CONTRO I MECCANISMI DELLA DIPENDENZA E LE LOGICHE MONOPOLISTICHE UN NEW DEAL PER L’INSULARITÀ E I TRASPORTI, di Federico Francioni.

L’EDITORIALE DELLE DOMENICA,  della  FONDAZIONE. Il referendum sull’insularità – Il monopolio di Rubattino – La vicenda della Sardamare, colpita da due “siluri” – La compagnia sarda Airone avversata in tutti i modi dal governo – L’iniziativa di Bastià Pirisi – Davvero non si può fare a meno dei monopoli? -  Conclusioni.

Il referendum sull’insularità brandito contro il diritto all’autodeterminazione dei popoli, compreso quello sardo. Il referendum per inserire il principio di insularità nella Costituzione italiana va qualificandosi sempre più – anche e specialmente in relazione all’odierno contesto storico-politico – come aperto rigetto e negazione della lotta di liberazione condotta dalla nació catalana. Sono del tutto condivisibili le puntuali osservazioni critiche di Enrico Lobina: il suo articolo Il referendum sull’insularità: due squadre in difesa, la palla fuori dal campo (apparso in questo sito il 29 ottobre) ricorda puntualmente la presenza del principio di insularità nei Trattati europei; evidenzia le lungaggini procedurali cui andrebbe incontro la proposta di legge costituzionale di una riforma in tal senso; precisa che non si tratta certo di pronunciarsi contro il principio di insularità ma, allo stesso tempo, rammenta opportunamente la delibera della Consulta permanente sardo-corsa del luglio 2017, cui è essenziale fare preciso riferimento. Ma soprattutto il referendum sull’insularità, conclude Lobina, distoglie l’attenzione dai decisivi nodi della dipendenza economica, da processi  storici, culturali e linguistici che mantengono la Sardegna in condizioni di assoggettamento. In questa sede si propongono alcune considerazioni sulle vicende dei trasporti che potranno risultare utili per individuare le responsabilità di ceti dirigenti italiani e isolani.

Il monopolio di Rubattino. Fin dagli anni 1830-31, quando si trovava a Genova, Camillo Benso conte di Cavour aveva stabilito un’alleanza, con imprenditori e commercianti (genovesi e liguri), che costituì una base quanto mai solida per future scelte economiche e politiche nefaste per la nostra comunità. «Alla Sardegna fece tutto il male che poté», disse dell’uomo politico piemontese il deputato di Bitti Giorgio Asproni. In seguito infatti lo Stato sabaudo decise di stanziare somme consistenti per quei  privati che fossero stati in grado di assicurare i collegamenti marittimi. Con la Società vapori nazionali di Raffaele Rubattino fu firmato un accordo che rimase in piedi fino al 1891. In questo modo venne costruito un monopolio pressoché incontrastabile. Altre compagnie di privati cercarono di inserirsi nelle rotte fra la Sardegna e la penisola ma, di fronte allo strapotere di quel colosso, dovettero prima o poi rinunciare. Francesco Maria Serra, parlamentare, capo della cosiddetta camarilla isolana ed amico di Cavour, si impegnò attivamente perché venissero meno progetti “nazionali”, nel significato sardo del termine. Bisogna ricordare che anche il ceto mercantile cagliaritano, con logica compradora, si adattò a questa situazione. Si può cogliere agevolmente una piena continuità fra lo strapotere di Rubattino e quello della Tirrenia.

 

La vicenda della Sardamare, colpita da due “siluri”. Il problema dei trasporti, nella Sardegna dell’immediato secondo dopoguerra, è caratterizzato da due qualificanti iniziative del ceto imprenditoriale sardo il quale affrontava – con grande consapevolezza e notevole determinazione, raccogliendo istanze e pressioni sociali – il nodo cruciale dei trasporti marittimi ed aerei.

Fra il dicembre del 1944 ed i primi mesi dell’anno successivo venne fondata una Società per azioni, la Sardamare; nel comitato promotore figuravano esponenti dei due Capi dell’isola: i sassaresi erano rappresentati da industriali, commercianti, politici e professionisti come l’economista Gavino Alivia e inoltre da Mario Azzena (che ne divenne il presidente), Nino Campus, Franco Garau, Antonio Masedu, Gino Mibelli, Bruno Mura, Gino Solinas, Bartolomeo Sotgiu, Domenico Zolezzi; accanto a loro vanno ricordati i nuoresi Enrico Devoto, Pietro Guiso, Salvatore Satta Marchi e Francesco Zuddas; i cagliaritani schierarono Virgilio Bolacchi, Marino Cao, Enrico Carboni, Emilio Fantola, Goffredo Giunti, Dino Testa, Antonino Zedda. L’iniziativa suscitò notevole entusiasmo ed ebbe un notevole seguito: una cifra per quei tempi ragguardevole, cioè i primi 65 milioni, costituì il capitale della nascente compagnia di navigazione marittima, grazie alla sottoscrizione di ben 2.850 azionisti.

Nonostante l’avvio incoraggiante, insorsero subito le prime difficoltà: dopo l’armstizio, al momento di ottenere l’assegnazione del naviglio, venne perduta la possibilità di noleggiare due motonavi, la “Langano” e la “Rondine”; la società ripiegò sulla “Tina”, motoveliero di ridotte dimensioni, impiegato solo per i viaggi sul Tirreno.

Contro la Sardamare vennero inoltre lanciati due “siluri”: è proprio il caso di usare questo termine, visto che stiamo parlando di collegamenti via mare. Uno venne dalle forze di sinistra, l’altro dal  governo. Il 6 marzo del 1945, su “Il Lavoratore”, settimanale del Pci, venne pubblicato un articolo che, in modo inconsulto, sferrava un durissimo attacco agli esponenti di un capitalismo locale – definito come “straccione” – qualificati   subito dopo, in modo palesemente contraddittorio,  come “magnati sardi”. Uno di questi “magnati” (se così lo si poteva correttamente definire) cioè il già citato Sotgiu, alla guida del Pastificio “Pesce” – operante sino al 1978, quando dava ancora lavoro ad una sessantina di operai – replicava con notevole buon senso su “Il Solco”, organo  del Partito sardo d’azione, di cui era dirigente. Egli sosteneva che la Sardamare voleva assicurare profitti, non era cioè intrapresa di beneficenza, caritativa o assistenziale ma, allo stesso tempo, rappresentava una prospettiva per assicurare mobilità dei viaggiatori e posti di lavoro, sorretta per di più da un azionariato popolare diffuso, garanzia di apertura democratica verso la società isolana.

Il secondo “siluro” venne lanciato da Angelo Corsi (1889-1966), socialista riformista, sindaco di Iglesias, parlamentare, autore di un importante scritto su autonomia e decentramento; dopo la caduta del fascismo fu sottosegretario alla Marina mercantile nei governi di Ivanoe Bonomi e di Ferruccio Parri ed ebbe in seguito lo stesso incarico al ministero dell’Interno nella prima  compagine guidata da Alcide De Gasperi (si veda quanto su Corsi hanno scritto il compianto Francesco Manconi e Luigi Nieddu). Ebbene, nella sua qualità di sottosegretario, Corsi sostenne senza esitazione alcuna la causa della Tirrenia. Egli affermava tra l’altro una cosa non vera e cioè che questa compagnia utilizzava navi proprie mentre, in effetti, ne aveva tre in concessione. Insomma, dopo l’incoraggiante avvio, l’intrapresa della Sardamare non proseguì.

 

La compagnia di navigazione aerea Airone avversata in tutti i modi dal governo. Lo stesso avvenne per un’altra cruciale iniziativa: la compagnia Airone, nata nel 1946 ad opera di imprenditori come Vittorio Mino Paluello, il già ricordato Marino Cao (attivo nel settore del legno), Sebastiano G. Pani (cagliaritano poi trasferitosi a Sassari), Enrico Pernis, Giorgio Sisini (fondatore della “Settimana enigmistica”) ed altri. Nel primo anno di attività trasportò ben 12.000 passeggeri. Il governo non ebbe esitazione alcuna nell’appoggiare la Lai (Linee aeree italiane), società finanziata dagli statunitensi. Anche la storia dell’Airone, nonostante gli entusiasmi, la partecipazione iniziale ed i primi concreti, confortanti successi, ebbe dunque termine. In definitiva una costante, non solo nelle politiche dei governi italiani, ma anche nella prassi di una parte cospicua dei ceti dirigenti locali, è rappresentata dalla più viva ostilità alle intraprese, diciamo così, autoctone.

L’iniziativa di Bastià Pirisi. In tale difficile e precario contesto va esaminato il proseguimento, nel secondo dopoguerra, dell’attività di Bastià Pirisi, imprenditore, scrittore e giornalista indipendentista che, già nel 1908, aveva dato vita al collegamento automobilistico Sassari-Tempio-Palau, il quarto a sorgere in Italia (il 27 ottobre scorso abbiamo ricordato l’originale ed eclettica personalità di Pirisi in un incontro a Villanova Monteleone, suo paese natale, col sindaco Quirico Meloni, Angelo Pirisi e Sandro Ruju).

Dal 1951 al 1960 operò la Compagnia generale sarda che impiegava gli Autoespressi della Sardegna. L’idea di Pirisi era collegare i due Capi con viaggi notturni. Entrarono in funzione due linee: Sassari-Cagliari e Sassari-Carbonia, mentre la Olbia-Villanova Monteleone era diurna. Come dimostrano le fotografie di quegli anni, i mezzi – dotati di toeletta e di telefono a bordo – erano confortevoli ed eleganti (se non  lussuosi). L’inaugurazione avvenne il 7 marzo 1951. Dopo il 1960 la società di Pirisi passò sotto il controllo della Scia che inglobò anche altre società, cioè la Mutton, la Rolando e C., la Marrone e C., riuscendo così a dotarsi di 38 vetture in  grado di percorrere giornalmente 5.000 chilometri. In ogni caso la personalità di Pirisi come imprenditore dei trasporti e la vicenda degli Autoespressi meriterebbero nuovi e più approfonditi studi. Negli anni Cinquanta Sassari era collegata a Cagliari dal servizio – notturno – organizzato da Pirisi, proseguito poi dalla Granturismo Pani. Oggi non esiste più un bus che colleghi le due città più importanti dell’isola. Negli ultimi anni abbiamo assistito al drastico ridimensionamento del sistema dei trasporti nel Nord Sardegna. Si tratta di progresso o regresso?

 

Davvero non si può fare a meno dei monopoli? Le vicende della Rubattino, della Sardamare, dell’Airone, l’esperienza di Pirisi, nei loro diversi risvolti e significati, meriterebbero studi più approfonditi, riflessioni più ampie ed adeguate sulle ricadute politico-culturali di una plurisecolare dipendenza coloniale e postcoloniale. Governi e schieramenti di vario colore, senza esitazione o interrogativo critico alcuno, sostennero i monopoli, da quelli della navigazione marittima ed aerea alla petrolchimica di Nino Rovelli. Il gigantismo è stato considerato e sbandierato come unico, possibile approccio e strumento per assicurare la mobilità con la penisola, il lavoro e l’occupazione. Non si può assolutamente prescindere dalla grande impresa! Così si affermava nei convegni e negli incontri organizzati negli anni Settanta dal Pci in Sardegna. Coloro che, nella sinistra sarda, guardarono con interesse alla piccola e media impresa, nell’industria e nell’agricoltura, furono messi in minoranza o finirono sostanzialmente emarginati. Tutto ciò permette di capire che, senza determinate, irrinunciabili premesse in chiave antimonopolistica, non si può progettare per l’isola un futuro dignitoso.

 

Conclusioni. Come si è detto in precedenza, se non si affrontano i nodi decisivi della nostra plurisecolare dipendenza economica, politica e linguistico-culturale, di stampo coloniale, se non si formula un pieno e consapevole rifiuto di logiche gigantiste e monopolistiche – che hanno letteralmente asfissiato qualsiasi progetto di collegare in tempi e modi decenti la Sardegna con il Continente – se non si costruirà dal basso un progetto alternativo, cioè un New Deal, sarà impossibile fare un solo passo avanti verso tempi migliori. Promotori e sostenitori del referendum sull’insularità lo usano per approdare ad acritici fusionismi ed unionismi, rifiutando esplicitamente di riconoscere il diritto – insopprimibile – di autodeterminazione dei popoli, dalla Catalogna alla Sardegna. Anche alla luce della repressione parafranchista del moto catalano, avviare di nuovo il cammino interrotto verso un’Assemblea costituente nazionale sarda può essere un giusto passo intermedio per proseguire coerentemente e incrollabilmente verso la completa liberazione socioeconomica e politico-istituzionale della nostra isola.

Per chi volesse approfondire:

 

Elettrio Corda, Ruote e rotabili, Chiarella, Sassari, 1981.

 

Salvatore Cubeddu, Sardisti. Viaggio nel Partito sardo d’azione tra cronaca e storia, vol. I, Edes, Sassari, 1993.

Cecilia Dau Novelli e Sandro Ruju (a cura di), Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna, 2 voll., Aipsa, Cagliari, 2012-2015.


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