Una ragazza e il cameriere di sua Eccellenza, di Mario Cubeddu

CONDAGHE 2.0. Condaghe significa essenzialmente raccolta di documenti di vario genere. Con questo articolo vogliamo  ospitare degli interventi sul passato, il presente e il futuro della Sardegna. Il Condaghe è aperto ai contributi che vorranno essere forniti dai lettori e si ripromette di proporre un intervento diverso ogni settimana. Documento n° 3.

 

Il cameriere di sua Eccellenza l’Arcivescovo di Oristano don Luigi Emanuele del Carretto ha deflorada (questa è la parola dell’atto notarile in castigliano, si può tradurre deflorato, ha fatto perdere la verginità) e lasciata incinta la nubile Anna Manis, una ragazza di Busachi. Cosa succede nel 1760 dopo che questo fatto è stato accertato senza dubbi? Succede che la ragazza Anna Manis viene portata dal notaio di Oristano Giuseppe Ludovico Sanna. Al suo fianco ci sono due lacajos a servizio nel Palazzo Arcivescovile, gli oristanesi Salvatore Melas e Serafino Mocci. Sono i testimoni che probabilmente hanno accompagnato la ragazza e alla fine daranno autenticità all’atto, uno con la firma, l’altro con la croce perchè analfabeta.  Anna Manis è stata portata dal notaio per dichiarare davanti a testimoni di voler rinunciare di sua spontanea volontà a qualsiasi azione di rivendicazione “a proposito di questa fornicazione, a qualsiasi causa civile e criminale, a qualsiasi lamentela, querela o domanda di risarcimento”. Che in futuro non se ne faccia più parola. La ragione: Dio dispone di perdonare gli agravios, le offese. Il seduttore non è presente, sostituito dal notaio stesso e dai due lacajos della Curia: un agnello inerme in mezzo ai lupi. E’ un documento raro e prezioso, quello scritto dal notaio di Oristano il 7 marzo 1760. Curiosa coincidenza: era la vigilia di una festa della donna che ancora non esisteva. Come non era frequente la presenza delle donne nei documenti notarili. E infatti di Anna Manis non si trovano altre tracce negli atti della Tappa di insinuazione. Tutto cambia se andiamo a cercare l’uomo che l’aveva “ deflorada” e messa incinta. Chi era, da dove veniva, qual’è la sua vicenda professionale e umana? Nei documenti viene indicato dai notai come Juan Vaglio, “de naciòn piemontes”. Quando invece è lui a dettare il suo nome si presenta con il diminutivo di Giuanìn, Giovannino,  con cui lo conoscevano a Chieri, la cittadina da cui proveniva.  Sin da giovane era entrato al servizio di don Luigi Emanuele del Carretto, diventato Arcivescovo di Oristano nei primi giorni del 1747.  L’Arcivescovo del Carretto fu uno dei migliori tra i prelati che governarono l’archidiocesi arborense. Si occupò in maniera attiva e intelligente sia del benessere materiale dei fedeli, attraverso la rivitalizzazione dei Monti granatici, sia del loro benessere spirituale,  visitando le Parrocchie e facendo costruire il nuovo seminario.  Per avere un’idea del livello della sua cultura è sufficiente scorrere i titoli della biblioteca inventariata dopo la sua morte: oltre ai dizionari delle lingue antiche, ebraico, greco e latino, a una raccolta dei grandi classici della letteratura europea, da Cervantes a Dante, a Machiavelli, Ariosto, Berni, Chiabrera, compaiono grammatiche e dizionari della lingua inglese e otto volumi dell’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert, opera fortemente osteggiata dalla chiesa ufficiale e dai gesuiti.  Amava anche il teatro.  Giuanin Vaglio viene definito “camarero”, cameriere dell’arcivescovo. In sostanza doveva trattarsi non solo di colui che si occupava delle esigenze pratiche del prelato, ma di una sorta di segretario privato.  L’Arcivescovo Del Carretto moriva il 21 marzo 1772 all’età di 65 anni. Nel testamento lascia 50 scudi a ciascuno dei suoi lacayos. Lascia inoltre la somma notevole di duemila scudi a Giuanin Vaglio e a sua moglie Anna Lucia Lombardo, di Casale Monferrato. La donna viene definita anch’essa cameriera dell’Arcivescovo e si deve pensare che si occupasse anche lei del suo benessere.  Il lascito equivale a un piccolo patrimonio, superiore a quello di cui poteva disporre un contadino ricco dei tre Campidani. Questo sta ad indicare che la coppia era legata a lui da rapporti più forti di quelli del lavoro; essi rappresentavano una famiglia e la patria lontana. Dopo la morte dell’Arcivescovo, Giuanin Vaglio decide di rimanere in Sardegna, dove evidentemente si trova bene e può avere occasioni di una fruttuosa attività economica. Cessata la protezione dell’Arcivescovo defunto, Giuanin Vaglio ottiene quella di Damiano Nurra, diventato Marchese d’Arcais da cinque anni, anche grazie al sostegno della curia arcivescovile.  Il 29 maggio 1772 i due fanno un accordo per l’esportazione  di 2350 starelli di grano da mandare a Marsiglia. Vaglio coglie l’occasione della presenza della tartana marsigliese Maria Vittoria ancorata nel golfo per imbarcare il grano, il Marchese è il suo garante. L’affare va bene e da quel momento il Vaglio entra a pieno titolo nei commerci di esportazione di prodotti agricoli sardi. La tattica è quella di acquistare dai produttori dei paesi nel momento del raccolto, quando il prezzo è più basso, immagazzinare e vendere nei giorni del bisogno. Si dedica anche all’appalto delle rendite ecclesiastiche, della decima riscossa su tutte le attività produttive dell’agricoltura, della pastorizia e dell’artigianato. Per curare meglio i suoi interessi e per vivere in una città più attiva e stimolante, il Vaglio si trasferisce a Cagliari pochi anni dopo la morte del suo padrone. Abita nella capitale del Regno e si qualifica come mercante quando prende in appalto dal canonico originario di Seneghe Antonio Maria Pippia le rendite delle ville di Genoni e Senis. Il canonico Pippia è lontano parente del Cardinale Agostino Pippia, morto già da mezzo secolo. La sua benevolenza gli ha consentito di diventare canonico a 13 anni.  Il canonico Pippia avrà modo di lamentarsi della gestione del Vaglio nell’anno di carestia 1780, quando i raccolti sono cancellati dal maltempo e le comunità ricorrono ad ogni mezzo per poter trovare denaro con cui comprare il grano indispensabile alla sopravvivenza.  Vista l’insensibilità del mercante Vaglio di fronte alle richieste dei consigli comunitativi che chiedono soccorso, il Pippia deve ricorrere ad altre fonti. Nonostante questa vicenda, il canonico seneghese continuerà ad affidare al Vaglio l’appalto delle rendite del suo beneficio. L’ex cameriere continuerà a fare affari nell’oristanese, anche grazie agli ottimi rapporti che ha stretto a Cagliari con i funzionari dell’Intendenza. L’ultimo atto riguardante il Vaglio trovato negli atti notarili della Tappa di Insinuazione di Oristano ci racconta il momento conclusivo della sua ascesa nella società sarda del Settecento.  Il 30 agosto 1785 presta giuramento di fedeltà al re in seguito alla naturalizzazione come cittadino sardo a pieno tutolo. Si tratta di un riconoscimento ambito dai forestieri che fanno affari nell’isola perché i “naturali”, i nati in Sardegna, sono esenti da una sovrimposta che devono invece pagare gli stranieri. Garante per il Vaglio è il Marchese d’Arcais don Damiano Nurra.

Fonte:

Archivio di Stato di Oristano, Atti insinuati della Tappa di Insinuazione di Oristano dal 1747 al 1785.

 

 

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