Una breve riflessione sulla crisi delle classi dirigenti isolane, di Paolo Fadda

All’origine del forte declino in cui si trova oggi la Sardegna, che è innanzitutto economico ma anche strutturale, vi sarebbe, per diffusa opinione, l’inesperienza, l’impreparazione e l’insufficienza delle sue attuali classi dirigenti. Della politica innanzitutto, ma anche dell’impresa, della scuola, della stessa società civile nel suo complesso. Per molti, è un problema che riguarda diversi aspetti di quell’unico e pesante ostacolo che è l’abbandono del merito come metro di valutazione. E questo va dai percorsi di formazione alle stesse modalità di selezione, nel senso che si sono sempre più privilegiati i legami familistici, amicali, di cordata o di corrente. Tanto da avere aperto il campo alle lobby affaristiche, alle combine ed a quei meccanismi non trasparenti che premiano, troppo spesso, carriere personali, affari economici e decisioni politiche.

Le cause di queste devianze verrebbero attribuite principalmente ad una caduta verticale dei valori del nostro patrimonio culturale. O meglio, al fatto d’averli trasformati in semplice spettacolo, in vacua esibizione e in sterile presenza sui social, aspetti d’una futile estetizzazione della propria immagine pubblica.

Non vi è dubbio che questa caduta di livello abbia colpito assai più duramente la politica, il personale politico. Ci sono esempi illuminanti a conferma di questo declino, a partire dalle vacue discussioni in atto per la nuova legge urbanistica o per la geografia e le specialità dei presidi sanitari. Cartina di tornasole di un personale politico in cui, purtroppo, sembrerebbero prevalere l’incapacità e l’inettitudine non solo a decidere, ma anche a comprendere le questioni sul tappeto. Personaggi assai bravi nel questionare e nel procurarsi voti, quanto inetti nel programmare e decidere efficaci misure per lo sviluppo. Uno scadimento dovuto al fatto che si sarebbe formato un ordito fatto di soli interessi di bottega, indispensabili per conquistare consensi elettorali.

Individuarne le ragioni sarebbe quindi compito urgente da affrontare, in modo da porre fine ad un declino sempre più preoccupante. Alcune riguardano la stessa composizione della società isolana. Per via dei suoi eccessi di individualismo e di frammentazioni localistiche, delle sue manifestazioni di apatia e di disinteresse verso il cambiamento, indifferente anche di fronte agli eccessi di autoreferenzialità degli esponenti politici.

Purtroppo, scomparsi i vivai dei partiti, le selezioni sono avvenute perlopiù attraverso un cerchio magico di portaborse, consulenti e aspiranti tali, che ha determinato quei fenomeni di cooptazione e di partenogenesi che hanno messo da parte competenze e meriti. Premiando solo fedeltà e ubbidienza. Oltre ad avere dato vita, come contrapposizione e per iniziativa di un guru del web, a quelle selezioni via internet che hanno completamente rivoluzionato la scelta dei candidabili alle assemblee politiche. Lasciando da parte, comunque, competenze e capacità. In una parola, merito.

Se a livello nazionale la caduta di livello della dirigenza politica è ritenuta grave, qui in Sardegna è da ritenersi gravissima. Per via d’un ricambio che è avvenuto, purtroppo, per gran parte al ribasso, portando avanti più …figurine che figure di politici. Né sono servite, per ovviarvi, le cooptazioni tentate dall’esterno, dalle aule universitarie, che hanno purtroppo creato quel che un osservatore ha definito il preoccupante “strabismo” della guida politica regionale, per via d’una forte dicotomia di visioni fra indirizzi di scuola e sensibilità politica. Creando così un solco sempre più profondo con le attese ed i bisogni della gente.

Cosa fare, quindi, per fermare questo declino? Intanto occorrerebbe discuterne pubblicamente, aprire dei confronti, immaginare dei rimedi, attivare dei dibattiti, preparare dei programmi per selezionare una classe di politici che abbia nel merito la sua autentificazione elettorale. Sarà difficile, ma non è certo impossibile.

 

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