Il Papa: “Accogliere chi non ha posto e trasformare la paura in carità”, di Salvatore Cernuzio

Francesco celebra la veglia di Natale: «Non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno senta di non avere un posto in questa terra». «Dio sta nel visitatore indiscreto che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus». la stampa Pubblicato il 24/12/2017

CITTÀ DEL VATICANO

«In mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano», sui passi di una coppia di profughi «costretti a lasciare la propria terra», con alle spalle il pericolo di un Erode che, oggi come allora, per potere e ricchezze non esita a «versare sangue innocente», circondato da un gruppo di pastori «impuri» per la società dell’epoca. È così che nasce Gesù Cristo, è così che nel mondo «si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio».

Nella penombra della Basilica vaticana illuminata dalle candele, con il sottofondo musicale del coro della Cappella Sistina, Papa Francesco celebra la veglia della notte di Natale e la dedica alle centinaia di migliaia di persone la cui storia si intreccia con quella dei giovani Maria e Giuseppe costretti ad abbandonare terra, casa e famiglia per fuggire lontano.

«Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi», dice Papa Francesco in una intensa omelia. «Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza». «Sopravvivere», cioè, «agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente».

Maria e Giuseppe devono andare via: «Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino…», commenta Bergoglio. «Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa». Superato un ostacolo, eccone un altro: l’arrivo a Betlemme in una città «che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto»; «in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri», lì nasce il Figlio di Dio. Lì «a Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa», rileva il Papa.

In quella notte di secoli fa, durante la quale «tutto diventava fonte di speranza», «Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città»tutti i pastori, che «per il loro lavoro» dovevano «vivere ai margini della società». «Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini». A questa gente di second’ordine l’angelo annuncia la «grande gioia» della nascita del Messia. Sono loro, dopo Maria e Giuseppe, «i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole», ricorda Francesco.

E invita in questa notte «a condividere, a celebrare e ad annunciare» la loro stessa gioia; la gioia «con cui Dio, nella sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e stranieri, e ci spinge a fare lo stesso».

«La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente», afferma il Pontefice. «Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte».

Questa stessa fede «spinge a dare spazio ad una nuova immaginazione sociale, non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale – aggiunge Bergoglio – è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità».

Bisogna superare ogni timore e «aprire, anzi spalancare le porte a Cristo», come esortava Giovanni Paolo II che Francesco cita nell’omelia. «Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato».

«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo», insiste Papa Francesco. «In questo Bambino Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità». La preghiera del Vescovo di Roma è perciò che il pianto di questo neonato «ci svegli dalla nostra indifferenza» e «apra i nostri occhi davanti a chi soffre». La sua tenerezza, conclude, «risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite».

La veglia è cominciata con la lettura della kalenda, seguita dalla processione durante la quale sono state suonate le campane della Basilica, e intonato il canto del Gloria. Il Papa ha poi tolto il velo bianco dalla statua del Bambinello; con lui c’erano undici bambini di diversi continenti che hanno deposto dei fiori davanti alla statua. Tra questi anche due cinesi, Yi Linjiang e Valentina Sien Huang, di 7 e 6 anni, e un cileno e una peruviana: José Joaquin Vo Teuber Toro, 7 anni, e Asia Vera Infante, 8 anni, ad evocare il prossimo viaggio in Cile e Perùcon il quale Papa Bergoglio inizierà il nuovo anno.

 

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