettendo d’esser “tutta di urbanisti” – riferita cioè agli aspetti materiali della strada che accoglie, con quelle degli istituti di credito, la sede della Camera di Commercio –, si fa tutta sentimentale, indugiando a riveder l’umanità che popolava il nostro Largo, che l’ha popolato, questo nostro Largo mezzo stampacino e mezzo lapolese, per lunghi decenni, per due generazioni piene insomma.

Dico l’umanità di quasi mille impiegati, fra quelli dei ruoli organici del Banco di Napoli e della Comit, del Banco di Roma – andato nel tetto alto del Corso (su Brugu) – e del Credit, della Banca d’Italia – la banca madre – e della Bancoper (o BNL che dir si voglia) così come, naturalmente, del glorioso nostro ente camerale. La fraternità degli scambi, fra i gruppi che facevano massa all’ingresso dei rispettivi istituti attendendo, fra una chiacchiera e una sigaretta, l’orario d’entrata giusto come un tempo avveniva a scuola, ma senza il carico dei libri in spalla o in cartella. Sempre è avvenuto così, ed era, per alcuni aspetti, attesa distensiva e negli scambi fra le diverse assemblee chiamate “di muretto” ed assortite per età e grado gerarchico, giocavano la cordialità dell’appartenenza e dunque della (sovente giocosa) concorrenza d’insegna, e quella della colleganza, della condivisione perciò delle competenze e tecnicalità professionali…

C’erano poi le caffetterie in zona, ed anch’esse contribuivano, neppure poco, di mezza mattina soprattutto, ai contatti personali, agli scambi informativi o anche solo di convenevoli.

Una bella famiglia di mille anime, agitata magari a Natale da qualche… traffico di agende o di calendari, da qualche contraccambio o permuta di questo contro quello per il buon augurio dell’anno in arrivo.

La Camera di Commercio, con le sue singolarità portate in tanta riunione o assemblea di contingenti, poteva vantare – attraverso i suoi impiegati – le suggestioni, ma anche la… scienza vera e propria della propria rivista che puntualmente raccontava l’economia provinciale anche con le sue statistiche, con le interviste a imprenditori e dirigenti (giusto quelli a capo delle aziende clienti delle banche!) e mischiava gradevolmente il tutto con le incursioni, sempre piuttosto intriganti, nella storia cittadina recente o lontana, con le sue luci e le sue ombre, i suoi simboli e le sue realtà…

Le riviste della Camera

A vederla nel lungo arco addirittura del secolo, all’incrocio fra la Camera e gli istituti di credito, di riviste ce n’erano state diverse, prima di quella corrente e più apprezzata, ma forse esse interessavano, per le analisi e i numeri da infilare poi nei periodici report da inviare alle rispettive direzioni generali, più i vertici di direzione che il massivo corpo dei dipendenti… C’erano stati, un tempo, gli Atti della Camera di Commercio ed Arti di Cagliari, negli anni di passaggio al fascismo (e fino al 1926) era poi apparso il periodico Sardegna Commerciale, cui avevano fatto seguito i Bollettini mensili di statistica e, con l’Italia già in guerra, il Bollettino economico, fortunatamente toccato dal restyling (anche di contenuti) nel 1949 in coincidenza con la prima edizione della Fiera campionaria, al Bastione, e rimasto in campo per un lustro pieno. Era quindi venuto il turno di Cagliari Economica, che aveva coperto quasi un decennio, finché l’approdo era stato quello certamente più felice dell’intera storia: Sardegna Economica, mensile-bimestrale affidato in prima persona alla responsabilità editoriale del segretario generale dell’ente (all’inizio il mitico Cerino Canova) ed a quella redazionale soprattutto di Mario Pintor – l’uomo di collegamento con L’Unione Sarda, con cui egli collaborava da sempre, e ogni santo giorno, una volta lasciato l’ufficio mattutino del Largo. E così, con questa bella e resistente testata dal 1962 il periodico aveva guadato diversi decenni. Dalla metà degli anni ’90 venne incaricato della sua fattura il commendatore Paolo Fadda.

Nella piena e convergente fiducia di cui giustamente lo gratificavano il presidente Romano Mambrini e il segretario generale Paolo Solinas, Fadda – nei primi anni (e fino alla sua prematura e dolorosa scomparsa) affiancato da Achille Sirchia – aveva delineato in progress un fior di rivista di cultura economica a cui ambivano collaborare professori ordinari d’università, ricercatori patentati ed esponenti delle istituzioni e del giornalismo. Egli stesso uomo di speciale competenza per studi ed esperienza manageriale, conoscitore dal di dentro delle complessità d’un sistema economico che è insieme organizzativo, produttivo e finanziario, autore di numerosi saggi sulla storia dell’imprenditoria isolana, Paolo Fadda – singolare ed eccellente mix di “geometrie” e di “finesse” – affermò in città e nella regione una rivista di primissimo ordine, offrendo anche una rinnovata visibilità alla Camera di Commercio cagliaritana. Ciò mentre già si affacciavano, per input anche internazionali, i primi segnali di trasformazione (fattasi poi accelerata) anche del mondo creditizio, orientato ormai verso i processi di fusione.

La rivista della Camera di Commercio si trovava, oltreché in mille altri posti qualificati, negli uffici di direzione e sui tavoli dei grandi saloni di cassa delle banche, e più volte era dato di registrare un certo traffico di fotocopiature di questo o quel servizio, e anche ciò, alla vigilia del passaggio di secolo e subito dopo, sembrava evidenziare una certa permanenza d’interesse e di vincolo ideale fra gli addetti ai vari comparti degli istituti di credito e l’ente delle rappresentanze produttive della provincia.

Infelici circostanze hanno poi portato alla… fine della storia (purtroppo anche quella della Fiera Internazionale, questione che meriterebbe una trattazione tutta sua). Fattesi algide e senza anima le banche “riceventi”, è stata soppressa la rivista ed è stata ridimensionata (o del tutto amputata) la tradizionale liberalità camerale che s’esprimeva anche nella frequente concessione della supersala dei ritratti dei presidenti-fondatori Enrico Serpieri e Josias Pernis ora per la presentazione di libri ora per convegni di vario ma pur indiscutibile merito (oltre, s’intende, quello strettamente istituzionale). Ultimo episodio importante – quasi insperato e fiore nel deserto, a fine settembre 2012 – è stato quello delle giornate Europee del Patrimonio, in uno alla Settimana della Cultura.

150 anni di storia in un catalogo

Sono piuttosto note, riferite dai notiziari dei giornali, le vicende anche giudiziarie recenti che hanno interessato la Camera nei suoi vertici ormai interamente avvicendati. Dopo la gestione commissariale della prof.ssa Piras, è nuova la giunta, è nuovo il presidente, è nuovo il segretario generale (ancora a mezzo con Oristano, preannuncio della prossima confluenza della Camera arborense in quella, storica e onorata, del capoluogo regionale).

I nuovi ordinamenti, i riassetti funzionali ecc. sono storia presente e valgono ad impostare il futuro dell’ente e le modalità della sua concreta rappresentanza dei ceti produttivi aziendalmente organizzati sul territorio. Certo è che, pur con le innovazioni, non cambia la missione. E la mostra allestita nel palazzo del Largo in occasione della menzionata Settimana della Cultura 2012 e delle Giornate Europee del Patrimonio (settembre 2012) l’ha felicemente richiamata, questa missione, della Camera offrendo alla conoscenza del pubblico le ricchezze documentarie ed archivistiche, che sono sostanza e prova provata d’una presenza e d’un lavoro una volta e mezzo secolare. Ma esibendo anche, con legittimo orgoglio, il pregio delle sue strutture architettoniche – 90enni in questo 2018 (geniale merito degli architetti e ingegneri Luca Beltrami, Riccardo Simonetti ed altri) –, in generale delle sue dotazioni, fra arredi di ebanisteria semplice ed insieme raffinata, quadreria ed opere d’arte varie. (Una relazione storico-artistica curata nel 2015 dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio ne ha contato, di manufatti artistici, ben 60 nel palazzo del Largo, 50 tele – ora oli ora tempere, o acqueforti ecc. – e 10 sculture: fra gli autori, nomi prestigiosi come Guglielmo Bilancioni – il riminese presentissimo nella Cagliari di fine Ottocento ed anche a Sassari, dove abbellì il palazzo del barone Giordano-Apostoli –, Dino Fantini e Stanis Dessy, Antonio Ballero e Giovanni Battista Rossino, Filippo Figari e Felice Melis Marini, Cesare Cabras e Pietro Collu, Giovanni Ciusa Romagna e Melkiorre Melis, Pietro Antonio Manca e Hoder Claro Grassi, Angelo Manca di Villahermosa e Carlo Contini, ecc. ; e a dir degli scultori, Francesco Ciusa e Franco d’Aspro, Federico Melis e Gavino Tilocca, ecc.).

Se dunque la Camera è mancata – chissà perché – all’annuale appuntamento di Monumenti Aperti, la mostra-evento da essa allestita ha eccellentemente compensato, e finalmente rivelato ai cagliaritani (e non) i molti valori concentrati nel solenne edificio a pochi passi dal Carlo Felice (in vesti senatoriali romane) amato-odiato dai sardi d’ogni tempo ed oggi anche – direbbe qualcuno di spirito più leggero – dall’elegante e moderno store del Cagliari calcio (in viaggio anch’esso, il Cagliari calcio, verso il suo centesimo compleanno e speriamo .

Il catalogo uscito nel settembre 2015 e ancor più, oggi, la sua ristampa (a data dicembre 2017) raccontano l’evento espositivo ma soprattutto rifanno, in sintesi, la storia camerale cagliaritana.

I capitoli sono così tematicamente esposti: “Le Camere di Commercio: una priorità dell’Italia Unita”, “La Rappresentanza Commerciale: nascita e ruolo a Cagliari”, “Con la riforma delle Camere di Commercio il primo esperimento di suffragio femminile”, “Le sedi della Camera: stile ed eleganza per le fucine dello sviluppo”, “La Biblioteca Camerale: preziose collezioni al servizio del territorio”.

Come detto, il corredo iconografico/fotografico accompagna ed integra la narrazione, direi che la valorizza non soltanto carezzando l’innocua propensione nostalgica di qualcuno amante dei tempi che furono, ma impegnando – quasi fosse responsabilità morale – al “bello” delle produzioni dell’artigiano – metti dell’ebanista o del decoratore – e non soltanto del pittore o dello scultore di cui la Camera, al pari delle banche, prima dell’irruzione delle varie Ikea, aveva avuto il culto e s’era fatta… santuario e mostra permanente.

Entra anche, a impreziosire il Catalogo, insieme con l’istantanea di qualche sala e delle sue tele, una certa rassegna dei documenti d’archivio: verbali consiliari, relazioni e quadri statistici, elenchi nominativi degli elettori (comune per comune) e così dei partecipanti alle expo di fine Ottocento, progetti della nuova sede…

I libri, i libri e l’emeroteca…

Certamente una considerazione speciale meriterebbe, in tale contesto – partendo da tali suggestioni, e dalle foto-documento dei mobili d’epoca fortunatamente preservati da danni e perdite, ma per arrivare agli imponenti e funzionali scaffali mobili –, la biblioteca camerale: riunione di “preziose collezioni al servizio del territorio” recita il titolo del capitolo che ne illustra storia e, appunto, preziosità nonché, aggiungerei, la naturale vocazione sociale, oblativa addirittura a pro degli studiosi e, mi interesserebbe di più ancora, dei giovani universitari.

Le operazioni di impianto furono avviate – ricorda la Longhitano nel suo bel saggio riespositivo – nel 1903 (operativo il cav. Felice Valdès istruito al meglio dal direttore dell’Archivio storico del Comune di Cagliari Michele Pinna). Bacaredda allora stava per completare il suo deludente mandato parlamentare, sperimentato dopo un decennio pieno di fecondissima sindacatura. Avrebbe ripreso poco dopo la guida amministrativa del Comune (dal 1905 al 1907, e poi ancora dal 1911 al 1917, per concludere fra il 1920 ed il 1921). Saremo in molti, nell’ormai prossimo anno centenario della scomparsa del sindaco-mito – il sindaco regista delle epocali trasformazioni cittadine e della realizzata effettiva unità fra i quattro quartieri che per sei secoli erano stati cittadelle semiautonome – a ricostruire, con funzione storica ma anche pedagogica per l’utile delle giovani generazioni, le vicende della sua città in cui un ruolo rilevantissimo fu svolto proprio dalla rappresentanza camerale (si ricordi, fra l’infinito altro, le dimissioni in blocco, e con il Consiglio comunale e quello provinciale, per protesta contro il governo per ottenere la terza coppia di treni di collegamento fra capo sud e capo nord dell’Isola).

Erano bastati all’inizio sei scaffali, le schede bibliografiche erano state 519 relative a 443 titoli. Al 1917 risale la seconda catalogazione aggiornata anche nella procedura (a schede mobili, detta “sistema Staderini”, secondo i criteri pubblicati da Giuseppe Fumagalli): oltre diecimila i volumi contati allora, fra opere e opuscoli, e in più l’emeroteca a crescere anch’essa. In due sale la collocazione dei materiali (avvenuta, pragmaticamente, per formato). Tutto ciò nella sede di palazzo Devoto-Cao, così fino al 1928. E da tale anno nella nuova sede propria della Camera, naturalmente anche con i nuovi fondi nel frattempo pervenuti (in primis il patrimonio archivistico della Reale Società Agraria ed Economica, custodito dal Comizio Agrario a sua volta assorbito nel 1926 dal Consiglio provinciale dell’economica, trasformazione fascista della Camera)…

Non rifaccio la storia, ma siamo ormai arrivati, nell’anno di grazia 2018, a 28mila unità, cui di recente si sono aggiunti altri 300 titoli titoli donati dal commendatore Paolo Fadda…

Mi augurerei che ogni componente la giunta camerale leggesse con tutta l’attenzione necessaria le pagine dedicate, all’interno del Catalogo, alla biblioteca dell’ente. E scorresse anche quanto, al riguardo, è riportato nel sito internet della stessa Camera (che ben riferisce anche delle 16 cinquecentine e delle 20 secentine, degli oltre duecento testi pubblicati fra il ’700 e il primissimo Ottocento, in piena epoca napoleonica cioè, dell’imponente fondo Aymerich, ecc.). E visitasse anche, materialmente, e indugiandovi, gli spazi che per lunghi anni sono stati utilizzati per la custodia dei testi e la consultazione, al piano terreno dalla via Angioy, nel sottopiano a vederla dal Largo. Ne sarebbe, io credo, positivamente scosso, tanto da impegnare ogni propria rinvigorita energia per ribaltare la situazione e finalmente, individuando le soluzioni più acconce, restituire alla città di Cagliari e al territorio regionale – alla più vasta utenza, compresa quella pubblica! – quel supporto che, come officina di cultura, la Camera di Commercio le ha assicurato per oltre un secolo.

 

 

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