Sardegna e Catalogna, vicende storiche ed attualità a confronto (3). Intervista a BUSTIANU CUMPOSTU, segretario di Sardigna Natzionte Indipendentzia, di Bachisio Bandinu

L’EDITORIALE DELLE DOMENICA,  Le interviste della  FONDAZIONE (2).

1.    Le ricadute in Sardegna della vicenda catalana: stimolo o freno? (Se l’intervista avviene prima del 21 dicembre): quale il prevedibile esito finale?

Senza dubbio per noi sardi la vicenda catalana costituisce uno stimolo in quanto l’indipendenza diventa un traguardo possibile, difficile ma possibile. I catalani hanno dimostrato che l’indipendenza sia conseguibile con la forza non violenta della volontà di un popolo e che la risposta del dominatore è sempre violenta anche se l’azione di liberazione del dominato è pacifica. Molti sardi che si sono tenuti in disparte in quanto associavano la violenza e lo scontro armato alla causa indipendentista hanno capito che è possibile la liberazione non violenta e schierandosi in difesa dell’autodeterminazione della Catalogna si sono schierati di fatto per l’autodeterminazione della Sardegna.

Il risultato finale del 21 dicembre sarà comunque positivo per gli indipendentisti catalani, non solo per il risultato elettorale che riaffermerà la volontà, già espressa, del popolo catalano ma principalmente perché hanno accettato anche il confronto nelle urne voluto dallo stato spagnolo con lo scopo di dimostrare la sua sovranità sulla Catalogna e con la speranza strumentale che gli indipendentisti lo rifiutassero e poter dimostrare all’Europa e al mondo che la dichiarazione di indipendenza fosse stata un’azione di forza di una minoranza antidemocratica.

 

Ritieni che in Sardegna si sia risposto adeguatamente in termini di solidarietà?

La risposta della Sardegna è stata in parte sentita ed in parte dovuta.

La risposta sentita è arrivata dalle espressioni politiche endogene, culturali e civiche che si riconoscono nel sistema politico catalano, che in netta disconnessione con il sistema politico spagnolo ha saputo condurre la maturazione ed il compimento dell’azione indipendentista.

La risposta dovuta è arrivata dalle espressioni politiche che per nascondere il loro collaborazionismo,  contingente o sistemico, cantano le glorie del percorso indipendentista dei Catalani e dei Corsi ma ne praticano uno opposto in Sardegna.

 

In Sardegna, della vicenda: se ne avvantaggerà l’indipendentismo o l’unionismo?

L’unionismo ha sentito il colpo e sta tentando porvi riparo, ha già mobilitato il suo apparato e ha messo in atto le prime azioni.

La prima, di negazione, sicuramente la più efficace, è quella del referendum per il riconoscimento dell’insularità, per tentare di riportare il rapporto tra stato italiano e nazione sarda nell’ambito della discriminazione interna ad un unico contesto e nascondere che il rapporto è invece tra due contesti distinti, tra lo stato italiano che domina e la nazione sarda che subisce la dominazione.

La seconda, di attenuazione, è costituita dalle finte vittorie nelle vertenze con lo stato, come quella sull’ASE, Agenzia Sarda Entrate, e quella sulla riduzione delle servitù militari, con le quali si da l’impressione di cambiare ma non cambia nulla.

La terza, di bassa politica, è messa in atto ricorrendo alla diffamazione del governo della repubblica catalana facendo passare per codardia la perfetta azione politica che, portando metà governo in esilio in Belgio e lasciando l’altra metà in Catalogna, ha conservato la propria operatività politica e allo stesso tempo ha reso evidente il franchismo repressivo dello stato spagnolo.

Ultima, l’azione del patriottismo peloso, che carica i sardi dell’onore di aver difeso la patria, italiana, nelle trincee, non dicendo che in quelle trincee i sardi erano tra due nemici, uno sconosciuto con diversa divisa e, dietro, uno conosciuto con la stessa divisa. I sardi, coscritti chiamati al fronte con su ‘billette de su re’, non sapevano né volevano sapere chi c’era nelle trincee nemiche, sapevano solo che, imbottiti di cognac, dovevano andare all’attacco in quanto avevano una speranza di vita maggiore rispetto a quella che avrebbero avuto esposti al fuoco dei carabinieri e alla decimazione, in caso di rifiuto degli ordini.

Tutte queste azioni, causeranno nell’indipendentismo una risposta di antifragilità. L’indipendentismo non solo non sarà indebolito ma ne uscirà più forte, più responsabile, più coeso.

 

L’intervento dei governanti spagnoli verso l’azione ‘culturale e linguistica’ dei catalani … avremo delle azioni ‘preventive’ da parte dello stato italiano?

Lo stato italiano non ha bisogno di ulteriori azioni in ambito culturale, ha pieno dominio della scuola e delle università, ha la letteratura sarda scritta in italiano, ha gran parte degli scrittori sardi che vendono l’esistere dei sardi come un prodotto esotico e la maggioranza dei genitori che rubano la lingua ai loro figli. Lo stato non ha bisogno di azioni repressive neanche contro la lingua sarda, anzi si può permettere azioni di finta tutela in quanto è certo che non sopravvivrà   alla lotta tra i coccodrilli sardi trasmutatisi in puristi, differenziasti e acorralados che piangono per la lingua nei convegni e la uccidono nel quotidiano.

 

Dato che la situazione sarda rispetto all’Italia (economia, autocoscienza istituzionale e culturale, movimenti e organizzazione   dell’autocoscienza) non è paragonabile a quella della Catalogna rispetto alla Spagna: pensi che la reazione dello stato italiano sarebbe dello stesso tenore di quello spagnolo?

In quanto a “economia” penso che sia da imbecilli pensare che prima bisogna raggiungere l’indipendenza economica e poi quella politica.

Penso che sia da imbecilli pensare che l’Italia ci permetta uno sviluppo e autosufficienza economica, sapendo, anche perché glielo diciamo noi, che subito dopo chiederemo l’indipendenza politica. Penso che, se noi possiamo essere imbecilli, loro, lo stato italiano e i suoi apparati, non lo siano affatto.

In quanto all’autocoscienza dei sardi penso che sia assolutamente paragonabile con quella dei catalani e che, se avranno al governo della Sardegna un sistema politico-culturale disgiunto e alternativo a quello occupante e collaborazionista, i sardi in un tempo simile a quello impiegato dai catalani, 3-4 anni, saranno pronti alla determinazione unilaterale dell’indipendenza.

Se ciò non è successo, o non succederà a breve, non si deve certo alla mancanza di autocoscienza dei sardi, ma alla cronica insufficienza delle organizzazioni politiche che pretendono di rappresentarne le aspettative.

Su questo aspetto concordo con la domanda, le espressioni politiche-culturali endogene, che la cultura politica sarda ha creato per farne degli anticorpi da contrapporre ai patogeni occupanti, sono assolutamente inefficaci e in parte al servizio dei patogeni.

In quanto alla reazione dello stato italiano, ad una eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della nazione sarda, penso che sarebbe esattamente uguale a quella spagnola e la reazione italiana sarebbe di carattere fascista quanto quella spagnola è stata franchista. Penso che una reazione fascista e imperialista da parte dell’Italia sia da dare per scontata, come per scontata era per i catalani la reazione franchista imperialista da parte della Spagna. La Spagna e l’Italia sono stati costruiti con le guerre di annessione, mascherate di liberazione, e considerano la Catalogna e la Sardegna rispettivi territori nazionali e, a costo di spendere la metà del PIL, faranno di tutto per non cederli, a meno che i catalani e i sardi non siano in grado di porre la questione politica sul tavolo europeo e ottenere una soluzione, politica, da imporre agli stati nazione.

 

2.    L’Unione Europea e gli Stati europei versus la vicenda catalana come esemplificativa delle spinte dei ‘popoli senza stato’:-      Vi aspettavate una tale chiusura … come la motivate … come rispondereste …

La chiusura era scontata, l’attuale Europa è quella degli stati e non certo quella dei popoli, è un accordo tra stati-nazione formatisi anche con le annessioni di territori appartenenti ad altre nazioni, le quali sono state private del loro diritto alla statualità prevalentemente con la forza delle armi. Molte annessioni sono artatamente passate alla storia come guerre di liberazione, come in Italia, ma di fatto sono state guerre di espansione con la conseguente annessione dei territori conquistati al loro territorio “nazionale” . Il tutto è stato poi chiuso e sigillato con delle costituzioni nelle quali i diritti derivati sovrastano i diritti primigeni degli individui e dei popoli. La indivisibilità dello stato e la coincidenza tra territorio e popolo dello stato con quelli della nazione è la gabbia nella quale stati come la Spagna, l’Italia e la Francia hanno imprigionato le nazioni annesse o conquistate.

La nostra risposta è chiara e determinata, l’Europa deve prendere atto

Che non ci può essere Europa finché ci saranno questioni politiche importanti non risolte. La dinamica di rapporto tra gli stati nazione e le nazioni senza stato è politica e politicamente va risolta, nello stesso tavolo dove vanno risolte le dinamiche di rapporto tra stati.

L’Europa è il tavolo nel quale si risolvono i contrasti tra stati che prima si risolvevano nei campi di battaglia, è il tavolo che ha sostituito lo scontro armato con il confronto non violento, nello stesso tavolo e allo stesso modo vanno risolti i contrasti tra gli stati occupanti e le nazioni occupate.

L’Europa non può permettere che gli stati membri tornino alle trincee e si rifiutino di risolvere le questioni nazionali nel tavolo del confronto non violento.

 

-         Come valuti l’assenza della Sardegna nelle preoccupazioni indipendentistiche della classe dirigente italiana così come viene presentata nei/dai media?

Normale, per la cultura politica italiana. Quella cultura politica, che è maturata nelle scuole e nei mass-media italiani falsando la storia, nascondendo verità per loro da rimuovere, non si pone neanche il problema delle nazioni senza stato, forzatamente compresse all’interno del loro stato.

Per gli italiani, le guerre di annessione del Regno Lombardo Veneto e del Regno delle due Sicilie sono state guerre di liberazione e Garibaldi con Nino Bixio sono dei liberatori, non degli spietati assassini di coloro che cercavano di resistere alle loro truppe di invasione.

Gli italiani, specialmente i buoni, quelli di sinistra, sono pronti a manifestare a favore della causa palestinese, irlandese, basca e tibetana, ma negano che esista una questione nazionale sarda, come i francesi negano che esista una questione corsa e gli spagnoli negano che esistano le questioni basca e catalana.

La classe dirigente italiana è figlia di questa cultura politica e ne tutela gli interessi, in Italia e in Sardegna.

La classe dirigente italiana, in Sardegna, ha mostrato grandi capacità di finzione, ha capacità camaleontiche, di adattamento e di proselitismo politico.

 

3.    La contemporanea iniziativa di massa, che sembra estendersi in Sardegna, per l’indizione di un referendum, per  la continuità territoriale da formalizzare in costituzione, viene da alcuni promotori presentata in contrasto e in alternativa all’indipendentismo. Talune dichiarazioni lascerebbero intendere che quello dell’anti-indipendentismo rappresenti un argomento utilizzabile per ottenere maggiore disponibilità da parte dello stato. Condividi? Si tratta di una preoccupazione eccessiva? Ritieni che si debba intervenire?

La proposta di referendum per l’inserimento dell’insularità della Sardegna in costituzione è l’ultimo frutto delle su menzionate capacita camaleontiche e di adattamento di quella che Merler chiama “Borghesia Notarile” che, per funzione e per conservare i privilegi da essa derivati, deve inventare antidoti all’indipendentismo dilagante, spinto dal vento Catalano e dall’onda Corsa. E’ un tentativo di conservazione e imposizione di contesto, di fermare la disgiunzione con una maggiore congiunzione, di ricondurre un problema di sudditanza di un contesto a causa di un altro ad un problema di cleavage, di  discriminazione interna ad un unico contesto. E’ la stessa formula della questione sarda interna alla questione meridionale, da risolvere chiedendo assistenza, chiedendo all’Italia un pagamento per supportare l’operazione di contenimento. La bravura dei “funzionali” si coglie nelle parole chiave di Pietrino Fois al congresso del PDS, “siamo contro il separatismo e il secessionismo”. Lui sa benissimo che in Sardegna non ci sono nè separatisti, nè secessionisti ma solo “liberazionisti”, ma il suo compito è proprio quello di contenere l’indipendentismo in categorie negative ed evitare che venga associato a categorie fortemente positive, come liberazione, democrazia, autodeterminazione. Sono bravi, molto bravi.

 

4.    Il conflitto stato-regione sull’aspetto finanziario (comprendente anche il tema dell’agenzia delle entrate): fino a che punto credi vada implementato il conflitto istituzionale?

Penso che la proposta di ASE, Agenzia Entrate Sarda, così come formulata, non abbia l’obbiettivo di inasprire lo scontro con lo stato, ma solo quello di giustificare il collaborazionismo del partito che l’ha proposta. La proposta ASE non porterà a niente di concreto nelle competenze fiscali della Sardegna, porterà solo ad una riverniciatura narcotica della sudditanza fiscale. Penso che i risultati ottenuti da Soru, con la modifica dell’art. 8 dello statuto,  siano stati molto più incisivi e importanti e la Sardegna abbia guadagnato molto in sovranità vera.

Penso che il conflitto istituzionale debba essere palesato in tutta la sua durezza e realtà, il rapporto è di sudditanza e questa sudditanza va palesata nell’ambito dello stato, in quello europeo e in quello mondiale.

Due sono le strade per rendere palese il conflitto, quella armata come la palestinese, ex irlandese, ex basca e ex corsa, o quella non violenta praticata oggi dai catalani.

Io ed il mio partito SNI, senza alcun dubbio abbiamo scelto la strada catalana. I catalani, senza neanche sporcare una piazza con cartacce, praticando la non violenza, hanno portato la questione nazionale catalana sui tavoli politici dell’Europa e del Mondo e chiedono e pretendono una soluzione politica

L’obiettivo finale è la dichiarazione unilaterale di indipendenza e costringere lo stato italiano a rivelare tutta la sua carica fascista e imperialista, che nasconde dietro la sua finta democrazia costituzionale. Anche la costituzione italiana, come quella spagnola, ha un suo art. 155 che, regalandosi un diritto derivato, annulla i diritti primigeni  delle persone e delle collettività. L’art. 5 chiude la gabbia costituzionale italiana all’interno della quale è detenuta la Natzione Sarda.

L’obiettivo finale suddetto, presuppone un prerequisito indispensabile, bisogna conquistare il governo della Sardegna, mandare via il sistema occupante e sostituirlo con il sistema dell’autodeterminazione.

 

5.    La pratica indipendentista in Sardegna, tra un’elezione regionale e l’altra: la ritieni sufficiente? … come ne spieghi l’esiguità? Cosa si potrebbe fare insieme?

Non è solo la pratica indipendentista che in Sardegna si è rivelata insufficiente ma tutta la cultura politica endogena e tutto l’insieme delle espressioni politiche, civiche e culturali, che essa ha prodotto.

Siamo stati generati come anticorpi, ma il corpo della nazione sarda è ancora malato, non siamo riusciti a combattere il sistema patogeno e anzi in qualche caso lo abbiamo aiutato con azioni autoimmuni.

L’autodeterminazione in Sardegna è cultura diffusa, l’indipendentismo è credibile.

L’indipendentismo è credibile ma non basta, bisogna renderlo delegabile, delegabile al governo della natzione sarda.

Per fare dell’autodeterminazione un sistema politico e culturale delegabile bisogna che tutti i figli liberi della Sardegna spendano la loro quota di responsabilità nella sfera natzionale mettendo nei gradini inferiori la sfera partitica e personale.

L’esiguità della cosiddetta “galassia sardista” credo sia solo dovuta ad una misurazione impropria fatta con il sistema elettorale italico e che di fatto esigua non sia affatto ma sia consistente ed in grado di essere maggioranza e esprimere un sistema politico di governo della Sardegna.

Insieme si vince, si caccia il governo occupante e va al governo l’autodeterminazione.

 

6.    Cosa impedisce in Sardegna l’unità tra le organizzazioni indipendentiste: linee politiche, leadership, formule organizzative ….

L’unità tra le organizzazioni indipendentiste è impedita principalmente dalle incrostazioni di cultura politica italiana che hanno acquisito i leader e gli aderenti indipendentisti nella loro formazione ideologica e culturale.

Le incrostazioni sono di diverso tipo, tutte molto impeditive e difficili da ridimensionare  portano a diverse forme di indipendentismo.

INDIPENDENTISMO IDEOLOGICO Le incrostazioni ideologiche portano ancora a pensare che l’indipendentismo debba essere di sinistra, come se fosse un sottoinsieme della lotta di classe, una dinamica interna al contesto sociale e non invece una dinamica esterna tra un contesto dominante ed uno dominato.  Tale anomalia si riscontra nella sinistra indipendentista la cui formazione è iniziata nell’ambito della sinistra italiana e in quello del falso internazionalismo socialista che da sempre è schierato con gli stati-nazione e contro le natzioni-statless. Questa forma di indipendentismo lo si può definire INDIPENDENTISMO IDEOLOGICO.

INDIPENDENTISMO COSTITUZIONALE Le incrostazioni economiche portano a pensare che l’indipendenza politica sia possibile solo dopo aver conseguito l’indipendenza economica. Con candida ingenuità pretendono dalla Stato le condizioni di solidità economica per poi chiedere l’indipendenza politica, come se lo stato italiano sia governato da imbecilli che si fanno male da soli permettendo che si creino le condizioni per una “secessione” di una parte di quello che considerano loro territorio nazionale. Tale anomalia si riscontra nell’indipendentismo indeciso, che è convinto che la Sardegna non possa bastare a se stessa e di fatto accetta l’autonomia spostando l’evento indipendenza praticamente al mai, perché mai lo stato italiano permetterà che se ne verifichino le condizioni. Penso che questo indipendentismo lo si possa definire.

INDIPENDENTISMO COSTITUZIONALE ed è quello che nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, esprimendo il voto, ha ratificato l’art. 5 della costituzione italiana.

INDIPENDENTISMO STRUMENTALE. La caduta delle ideologie forti ha creato sconcerto e sbandamento in chi in Sardegna ci aveva creduto e le aveva sposate in pieno; di quì la necessità di un sostitutivo. L’indipendentismo è un’ideologia forte, e la libertà applicata ai popoli si presta bene come sostitutivo dei miti infranti, per cui, al fine di avere carburante per continuare ad esistere, ambientalisti, antimilitaristi, complottisti, razzisti, comunisti di vecchio stampo, si sono tutti ammantati di indipendentismo. Questo indipendentismo è solo strumentale e contingente.

Tolte le incrostazioni si ha un indipendentismo figlio della sola cultura politica sarda.

INDIPENDENTISMO NATZIONALE. Capire che la sudditanza imposta dallo Stato Italiano è subita da tutto il popolo sardo, da tutta la Natzione Sarda e non da una sola classe. Lo scontro non è tra classi sociali ma tra due nazioni o, se vogliamo, tra due popoli, dei quali quello italiano ha conquistato l’indipendenza e si è dato uno stato, mentre quello sardo è in sudditanza ed impedito di darsi un proprio stato. Lo stato italiano e i suoi apparati politici e militari sono lo strumento per mantenere la Sardegna in sudditanza, chi decide è il governo dello STATO su delega e mandato del popolo italiano, di quasi tutto il popolo italiano, di qualunque fede politica, sia di destra che di sinistra. La sudditanza è subita dal cittadino sardo non in quanto appartenente ad una classe o a un ceto sociale ma in quanto sardo, quel suo stato di discriminazione è dovuto unicamente  alla sua appartenenza ad una nazione oppressa. A questo stato di oppressione ne consegue una giusta reazione di ribellione del cittadino sardo, reazione dovuta al mancato riconoscimento dei diritti del suo popolo e non della sua classe sociale. In questo scontro è dunque doveroso raccogliere tutta la ribellione del popolo sardo, mantenere viva la dialettica di classe, ma non perdere di vista il primo obiettivo, quello dell’indipendenza. Questo è l’INDIPENDENTISMO NATZIONALE al quale faccio riferimento convinto e nel quale milito già dal 1973.

7.    Quale l’idea della Sardegna del futuro, se potessi deciderlo tu?

La mia Sardegna del futuro è la Sardegna Indipendente , nella forma Stato o in qualsiasi forma che la riconosca come soggetto sovrano.  Sovranità per un popolo significa avere la possibilità di esercitare l’autodeterminazione sia in tutti gli ambiti che lo riguardano in via esclusiva che in quelli in condivisone con altri popoli o con altre entità collettive.  Se si è sovrani, le regole per decidere negli ambiti di competenza esclusiva sono interne e quelle per decidere negli ambiti in condivisione sono concordate ed interrelate con altre entità sovrane. La sovranità decade se altri possono decidere sulle regole interne o su quelle concordate. La sovranità decade anche quando altri decidono gli ambiti esclusivi o/e condivisi.

In quanto al resto, non credo che sia mio compito dare formule magiche in economia o in altri settori, ho piena fiducia nel mio popolo, se sovrano saprà fare le proprie scelte, saprà utilizzare le proprie risorse rispettando il proprio territorio e la propria gente. Sono certo che lo Stato Sardo non sarà una copia dello Stato italiano, sarà uno stato laico, rispettoso di tutte le libertà e attento alle dinamiche interne al proprio tessuto sociale.

 

13/12/2017

 

Condividi su:

    Comments are closed.