Paolo De Magistris e la sua dotta innocenza. Quella volta a casa Putzu di Selargius, onorando la memoria di un galantuomo schivo e molto amato, di Gianfranco Murtas

Sabato 17 febbraio 2000, alla Casa del Canonico Putzu – nuovo cuore culturale di Selargius – ebbi modo di parlare distesamente, come in confidenza, di Paolo De Magistris nell’occasione della presentazione del suo libro postumo, curato da Paolo Matta per il Centro Studi Stampace intitolato ad Andrea Devoto, Ancu ti currat sa giustizia. Il libro includeva – include! (è stato ristampato più volte) – 180 “frasi fatte” in puro cagliaritano. Nel corso del tempo, l’ex sindaco ne annotava traduzioni letterali e di significato, spiegando di quei proverbi l’origine, spesso remota, spesso anche di elaborazione lontana nello spazio. Risultato: un piccolo gioiello.

Un centinaio, forse, i presenti nella sala troppo piccola. Introdusse Matta, intervenne dapprima l’avv. Carlo De Magistris, che dei larghi interessi umanistici sullo scenario civico cagliaritano di don Paolo, era l’erede più dotto e competente. (Era, Carlo De Magistris, l’erede “intellettuale” della famiglia – figlio del magistrato Edoardo e magnifico rappresentante, per dottrina e umanità, dei molti suoi cugini sia De Magistris che Filigheddu-De Magistris, e cognato anche di un altro “grande” cagliaritano, Franco Oliverio, marito di Maria Francesca. Purtroppo un male imprevisto e improvviso si presentò nel giugno 2008 e noi lo perdemmo, il conte Carlo, in breve tempo. La sua ultima uscita pubblica fu proprio in occasione del recital che organizzai nel teatro di Sant’Eulalia per onorare don Paolo nel decennale della morte).

Dopo Carlo De Magistris toccò a me prendere la parola. Parlai per mezz’ora giusta, a braccio, seguendo una scaletta mai più ricomposta in un testo pieno. Ecco, comunque, il filo del discorso, appena appena rimpolpato, ex-post, dalla memoria delle cose dette…

A proposito di Cellarius

Inizierei, come omaggio alla sede che ci ospita e alla città di Selargius, ricordando alcune righe di Paolo De Magistris dedicate proprio a Selargius, in risposta ad un giovane comunitario (della comunità di padre Salvatore Morittu) che, originario di qui, a lui chiedeva notizie anche storiche sulla propria città:

«M. – Prima che Selargius diventasse comune a sé, quando ancora faceva parte della città di Cagliari, che ruolo esercitava nell’economia del paese, che posto occupava politicamente e quali sono le sue radici?».

Risposta: «Selargius quando fu aggregato a Cagliari era comune autonomo (alla pari degli altri paesi del Campidano). E’ tornato ad esserlo nel dopoguerra. Era un centro agricolo di qualche importanza e con un territorio vasto e adibito alle classiche colture della zona: grano, vigna, mandorle e pascolo. Aveva però anche una tradizione nel campo dell’edilizia (muratori, piccapietre) da cui ebbero origine anche ceppi di impresari edili cospicui. Dal punto di vista politico quando era unito a Cagliari non aveva forse un ruolo specifico anche perché erano gli anni del regime fascista, quando non era possibile fare politica che non fosse quella del Partito Nazionale Fascista.

«Le sue origini sono forse tradite dallo stesso nome del paese: Selargius infatti da “Cellarius” (cantine per il vino) o da “Cerarius” (in relazione all’agricoltura e conseguente produzione di cera) che riconducono alle attività agrarie. Un’altra etimologia potrebbe essere da “Salarius” in relazione al fatto che in epoca pisana e successivamente i paesi attorno allo stagno di Quartu e di Molentargius dovevano fornire la mano d’opera per l’estrazione del sale. Da notare che in dialetto il nome di Selargius è “Ceraxius” che si avvicina molto a “Cerarius” e anche a “Cellarius”».

Fu chiara dimostrazione della sua finezza d’animo quella ricerca compiuta per dare la risposta scritta esatta e documentata.

L’ultimo ricordo di lui è ricordo di grande sofferenza e di altrettanto grande testimonianza umana e cristiana. Possedeva la felicità dell’innocenza che gli veniva sì dalla sua educazione familiare, ma che pure era una conquista della sua vita, rimasta fedele a sodi valori di fondo.

A guardare a lui con spirito di verità si dovrà diminuire l’analisi posta sul De Magistris personaggio e valorizzare invece lo scandaglio degli elementi della sua personalità più intima, sia sul piano spirituale che su quello intellettuale.

Per questo ho motivo di dire che egli abbia dato compimento alla sua vita, in quel tremendo 1998, in termini di effettiva santità di cui erano espressioni la sobrietà del mostrarsi, la gentilezza del rapporto interpersonale, la discrezione combinata alla benevolenza, nonostante il disincanto dell’esperienza, la timidezza che superava soltanto nella confidenza, la concretezza che era traduzione in opere della sua fede, la preghiera ardente, silenziosa o cantata nella cattedrale e in qualsiasi altro luogo sacro.

Il ministrante, il volontario, l’attore e perfino la guida turistica

Io credo che il filo conduttore della sua presenza sulla scena di questo mondo, nei lunghi anni della sua vita, sia quell’essere stato “volontario attivo” in settori diversi: perché si andava dal volontariato spirituale, quale è stato il ministero ecclesiale del lettorato od il ministero straordinario dell’eucaristia recata nelle case di vecchi e malati, al volontariato culturale, tutto o quasi speso a favore della sua città (per cui si prestava spesso come conferenziere e guida turistica o di torpedoni giovanili).

Schivo non si era mai tirato indietro, cortese come era per temperamento, educazione e scelta, a compiere anche esperienze strane come l’attore di spot per la pubblicità progresso (campagna antifumo) o d’interesse dell’amministrazione civica (rilancio ente comunale di consumo). E così si offriva alla caricatura e del fisico – non soltanto da parte della matita di Putzolu ma anche di Buffa – e della voce (le doppie).

E’ chiaro che la sua cifra umana sia stata esistenzialmente il prodotto di una educazione che lo aveva iniziato alla attività della vita scolastica e sociale, di parrocchia e politica, e naturalmente nel lavoro. Io ho visto i De Magistris come un protagonista collettivo sulla scena della città, e non solo: perché ognuno di casa era portatore di una sua distinzione che è stata dono reciproco tra genitori e figli, tra fratelli e sorella.

Il cristianesimo vissuto è stato il filo rosso di quelle esperienze di vita personale e familiare, ma io sostengo che nelle esperienze amministrative di don Paolo – che pure sono quelle che gli hanno dato più gloria – egli non sia stato un clericale: tale lo ha considerato soltanto chi non ha saputo né sa vedere la complessità degli apporti formativi, perché certamente il filone liberale che era stato rappresentato dai Ballero (la madre era una Ballero, e i Ballero erano bacareddiani, dunque liberali di varia intonazione cattolico-liberale) fu assunto non come accidente ma come virtuoso elemento di dialettica ideale e culturale in casa.

Con la madre Agnese ricordo il padre don Mondino – lui sì tutto guelfo –, il fratello prefetto Casimiro, il fratello magistrato Edoardo, il fratello giornalista Ignazio, il fratello sacerdote e vescovo (prelato in Vaticano) Luigi, la sorella Teresa coniugata Filigheddu. Tutti hanno condiviso o condividono quel senso popolare che è proprio di chi è nato e cresciuto in un ambiente umano a molte sedimentazioni e componenti tutte interrelate fra di loro; hanno condiviso e condividono il gusto morale della povertà che è dignitosa sobrietà, quel portarsi austero, pensoso ed educatamente cordiale; hanno condiviso e condividono la parlata stessa del popolo, e la fede, e i significati della tradizione, e i ritmi di vita dei ceti popolari, con una sola aggiunta: la cultura, cioè la capacità interpretativa di cogliere i nessi, le complessità.

Conferenziere e saggista

Ricordo la sua intensa produzione letteraria e/o storico-memorialistica: da Infanzia come una sinfonia a Cagliari nella 1.a guerra mondiale, da Il liberty a Cagliari a E dei dì che furono l’assalse il sovvenir, da Sul filo della memoria a Dalla peste alla festa, da Martino II di Sicilia e il suo mausoleo nel Duomo di Cagliari a – postumo – Cagliari dal grigio-verde alla camicia nera (4 novembre 1918-28 ottobre 1922), a quest’ultimo pregevole Ancu ti currat sa giustizia. Per tacere dell’infinità di articoli, presentazioni di libri altrui e saggi sparsi, fra i quali merita comunque una speciale segnalazione quel Bacaredda amministratore nel volume collettaneo pubblicato dal Comune di Cagliari nel 50° della morte del grande sindaco della belle époque cagliaritana.

E poi ancora ci sono un’infinità di conferenze (il testo di molte delle quali sono stati successivamente stampati, ad esempio quello su Luigi Crespellani, nel volume dei Cagliaritani illustri, serie di ritratti umani, fra privato e pubblico, presentati agli Amici del libro).

A quella di saggista accompagnava la fatica del conferenziere. Non si è mai tratto indietro: e se, a parte i libri, la sua firma è finita a siglare centinaia fra articoli di giornale e prefazioni a libri di altri, si conterebbero anche quelle a molte e molte decine le conversazioni sui temi più vari, con ampia preferenza a questioni sarde o cagliaritane e a questioni di religione e di Chiesa, da lui seminate nelle operose giornate che ha vissuto.

Cagliaritano, cultore della memoria (e quindi della affabulazione gradevolissima, dell’arte del raccontare) e della scrittura raffinata, sapeva di essere entrato anche lui nei materiali dei memorialisti (attuali immagazzinatori: io fra loro) e degli scrittori.

Parlava (e scriveva) barocco, ma sapeva essere fulminante. E sempre comunque, ogni sua battuta era espressione di conoscenze e di riflessione. Dava proprio l’impressione che ogni sua affermazione fosse come l’ultima stazione di un complesso viaggio del pensiero: uomo capace di ascolto, di elaborazione, socializzava tutto di se stesso, del suo essere come del suo avere. Soltanto gli intimi conoscono nel dettaglio, e direi nel dettaglio corrente ed ordinario della sua giornata, quella propensione sociale, che sembrava fare a pugni con la pacata e insuperata riservatezza personale e invece raccontava tutti i fondamentali della sua formazione familiare e cristiana.

Fra i torti inflittigli è stato quello di ritenerlo incapace di pensare a Cagliari, alla sua città, in termini che non fossero quelli dei quattro quartieri, al massimo dei quattro quartieri più i due borghi di Sant’Avendrace e San Bartolomeo. L’esperienza amministrativa, invece, ma anche quella professionale, alla direzione dell’Assessorato regionale dell’Industria, lo portavano facilmente a realizzare l’idea della grande Cagliari, cioè dell’area metropolitana. Selargius, con le altre ex frazioni di Cagliari, entrava dentro questo disegno.

Addendum

Alcuni anni fa, per benevolenza personale di cui sono grato, il figlio di don Paolo De Magistris, Luigi – amico di valore e buono e onesto come il padre –, mi fece carico/dono, oltreché di una parte cospicua (e certamente prevalente) della biblioteca di casa, dei materiali “di scrivania” paterni. In quanto alla biblioteca, come più volte ho riferito, circa duemila volumi li ho a mia volta ceduti, come fondo unitario, alla Fondazione Dessì di Villacidro, contro impegno di questa (finora però inadempiuto) a promuovere ricerche di studio sui rapporti bicentenari fra il capoluogo e la cittadina del Linas. In quanto ai materiali “di scrivania”, si trattava di relazioni del più vario oggetto e di corrispondenza. Alcune centinaia di reperti o unità d’archivio che, intanto, ho classificato in attesa di poter più compiutamente dare un ordine complessivo al comparto e, possibilmente, stampare i testi che mai hanno avuto una traduzione su giornali o libri.

Resta per me un impegno d’onore. Ma certo sarebbe anche bello che, tanto più nelle facoltà umanistiche della nostra università, giovani laureandi e professori mettessero in campo e vagliassero questa concreta possibilità: lavorare alla ricostruzione biografica di Paolo De Magistris, anche utilizzando i documenti da me custoditi, carte che senz’altro, per un obiettivo tanto meritevole, porrei a disposizione.

 

 

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