L’isola dell’autonomia. La narrazione di sé per i 70 anni dello Statuto, di Paolo Sorrentino

L’EDITORIALE  della  DOMENICA

Il 26 febbraio 2018 sono iniziate le celebrazioni per i 70 anni della cosiddetta “autonomia speciale” della Sardegna. La data di partenza segna la ricorrenza: lo stesso giorno dell’anno domini 1948 veniva promulgato il testo dello Statuto sardo, con legge costituzionale italiana. Il cammino delle celebrazioni sarà più o meno lungo. Pare che la Presidenza del Consiglio regionale (d’ora in poi PCr) abbia programmato un itinerario di attività che ci intratterrà per l’intero anno (per il momento si è proceduto all’inaugurazione di due mostre presso la sede del Cr e all’intitolazione di una sala di Villa Devoto a Emilio Lussu). Quel che è certo, è che la prima giornata è stata inaugurata con la visita di Mattarella che ha presenziato alla seduta solenne del Cr. Per l’occasione le istituzioni hanno scelto di far intonare l’inno di Mameli al coro immacolato dei bambini di Villasor. Come vedremo, il motivo dell’infanzia non è gettato a caso.

Ora, ciò su cui volgiamo portiamo la nostra attenzione è la campagna di comunicazione progettata per le celebrazioni dell’anniversario, la quale – leggiamo nel comunicato della PCr – è stata “realizzata per festeggiare insieme a tutti i sardi l’Autonomia sarda, i suoi valori, la sua storia”. Torniamo dunque ai bambini: pare, infatti, che uno degli intenti della campagna sia di impiegare il topos della rinascita come filo conduttore destinato a dare coerenza alla nuova, si fa per dire, narrazione istituzionale. E infatti ad essa, alla rinascita, ha fatto appello il Presidente del Cr durante il discorso tenuto in seduta solenne (lo Statuto speciale “invita i sardi a rinascere”).[i] Si, proprio quella rinascita effettivamente tanto attesa dai sardi nei giorni promulgativi dello Statuto. Propria quella rinascita che non può non far tornare alla memoria i famosi “piani rinascita” del ’62 e del ’74 i cui paradossali fallimenti sono ancora sotto l’occhio attento di esperti e studiosi. Staremo a vedere. E intanto, seguendo il messaggio della campagna, guardiamo al futuro.

Ovvero, guardiamo alla comunicazione. Alla sua istanza di modellamento delle identità collettive, del loro senso e destino. In fondo esse, in tutta la loro densità ed eterogeneità dinamizzante, non sono altro che costrutti semiotici, per dirla con Umberto Eco. O, come ha mostrato Franciscu Sedda nel volume Imperfette traduzioni, “semio-politici”, volendo con ciò sottolineare che le identità sono materie a cui diamo forma e sostanza attraverso complessi processi traduttivi e narrativi, che sono al contempo conflitti sociali attorno alla definizione del valore dei valori. I valori e il valore dello Statuto speciale, in questo caso, nel quale si definiscono le sostanze geografiche, storiche e politiche della Sardegna. Testo quindi che si dice fondativo. Inglobante delle materie comuni e prodotto dell’immaginazione e delle decisioni in un campo di alternative politiche. Ma anche testo che, per chiudere il cerchio, è inglobato nei discorsi che se ne fanno e che lo riarticolano nelle altre scelte possibili. Altri testi, dunque, nei quali, lo possiamo dire, si vuole far segno dell’Isola. Ed ecco quindi che la campagna di comunicazione istituzionale per i 70 anni dello Statuto è tutt’altra cosa da prendere alla leggera. Anzi, l’invito è di osservarla con la massima attenzione, di scandagliare la coscienza autonomista che l’ha generata, le sue istanze, il nostro destino. In una parola, bisogna prendere posizione.

Vediamo allora da vicino uno dei testi di questa campagna che impiega tutte le armi della comunicazione contemporanea. Se da una parte abbiamo visto come essa ha preso forma in azioni, parole e gesti istituzionali, vediamo adesso ciò che ci si propone per accompagnarla nel corso del suo sviluppo. Ovvero l’immagine, il logo e gli slogan creati ad hoc dall’agenzia di comunicazione Quom3 sotto commissione del Consiglio regionale della Sardegna, diffusi per la prima volta il 26 febbraio nei siti web istituzionali e nelle pagine dei quotidiani locali.[ii] Il testo è quindi sincretico e meriterebbe una analisi a parte per ogni suo elemento. Ma iniziamo con uno sguardo a tutto campo. L’immagine si divide orizzontalmente in due parti, a sinistra vediamo la figura scelta per rappresentare iconograficamente la Sardegna. Essa, manco a dirlo, è un bambino, anzi un neonato in fasce avvolto nella bandiera dei quattro mori. Dall’altra parte, sulla destra, leggiamo il testo che si propone di spiegare la scelta con lo slogan “70 anni appena. Di fronte ai millenni della nostra storia l’autonomia sarda è appena nata” (sic). Segue un breve scritto celebrativo dello Statuto che si conclude con l’idea: “settant’anni sono solo l’inizio”. Questo testo viene incorniciato dai due loghi: in alto quello del Cr e in basso quello ideato per il 70° anniversario. Quest’ultimo rappresenta segnicamente una fusione fra le bandiere dei soggetti in gioco: quattro mori e tricolore. Come si legge nella presentazione: “una parte della croce forma il numero sette, mentre il profilo del moro è il numero zero per comporre insieme il numero degli anni”. Sul piano colore si è scelto di tenere il rosso della croce di San Giorgio per il numero 7 e di impiegare il verde della bandiera italiana per il moro, il numero 0, e la scritta che segue “annos de autonomia ispetziale de sa Sardigna”.

Passate le descrizioni, veniamo alle identificazioni. Ora, quella che abbiamo di fronte è più meno chiaramente una neo cartografia, dove si traduce e rinsalda gerarchicamente la relazione di potere fra Stato e regione. Immersi in un Mediterraneo un po’ nebbioso e inquietante, come carta sporca, a sinistra vediamo la sagoma del frugoletto, il simulacro della Sardegna (un neonato!), mentre, a destra, dove per implicazione ci dovrebbe essere l’Italia, troviamo la scrittura (per la quale, la scelta del colore è ricaduta, guarda caso, sul verde). L’operazione è semplice: tracciati i confini, si ripartiscono le sostanze. Da una parte, una figura della natura, della purezza, dell’innocenza. Dall’altra, una figura della cultura, della definizione, della consapevolezza. L’uno pronta a riversarsi nell’altra. La prima da educare. La seconda pronta a civilizzare. E se i rapporti di forza fra i termini di questa ibridazione non fossero abbastanza chiari a rinforzare il loro senso interviene anche la costruzione di un particolare punto di vista. Un punto di vista dormiente e limitante. L’infante appisolato è rivolto in direzione del simulacro dell’Italia, dalla quale viene inondato da una luminosa sorgente di luce, che lascia in un cono d’ombra l’altro versante. Così, alla luce si oppone l’oscurità. Che essa sia il nostro passato o il resto del Mediterraneo.

Nulla sembra essere cambiato dai discorsi pronunciati da Camillo Bellieni, uno dei padri dell’autonomismo, nei giorni seguenti alla Grande guerra: Solo la luce di questa cultura italiana, luce morale, ci ha fatto conoscere noi stessi come sardi (cit. in F. Sedda, Tracce di Memoria).

Alle origini come oggi, questa è l’isola dell’autonomia, una narrazione che afferma dipendenza e isolamento. La verità è che questa rappresentazione non ci mette in relazione con niente, nemmeno con noi stessi, la nostra storia. L’unica relazione è con l’Italia, e non è paritetica. Sarà per l’assistenzialismo, sarà per la mancanza di coraggio, sarà per altro, ma la cartografia 2.0 dell’Isola generata dal discorso autonomista ci identifica con una figura senza memoria, incapace di vivere, nutrirsi, camminare da sola. Incapace di libertà dunque, di mantenersi senza l’aiuto di una figura genitoriale, alla quale in modo esclusivo rivolge lo sguardo. Di questa immagine, non sappiamo se ci dispiaccia di più l’annullamento delle radici storiche, politiche e culturali – la perdita del governo di sé, che dal Medioevo, passando per il risorgimento, ha sostanziato la coscienza autonomista fino ai giorni nostri –, i vari fallimenti della nazione sarda (per riprendere le parole di Lussu che oggi viene celebrato), o se invece a preoccuparci siano le nuove e più stringenti forme di chiusura e dipendenza alla quali essa sembra destinarci.

Passata l’ideologia omogeneizzante della globalizzazione dominante fino agli novanta, credevamo di essere entrati nella più inclusiva era della glocalizzazione, con il suo carico di apertura alla diversità dei soggetti politici, al loro dialogo, alla loro valorizzazione. Ci troviamo invece ancora una volta a dover prendere posizione rispetto a questa Sardegna infante e desiderosa di cure altrui. A ricordare che un tempo siamo stati adulti, forse persino Giganti.

 


[i] http://www.lanuovasardegna.it/regione/2018/02/26/news/i-70-anni-dello-statuto-sardo-con-il-presidente-mattarella-1.16526493

[ii] http://consiglio.regione.sardegna.it/XVLegislatura/indice_70autonomia2.asp

 

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