Gerusalemme, Netanyahu: “Altri Paesi seguiranno Trump”. Hamas lancia intifada contro Israele che invia rinforzi in Cisgiordania

Autorità palestinesi proclamano lo sciopero generale: manifestazioni e proteste in molte città. La repubblica 07 dicembre 2017

TEL AVIV - “Sono in contatto con molti Stati che hanno intenzione di spostare le loro sedi diplomatiche a Gerusalemme. Anche prima degli Stati Uniti”. A dirlo è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che dopo giorni, per la prima volta, ha commentato la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele, spostando lì l’ambasciata Usa di Tel Aviv. Quali siano questi Paesi, non lo ha specificato. Ma mercoledì 6 dicembre, sia il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte sia la Repubblica Ceca, hanno espresso la volontà di riconoscere Gerusalemme ovest, capitale del Paese. Il premier israeliano ha continuato dicendo che Donald Trump con questa mossa “è entrato per sempre nella storia di Gerusalemme”.

 

Intanto la città è paralizzata dallo sciopero generale proclamato per oggi dalle autorità palestinesi anche in Cisgiordania e a Gaza. L’agenzia Wafa riferisce che uffici, negozi e scuole sono chiusi in molte città palestinesi. Un malcontento già dimostrato nei giorni passati con manifestazioni spontanee di protesta a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e anche nella Striscia. Ma che oggi ha raggiunto il culmine con la manifestazione davanti alla Porta di Damasco, una delle entrate principali alla Città Vecchia di Gerusalemme.
• SCONTRI E TENSIONE
La tensione non ha tardato ad esplodere in molte aree dei territori palestinesi occupati. Sei dimostranti palestinesi sono rimasti feriti dal fuoco militare israeliano quando stamane la manifestazione di protesta a Khan Yunes (Gaza) ha raggiunto i reticolati della linea di demarcazione della Striscia con Israele. A riferirlo sono fonti mediche di Gaza. A Tel Aviv un portavoce militare si è limitato a confermare che in quella zona i soldati hanno disperso una manifestazione violenta palestinese.

 

 

Informazioni e privacy di Twitter Ads

Cortei di protesta sono avvenuti in mattinata nelle principali città palestinesi della Cisgiordania, fra cui Ramallah, Betlemme e Hebron. L’agenzia di stampaMaan riferisce che 16 dimostranti sono stati intossicati da gas o feriti da proiettili rivestiti di gomma in scontri con l’esercito israeliano a Tulkarem e a Qalqilya. I manifestanti, tra Gaza e la Cisgiordania, hanno dato alle fiamme bandiere americane e israeliane, così come poster di Trump e Netanyahu. Dato che le proteste sono diventate violente, Israele ha chiuso il valico di Gilboa, vicino a Jenin. Lo ha fatto sapere il ministero della Difesa, citato dai media israeliani, aggiungendo che “la riapertura del valico dipenderà dalle valutazioni della situazione”.

Proprio per fare fronte al clima sempre più acceso, l’esercito israeliano ha rafforzato la presenza di truppe in Cisgiordania: secondo il Jerusalem Post, Israele ha schierato alcuni battaglioni e accelerato la raccolta di notizie di intelligence. Altre truppe sono state messe in allerta in vista di eventuali sviluppi.

Gerusalemme, proteste e scontri da Gaza a Betlemme a Islamabad

Condividi

Manifestazioni di protesta anche in Tunisia e Pakistan. A Islamabad, secondo un comunicato diffuso dall’ufficio stampa del primo ministro Shahid Khaqan Abbasi, “il popolo e il governo del Pakistan hanno notato con grave preoccupazione la notizia secondo cui gli Usa sposterebbero la loro ambasciata nella città occupata di al-Quds Al Sharif (Gerusalemme), in questo modo alterando lo status legale e storico della città”.

• NUOVA INTIFADA
In un discorso pronunciato dalla propria abitazione a Gaza e trasmesso dall’emittente ‘al-Aqsa tv’a Gaza, Ismail Haniyeh, il leader di Hamas, ha minacciato: “Dovremmo invocare e lavorare per il lancio di una intifada contro Israele. Il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele è una dichiarazione di guerra nei nostri confronti. Domani venerdì 8 dicembre – ha proseguito – sarà il giorno dell’ira e l’inizio di una nuova intifada chiamata ‘la liberazione di Gerusalemme’”. Haniyeh ha invocato “un’intifada popolare globale, proprio come ha fatto il nostro popolo a Gerusalemme”. Il riferimento è all’ondata di proteste all’inizio di quest’anno contro i cambiamenti dello status quo per la Spianata della Moschea di al-Aqsa, il Monte del Tempio per il ebrei. Haniyeh ha esortato tutte le fazioni palestinesi a mettere da parte le loro divergenze per una strategia congiunta contro Israele e gli Stati Uniti.

LA SCHEDA TROPPO SACRA PER NON ESSERE CONTESA

Interrogato su queste minacce, Netanyahu ha ribadito: “Siamo per la pace e veniamo trattati ingiustamente, come aggressori. Noi facciamo quello che è giusto per il nostro Paese. È mia intenzione unire tutta la gente in Medio Oriente contro il barbarismo di Iran e vicini, e contro l’Isis”. E ha concluso: “La vera battaglia del futuro è la conquista della libertà e noi siamo nel mezzo di questa battaglia”.

· ABU MAZEN E ABDALLAH II
Intanto il presidente dell’Olp Abu Mazen – Organizzazione per la liberazione della Palestina – ha incontrato ad Amman il re di Giordania Abdallah II. Sul tavolo, la crisi innescata dall’avventata decisione del tycoon. Ieri Abdallah si era consultato con Erdogan e Macron, per discutere della questione e le possibili mosse da mettere in atto.

• EFFETTI COLLATERALI
Minacce contro gli americani arrivano, riferisce il Site, il sito di monitoraggio dell’estremismo islamico sul web, dai sostenitori dell’Isis e di al Qaeda: “Vi taglieremo la testa e libereremo Gerusalemme”, recita uno dei messaggi, in arabo, ebraico e inglese, postato online e corredato dalle immagini della moschea di al Aqsa. Ma non è il solo avvertimento: una milizia sciita irachena sostenuta dall’Iran ha minacciato oggi di attaccare le forze americane presenti in Iraq: “La decisione di Trump su al-Quds (Gerusalemme) rende legittimo colpire le forze americane in Iraq”, ha detto il capo della milizia al-Nojaba, Akram al-Kaabi, in una dichiarazione. Gli Stati Uniti hanno migliaia di truppe in Iraq per aiutare nella lotta contro l’Isis.

• LE REAZIONI
Il giorno dopo l’annuncio di Trump, proseguono le proteste contro la decisione del capo della Casa Bianca: il ministero degli Esteri iracheno ha convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti a Baghdad, ha fatto sapere un portavoce. “Gli Stati Uniti hanno tolto la sicura a una bomba pronta a esplodere nella regione”, ha ribadito il primo ministro turco, Binali Yildirim. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, parlerà “oggi o domani mattina” con Papa Francesco sulla decisione del presidente degli Stati Uniti, ha annunciato oggi lo stesso Erdogan, affermando di avere chiesto colloqui telefonici non solo con il capo della chiesa cattolica, ma anche con i principali leader dell’Europa, come riportano media ufficiali turchi.

E proprio in Turchia sono state rafforzate le misure di sicurezza nelle missioni diplomatiche Usa. A Istanbul, la strada che conduce al consolato americano è stata chiusa al traffico. Sul posto sono stati schierati agenti antisommossa, mentre appare aumentata anche la sorveglianza da parte dei militari statunitensi e delle guardie private della rappresentanza diplomatica. Sicurezza rafforzata anche all’ambasciata ad Ankara. Davanti a entrambe le missioni, nelle scorse ore si erano riuniti gruppi di manifestanti dei movimenti della gioventù islamica turca per protestare contro la decisione di Trump. Altri cortei si sono svolti alla storica moschea di Fatih a Istanbul e in diverse altre città del Paese.

“L’annuncio di Trump su Gerusalemme ha un impatto potenziale molto preoccupante”, perché avviene in un “contesto fragile” e potrebbe “farci tornare indietro ai tempi più bui”, ha detto l’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini, che già ieri aveva espresso preoccupazione per le conseguenze della mossa di Trump. “Ci aspettiamo che tutte le reazioni siano pacifiche” e “dobbiamo evitare che la situazione peggiori”, ha spiegato Mogherini, sottolineando che la violenza potrebbe rivelarsi “controproducente”. Sulla stessa linea il presidente francese, Emmanuel Macron, che “disapprova l’annuncio del presidente Usa, che contravviene le risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu” e ne parlerà in assemblea.

“Seriamente preoccupato” per la scelta del presidente Usa anche il Cremlino, ha riferito il ministero degli Esteri a Mosca, secondo cui la decisione di Washington rischia di avere “pericolose e incontrollabili conseguenze”. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati Uniti ha complicato la situazione in Medioriente e sta causando una divisione nella comunità internazionale, ha detto poi il portavoce, Dmitry Peskov. Anche la Gran Bretagna – come dichiarato ieri dalla premier Theresa May – conferma il disaccordo con la decisione Usa di riconoscere Gerusalemme quale capitale d’Israele, si legge in una nota di Downing Street nella quale si afferma che tale decisione non aiuta la pace nella regione” e che Londra continua a considerare Gerusalemme est come una “parte dei Territori Palestinesi Occupati, in linea con le risoluzioni dell’Onu”.

• RIUNIONI D’EMERGENZA
Venerdì 8 dicembre si riunirà il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, per una riunione d’emergenza chiesta da Francia, Bolivia, Egitto, Italia, Senegal, Svezia, Regno Unito e Uruguay. Una riunione d’emergenza della Lega araba è stata, invece, convocata per sabato, mentre l’Organizzazione della cooperazione islamica si riunirà a Istanbul il 13 dicembre.

 

Condividi su:

    Comments are closed.