Ripetita…juvant? (2), di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA  della FONDAZIONE SARDINIA. Il patto siglato tra Salvini della Lega e Solinas del PSd’Az arriva da lontano. Opportunità o opportunismo? Il rischio per i valori di fondo su cui cento anni fa i giovani sardi costruirono il partito politico che ha segnato la storia contemporanea della Sardegna è di fronte agli occhi di tutti. E’ bene narrarne e rifletterci senza necessariamente dilaniarsi.

Si sa, i Sardi sono sempre curiosi e disponibili nei confronti dei forestieri.  Saranno due settimane fa: in un negozio di ‘poltrone sofà’, uno dei cooperatori che più volte al giorno ci rimanda la pubblicità quale ‘operatore della qualità’, era circondato di gente che se lo indicava compiaciuta che fosse persino lì. Lo si sa da tempo presso le organizzazioni italiane: quando i dirigenti hanno un qualche motivo di disagio o di delusione nel Continente, venire da noi li tira sù. “Sono così gentili, questi sardi ….!”.

Matteo  Salvini si dichiara ‘felice’ di passare una bella giornata a Cagliari, riposante e gradevole. I frutti di mare sono offerti col sorriso,  commercianti più che onorati non chiedono che un selfie,  e il bagno di una folla della spesa ridente e plaudente lo accompagna nella firma del patto elettorale con il Partito sardo d’Azione, il più antico in Sardegna e d’Italia che sia ancora in opera.  Matteo è stato gentile persino con la signora, evidentemente di sinistra, che lo aveva affrontato con un ‘razzista di m…a’.

Meno effervescente e con tratti di timidezza e quasi di malinconia l’aspetto del segretario  sardista, troppo aggressivo, per il suo carattere sempre calmo nel ragionare bonario e conciliante,  con i pochi tra i sardisti (una “ modesta fazione, più rumorosa che consistente”… “che sbraita sui mass-media per esistere”) che avversano la sua scelta. Giustappunto: niente in confronto alle proteste ed al clamore suscitato dalla prima alleanza tra il PSd’Az ed il Pci nel 1972, con successivi scambi di lettere anche tra l’eletto ed Enrico Berlinguer, dato che si rimproverava al Pci di non rispettare quegli accordi che avrebbero dovuto consentire pure la presenza di Piero Soggiu al senato (Sardisti, vol. II, pag. 657-8. Mi si scusi l’autocitazione!). Ancora peggio successe con il rinnovamento dell’alleanza nel 1976, quando invece Columbu non venne rieletto ma il partito sardo venne scosso per mesi da  ‘congressi itineranti’ lungo tutta la Sardegna, lasciando uno strascico di rancori duraturi.

L’incontro dell’altro giorno, peraltro, non ha registrato sfrangiature di sorta. L’ospite ha evitato gli eccessi ben conosciuti. Solo qualche decina di ore prima il capo dei vescovi italiani aveva pubblicamente condannato gli incendiari politici del razzismo;  i riferimenti al leader leghista erano espliciti da parte dei quotidiani del giorno, non solo quelli nemici. Non era neanche politicamente utile, quindi, oltreché corretto, aggiungere benzina al fuoco, tanto più accompagnandosi con il primo tra i tanti segretari della lunga storia del PSd’Az che, senza esibirlo ma anche senza nasconderlo, è e si professa cattolico praticante.

Tutto si sarebbe dunque svolto alla luce del sole, programmi e spazi nelle candidature sarebbero disponibili e firmati, i punti dell’accordo sono espressi pure nell’intervista su La Nuova Sardegna che anche noi abbiamo qui riprodotto in data 24 u.s.. Non si tratterebbe che di attendere l’esito dell’azzardo cui si è nuovamente indirizzato il Partito Sardo d’Azione e la maggioranza del suo gruppo dirigente: un accordo elettorale conveniente agli interessi dei Sardi rappresentati dal partito sardo, siglato con l’unica forza politica italiana che è nata per raggiungere il federalismo. Il tutto ha una sua logica. Ma non esiste solo essa.

Tutto qui, allo stato delle cose?

Continuiamo il discorso avendo presente i ragionamenti non esplicitati: che nessuno schieramento italiano avrebbe concesso di più; che i sardisti niente devono a quelle sinistre dalle quali nel tempo hanno ricevuto irrisione e tradimento di patti (sulla limba, le servitù militari, la circoscrizione europea, l’assemblea costituente, il nuovo statuto, la valorizzazione di sa Die de sa Sardigna); che trattavano con loro e nel contempo li mettevano in concorrenza con altri, e via via lamentando…

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Il discorso con la Lega Nord iniziò da subito, perché Umberto Bossi ri-conosceva da tempo ai sardisti l’unico federalismo presente in Italia e con loro era interessato a dialogare visto che poi in senato divideva l’ufficio con Carlo Sanna, segretario sardista da dodici anni. Qualche giorno prima del successo leghista nelle elezioni amministrative del 6 maggio 1990 in tanti comuni lombardi, Bossi aveva invitato  Franco Rocchetta, fondatore e segretario della Liga Veneta,  e, per il PSd’Az , il consigliere regionale Mario Melis (da neanche un anno ex presidente della Regione sarda) ed il sottoscritto, a un dibattito sul federalismo presso il maggiore cinema di Varese, alla presenza (fino all’una del mattino) di un migliaio di militanti leghisti. Ci si presenta, si cerca di approfondire e confrontare i due federalismi, essendo Carlo Cattaneo (1801- 69)  e  Giovanni Battista Tuveri (1885-87) quasi coevi e vicini nelle idee, seppure da parte sardista si fosse passati all’azione ormai già da settant’anni. Non ho tempo per cercare e ritrovare gli appunti dell’incontro, ma ricordo che, al suo termine, Bobo Maroni mi si avvicina evidentemente preoccupato e rincresciuto che l’approccio ed il tono del suo ‘boss’ mi fossero dispiaciuti e per chiedermi di capire l’uomo ed il contesto.

Quando, qualche mese dopo, Carlo Sanna lascia la segreteria agli innovatori vincitori del XXXIII congresso del dicembre 1989, si fa comunque tramite della richiesta di Bossi, unico rappresentante allora della Lega  in Parlamento, di incontrare il nuovo gruppo dirigente e una delegazione della nuova segreteria (Efisio Pilleri, Cubeddu, Eliseo Spiga, Mario Carboni) si reca a Roma.  Tira aria di crisi di governo e di elezioni anticipate. Anche Bettino Craxi chiede di incontrarci insieme al suo segretario sardo Giovanni Nonne. Il tema, in entrambi i casi, è  l’alleanza con i sardisti. Interloquimmo sulle urgenze della Sardegna, senza assumere impegni (nelle elezioni politiche  anticipate del 5 aprile 1992 il PSd’Az infatti si presentò da solo, la Lega esplose con 55 parlamentari). Bossi ci conosceva. Craxi ci ricevette nella sala della direzione del PSI piena di busti e di quadri di Garibaldi; mi trovai ad essere interlocutore di tante sue domande, ebbi l’impressione di sentirmi individuato come proveniente da uno stato straniero, evidentemente più del sud del Mediterraneo che del Nord dell’Europa. Eppure con noi c’era il sardissimo, e segretario regionale del PSI, on. Giovanni Nonne.

Vito Biolchini ricorda l’assemblea alla Fiera del 1993, frequentatissima e seguita da tutti i quotidiani italiani, tra il gruppo dirigente della Lega Nord appena esplosa nei numeri e nella forza, ed il gruppo dirigente del PSd’Az riunito intorno al segretario Italo Ortu e soprattutto a Mario Melis, potente all’interno del partito come non mai.

Gli innovatori erano stati traditi dall’interno per essere sostituiti da Giorgio Ladu, esso stesso eliminato dopo non troppi mesi. Iniziava quella girandola di segretari che dura da più di vent’anni, ma che vede il potere reale del partito nelle mani dei sempre meno numerosi rappresentanti alla regione. Allora questo fatto turbava e scandalizzava, ma qualcuno di noi iniziava a capire che il percorso che aveva preso la crisi della prima repubblica italiana, unita alla deriva della prima autonomia sarda, distruggeva anche l’idea stessa del partito di massa. Poi si è visto che tutti i partiti viaggiavano velocemente nella direzione dell’identico esito.

All’assemblea della Fiera mi espressi contro ogni accordo con la Lega Nord: il nostro federalismo – solidarista anche con gli altri popoli d’Italia, fondato su identità culturali profonde, collaborativa nelle comuni responsabilità, deciso a ottenere rispetto ma pure comprensivo  di quanto dato e ricevuto nella comune esperienza unitaria – non coincideva nei valori con il loro federalismo,  rivisitato dal prof. Miglio più che fedele a Cattaneo : economicista, sprezzante verso gli esterni alla Padania (termine inventato ad hoc), escludente dai benefici della formazione italiana, plebea in non poche pubbliche manifestazioni. I valori non sono acqua fresca, neanche in politica e, alla fine, si ritorna sempre lì e presentano il conto (vedi la nemesi tra ‘Roma ladrona’ e Bossi … condannato per questo). Credo di avere avuto un qualche ruolo nel bloccare in quella occasione gli orientamenti del gruppo dirigente sardista, che andava sostituendo il lavoro politico e organizzativo tra i Sardi con la ricerca di fruttuose alleanze con potenti vicini, ovviamente con i nostri capi quali prevalenti aspiranti a divenire fruitori degli eventuali vantaggi.

L’adesione personale, improvvisa e mai spiegata, alla lista della Lega nelle elezioni politiche del 2006 da parte di Giacomo Sanna, e la consegna della bandiera a Berlusconi da parte del segretario Efisio Trincas (2009), rappresentano pagine di sbandamento collettivo e personale assolutamente inqualificabili.

La citazione sui “valori e le riflessioni proprie del primo sardismo di Bellieni, Cova, Deffenu e Vitale Cao”, da parte di Solinas, andava controllata. Deffenu purtroppo non tornò vivo dalla prima guerra, anche se il suo antiprotezionismo e la zona franca entrarono nella proposta economica del sardismo. Cova e Vitale Cao agirono a distanza di più quasi trent’anni tra loro e in ruoli decisamente minori e ininfluenti nella vita del partito, e, nel caso di Cao (passato al fascismo, con una carriera di alto funzionario ministeriale e con incarichi nella casa reale), in termini oppositivi rispetto a Bellieni. Citare non è necessario, quando non si è  sicuri del riferimento.

Propongo anch’io un passaggio, di uno dei quattro deputati sardisti eletti nel 1921, Umberto Cao, uno dei primi teorici dell’autonomia sarda, che, parlando al congresso di Nuoro del 29 ottobre 1922, pone direttamente la questione del senso della presenza dei quattro deputati sardisti nel Parlamento italiano:

“… i sei mesi che si passano a Roma non parranno sprecati in confronto all’opera di organizzazione che si potrebbe e dovrebbe fare nella massa dei sardi?…. (Sardisti …, vol. I, pag. 548 ss.).

I sardisti del PSd’Az non hanno più da troppo tempo una presenza nella società sarda, anche se chiunque tra loro potrebbe rivoltare  l’osservazione: se, tra una elezione e l’altra, gli asteroidi della galassia sovranista-sardo-indipendentista attuassero un’azione sostitutiva. E avrebbero ragione. Tra un’elezione e l’altra operano solo coloro che sono  presenti nelle  istituzioni. Anzi … neanche questo sarebbe  del tutto vero: Bustianu Cumpostu, Giacomo Meloni,  Marco Mameli   e non tantissimi altri, ci sono sempre, giovani dai capelli incanutiti, a riempire con le loro presenze le piazze sempre più vuote di giovani.

Così, di fronte alla vicenda catalana abbiamo solo sentito letture di ordini del giorno. Belli e giusti, certo. Ma nessuna manifestazione collettiva di rilievo. Dimenticavano di tenere conto che i Catalani sono quello che sono e fanno quel tanto che fanno perché, al contrario di noi, mantengono una presenza politica costante e quotidiana nella loro società.

Non ne faccio una colpa all’attuale segretario del PSd’Az. Non si stupisca, però, che nella presente scelta in tanti vedano il dejà vu. C’è invece tutto un discorso ed un’attività da riprendere da parte dei sardisti-sovranisti-indipendentisti: ad esempio, offrire un orizzonte di senso allo sforzo di continuità dei paesi; formare i volenterosi che, anche nelle città, si riaffacceranno alla politica quando riprenderà ad essere quella grande manifestazione di umanità e socialità che in altri momenti è stata; andare a porre le premesse e le linee di una Sardegna del futuro ancora tutta da immaginare e definire;  insomma: essere in Sardegna come il lievito nella pasta.

Altrimenti …. cosa ricorderanno i sardisti e i sardi di domani di una fila di consiglieri regionali, deputati e senatori senza infamia e senza lode? E dei dirigenti del partito sardo?

 

 

 

PS. Forse il lettore si chiederà la posizione dell’Autore rispetto al partito sardo. Mi sento iscritto alla storia del Partito sardo d’azione, di cui avevo perso la tessera in occasione del commissariamento del distretto di Cagliari. Mi sono re-iscritto con la segreteria Columbu, ma, quando lui (giustamente) decise di continuare il suo lavoro da artista in cui eccelle, sono rimasto come sospeso, senza che mi venisse consegnata materialmente la tessera  o valorizzata la disponibilità. Ma non c’è bisogno di essere interpellati per fare quotidianamente del sardismo.

 

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