La storia trimillenaria di Cagliari in una conversazione di Paolo De Magistris con i ragazzi delle comunità di padre Salvatore Morittu, di Gianfranco Murtas

 

Ne ho accennato altre volte: nella mezza sera di sabato 12 novembre 1994, Paolo De Magistris – sindaco di Cagliari dal 1967 al 1970 e nuovamente dal 1984 al 1990, e studioso da una vita della storia sarda, e cagliaritana in particolare – teneva in una grande sala del caseggiato ex ENAOLI di Macchiareddu, una lezione sulla storia tre volte millenaria del capoluogo isolano a una settantina, forse più, di ragazzi impegnati nei programmi “di recupero” offerti dalle comunità di Mondo X Sardegna guidate dal francescano padre Salvatore Morittu.

Appuntai allora, e presentai quando detti alle stampe (in un modestissimo libricino per la diffusione amicale) lo sbobinato, alcune note di diario insieme di cronaca e immediata riflessione:

«De Magistris e i giovani. Dico i giovani in generale, non solo quelli della sua città. Egli impersona una vocazione, una naturale propensione pedagogica, che peraltro mantiene come soffocata, sempre e molto al di sotto delle possibilità ch’essa ha, in sé, di sfogo. Non si propone mai d’iniziativa, don Paolo. No, egli aspetta l’invito. Non per farsi prezioso; al contrario, per discrezione. E quando lo chiamano e negli anni, specie quand’era sindaco, spesse volte l’hanno chiamato, eccolo presentarsi alle scuole, ai bambini e a quelli più grandetti, oppure eccolo alla testa di un torpedone di turisti, ma anche di studenti: ed è capitato nel 1989 anche ai ragazzi delle Comunità di Mondo X- Sardegna. L’argomento preferito, quello di cui è specialista e non solo come divulgatore, ma anche come originale ricercatore, è Cagliari con la sua storia plurisecolare, con i suoi splendori e le sue cadute, con i suoi monumenti ch’egli – un po’ come il canonico Spano dell’Ottocento – sente precisamente come testimoni delle mille sedimentazioni di civiltà che il territorio entro l’antica cinta urbana ha conosciuto.

«Gli sovviene, in questo campo, la competenza – frutto di studi e forse prima ancora di passione – nella storia dell’arte, disciplina ch’egli riesce a rendere in mix alla storia sociale, ai quadri multiformi dello spirito pubblico che si sono sovrapposti nel tempo in questa città di mare che, proprio a motivo di questa sua caratteristica fisica, è luogo di confluenze e di accoglienza.

«È un uomo che appare sempre più avvolto, anzi assorbito nell’immaterialità di una modestia totale, quella che padre Morittu ha felicemente, e con competenza tutta sua, chiamato “francescana”…

«Accompagnato dallo stesso padre Morittu, ha girato in lungo e in largo, Paolo De Magistris, per gli spazi di lavoro e di ricreazione di Camp’e Luas, aspettando il suono della campana, il rintocco della convocazione, alle 17,30 in punto. Ha visitato, col suo ospite, il cantiere del teatro, la sala-mostra, alcuni locali delle officine-laboratori, ha visto i pollai e i recinti degli animali d’allevamento. L’incipit nella grande cappella, con quel Cristo straordinario che, esperto di dolori, tende le braccia al dolore degli uomini per il loro riscatto.

«La firma nel registro dei visitatori illustri, qualche veloce scambio con i ragazzi piuttosto intimiditi ma curiosi di conoscere. Oltre un’ora di lezione, in un linguaggio semplice, molto accessibile, discorsivo, e poi il botta-e-risposta con i comunitari. Ad altre domande – taluna gli ha pure imposto di documentarsi con studi supplementari – ha risposto successivamente, per iscritto…».

Il testo che segue è lo sbobinato della registrazione del tanto donato da don Paolo ai ragazzi. Parlando a braccio, e lo si comprende facilmente. Più volte egli accenna al dato che può essere impreciso, tratto soltanto dalla memoria delle sue letture personali, dei suoi studi e girato, per immediatezza e spontaneità e gusto socializzante, a quel pubblico così interessato, o affettuosamente interessato ad ascoltare le parole del sempre sindaco.

 

C’erano una volta i fenici libanesi e i punici africani…

Io vi parlerò, nei limiti di quello che so, di quella che è la storia della evoluzione di Cagliari per cercare di arrivare a capire cos’è Cagliari oggi ed eventualmente approfondire, sempre nei limiti di quello che posso, questo aspetto dell’attualità nel dialogo che sorgesse alla fine della chiacchierata.

La storia umana è la storia delle strutture materiali di Cagliari ma come di qualunque altro luogo abitato, storia antica voglio dire, è la condizione, in un certo qual modo la forma, dell’assetto urbanistico, sociale, economico e culturale della città attuale. C’è una continuità senza di cui non si spiegherebbe il senso di ciò che vediamo oggi, anche se questa continuità, arrivando ai tempi più lontani, può apparire semplicemente un dato molto remoto e molto difficile da individuare, ma se mi è lecita l’immagine, direi che è un po’ il gene che è nell’uomo e che ha fatto l’uomo che però non vediamo, non sentiamo, non tocchiamo. Per esempio, per, entrare poi subito in questo rapido excursus storico, quanto ha influito sulla forma urbana della Cagliari di oggi il fatto che ne condiziona ancora il traffico e la struttura edificatoria? Pensate che cosa vuol dire che la via Roma è un po’ il cordone che regge tutto il traffico, tutta la vita di Cagliari; quanto ha influito su questo il fatto che potrebbe anche apparire, quando lo accennerò, accidentale e messo lì senza prospettive di sviluppi, che a un certo punto i pisani hanno edificato il loro quartiere sul colle più alto di Cagliari, con le successive gemmazioni dei quartieri di Marina, di Stampace e di Villanova. Dietro il fatto materiale, che è l’edificazione e il suo tendere al mare, scopriamo già che c’è un fatto economico. I pisani erano mercanti, quindi avevano bisogno di arrivare agevolmente agli approdi. Di qui la costruzione del quartiere di Marina. Avevano delle esigenze di vita per cui avevano bisogno di agricoltori e di artigiani al loro servizio. I primi a Villanova, i secondi a Stampace ed ecco che nasce la città che come si sa è tale non per il numero degli abitanti. La Puglia, per esempio, aveva dei comuni rurali di 70.000, 80.000 abitanti, ed erano però paesi rurali… la città è tale quando e integrata da una pluralità di vocazioni, di mestieri, di posizioni culturali ecc. E cosi e nata l’attuale città di Cagliari che è nata come città commerciale nella sua storia dal XIII sec. in poi ricuperando però una dimensione, una struttura, una fisionomia che aveva già avuto per lo meno a partire dal X sec. a.C. quando questo abitato di cui bene non so dirvi né le dimensioni né la natura, né la struttura, attirò l’interesse dei fenici che vi fecero uno dei loro punti di approdo, allorché la navigazione si svolgeva in genere solo di mattina. Non navigavano di notte perché non avevano strumenti che glielo consentissero e quindi avevano bisogno di approdi molto ravvicinati, per cui questi arditissimi navigatori marinai che erano i fenici che dalla Palestina, dal Libano arrivavano fino alla Spagna, attraversando longitudinalmente il Mediterraneo avevano bisogno di queste stazioni in cui ricoverarsi. Forse a voler cercare titoli di nobiltà, nell’antichità un accenno all’interesse e ai contatti dei fenici con la Sardegna e presumibilmente, data la posizione geografica, con Cagliari si trova addirittura nella Bibbia quando si parla di re di Tarsis e delle isole che mandano doni al Signore. Se Tarsis, come qualcuno identifica, è Tartesso in Spagna, che interessava molto i fenici per l’argento, allora è possibile pensare che le isole siano le grandi isole del Mediterraneo: la Sardegna, la Sicilia, Creta, Cipro che consentivano appunto di spezzare il viaggio.

Certamente la Sardegna ha avuto dei contatti già nel secondo millennio con i popoli più attivi in quel momento: i cretesi, i micenei, i greci. Il ritrovamento archeologico di manufatti che riportano alla civiltà micenea, alla civiltà addirittura in qualche caso anatolica: il culto della Gran Madre, la Madre Mediterranea così detta. I greci si sa che avevano, se non proprio delle colonie, ma comunque di punti di appoggio in Sardegna, ma appunto ripeto sono i fenici che ci fanno entrare nella storia a partire dal X sec. a.C. La presenza dei fenici è documentata dai resti archeologici, dai ritrovamenti archeologici. Forse o senza forse è documentata dal nome stesso della città. Cagliari è la spagnolizzazione di Caglier che ha preso il posto di una Calaris, che ha preso il posto di una Karalis, che consente di arrivare a un primo nome chiaramente, secondo i glottologi, semitico Kar-el, che vorrebbe dire “altura o rocca del Dio”.

Si sa che in Sardegna sono state ritrovate delle iscrizioni, dei manufatti fenici anche molto importanti e la presenza fenicia, probabilmente per due o tre secoli limitata proprio all’interesse mercantile, al traffico della navigazione, è diventata corposa, solida e stabile quando Cartagine ha preso il posto di Tiro e Sidone nel bacino mediterraneo occidentale. Intorno al VI sec. a.C. la Sardegna è entrata sotto l’influenza di Cartagine, che è durata almeno per circa quattro secoli da un punto di vista che direi politico, cioè fino a quando i Romani hanno poi occupato, ma che ha avuto delle influenze culturali assai più tarde, tanto che si sono trovate monete cartaginesi di conio recente addirittura alle soglie dell’Era Cristiana.

Si conservarono alcuni nomi delle magistrature, ci fu poi una resistenza, una ribellione sardo-punica contro i romani: il famoso eroe Amsicora… Io non sono in grado di dire, ma la questione non è risolta, se Cagliari sia stata il più importante degli insediamenti fenicio-cartaginesi. Certamente era molto importante e lo testimoniano i resti, tutto quello che è stato trovato nella necropoli di Tuvixeddu, di notevoli dimensioni: i corredi funerari che dimostrano come eravamo stati immessi nel circuito internazionale dei traffici, le presenze per esempio di oggetti egiziani trovati nelle tombe di Cagliari, o comunque egittizzanti, cioè seguenti la moda egiziana. Dei resti ancora visibili: alla Cittadella dei Musei c’è una cisterna che è cartaginese. Se si guarda l’anfiteatro romano, forse si nota una specie di spaccatura nella parte più alta verso il viale del Buoncammino che potrebbe essere il resto di una via che metteva in comunicazione l’attuale Castello con la zona dove invece si estendeva la città cartaginese che sono le rive dello stagno di Santa Gilla.

Arrivarono i romani e ci restarono settecento anni…

La Sardegna è stata addirittura causa o concausa della seconda guerra punica in cui Roma cercava di fermare la potenza e l’influenza di Cartagine nel Mediterraneo e appunto ha determinato, nel 238-236 a.C., il passaggio della Sardegna sotto l’influenza di Roma, sotto il dominio di Roma. Presenza e dominio che sono durati circa sei secoli e che hanno lasciato un influsso enorme nella struttura urbana, nella lingua, in tutto l’orientamento culturale, anche se i romani non è che avessero un gran concetto dei sardi, ma comunque la presenza romana ci ha sicuramente indirizzato in quella che è stata poi l’evoluzione naturale, diciamo così, della nostra storia. Molte presenze archeologiche dimostrano appunto lo sviluppo che Cagliari prese sotto i romani.

Probabilmente la città era composta di più agglomerati e questo spiegherebbe il fatto che, qualche volta, il nome di Cagliari si trova al plurale Carales, così come quando si studiava il latino al ginnasio ci facevano notare questa singolarità dei nomi plurali di città, di Siracusa, di Atene, Siracusae Siracusarum, Athenae Athenarum, ecc. Effettivamente presenze romane si trovano distribuite un po’ in tutto quello che è l’attuale tessuto urbano di Cagliari. Per farla breve, andiamo da San Saturno, dal colle di Bonaria fino a Sant’Avendrace, Fangario e Tuvixeddu, trovando presenze in viale Regina Margherita, in piazza Yenne, in Castello, in via Malta, in viale Trieste, ecc. Gli studiosi individuano alcune significative strutture, per esempio fra Sant’Anna e Santa Restituta sarebbe esistito il Municipium. In via XX Settembre la Fullonica, cioè la lavanderia. Un teatro e tempio in via Malta, dietro il palazzo delle poste. Terme in viale Trieste, in Sant’Agostino, in via Baylle.

Voi sapete che i romani avevano la mania delle terme; Mesu Mundu è una testimonianza. Si parla di un “vicus munitum” fra via Lanusei e via Sonnino. Vi ho già ricordato San Saturno con l’area cimiteriale. Presenza romana che, ripeto, ha avuto una notevolissima incidenza culturale, nella struttura della nostra lingua, al di là di certe rivendicazioni molto autonomistiche, che è un dialetto derivato dal latino, anche se poi vedremo che avrà capacità di assorbire altri apporti ma sempre nell’ambito delle lingue romanze. Così in tutta quella che è stata la struttura edilizia, nei costumi, nella religione, che ha reso possibile anche le ulteriori evoluzioni.

Se è credibile come certi fatti portano a credere che il cristianesimo sia arrivato in Sardegna e a Cagliari già nel I sec. d.C., una tradizione vuole che San Paolo abbia predicato a Cagliari facendo tappa nel suo viaggio verso la Spagna, che è accennato da San Paolo in una delle sue lettere. Avrebbe predicato in una località che è individuabile nell’ingresso del cimitero di Bonaria, dove adesso hanno edificato quell’orribile cubo di cemento e dove in epoca successiva è stata edificata una chiesa, Santa Maria de Portu Gruttae che è stata benedettina, è stata francescana, anzi forse la prima chiesa francescana di Cagliari e poi avendo cambiato nome è diventata San Bardilio, appartenuta all’ordine dei trinitari, poi miserevolmente come altre chiese, altre strutture, decaduta, praticamente non ce n’è più traccia. Allora se è vero come questi fatti portano a credere o a pensare o legittimano ad esprimere il desiderio che siano, ciò si deve al fatto, appunto, che eravamo nel circuito romano: si sa che in Sardegna i romani avevano deportato gli ebrei delle colonie ebree ed è quindi molto facile che i contatti fra ebrei abbiano favorito anche l’arrivo del Cristianesimo. C’è una frase terribile che riguarda l’esilio degli ebrei in Sardegna, lo storico che la riporta dice: «…e se a causa delle intemperie del luogo e della cattiva aria ci morranno, poco danno». La Sardegna è stata luogo di esilio di personaggi famosi nella storia della Chiesa. C’è stato un papa, San Ponziano; c’è stato uno che poi sarebbe diventato papa, Callisto Il; c’è stato uno che è stato anche un contraltare dei papi, Ippolito, in esilio. Questa è un’ulteriore testimonianza del fatto che eravamo proprio integrati nella romanità.

Abbiamo avuto dei governatori più o meno zelanti e onesti che hanno trovato difesa, rispetto a quello che è stato per esempio il governatore della Sicilia. E Cagliari è stata un luogo dove si sono svolti molti fatti che entrano nella grande storia romana. Per esempio il conflitto fra Cesare e Pompeo. Cagliari parteggiava per Cesare e Solci parteggiava per Pompeo e ha avuto la peggio perché, avendo vinto Cesare, ne ha subito le conseguenze. Presenza romana che è andata avanti finché è stato in piedi l’Impero Romano. Quando è decaduto l’Impero Romano le conseguenze le ha subite anche Cagliari. Perché sia pure per breve tempo Cagliari e una parte della Sardegna hanno avuto una presenza vandala.

Nella stagione bizantina, all’origine dei quattro giudicati

Con la divisione però dell’Impero fra Impero d’Occidente e Impero d’Oriente, la Sardegna toccò all’influenza dell’Impero d’Oriente. Tant’è che i bizantini si preoccuparono di conservarsi il dominio della Sardegna e cacciarono i vandali conservando un dominio effettivo sulla Sardegna ancora fino alla prima metà del VIII sec. d.C. Non sono molte le presenze bizantine a Cagliari per lo meno come documento archeologico, ma qualche cosa c’è per esempio nella chiesa di Sant’Agostino. Influenze bizantine però sono rimaste in diversi fatti rilevanti. Intanto nel culto; moltissimi dei santi che vengono venerati soprattutto nei paesi, in realtà sono santi del calendario orientale. In certe tradizioni, ne cito una perché sto già allungando troppo, il sacerdote che una volta il sabato santo dopo il tocco di gloria, adesso nei giorni successivi alla Pasqua, passa in giro a benedire le case, a Cagliari viene chiamato “su mangiamoi”, non so se sappiate questo termine che ormai sta sparendo. Si dice, e lo dicono autori che io rispetto, perché non è farina del mio sacco, che “mangiamoi” non sia altro che la corruzione di una parola greca, “aghiasmos”, parte di una rubrica liturgica. “Aghiasmos” vuol dire santo, aghias santo, della santità, e effettivamente a Iglesias dove si è conservata pure questa tradizione, i chierichetti, che accompagnavano il sacerdote a benedire portando il secchiello, cantano una filastrocca: «Chifanè, chilissò su soddu a sa carcida». Anche queste parole fanno parte di quella rubrica liturgica. “Chilissò” sarebbe corruzione di “acoluttìa” e “chifanè” sarebbe corruzione di “epifanon” o di “teofanon”, festa della rivelazione della santità di Dio. Rimasero i bizantini nella struttura istituzionale.

I giudici, che poi divennero i capi dei quattro giudicati della Sardegna, derivano dalla presenza di funzionari bizantini: il funzionario arconte, duca, protospatario, attribuzioni civili e attribuzioni militari. Quando per la presenza degli arabi nel Mediterraneo i rapporti fra la Sardegna e l’impero di Bisanzio si sono per forza attenuati, essi sono rimasti soli e lentamente si sono trasformati in autorità autonome, diventando poi giudici, prima a Cagliari e poi via via, la successione non la ricordo, ma comunque Torres, Gallura, Arborea.

Gli arabi non hanno mai posseduto se non per brevissimo tempo tra il X e il XI sec., le date prendetele tutte con un po’ di approssimazione perché la memoria non sempre funziona, facevano delle scorrerie in Sardegna, ma non hanno mai occupato, salvo quella breve eccezione, la Sardegna, come invece hanno occupato la Sicilia, il nord Africa, la Spagna e però hanno inciso anche loro con fatti significativi. Anche qui vi dico quello che è appunto il fatto più significativo: hanno venduto ai Longobardi il corpo di Sant’Agostino. Come era arrivato a Cagliari il corpo di Sant’Agostino? I vandali che avevano conquistato il nord Africa e che lungo il loro lunghissimo viaggio erano diventati cristiani, ma ariani, hanno esiliato i vescovi cattolici dal nord Africa. Un gruppo di questi vescovi è finito a Cagliari guidati da San Fulgenzio vescovo di Ruspe, hanno portato con sé il corpo di Sant’Agostino che non volevano lasciare ai vandali e ai vescovi ariani. Il corpo di Sant’Agostino è rimasto a Cagliari circa due secoli fino a quando gli arabi lo avrebbero venduto ai Longobardi che lo hanno trasportato a Pavia dove costruivano la loro capitale e volevano quindi anche un prestigio di natura religiosa. Ma appunto nel XI sec. i primi venti-trent’anni c’è stato questo breve regno arabo soprattutto nel nord della Sardegna

Torniamo ai funzionari bizantini trasformati in giudici. La città di Cagliari era ancora quella che avevano edificato i cartaginesi e poi abitato i romani anche se nel frattempo si era estesa e si sviluppava lungo le rive dello stagno di Santa Gilla o Santa Igia. Così si è andati avanti fino alla metà del XI sec quando proprio per paura degli arabi il papa che aveva anche una preoccupazione di ordine religioso, che accennerò brevissimamente, mise la Sardegna in mano ai pisani e ai genovesi per difenderla militarmente dalle incursioni arabe. Mise la Sardegna in mano ai monaci benedettini per favorire il trapasso dal permanere della grecità nella Chiesa sarda, verso la romanità della Chiesa cattolica. Grande evento sul piano religioso perché l’azione della presenza dei benedettini è stata immensa come portatrice di civiltà oltre che come fatto religioso in sé. Fatto molto importante dal punto di vista della storia civile, perché questi primi nuclei, pisani e genovesi incaricati della difesa pian piano si sono trasformati in padroni della Sardegna In parte per via di matrimoni.

Le famiglie aristocratiche pisane si sono imparentate con le famiglie aristocratiche dei giudici sardi e per esempio già a metà del XII sec. i pisani, o meglio dire Pisa, il comune, le chiese, le istituzioni, ricevettero grandiose donazioni di chiese, di salti, di ville, di uomini da parte dei sardi, favorendo quindi il radicarsi, l’estendersi e il penetrare del loro dominio. Tanto la presenza pisana era diventata così cospicua a Cagliari che hanno avuto bisogno di costruirsi un quartiere per loro e, profittando del fatto che in quel momento sul trono giudicale sedeva una donna, Benedetta, che in realtà era ormai una pisana, per famiglia, per intrecci familiari, hanno ottenuto la concessione di quello che noi oggi chiamiamo Castello, il colle di Castello. Lì hanno edificato le loro case, lì hanno edificato i loro magazzeni, le loro strutture commerciali, lì hanno edificato la loro chiesa, Santa Maria, diventata poi la cattedrale di Cagliari a seguito di un evento che accennerò brevissimamente.

Il governo passa quindi in realtà in mano ai pisani e Cagliari diventa un comune governato con le leggi del comune pisano. Dobbiamo ai benedettini, ai pisani e ai genovesi l’arrivo in Sardegna dell’architettura romanica, sia nella versione italiana romanico-toscana, sia nella versione francese, quella portata dai monaci di San Vittore di Marsiglia. Chiese vittorine ne esistono tuttora alcune a Cagliari, San Saturno che ho già ricordato prima, anche se il nucleo originario era romano o tardo romano; la chiesetta di San Lorenzo su in Castello e poi forse anche qualche altro residuo qua e là. Quartiere pisano interdetto ai sardi; ci potevano entrare soltanto di mattina per lavoro, per prestare servizi. Sennonché a un certo punto, si riaccendono le lotte tra Pisa e Genova che si contendevano il dominio sull’intera Sardegna e vittima di questo riaccendersi della guerra è la città di Santa Igia, che viene distrutta, incendiata, diroccata fino ad essere sostanzialmente sparita, anche se pare che fino al secolo scorso qualche residuo restasse e se il prof. Casula ritiene che ancora sia individuabile qualche residuo.

Fra i pisani e gli aragonesi, i nuovi padroni

Che cosa avviene? I poveracci hanno cercato di aggiustarsi un po’ qui, un po’ là e probabilmente l’attuale, non nell’attuale fisionomia, borgo di Sant’Avendrace è proprio il residuo della popolazione più umile della Cagliari distrutta. Le classi elevate, quelle che avevano già relazioni di amicizia e di potere con i pisani, sono state ospitate nel quartiere di Castello. Vi si è trasferita la cattedrale, vi si è trasferito il vescovo tanto che si è finito per identificare Castello con Cagliari e Cagliari con Castello. Chi di voi è cagliaritano sa benissimo che in dialetto cagliaritano e in una parte dei dialetti sardi non esiste la parola Cagliari; il nome della città è Casteddu. Il cagliaritano è casteddaiu proprio per questa identificazione della città con il quartiere di Castello.

Ma anche per i pisani i tempi ormai erano contati. A metà del secolo hanno forse una loro originaria chiesa che è diventata la cattedrale nelle forme ancora percepibili per chi guarda le porte laterali, è una struttura romanica. Eventi successivi l’hanno poi trasformata. Ma nel 1297 avviene un fatto molto importante Bonifacio VIII – i papi esercitavano un’alta sovranità sulla Sardegna, per ragioni di ordine politico che adesso è inutile rievocare – chiama gli aragonesi, i catalani, che erano una nazione che stava emergendo con un rango di potenza in quegli anni e che aveva il vantaggio di essere terza, diciamo così, rispetto agli imperiali o ai Comuni molto vivaci dell’Italia settentrionale, e agli angioini dell’Italia meridionale. La Sardegna diventa feudo della Catalogna e della corona di Aragona.

I pisani hanno dovuto cominciare a pensare che stava per scoccare il termine del loro possesso e hanno deciso di difendersi per quanto fosse stato loro possibile e in fretta e furia hanno fortificato Cagliari. Nel frattempo da Castello erano gemmati, come vi ho anticipato, i quartieri di Villanova, di Marina e di Stampace. Vi ricordo solo le torri; sono il residuo più cospicuo, quasi la caratteristica identificatrice di Cagliari, che risalgono proprio a questa fretta pisana tra la fine del XIII sec. e l’inizio, i primissimi anni del XIV sec. per difendere il loro centro principale di presenza e di interessi.

In effetti l’Aragona, nel frattempo, stava pensando ad altro e la presa di possesso della Sardegna rispetto all’infeudazione ha tardato di ventitré anni circa. Gli aragonesi dopo un primo sbarco nelle coste della Sardegna sud-occidentale, diciamo la marina di Iglesias, golfo di Palmas, sono sbarcati a Cagliari, anche qui mi fido della memoria e quindi non ci giuro, nel 1320, o forse un po’ più tardi, ma comunque siamo lì, negli anni Venti del 1300. Una grossa spedizione guidata dall’infante Alfonso si accampa dove adesso sorge la chiesa di Bonaria, dove costruiscono una cittadella. Ne è rimasto solo un piccolissimo residuo: il campanile del santuario di Bonaria è una torre della cittadella aragonese. Da lì mettono l’assedio al Castello. Nel 1326 la spuntano e i pisani sono costretti a lasciare il Castello e Cagliari diventa aragonese con una storia che durerà ancora per secoli e che avrà un’influenza fondamentale, profondissima sulle nostre vicende: nella lingua, nei costumi, nelle usanze, nell’architettura, nell’arte. I catalani, per esempio, ci portano il loro gotico, nel frattempo arriva anche il gotico francescano. Ci portano il loro gotico caratteristico, visibile in San Domenico, nel chiostro, non visibile nella chiesa di San Francesco di Stampace, malauguratamente distrutta, visibile qua e là: nella chiesa della Purissima, nella chiesa di Bonaria, soprattutto nell’arco che collega il santuario alla basilica e che sarà così caratteristico per lunghi secoli, tanto che a Cagliari si continuerà a costruire in stile gotico, a metà del XVI sec., quando in Italia sta già tramontando il rinascimento e stanno arrivando i nuovi stili che peraltro arriveranno anche in Sardegna proprio con la mediazione spagnola. Si dice, io non le ho contate, che siano rimaste nel sardo soprattutto nel sardo campidanese e cagliaritano alcune migliaia di parole o locuzioni dico genericamente ispaniche adesso senza distinguere fra catalane e castigliane.

Un piccolissimo flash: le monache cappuccine tenevano il diario in spagnolo fino ai primi anni del 1800. Certi documenti del sindacato del quartiere di Marina sono redatti in spagnolo anche alcuni decenni dopo l’arrivo dei piemontesi e il Lamarmora racconta il famoso episodio di una contestazione mossa a un sindaco, siamo nel terzo-quarto decennio del 1800 e il sindaco che ritiene essere dalla parte del giusto, dice «Ricorrerò a Madrid». Non si era ancora accorto che Madrid non c’entrava più da centovent’anni. Quelli che noi chiamiamo “i dolci sardi”, candelaus, piricchittus sono eredità spagnola a loro volta avuta dagli arabi. Certi piatti di cucina nostrani sono spagnoli. I nomi dei mestieri, i nomi della tecnica costruttiva sono spagnoli ancora nel nostro dialetto. Le istituzioni – il parlamento, il comune, il regime feudale che durerà fino al 1837 mi pare – sono una struttura importata dai catalani. Tanto per ricordare alcune cose… chiese spagnole che non vi ho nominato: San Giacomo, Sant’Eulalia…

La Sardegna conosce delle vicende belliche gli Arborea, che sono quelli che hanno favorito l’arrivo degli Aragonesi e poi se ne sono pentiti sono passati dalla parte opposta, re Martino quello cui accennava Gianfranco Murtas prima giovane bellicoso re di Sicilia, ventenne all’incirca, disse «La riconquisto io la Sardegna». Sbarca con un corpo di spedizione, si prende la malaria, conquista il castello di Sanluri ma conquistando il castello di Sanluri becca la malaria e muore a Cagliari. Ecco perché c’e questo monumento in cattedrale. Nel 1469 Castiglia e Aragona, Castiglia e Catalogna si unificano per via di matrimonio Ferdinando e Isabella, re uno dell’Aragona e l’altra di Castiglia, si sposano e danno luogo a quella che poi diventerà la Spagna. Sul momento questo non ha molta influenza in Sardegna perché la lingua rimane la catalana. Ancora nel XVII sec si parlava il catalano anche se comincia a entrare lo spagnolo. Non nelle istituzioni. Continuano i parlamenti, le cortes, gli stamenti di struttura catalana ecc.

La scoperta dell’America produce però un perdita di importanza della Sardegna perché la politica spagnola non si limita più ad essere una politica mediterranea ma diventa una politica mondiale e quindi la Sardegna perde di importanza. Il processo quindi di spagnolizzazione è lento. Sarà però tenacissimo e, per alcune cose che vi ho già detto, permane ancora evidentissimo. Mi dicevano alcuni di aver sentito un autorevole spagnolo, il rettore del collegio di Spagna di Bologna, venuto a Cagliari per non so quale ragione dire «Ma questo è odore di Spagna!», l’odore della città. Portano il nuovo stile, il barocco, portano le usanze, quanto di spagnolo c’è ancora rimasto negli orari, adesso va bene siamo standardizzati… però fino al secondo dopoguerra i nostri orari erano di tipo spagnolo. Cenare tardissimo, vita protratta nella notte per quanto più era possibile.

La Sardegna, ho detto, diventa meno interessante per la Spagna, comunque svolge ancora una certa funzione tanto che il re Carlo V a un certo punto fa tappa ad Alghero e a Cagliari quando sta organizzando le spedizioni contro i regnicoli del nord Africa. Portano delle conseguenze politiche-religiose. Fino al 1721-1722, tanto per fare un esempio, i vescovi di Cagliari saranno esclusivamente spagnoli addirittura l’ultimo, mons. Carinena è rimasto, sia pure per poco quando già la Sardegna era diventata piemontese. Portano il barocco, portano la peste.

La potenza spagnola, fra cultura (e religione), traffici e peste

La Sardegna ha sempre conosciuto le pesti, sempre. Certamente però l’ultima, quella che ha più di altri inciso sulla nostra vita, ci arriva dalla Spagna. Un vascello partito da un porto spagnolo approda ad Alghero, offre una lauta mancia a chi avrebbe dovuto impedirgli di scaricare le merci, scarica le merci e con le merci arriva la peste che, dopo un girovagare di quattro anni, arriva a Cagliari dove fa strage. Questo ha inciso moltissimo perché ha inciso demograficamente ma ha inciso nella vita. Il dopo peste è stato una specie di tentativo di rivincita della vita sulla morte. Grandi costruzioni barocche, il rifacimento della cattedrale che ha assunto la fisionomia attuale, la chiesa di San Michele, tante forme di rivincita della vita sulla morte. Un episodio clamoroso: la Spagna, come del resto prima i catalani e prima ancora i pisani, non faceva grande conto dei sardi. Neanche di quei sardi che in realtà sardi non erano perché erano famiglie di catalani o di spagnoli radicate in Sardegna e gli impieghi, le funzioni non venivano affidate ai sardi e sarà poi una rivendicazione che i sardi presenteranno anche ai piemontesi. I viceré sono difensori assoluti accaniti della prerogativa spagnola. Si formano dei partiti. I sardi tentano di far arrivare queste voci all’imperatore, mandano un personaggio, il marchese di Castelvì, a perorare la causa in Spagna. Non ottiene granché, ma si innesta con fatti di tutt’altra natura, cioè intrecci di relazioni sentimentali. Si crea un partito avverso al viceré. Al viceré viene imputato l’assassinio del marchese di Castelvì, che invece aveva, probabilmente, tutt’altra origine e pochi mesi dopo il viceré viene assassinato. Si chiamava il marchese di Camarassa. Vi è un ricordo in una lapide della via Canelles, che ricorda l’evento e ricorda come sia stata dura la punizione perché furono confiscati i patrimoni e demolite persino le case di quelli che si ritenevano essere i colpevoli dell’omicidio. Nel 1670 viene trasformata la cattedrale dall’arcivescovo Vico. Nei decenni successivi vengono costruite San Giuseppe, Santa Croce, Santa Teresa, San Michele nel tipico stile barocco che appunto ci viene dalla Spagna.

Nel frattempo però la potenza spagnola sta declinando e l’ultimo sovrano muore senza lasciare eredi. Nasce una contesa fra un pretendente francese e un pretendente austriaco. Guerra di successione. La Sardegna ne fa ancora le spese, pedina di un gioco e il 1713 il trattato di Utrecht, che mette fine a questa contesa, assegna la Sardegna all’Austria. Qualche anno dopo gli spagnoli tentano la rivincita. Il cardinale Alberoni manda una spedizione che riconquista la Sardegna e il 1718 viene fatto un altro accordo internazionale a Londra. Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, che col trattato di Utrecht aveva ricevuto la Sicilia, ma senza il titolo di re, viene proclamato re di Sardegna e il Piemonte così prende possesso della Sardegna. Sarà una storia di rapporti non sempre facili, di incomprensioni soprattutto.

I sardi non capirono i piemontesi e i piemontesi non capirono i sardi. Anche qui ci sarebbero episodi curiosissimi e significativi da raccontare. Ne cito solo uno; quando il giovane Lamarmora viene trasferito in Sardegna perché soggetto un po’ pericoloso politicamente, si presenta dal viceré e il viceré parlando in francese, naturalmente, dice: «Cosa ci vieni a fare tu che non sei obbligato?». Questo era un po’ il concetto. Giuseppe De Maistre, lo scrittore diplomatico che è stato a Cagliari durante l’esilio della famiglia reale, ha espresso dei giudizi terribili sulla Sardegna. Appunto c’era stata questa incomprensione che è sfociata poi, alla fine dei sec. XVIII, sulla stessa questione degli impieghi cui i sardi non avevano accesso, in una rivolta e i cagliaritani hanno cacciato i piemontesi. Li hanno fatti salire su una nave e li hanno rispediti in Piemonte con una sola eccezione: hanno salvato l’arcivescovo.

Gli eventi della fine del secolo sono molto importanti. Cacciata dei piemontesi, prime ribellioni contro il regime feudale, qui c’è tutta la storia che non riguarda specificamente Cagliari, quindi ometto, ma ve lo ricordo, Gio. Maria Angioy. Alla fine del secolo, nel frattempo, in Francia è scoppiata la rivoluzione. Al regno è subentrata la repubblica, Napoleone quindi. Alla fine del secolo, 1793, i francesi tentano la conquista della Sardegna. Riescono, effettivamente, a prendere possesso dell’isola di San Pietro, Carloforte, tanto che vi innalzano l’albero della libertà. Tentano di sbarcare a Cagliari, ma il tentativo non riesce; viene anche la tempesta che sfascia la flotta francese. Un corpo di sbarco viene respinto dalle truppe volontarie sarde e si distingue in questa vicenda Vincenzo Sulis che poi sarà pagato malamente addirittura rinchiudendolo nella fortezza di Alghero.

Tocca ai Savoia, post-controrivoluzionari

Poi c’è stato l’episodio della cacciata dei piemontesi, ma nel 1799 la Sardegna diventa un tesoro per il Piemonte. Il Piemonte viene occupato dai francesi e la corte con il governo si rifugiano a Cagliari. Arriva Carlo Emanuele IV che però ci sta pochi mesi, poi va via. Rimane qui Carlo Felice, suo fratello, che svolge le funzioni viceregie. Nel 1805, mi pare, Carlo Emanuele IV abdica, diventa re Vittorio Emanuele I duca d’Aosta, altro fratello che arriva a Cagliari dove starà fino al 1814 quando, con la prima sconfitta di Napoleone, il Piemonte torna libero. Cagliari diventa la capitale. Ci sono i ministri plenipotenziari delle nazioni amiche a rappresentarle presso il governo sabaudo. Dalla Sardegna partono gli ambasciatori. De Maistre parte proprio dalla Sardegna quando viene nominato ministro plenipotenziario in Russia. Cagliari per quattordici anni diventa capitale. La corte abita a Cagliari sistemata più o meno decorosamente, non solo nel palazzo viceregio, ma nell’episcopio e qua e là. Carlo Felice, per esempio, va ad abitare a Orri nella villa del suo amico di gioventù, il marchese Manca di Nissa, o Manca di Villahermosa. L’amministrazione passa totalmente in mano al governo piemontese. I vari Savoia vengono, tanto per dargli ragione di un appannaggio, nominati chi governatore di Sassari, chi governatore di Alghero, chi governatore delle torri, ecc. Nasce a Cagliari la Maria governatore delle torri, ecc. Nasce a Cagliari la Maria Cristina che poi muore regina di Napoli madre dell’ultimo re di Napoli.

Si sposa a Cagliari Maria Beatrice con Francesco IV di Modena Austria Muore a Cagliari l’unico figlio maschio di Vittorio Emanuele I lasciandolo senza successori tanto che poi, anche Vittorio Emanuele I abdica e diventerà re il terzo fratello Carlo Felice che muore senza eredi e la corona passerà poi a Carlo Alberto. Cagliari diventa quindi un po’ il centro degli avvenimenti che sono il germe di quello che sarà poi il Risorgimento e l’unificazione dell’Italia. Anche i piemontesi ci portano un loro stile il barocchetto piemontese molto più rigoroso molto più severo. Due esempi caratteristici: la chiesa di Sant’Anna e il palazzo del rettorato dell’università.

Nel 1815 partono gli ultimi Savoia. Nel 1836, prima devo aver detto 37 ma non giuro né sull’una né sull’altra Carlo Alberto che è venuto già in visita in Sardegna da principe e che poi ci tornerà da re prende il coraggio di abolire il regime feudale. I feudi vengono riscattati e quindi cessa la giurisdizione che era non solo di possesso ma anche di potere. I feudatari per esempio esercitavano anche la giustizia fino a un certo livello e fino a un certo grado nell’ambito dei loro feudi. I feudi erano in gran parte ancora in mani spagnole, quindi questi fondi vanno a finire in Spagna e solo in parte restano in Sardegna.

Superando un vincolo del trattato di Utrecht e di Londra che imponeva ai Savoia di conservare la struttura costituzionale spagnola nel 1847 accogliendo il voto dei sardi viene proclamata la “fusione perfetta” fra la Sardegna e gli stati di terraferma Piemonte, Liguria e Savoia. Fatto di cui poi i più avvertiti dei sardi si pentiranno amaramente Giovanni Siotto Pintor: quando ne parla dice «Fummo tutti folli». Amaramente lo pagò uno dei membri della delegazione che andò a chiedere la fusione l’arcivescovo di Cagliari mons. Emanuele Marongiu Nurra, perché poi fu mandato in esilio in quanto si oppose alla legge di eversione dei patrimoni ecclesiastici ma comunque avvenne la fusione, cioè il germe della futura Italia risorgimentale unificata.

La Sardegna ne ebbe conseguenze dannose perché fu pari pari estesa tutta la legislazione piemontese alla Sardegna. Ai sardi per esempio premeva molto la legge sulla libertà di stampa, che venne. Però insieme alla legge per la libertà di stampa venne il catasto. Venne il regime tributario piemontese per cui i poveri terreni sardi – che per dirla con Pinocchio col libro di Pinocchio dove Geppetto giustifica il nome di Pinocchio perché dice «Ho conosciuto una famiglia di pinocchi il più ricco chiedeva l’elemosina» – il più ricco dei terreni sardi era più povero del più povero dei terreni della Lomellina, però catastalmente hanno esteso pari pari le classi per cui le imposte erano riferite ai redditi dei terreni piemontesi.

Nel 1860, 1861 un evento incide positivamente per quanto riguarda la struttura urbanistica di Cagliari perché viene abolita la piazzaforte e cioè si dà il permesso a Cagliari, che nel frattempo stava già sviluppandosi demograficamente ed era compressa dentro le mura, si dà il permesso di espandere fuori dalle mura. È l’epoca del grande architetto cagliaritano Gaetano Cima che redige un piano regolatore. Per piano regolatore allora si intendeva qualcosa di meno pregnante, di meno incisivo di quanto non significhi oggi il piano regolatore, ma comunque un primo tentativo di riordinare con allargamenti. Certi tratti di strade di Castello, che sono parzialmente più larghe, derivano proprio dall’applicazione di questo piano regolatore di Cima. Viene per esempio demolita la porta di Stampace, la porta che chiudeva l’attuale via Manno, demolita di notte perché non riuscivano ad ottenere i permessi e allora con un colpo di mano il sindaco e l’architetto in capo che era Gaetano Cima, di notte, l’hanno fatta demolire. Si introduce a Cagliari, per queste nuove visioni, lo stile neoclassico, soprattutto per opera dei progetti di Cima, di alcuni ingegneri piemontesi, del Boyl di Putifigari, con strutture che sono ancora visibili: l’ospedale civile, certe case e ne cito alcune, in piazza Martiri per esempio, una in piazza Yenne, il mattatoio costruito in quell’epoca, il cimitero di Bonaria e Cagliari incomincia a sentire quelli che sono i sintomi dello sviluppo demografico e urbanistico.

S’affaccia il Novecento

Cagliari aveva allora fra i 28.000 e i 30.000 abitanti, addirittura era più piccola di Sassari, aveva mille, duemila abitanti meno di Sassari. Comincia proprio quello che sarà il suo sviluppo soprattutto quando alla fine del secolo, nel 1889 la vecchia classe dominante economicamente, politicamente e socialmente a Cagliari, viene sostituita dai giovani guidati da Bacaredda, il sindaco cui ha già fatto l’accenno Gianfranco Murtas. Non che tutto possa essergli o debba essergli attribuito perché ebbe anche dei validi collaboratori, ma certamente lui riassume in sé questa visione della Cagliari nuova. La costruzione del nuovo comune, 1899, del bastione di San Remy, delle prime scuole degne di questo nome, il casamento Satta e il casamento di Santa Caterina di Castello, fu prevista anche la costruzione del basamento in piazza Garibaldi che però fu realizzato solo dopo. Espansione della città verso la campagna soprattutto nella fascia orientale, San Benedetto, San Lucifero. Apertura di nuove strade, viale Trieste, via Sonnino che sono un po’ i cardini dello sviluppo futuro di Cagliari in un processo che verrà momentaneamente fermato dalla prima guerra mondiale e che riprende immediatamente dopo con un ritmo direi vertiginoso di inurbamento. Buona parte dei reduci agricoli rurali non tornano all’agricoltura e vengono a cercare occasioni di lavoro in città. Sviluppo demografico e urbanistico che porta nei primi anni ’30 a redigere un nuovo piano regolatore, che poi però per certe vicende non trova attuazione e che tiene anche conto del fatto che nel frattempo a Cagliari vengono annessi i comuni di Pirri, Monserrato, Selargius e poi successivamente Quartucciu e Elmas. Cagliari che, vi ripeto, alla fine del secolo precedente aveva 30.000, 32.000 abitanti, la cifra ve la dò così, ma come ordine di grandezza, alle soglie della seconda guerra mondiale ha 105.000 abitanti.

Questo sviluppo parrebbe non dover avere inciampi, sennonché la seconda guerra ferma di nuovo. Un primo bombardamento avviene a pochi giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, sono i francesi che buttano alcune bombe su Cagliari, poi ci saranno altri bombardamenti nel ’42, degli inglesi e poi il ’43 soprattutto gli americani distruggono sostanzialmente Cagliari. Il numero dei morti è controverso. La cifra più bassa comunque è di 1.500 morti, le distruzioni sono enormi. Si è detto che in termini di capacità abitativa, cioè non arrivando proprio a calcolare così la distruzione totale, ma la perdita della capacità abitativa, circa il 60% della città sia andato perduto. Pesi enormi nella ricostruzione, purtroppo anche errori solo parzialmente addebitabili alla città per una vicenda che sarebbe noioso spiegare.

Con la legge dell’urbanistica del ’42, i comuni non potevano in autonomia dotarsi di piano regolatore, ma dovevano essere autorizzati dal ministero. Cagliari chiese l’autorizzazione; non le fu accordata e fu imposto un piano di ricostruzione. Che differenza c’è? Che in realtà si consentiva soltanto di ricostruire il distrutto e parve già una concessione consentire che una parte del distrutto venisse realizzato non dove era stata verificata la distruzione. Tanto per fare l’esempio più vistoso, il quartiere attorno alla chiesa di San Paolo, via Dante. Questo ha portato conseguenze negative che si pagano anche oggi. Nel 1963 però, Cagliari è riuscita ad ottenere il proprio piano regolatore che è sostanzialmente quello ancora in vigore nel senso che non è stato mai redatto un nuovo piano regolatore, sono state apportate soltanto delle varianti, che ha segnato anche qui con luci ma anche con ombre, il grande sviluppo urbanistico di Cagliari che è andato a occupare tutto quello che era occupabile: s’Arrulloni, Bingia Matta, il CEP, Bonaria, monte Urpinu; è l’espansione urbana. Dirò, Cagliari che nel frattempo con un ritmo che viene oggi superato solo da Quartu, come ritmo di incremento, con un ritmo impressionante arrivò ad avere 230.000, 235.000 abitanti. Oggi questo fenomeno apparentemente si è fermato, apparentemente sia perché intanto si sono staccate di nuovo Selargius nel 1947, poi Monserrato, poi Quartucciu e da ultimo Elmas, sia perché avendo esaurito Cagliari, sostanzialmente, i terreni edificabili (e guai, dico in linea generale, se qualche cosa non restasse di verde, di libero), l’espansione si è verificata a danno, dico io, dei comuni contermini. Quartu che da 10.000, 12.000 abitanti è arrivata averne, credo, intorno ai 60.000. Selargius, Assemini che hanno toccato i 20.000, forse 25.000 abitanti. Tutti i cosiddetti villaggi di Capoterra, Frutti d’oro, i Pini, Margine Rosso dall’altra parte, che sono centri cagliaritani diffusi sul territorio, in quella conurbazione che nella legge comunale e provinciale del 1990 ha avuto un suo riconoscimento giuridico e istituzionale e che prende il nome di “area metropolitana” anche se materialmente, dal punto di vista legale, ancora non è stata istituita. La città è però metropoli.

Vi cito un dato a memoria non aggiornatissimo perché io ormai manco da questo tipo di vita da quattro anni. Quando si è studiato il piano del traffico di Cagliari, qualunque giudizio se ne voglia dare, adesso non sto entrando in questo argomento, e risaliamo a qualche anno prima del ’90 perché lo studio, ovviamente, è cominciato prima, il primo dato che i tecnici hanno dovuto elaborare è quello della statistica del traffico: entravano a Cagliari quotidianamente 150.000 automobili di cui quasi 50.000 sul viale per Quartu. Questo tanto per dare una dimensione. Cagliari eroga servizi non solo a questo hinterland che ha raggio di 10-15 Km., ma a un terzo abbondante della Sardegna. Pensate alle strutture universitarie, alle strutture sanitarie, alle strutture militari, alle strutture burocratiche (la Regione addirittura è su tutto il territorio regionale), strutture bancarie, strutture mercantili. Pensate alla capacità di richiamo che hanno queste città-mercato che stanno pullulando a Cagliari, la SMA, la Standa. La città intesa in questo senso, comprendente cioè anche le ex frazioni più Quartu più Assemini sfiora i 400mila abitanti e questi sono i servizi che il comune di Cagliari quotidianamente viene chiamato a erogare: nelle strade per l’acqua (non li enumero perché vi vengono certamente a mente) nelle scuole in attesa appunto che il riconoscimento giuridico poi dia oltre che i contenuti socio-economici anche le potestà politico amministrative capaci di governare questo fenomeno.

Siamo partiti dall’insediamento, fenicio forse sarei potuto partire dall’insediamento del terzo secondo millennio a. C. della grotta dei colombi nel promontorio di Calamosca o Sant’Elia che sia. Ho sostenuto la tesi che vi è una continuità. Continuità non vuol dire che siamo stati esenti da eclissi da interruzioni, da svolte a gomito. Siamo però sostanzialmente rimasti quello che eravamo non solo come tessuto materiale, ma come tessuto antropologico, con qualche qualità positiva e con molti difetti.

 

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