Scuola, specchio della società, di Daniele Madau. L’EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

 

Scrivendo per il sito della Fondazione Sardinia, non sembri piaggeria citare una relazione di un convegno del 1996, organizzato dalla stessa Fondazione, dedicato ad “Agostino di Ippona e le apocalissi dell’Occidente”.

Nell’introduzione agli atti, a firma dell’indimenticato Placido Cherchi, col suo stile unico, complesso e pregnante, venivano indicati gli indizi che accompagnavano la fine del ’900, tra i quali si segnalano, per l’evidente anticipazione dei tempi, i cambiamenti climatici e lo disfacimento dei rapporti umani.

In questi anni di post-apocalisse di cambio millennio, tuttavia, ritroviamo gli stessi indizi, ai quali va aggiunto anche l’atteggiamento nei confronti della scuola, che comincio a indicare come ambivalente, per i motivi che spiegherò un poco più avanti.

In riferimento all’istruzione, questa fine d’anno scolastico è connotata da elementi di notevole rilievo, a livello nazionale e a livello regionale.

A livello nazionale registriamo il cambio al vertice del ministero, per ora abbastanza sottotraccia – anche se è di questi giorni l’annuncio dell’abbandono della “chiamata diretta” -, e le immancabili problematiche derivanti dallo stratificarsi del precariato: palla al piede del passato, del presente e del futuro del nostro sistema scolastico, miope e avviluppato su se stesso come tanti altri sistemi italiani, e per questo fedele specchio del Paese.

A livello sardo, invece, dati di metà giugno riportati da una delle maggiori testate regionali, parlano di un undici per cento di respinti nelle classi della nostra isola – il dato peggiore in Italia – , a cui si deve aggiungere il dato sull’abbandono scolastico che, da circa cinque anni, si assesta sul venti per cento.

Sono dati drammatici, che appuro quotidianamente coi miei occhi di docente, intellegibili ma allo stesso tempo sfuggenti, perchè non sembrano trovare un argine al loro continuo ingrossarsi, come un’onda pronta a sfondare le paratie.

La Regione, a cui si deve riconsocere una certa attenzione verso il problema, ha attivato il progetto “Iscola”, strutturato, tra le altre cose, in ore extracurricolari rivolte agli studenti a rischio di abbandono, nelle materie più importanti, in genere Italiano e Matematica.

Come ci si può accorgere, questa strategia, che può essere ammirevole per le risorse stanziate, dimostra da subito il vizio di forma di non essere strutturale e quindi frammentaria, occasionale e alla mercè di ogni governo regionale.

La scuola è lo specchio della Sardegna: tanto l’uno quanto l’altra dovrebbe rivedere, infatti,  la propria struttura.

Il discorso è, chiaramente, troppo ampio per essere affrontato qui solo lontanamente in maniera esaudiente ma ognuno di noi ha quasi l’obbligo di riflettere, se non altro per testimoniare la grandezza e l’importanza della cultura e dell’educazione.

Ho insegnato tanto nei licei quanto negli istituti professionali – in uno di questi ho la mia cattedra di titolarità – ho condiviso i corsi abilitanti e i concorsi con colleghi di tutta Italia e posso dire che i nostri docenti non sono nè più severi nè meno preparati degli altri.

Provando a riflettere sulle dinamiche delle due tipologie di percorso scolastico da me conosciute – liceo e istituto professionale – , non riportando dati ma avendo riscontrato tutto empiricamente, posso dire che uno dei problemi rigurda l’alto numero dei ragazzi iscritti ai professionali e il ridimensionamento forte dei licei.

Ho avuto bellissimi rapporti con gli studenti di entrambe le tipologie, ho insegnato sempre allo stesso modo e ciò che riporto credo sia un mera constatazione oggettiva: nei primi i ragazzi tendono a lasciare la scuola alle prime difficoltà, perchè gravati dalle ore di lavoro che già hanno, perchè magari convinti che nell’immediato sia più utile dedicarsi alla ricerca di lavoro o, semplicemente, perchè la famiglia non può permettersi tasse di iscrizione e libri nè ha sperimentato nella propria vita l’importanza dell’istruzione.

I secondi raramente abbandonano prima della fine d’anno e, sostanzialmente, neanche dopo una bocciatura.

Inoltre, in una regione con tante famiglie a rischio povertà, i professionali, spesso, sono una necessità che gli studenti subiscono da parte delle famiglie che vogliono instradarli in un percorso con immediato sbocco lavorativo.

Ho sperimentato, però, anche un qualcosa di bello e quasi commovente: se seguiti personalmente, i ragazzi in difficoltà  e le famiglie possono resistere.

Le condizione ineludibili perchè questo si attui nel maggior numero di casi possibili sono, però, due: che la nostra Regione non chiuda gli occhi e affronti in maniera strutturale questo dramma, che tante ricadute avrà sul futuro di noi tutti e che attui l’articolo cinque dello Statuto, che così recita:  “Salva la competenza prevista nei due precedenti articoli, la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie:  a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi”.

E’ foriero di speranza il fatto che il primo punto, il punto “a”, sia dedicato proprio alla scuola, perciò, pragmaticamente, indico alcuni aspetti  su cui la Regione dovrebbe agire nell’ambito della sua autonomia: stanziare risorse per far sì che sia sempre presente in classe un docente aggiuntivo, o un pedagogista, professionista nella mediazione, nelle zone a maggior rischio dispersione; invertire la tendenza attuale di taglio dei fondi e di chiusura degli istituti nelle zone a rischio spopolamento; diminuire il numero degli studenti per classe, affinchè siano seguiti in maniera più efficace.

La Regione, in base allo stesso principio, potrebbe agire, poi, declinando e adattando le ore curricolari alle necessità del territorio, raccontandone anche la storia, la lingua, le ricchezze culturali, soprattutto dopo l’approvazione del recentissimo testo sulla lingua sarda.

Questa sarà la nuova sfida, da affiancare a quella, irrinunciabile, di impedire a un ragazzo sardo su quattro di abbandonare gli studi.

Resta ora da chiarire l’ambivalenza di cui si scriveva nell’incipit, presentata come segno di una paradossale apocalisse post-apocalittica.

Mi si perdonerà il punto di vista coinvolto se emergerà dai toni usati – cercando, tuttavia, di restare nell’obiettività richiesta a un intervento scritto – ma con un minimo sforzo di riflessione si paleserà chiaramente come oggi tutti quelli che erano gli agenti coinvolti nell’educazione dei ragazzi tendano in maniera sfacciata (mi piace pensare l’espressione sarda a facci manna) a delegare tutto l’onere educativo alla scuola (famiglia, vicinato, televisione e stampa, società civile in generale. Tralascio la Chiesa e le associazioni sportive, ancore coinvolte, in gran parte, nella onorevole e dignitosa amorevole passione dell’educazione). Mi scuso ma, per me, è qualcosa di veramente indisponente e inverosimile ascoltare, anche dalla bocca di autorevoli opinionisti, come la scuola debba, in ordine sparso, trasmettere contenuti – coinvolgendo e facendo innamorare della cultura i ragazzi -, insegnar loro l’educazione e le regole del vivere civile, compreso l’uso corretto dei social e delle nuove tecnologie, informare ed educare su tutto ciò che riguarda la salute della persona e le questioni morali e bioetiche, evitare devianze, abbandoni, dipendenze. Davvero: grazie ma non siamo capaci, da soli, di tutto questo, siamo uomini e donne anche noi!

Eppure molti dei colleghi che incontro ogni giorno credono e tendono a ciò, sovracaricandosi, sovraesponendosi, sostituendosi a chi, meschinamente e prosaicamente, si nasconde e a chi è davvero cieco.

Lo fa accettando l’ormai celebre stipendio umiliante, non, però, per chi lo riceve ma per chi lo eroga, con dignità, e accettando di rischiare il vilipendio, la canzonatura – anzi, la vera e propria “presa in giro” –  magari anche in forma digitale, nel video girato in classe e diffuso via social.

Lo fa: è sempre amore, coi suoi misteri e le sue ricompense.

Questo è il primo aspetto dell’ambivalenza, il fronte non speculare ma asimmetrico di un retro che vede le famiglie – a cui costituzionalmente spetterebbe l’educazione dei figli – svilire, come ormai i mass media ci mostrano con dovizia, i docenti, quasi accompagnati, se non altro per ignavia e indolenza, da tutti gli altri agenti sopra indicati.

Eccolo il paradosso, talmente lampante e accecante da non essere visto: da una parte iper-responsabilizzati, dall’altra vilipesi, al grido delle facili accuse fondate sui tre mesi di ferie e le diciotto ore settimanali.

Credo di essere stato chiaro sino alla ridondanza ma aggiungo un ultimo concetto, per così dire, espressionistico: chi si ricorda come venivano puniti i traditori, ad esempio, nella saga di Orlando? Ricordate Gano di Magonza? Squartati, a causa di forze contrapposte, in genere cavalli, che spingevano in direzioni opposte ognuna delle due gambe ad essi legate.

Ugualmente, un amico frate mi diceva da ragazzo: «non puoi amare contemporaneamente due ragazze, essere spinto in due direzioni diverse, ti scoscias».

Il rischio è che, oppressa da queste due opposte spade di Damocle, la scuola italiana crolli divisa e abdichi: l’unico vantaggio, allora, sarà che non fornirà più alibi a nessuno.

 

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    1 Comment to “Scuola, specchio della società, di Daniele Madau. L’EDITORIALE DELLA FONDAZIONE”

    1. By Mario Pudhu, 1 luglio 2018 @ 05:57

      Interessante meda cust’artículu e chie l’at iscritu (mi tiat piàghere de lu connòschere!)
      S’iscola… iscola assurda e infame, no solu in Sardigna ma inoghe peus puru.
      Comente podet èssere unu sistema ‘educativu’ ‘teoria’ e pràtiga de donzi dipendhéntzia e peus peus in d-una realtade de dipendhéntzia colonialista coment’est sa Sardigna?
      Comente e ite podet èssere s’iscola in d-una ‘economia’ chi tenet bisonzu de disocupados chi no depent fàghere nudha e los produit (‘format’!) che a sas merces chi ponet in totu sas paradas de su mercadu ca sas pessones etotu sunt furriadas a merce?
      Ite e comente podet èssere s’iscola in d-una economia assurda (cun totu sos “comitati d’affari’ chi li daent assisténtzia), economia de gherra (primos bombardados sas criaduras creschindhe, disocupados, mortos de fàmine e umiliados a bisonzu e poberesa ma imbriagados a donzi consumismu)?
      Comente podet èssere cust’iscola in dunu logu chentza guvernu comente est sa Sardigna de séculos e unu “Comitadedhu de afàrios” tapabbucchi comente est sa RAS?
      Cust’iscola, pro nàrrere solu de su puntu de vista de una genérica e generale cultura, at diplomadu e laureadu a nois Sardos a ignorantes chi no ischimus mancu chie semus, ite semus, e ne inue istamus, si no amus àpidu docentes (ma ‘figli degeneri’ de cust’iscola assurda e maca si si ant postu sa manu in sa cusséntzia) o no amus tentu s’intiga (tio nàrrere sa fortuna) de abbèrrere sos ogros fuliendhe donzi presuntzione fabbricada in cust’iscola e in sa dipendhéntzia chi connoschimus de séculos.
      Ite faghimus?
      Primu puntu frimmu: babbos e mamas e no babbos e mamas, docentes e no docentes, políticos e amministradores e no políticos e amministradores, intelletuales e no iintelletuales, e gai donzi àtera pessone, SA RESPONSABBILIDADE DE SU CHI FAGHIMUS E FINTZAS DE SU CHI NO FAGHIMUS MA PODIMUS E DEPIMUS FÀGHERE NOIS LA TENIMUS NOIS (o semus buratinos, mascaredhas?) e tandho depimus cumprèndhere ite e comente podimus e depimus cambiare ca custa est sa libbertade e responsabbilidade personale chi nos faghet a zente.
      A sa chistione de s’iscola bi faghent atentzione (sos chi ‘guvernant’) “a tempo perso”, antzis a tempus de pèrdere e a “scarica barile” chentza mai su chi bi cheret pro una istitutzione e funtzione prus dignitosa e netzessària de s’allevamentu de sos cadhos e de àteru bestiàmine.
      Ite faghimus? Goi carchi articuledhu a bisura de “facebbucu” a corpos de “mi piace” “non mi piace”?
      Ite totu podimus e depimus fàghere, chentza ispetare sa ‘rivolutzione’, como inoghe? Sa cosa prus apretosa e immediata la tio pònnere a sos Docentes (ma solu ca no podimus pessare a unu “Congresso del popolo sardo” pro fàghere a bídere chi no semus mortos ancora).