I dolori ‘globalisti’ della Sadegna, di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA,  della Fondazione.

 

L’ultimo patema ci ha raggiunto avant’ieri: Moratti ha venduto il 10% delle azioni Saras e subito il titolo ha perso in borsa il 13% del suo valore. Il mercato dei titoli teme l’uscita dall’azienda della famiglia ‘fondatrice’. Noi, i sardi, i cagliaritani soprattutto, dovrebbero temerlo ancora di più. La Saras, società multinazionale, con i suoi conti ‘invade’ – di contraddizioni soprattutto, perché vari motivi ci porterebbero a non considerarla ‘impresa sarda’ – il nostro PIL. Sono stati i suoi bilanci, interpretati furbescamente come ‘prodotto sardo’, a farci uscire in un momento delicato dall’obiettivo 1 europeo e tutt’ora restano un elemento di confusione nel definire ‘la loro’ una ‘nostra’ ricchezza. Saras è una presenza apparentemente invisibile, eppure performante di quello che ancora oggi costituisce la Cagliari economica. La Confindustria sarda non reggerebbe una propria struttura senza il sostanzioso contributo della fabbrica dei Moratti. Saras consente la continuità di alcune aziende locali di impiantistica e manutenzione. Saras contribuisce (in ritardo e non come dovrebbe) al reddoto da tassazione. Saras è la storia del calcio sardo, quando finanziava il Cagliari di Gigi Riva. Ed infine – ma andrebbe messo all’inizio – la famiglia Moratti ha avuto e mantenuto uno stile di rapporti di ‘signorilità’ nei confronti della società sarda che, raffrontata soprattutto alle voglie di ‘vicerè ‘ di Nino Rovelli, le ha consentito una presenza locale molto soft e, quindi, accettata e apprezzata dal contesto sociale e politico.

Con la crisi del management o il cambio di proprietà (pensate solo a come la situazione potrebbe cambiare se prevalessero russi o asiatici…): il clima economico cagliaritano non sarebbe, comunque, più lo stesso.

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‘Vino, olio, bottarga, conserva di pomodoro, formaggio e pane carasau. Ma anche panadas e pasta tradizionale della Sardegna. Sono le ‘eccellenze’ agroalimentari sarde che ‘si preparano a sbarcare sui mercati dell’Est Europa’ (L’U.S. 6 sett. Pag. 16), la settimana prossima. Ma già formaggi e vino sono presenti in questi giorni a Londra. Prodotti insufficienti a coprire neanche la metà del mercato locale vengono presentati capaci di invadere il mondo da parte delle Agenzie regionali che ad essi debbono un’esistenza fatta di pingui stipendi e piacevoli trasferte  all’estero.

Lo si noti, si tratta più o meno degli stessi prodotti che giustificavano  i viaggi delle navicelle nuragiche o che scambiavamo con fenici e punici in cambio dei prodotti di lusso provenienti dall’Egitto o dalla Mezzaluna fertile. Mancano, in realtà, il cuoio ed i minerali: il primo arriva ora a navi piene dall’Argentina, mentre il secondo ce lo siamo fatti ‘rubare’ dagli stranieri.

Ultimo, solo qualche decennio fa, l’oro di Furtei, con gli Australiani aiutati da alcuni professionisti cagliaritani. Solo alcuni anni fa, con la collina sventrata e avvelenata dal cianuro, a qualche decina di chilometri da Cagliari. Vi consta che qualcuno ci abbia riflettuto, fatto un convegno più istruttivo di qualsiasi manifesto indipendentista? O costruito dei paralleli con il furto dei minerali del Sulcis che lascia l’amaro in bocca anche per la cecità/debolezza della locale classe operaia e sindacale? A Furtei, solo qualche decennio fa…

Ma: come riusciremo a giustificarci, di fronte alla storia che ci giudicherà, noi di questa generazione? Addirittura, a dei responsabili di quella vicenda, è stata consentita una carriera politica. E non sappiamo quanti la magistratura abbia già mandato in galera. Perché i danni compiuti contro i Sardi non trovano una giustizia?

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Mercoledì 5 u.s. L’Unione S. ha aperto la prima pagina con il titolo: “Cina, shopping nell’Isola”, dedicandogli le prime due pagini delle inchieste. I contatti con la Regione vanno avanti da tempo, tanto  da essersene interessato il leader massimo della Repubblica Popolare, che ha fatto tappa da noi l’inverno scorso ed ha incontrato il Presidente regionale ed il suo vice. L’avevamo registrato con interrogativi e preoccupazione  questi ‘dona ferentes’. Anche perché venivano richiamate i soliti ‘vino, olio, bottarga, conserva di pomodoro, formaggio e pane carasau. Ma anche panadas e pasta tradizionale della Sardegna’. Ovviamente con il sotteso progetto che tutte le pianure, le colline, gli altipiani, i monti della Sardegna avrebbero ospitato i sardi proveniente dai villaggi e dalle città, riconvertiti in agricoltori ed allevatori, per inondare dei loro prodotti l’immenso mercato dell’Estremo Oriente. Spostando  finalmente dai loro uffici di Cagliari anche gli uomini delle Agenzie.

In cambio di cosa? Investimenti. Prima di tutto acquisti di beni dismessi dallo Stato (ex-ospedale militare ed ex-arsenale de La Maddalena, Club Med di Caprera, Foresta Burgos) e insediamenti turistici a Golfo Aranci e Loiri P. S. Paolo, al Nord. Poi ci sarebbe in vendita l’aeroporto di Cagliari, il vecchio e il nuovo ospedale marino, la Caserma Ederle e altri edifici militari a Calamosca, e poi una presenza egemone a Sardegna Ricerche di Pula. “Non lasciamoci sfuggire questa opportunità”, affermano imprenditori (nostri?) e amministratori. Come bambini entusiasti alla ricerca del giocattolo risolutivo, diamo e cerchiamo di vendere a chi ingenuamente crediamo interessato a risolvere i nostri problemi. Era già così al tempo delle prime miniere, delle cattedrali della petrolchimica, del grande turismo.

A questo proposito: cosa ne pensate dello scherzetto della chiusura del polo tecnologico di Maintenance (“Tramonta un progetto innovativo per l’Isola”, L’U.S. 6 settembre) che era stato decisivo nel consenso ‘prostrato’ offerto all’Emiro del Qatar? Chi ci guadagna dal turismo che si sviluppa in Sardegna? Nei trasporti? Nell’approvvigionamento agroalimentare? Nell’occupazione di qualità? Nel rapporto con la società locale?

La chiamano ‘globalizzazione subalterna e dipendente’. Ce lo raccontiamo da molto. Lo sappiamo in tanti, non solo gli specialisti. E allora?

Dagli esempi riportati si intuisce che non è solo la presente globalizzazione che ci crea dei problemi. Sì, è così. Ogni globalizzazione è al servizio di una potenza dominante. Gli USA continuano a battersi per guidare quella presente (per quanto?), ma ‘la Cina è vicina’. Domani, fose, i giornali della città-stato di Cagliari vanteranno di esserne stata l’antesignana e prima ospite. Sempre nella linea fenicio-punica, romana, vandala, pisana, catalana, castigliana, piemontese, italiana?

Cagliari, 9 settembre 2018

 

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    1 Comment to “I dolori ‘globalisti’ della Sadegna, di Salvatore Cubeddu”

    1. By bruno filippini, 10 settembre 2018 @ 09:12

      Mammamiatiarrori! leggendo l’articolo ce da aver paura per la nostra incapacità di autogovernarci e autodeterminarci, è sconfortante, ma è la realtà e dobbiamo farci i conti.