Un grande “noi” partecipativo e responsabilizzante: a S’Aspru con un frate, molti ragazzi ed un arcivescovo, di Gianfranco Murtas

Trentacinque anni fa, a s’Aspru. S’erano allora incontrati molti fattori nella riflessione condivisa fra cagliaritani e sassaresi: c’era in primo luogo il bisogno – un bisogno sociale che era poi anche un’urgenza e saliva da tutti i territori isolani –, in secondo luogo c’era la spinta attiva dei francescani sardi mossi da padre Dario Pili, coscienza profetica della Sardegna novecentesca come Manzella e come Angioni, e con quella spinta evangelica (morale ed anche ecclesiale) c’era una competenza in divenire, sempre più solida di un giovane uomo, poco più che trentenne allora, che aveva studiato molto ma più ancora, vivendo intensamente il suo tempo, aveva sentito una seconda chiamata, dopo quella religiosa dell’abito; c’era anche un arcivescovo importante e buono in scadenza di mandato, prossimo cioè alla pensione: il vescovo che proprio quel frate – il giovane Salvatore Morittu – egli aveva ordinato presbitero giusto dieci anni prima; c’era anche nel patrimonio della diocesi di Sassari fino ad allora guidata appunto da don Paolo Carta una tenuta agricola, legato ereditario della famiglia Murgia Vivanet: una tenuta che era stata utilizzata a lungo, negli anni, dai gruppi di Azione Cattolica per i campi scuola e simili, ma era poi andata in abbandono e in rovina.

Il bisogno dei ragazzi già in attività, fin dai primi del 1980, nella comunità cagliaritana di San Mauro aveva suonato la campana di San Nicola, e l’arcivescovo Carta, che là abitava, l’aveva sentita. Egli poteva, quale ultimo atto formale del suo mandato episcopale a Sassari, affidare per trent’anni quel pezzo di campagna e quella casa ai francescani di padre Dario e padre Salvatore. La meritavano i ragazzi, la meritava l’impresa sociale che il giovane Salvatore Morittu, frate di San Francesco d’Assisi, aveva avviato nell’antico convento dei minori osservanti di Cagliari.

Nelle logiche formative della comunità il distacco dal proprio habitat costituiva una necessità. Ottima la soluzione cagliaritana per i sassaresi, gli algheresi, i galluresi o i barbaricini, ma per i ragazzi di Cagliari occorreva una soluzione speculare…

Anni addietro, per il ventennale 1982-2002, pubblicai un primo repertorio – all’insegna di “E l’idea si fece famiglia” – di quella storia che ancora è continuata.

In quel momento – alludo al 2002 – ancora il sistema delle comunità di recupero – dette “di vita” per distinguerle da quelle dette “terapeutiche”, nel senso di focalizzare la ragione della dipendenza da droga nel vuoto valoriale più che in un disagio psichico (ma successivamente anche questa distinzione avrebbe assunto altre connotazioni) – era articolato, riguardo a Mondo X Sardegna, in quattro comunità: San Mauro, Campu’e Luas (in quel di Macchiareddu, nel complesso già Enaoli), e S’Aspru appunto. O meglio: San Mauro l’apripista, concluso il suo ciclo, aveva appena ridimensionato i suoi spazi limitandoli alla biblioteca specializzata e al Centro d’ascolto, ed anche Campu ‘e Luas, che per i numeri imponenti aveva dovuto a lungo articolarsi in due comunità sostanzialmente autonome, stava puntando alla riunificazione: la maggior offerta di accoglienza da parte di analoghi centri comunitari (di matrice laica o religiosa, per il più convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale) e dei presidi pubblici (i SerT di un tempo) consentiva un certo ridimensionamento. Poi ancora, ma muovendo da questo medesimo trend, sarebbe venuta l’idea di accorpare tutto (magari raddoppiando) in Siligo, a S’Aspru cioè: ampliando gli spazi, per gli acquisti e le donazioni ricevute dei terreni contigui a quelli della ex proprietà Murgia Vivanet, si sarebbe meglio riorganizzata tutta la struttura agricola della comunità e vi sarebbe stato modo anche di collocare, con relativa facilità, i diversi fabbricati artigianali, dalla falegnameria alla metallotecnica, che costituivano il punto di forza di Campu ‘e Luas (in attività dal 1985). E’ la realtà d’oggi. Un buon giro di volontariato, giovanile e no, sostiene le professionalità formative e di sostegno acquisite negli anni.

Intanto dal convento di Sant’Antonio abate, a Sassari, la comunità ospitale dei malati di aids, aperta nel 1998, interagisce positivamente con quella di S’Aspru e la circolarità delle esperienze e delle iniziative le più varie riassume nel territorio del capoluogo turritano quel che un tempo si spalmava nell’intera Isola.

Ho creduto utile, partecipando alla festa dei 35 anni – il tanto di una generazione e più – di riproporre alcune mie pagine che investono proprio le fasi di impianto di Mondo X Sardegna in Siligo, con qualche integrazione dai “giornali di comunità” redatti dagli stessi ragazzi non mai “ospiti” – si badi bene – ma “comunitari” nel senso pieno della corresponsabilità nella gestione della casa e delle sue attività.

 

Un presule ed i pastori, il racconto di padre Morittu

L’antefatto della vicenda narrata è in una riunione, a San Pietro di Sorres, della Conferenza Episcopale Sarda. Tutti presenti gli ordinari delle undici diocesi isolane, tranne quello di Sassari. Al presidente mons. Bonfiglioli, che ha seguito fin dall’inizio, con grande attenzione ed affetto l’esperienza pionieristica di San Mauro, ed agli altri vescovi residenziali padre Morittu ha posto il problema di impegnare la Chiesa locale nel servizio alla causa del recupero dei giovani sbandati dietro i malefici miti della droga. Ha chiesto in concessione una casa in campagna, e un terreno attorno da coltivare, per la sussistenza e l’esercizio pedagogico in logica di ergoterapia…

Il primo a farsi avanti è stato il vescovo di Ales, mons. Tedde, forse il più sensibile alle problematiche sociali. Ha offerto un fabbricato a Villa Verde, nel cuore della Marmilla, ma senza terreno attorno… Poi mons. Antonio Virdis, del clero turritano, professore alla facoltà Teologica di Cagliari, ha promesso un interessamento, pensando ad un immobile rurale non granché lontano da Sassari… Ne avrebbe parlato – ecco la sua promessa – con l’arcivescovo. E ne parlò infatti.

Ricorda padre Morittu: «Ero venuto a sapere che mons. Paolo Carta stava per lasciare la diocesi per motivi di età. La notizia non era ancora ufficiale, però, non essendo stato presente alla riunione e quindi, ritenendo io che non avesse più gli elementi in mano per fare una scelta, mi aspettavo una risposta del tipo “mi dispiace, ma io sto per andarmene: tratterà la vicenda con il mio successore”. E perciò rimasi sbalordito quando il 17 marzo 1982 mi arrivò una telefonata, alle 8 e un quarto della sera, da parte dell’arcivescovo che, con la sua voce di ex cappellano militare, mi disse: “Padre Morittu, S’Aspru è suo. Io sono totalmente disponibile a questo progetto”.

«Io che non mi aspettavo assolutamente una cosa di questo genere, provai tanta di quella  meraviglia che me ne uscii con una frase, direi, del tutto banale, emotiva…, a pensarci ora a mente fredda. Risposi: “Porco cane, è bello, eccellenza” anche perché con i ragazzi se ne parlava spesso ed eravamo tutti in attesa di vedere come avremmo potuto risolvere questo nostro problema… Perché i ragazzi venivano con me a visitare questo e quel posto, quando andavamo a fare delle escursioni. E fu così che mons. Carta mi disse: “Venga, parliamone, vediamo subito come concretizzare, anche con un contratto se è necessario”.  E quindi io sono andato da lui, assieme al provinciale dei Minori, e abbiamo valutato la faccenda raggiungendo un accordo ufficiale fra l’arcivescovo di Sassari e l’ente morale dei frati. Quindi una cosa ufficiale, non con padre Morittu, ma con un gruppo di volontari, con un gruppo di drogati e con l’Ordine francescano… Il coinvolgimento ufficiale dei frati era necessario. Io avevo esposto la cosa al mio superiore, che era allora padre Antonino Piras, di Ittiri, e così siamo arrivati a questo contratto…».

I programmi del Municipio di Siligo per casa Vivanet erano altri. Si disse che la diocesi avesse promesso la struttura al Comune. E’ così?

«C’erano stati, in passato, degli approcci tra l’Amministrazione civica di Siligo, la Pro Loco del paese e l’arcivescovo, per l’utilizzo sia della casa in abbandono che dei vasti terreni là attorno… Non si era ancora arrivati ad alcuna decisione, ma già questi contatti con l’arcivescovo avevano generato degli interrogativi nel Comune e nella Pro loco, sulle possibilità di utilizzare questa struttura come centro culturale, o albergo, come qualcosa cioè che servisse al turismo interno, un appoggio alternativo, in campagna, alla gente che veniva in Sardegna a passare le vacanze al mare, Questo fa capire anche la reazione negativa della popolazione di Siligo, e anche del Comune, al nostro arrivo. Stavano sognando sulla possibilità di creare questo centro turistico, e invece….».

Ed il clero, quale atteggiamento ha avuto nel sentire che a Siligo arrivavano i marziani?

«Il parroco no, lui non si è opposto. Era una persona anziana, molto saggia. Essendosi affermata, in paese, un’Amministrazione di sinistra PCI-PSI, si era tenuto un po’ in disparte…».

Come hai superato quelle prime difficoltà, prime di una serie che si annunciava lunga?

«Sconfiggere il pregiudizio non è stato facile, ma dovevo riuscirci. Ero profondamente convinto che le parole non bastano a sbarazzarsi dei fantasmi delle idee, soprattutto in un paese così piccolo, 1200 anime, all’interno della Sardegna, non toccato dal problema droga, del quale si conosceva soltanto quanto i giornali o la televisione potevano riferire mostrando immagini non tutte corrette… Invece ho preteso dall’arcivescovo che egli fosse veramente convinto di ciò che stava facendo. Ed ho notato, infatti, che lui era radicalmente convinto della qualità dell’iniziativa. Mi raccomandò che mandassi avanti le cose, soprattutto con i pastori che occupavano i terreni adiacenti la casa, in modo tale da non creare nessun problema. In altre parole questo significava: dare l’adeguato compenso, dare i soldi perché questi pastori restituissero i pascoli.

«Grazie alla mediazione importante del mio provinciale, profondo conoscitore del mondo agro-pastorale, siamo riusciti a convincere i pastori dell’opportunità di liberare, progressivamente, un po’ per anno, i circa 14 ettari di cui disponeva l’archidiocesi di Sassari, lì intorno alla casa».

Intanto l’arcivescovo stava preparando le valigie. Avrà avuto desiderio di inaugurare lui il nuovo corso di S’Aspru, o no?

«Mons. Carta, in qualche modo, ci mise fretta, nel senso che disse: “Io preferisco, se la cosa la dobbiamo fare, che si inizi adesso che sono in carica qui, arcivescovo di Sassari!”. Queste parole ci portarono ad accelerare, a superare alcune paure, alcune difficoltà, spronandoci a dar corpo al nostro progetto.

«Io avevo tentato di impostare una piccola ristrutturazione della casa, già prima dell’arrivo dei ragazzi. Avevo anche depositato delle piastrelle per predisporre un primo bagno, perché la casa necessitava di tutto. Dopo 15 giorni ero ripassato e non avevo trovato più nulla. La casa era alla mercé di chiunque… E allora, a San Mauro, decidemmo: no, conviene andare e rimanere».

La data storica è quella del 22 maggio. Cosa avvenne? E quali furono le reazioni sia delle autorità locali che della popolazione al fatto compiuto?

«Il 22 maggio, io e altri 7 ragazzi siamo partiti da San Mauro con tutte le attrezzature minime ma indispensabile, per andare su e non muoverci più. Abbiamo caricato il furgone, un camioncino che ci avevano prestato e abbiamo portato lì alcune delle cose più necessarie. Da subito abbiamo iniziato il riattamento della casa, che era la vera urgenza. Il giorno dopo, mi pare, sono andato all’ufficio del sindaco, dal parroco, dal maresciallo dei carabinieri. Il sindaco non l’ho trovato, c’era inizialmente soltanto il segretario comunale. Poi è arrivato un assessore, il quale – quando mi sono presentato – mi fa le stesse osservazioni che qualche minuto prima mi aveva fatto il segretario, del tipo “eh! Il fatto che voi siate arrivati a S’Aspru non vuol anche dire che ci dobbiate rimanere!”… Perché immediatamente il segretario comunale gli mostra allora il contratto firmato da mons. Carta… Il maresciallo dei carabinieri sì, e anche il parroco, ed entrambi mi hanno accolto molto bene e hanno visto positivamente anche questa nostra iniziativa. Il maresciallo giustamente mi ha detto che avrebbe dovuto fare la relazione al suo comando su questo nostro arrivo. Mi ha fatto delle domande sulle intenzioni, sui programmi, qualcosa sulle mie idee anche politiche, circa la mia appartenenza, la mia militanza politica.

«L’inaugurazione, presente mons. Carta, è stata una cosa molto semplice e allo stesso tempo molto bella. Era il 2 giugno, giusto dieci giorni dopo il nostro arrivo. L’arcivescovo ci teneva molto a questa visita. Ancora pochi giorni e avrebbe fatto il suo ingresso in diocesi il nuovo ordinario mons. Salvatore Isgrò. Anche perché la non solennità era dovuta al fatto che lì ci siamo dovuti subito scontrare con una sorta di ostruzionismo da parte dell’Amministrazione comunale di Siligo, di altre entità sociali come la Pro loco e di buona parte della popolazione, tutti chiaramente impauriti per quel che stava avvenendo nel loro territorio o per quello che sarebbe potuto accadere, vista la vicinanza della comunità al paese».

Per le personalità a cui ha dato i natali, Siligo dovrebbe essere il paese più generoso della Sardegna, e invece?

«Siligo è il paese della madre di Cossiga, è il paese dove la sua famiglia aveva dei terreni, è il paese di Gavino Ledda, di Gavino Angius, di Maria Carta. Un paese piccolo ma incredibile per queste personalità che è riuscito ad esprimere, molto diverse l’una dall’altra. Fatto sta che la reazione già del segretario comunale e quella del geometra del Comune sono state del tipo: “Beh, ci vada piano perché lei è appena arrivato, e la cosa non è ancora definita”. Veramente la cosa era tutto al contrario, chiara e definita giuridicamente…

«Con l’Amministrazione comunale le cose si sono risolte in questo modo. Venuto a sapere che una certa sera si riuniva, in municipio, il Consiglio comunale, che avrebbe trattato anche della comunità dei tossicodipendenti che stava insediandosi, io mi sono presentato in aula. C’era anche un buon gruppo di persone che sentivo discutere di una zona di fabbricazione…, ma poi piano piano la gente andava via e quindi sono rimasto solo io. Evidentemente il paese affidava la trattazione della questione unicamente al Consiglio. Il sindaco fece riferimento al geometra del Comune, che sembrava l’esperto della materia… “No, io sono padre Morittu e vivo lassù a S’Aspru”, dico. “Ah, lei è padre Morittu, quello che è venuto giorni fa con i drogati. Non è una cosa da trattare così. Dobbiamo discutere, voi siete venuti, ma non è detto che dobbiate rimanere”, risponde lui. Io gli ribatto: “Guardi, io ho un contratto…”, e la cosa si è leggermente accalorata in quel momento. Io dovevo difendere la presenza dei ragazzi a S’Aspru e spiegare il nostro metodo, il nostro modo di lavorare per il recupero del tossicodipendente. Comunque ci siamo lasciati con l’accordo che ci saremmo rivisti per discutere il problema».

E avete discusso?

«Pochi giorni dopo l’Amministrazione comunale ha organizzato una conferenza sulla droga, invitando anche me e gli operatori pubblici di Sassari, e qualche espressione del mondo politico provinciale. Diciamo che dopo quella conferenza, sentendo con maggior chiarezza anche il nostro punto di vista, il nostro modo di lavorare, e sentendo anche quanto gli operatori pubblici (peraltro della stessa area politica) valorizzavano questo nostro tipo di intervento, l’orientamento è cambiato. E poi, anche il fatto che io provenga da una famiglia di pastori lì vicino, a soltanto 30 chilometri di distanza…, anche questo è servito. Il giro di boa è avvenuto quando ci siamo ritrovati gli amministratori comunali, lieti ed accoglienti, con i volontari della comunità di S’Aspru, a fare una    scampagnata insieme: abbiamo ancora trattato le nostre cose, e l’abbiamo finita cantando in sardo.

«Da allora, praticamente, si è cominciato a instaurare con il paese un rapporto diverso, o almeno è stato un inizio. Chi ha dato il colpo di grazia ai pregiudizi, comunque, sono stati i contadini e i pastori che hanno visto quel che stavamo facendo: noi, senza scendere quasi mai nel paese, abbiamo cominciato a lavorare la terra, abbiamo cominciato ad aggiustare la strada, perché non ci poteva passare quasi neanche la macchina, abbiamo cominciato a pulire questa casa… Contadini e pastori hanno cominciato a capire che ci possono essere ancora oggi, non dico drogati, ma giovani che hanno voglia di lavorare, perché questo, a loro, li ha fatti veramente sbalordire. Erano sorpresi di questo frate e di questi giovani che lavoravano in campagna… Per loro drogati voleva dire sfaticati e basta. Il nostro messaggio, che era nelle cose che facevamo, nel nostro modo di comportarci, è arrivato giorno dopo giorno al paese, e col tempo la mentalità del paese è cambiata. Dopo quattro mesi noi non abbiamo avuto più problemi con il paese. C’è stata una trasformazione radicale…».

Siete diventati amici dei pastori, i ragazzi di città hanno imparato a mungere ed a pascolare il bestiame, da quel che abbiamo saputo. Un idillio?

«I rapporti con i pastori sono stati forse i più significativi e promettenti. Con loro dovevamo avere contatti quotidiani, avevamo bisogno di mettere su gli animali… Il nostro primo gregge è venuto dalla solidarietà degli allevatori. Dopo breve tempo, ben 105 pastori, la maggioranza dei quali neppure ancora ci conoscevano, ci hanno regalato una pecora ciascuno…».

E il Comune e la gente?

«La giunta ha demandato a noi, perché nessuno la voleva fare, la pulizia di un bellissimo lavatoio pubblico dove ancora oggi le donne vanno a lavare e dove noi stessi laviamo, e di 15 o 16 abbeveratoi sparsi in tutto il territorio comunale, importantissimi per i pastori e gli agricoltori, per il pensionato che va a lavorare il suo pezzo di terreno, che ha la sua villa e deve trovare l’acqua per il suo asino o per il suo cavallo… Noi ci siamo fatti carico della pulizia di tutto questo.

«E’ significativo: la disponibilità del paese l’abbiamo avuta dopo aver chiarito questi aspetti iniziali di intervento, come sostanza e come metodo. Se per alcuni questo significa ghetto allora io dico che i ghetti non li fanno né i confini né le mura né tanto meno la chiarezza. I ghetti nelle città ci sono, e non ci sono né mura né confini all’interno della città; il ghetto lo crea il cuore dell’uomo, il modo di convivere, lo crea la mancanza di vera solidarietà e di vera partecipazione. Laddove queste cose mancano, il ghetto si forma; laddove esso sembra esistere non è detto che ci sia realmente».

Addenda

Due o tre particolari s’aggiungono al mosaico di memoria fedele – memoria fotografica e sonora, oltre che logica – che padre Morittu ha tradotto in gustose immagini filmiche, con tanto di didascalie assolutamente gustose.

Il lavoro della prima giornata, dopo aver scaricato arredi e vettovaglie dal furgoncino e dalla 131 station vagon (donata a padre Morittu il giorno prima) è la ripulitura di tre stanze del piano terra, dove poter sistemare le brande per il riposo: una per il capo, una per Maria, una terza camera per i maschi: Sandrone e Mauro, Pacicu e Giampiero, Franco e Poppi.

A Maria è toccato in sorte un ambiente dall’apparenza il più gentile, per via di quel camino che invero non sembra più in grande efficienza… E da lì (ma forse non soltanto da lì), proprio nell’ora fatidica di Cenerentola, ecco cominciare a sbucare i topi, ora in colonna, ora spaiati e in libera perlustrazione del posto, come per darsi ragione della novità… Per quanto assonnata dalla gran fatica del giorno, l’inquilina non ce la fa a prendere sonno, anzi cerca protezione. Fa immediata istanza al capo, e questi – tramortito dalla stanchezza non meno degli altri – sibila la sua sentenza: «Fatti portare la branda dai ragazzi, e sistemati da loro. C’è posto…».

E’ l’esperienza traumatizzante della prima notte a S’Aspru a dettare l’agenda delle priorità per l’indomani: tappare i buchi del camino (e non soltanto quelli), impedire dunque ai topi gli ormai abituali percorsi in casa. Non per volerli male ai topi, s’intende, ma dopotutto essi non sono animali domestici…

Così di mattina. Di sera ci sarà da occuparsi di… relazioni pubbliche. Così, appunto nel tardo pomeriggio del 23 maggio, si registra il primo approccio di padre Morittu con i politici di Siligo. E’ la volta in cui il sindaco, che presiede la riunione del Consiglio comunale, lo scorge nell’area riservata al pubblico. Ormai rimasto solo, dopo che tutti quelli interessati ai piani di fabbricazione, alle zone A o B o F, se ne sono andati, soddisfatti o insoddisfatti chissà, padre Salvatore intuisce che non saranno, almeno nel breve periodo, rapporti facili. Non ha indosso il saio, niente che lo riveli per chi sia.

«Scusi, lei è un geometra?», «No, io sono padre Morittu… Sono venuto perché mi avevano detto che si sarebbe discusso di S’Aspru…». Ma di S’Aspru si doveva discutere, invece, in un’altra occasione. Quella sera basta comunque per le presentazioni e per investire, speranzosi, in fiducia, intrecciando, tra i due fronti, un po’ di cordialità. Oltre la diffidenza dei locali, oltre i timori di non accoglienza del nuovo arrivato.

Si finisce tutti al bar, lì a un passo dal municipio vecchio di Siligo. Il frate-sorpresa con qualche esponente della giunta e del Consiglio. Ospitalità e cordialità, si discute… Ma forse la cosa dura più del previsto, e in comunità giustamente ci si preoccupa. Che abbiano fatto fare una brutta fine al “nostro” Salva? Parte la pattuglia. E come in una scena dal vago richiamo western ecco che, mentre gli avventori consumano ancora un’altra bevanda gagliarda, all’improvviso si spalanca la porta del bar, e ad affacciarsi, quasi come i pistoleros del tempo andato, sono Sandro, Mauro e Franco… «Ah, sei qui… Siamo stati in municipio senza trovarti, eravamo preoccupati…». Sano e salvo, e forse appena appena rincuorato per il futuro che verrà, il frate tranquillizza i suoi…

Altro fotogramma. E’ la scena del dibattito pubblico, aperto dal sindaco, sulla sorte di S’Aspru. Una questione più o meno direttamente infilata nella discussione intorno al disagio giovanile. E’ presente anche una riconosciuta autorità in materia, quale certamente è il professor Desole, direttore del CMAS di Sassari, nonché uomo politico di area socialista, vicina dunque a quella dell’amministrazione civica silighese.

E da parte sua non vengono altro che… apprezzamenti all’esperienza di Mondo X, e dunque anche dell’intraprendente frate di Bonorva – ora nuovo cittadino di Siligo –, che dopo aver lanciato San Mauro ha riunito, proprio in cima all’amena collina di Mesu Mundu qualche rappresentanza d’Italia: tre cagliaritani, un sennorese, un toscano, un pugliese… Per assessori e consiglieri silighesi è un motivo in più per smontare un pregiudizio… E ad aiutare nella sana impresa concorre anche, al termine del dibattito, una “conviviale” con bicchiere di vino sardo e cantadores in gran forma… I ragazzi partecipano e piacciono.

Saranno poi utili, alcune settimane dopo, altri riconoscimenti. Quelli stavolta provenienti nientemeno che da Giovanni Berlinguer. Che ne capisce ed ha l’autorità del leader. Potrebbero mai, un’amministrazione di sinistra e una maggioranza elettorale emersa nel libero confronto elettorale, contrastare gli argomenti di un Desole o di un Berlinguer brandendo soltanto un pregiudizio?

Altro flash. Una qualche cerimonia, sì francescana all’ennesima potenza, ma comunque con benedizione, rinfresco e abbracci, è da compiersi per onere di storia. Mons. Carta, amministratore apostolico dell’archidiocesi di Sassari ancora per alcuni giorni (siamo ormai nell’imminenza dell’arrivo del suo successore), attende l’invito. Che arriva, cordiale e sempre grato… E’ il 2 giugno. Sono passati appena dieci giorni dall’arrivo dei pionieri sul rialzo di S’Aspru. Da lì a qualche giorno – come a non far gustare appieno il lieto momento – una emergenza. L’incendio che circonderà S’Aspru.

Ultima istantanea. Si sa che, all’atto della firma del contratto, monsignor Carta ha vivamente raccomandato ai francescani – al provinciale padre Antonino Piras ed al diretto interessato padre Salvatore Morittu – si concordare al più presto con i pastori il rilascio dei terreni attorno alla casa, affittati da lungo tempo dalla curia per un prezzo meno che simbolico (60.000 lire annue, o press’a poco). Per la risoluzione anticipata del contratto i pastori esigono un abbondante ristoro: dieci milioni. Ecco i problemi, due ben distinti ma insieme combinati: trattare con la controparte per ridurne la pretesa; trovare infine, e comunque, la liquidità necessaria a soddisfarla pur nella nuova misura.

L’abilità di padre Piras si rivela appunto doppia. Utilizza tutte le armi della… convivialità – quelle più ancora delle armi dialettiche –, per venire a patti e firmare il nuovo contratto. Sulla base di una somma dimezzata…

Dall’emeroteca 1982. Scrive padre Dario Pili: «Accoglienza francescana e gioia di rinascita»

«La tenuta diocesana di “S’Aspru” ceduta per il recupero dei tossicomani» s’intitola l’articolo che padre Dario Pili ofm pubblica, il 13 giugno 1982, su L’Ortobene, con occhiello «Uno degli ultimi gesti “storici” del dimissionario arcivescovo di Sassari, mons. Carta».

Grande vescovo, per la carità senz’altro, mons. Paolo Carta, e profeta autentico padre Dario, già iniziatore della grande avventura di accoglienza e solidarietà dei francescani verso i giovani tossicomani della Sardegna. Lo scritto apparso sul settimanale della Chiesa di Nuoro rende ampia testimonianza della sapienza del cuore e della tempra evangelica dei due protagonisti che s’incontrano nel servizio alla causa dell’Uomo.

S’Aspru diventa, nell’ottavo centenario della nascitamorte dell’Assisiate, il tredicesimo luogo di presenza francescana nell’Isola.

Ultimo, forse, dei gesti “storici” del dimissionario arcivescovo di Sassari, mons. Paolo Carta, prima di lasciare la diocesi, è stata la sua firma sotto il contratto con cui egli cede in affitto la tenuta di S’Aspru, presso Siligo, alla Provincia dei frati Minori di Sardegna, perché vi impianti un centro agricolo comunitario per il recupero dei tossicodipendenti.

Sarà anche vero che la coscientizzazione delle Chiese circa il problema droga ha fatto un buon cammino: pertanto, chiamare storico un gesto del genere può sembrare eccessivo. D’altra parte è anche vero che le cose fatte non sono nemmeno tante; quindi, non formalizziamoci troppo sulle parole. E diciamo che mons. Paolo Carta merita la lode della Chiesa di Sardegna. Insieme con lui la meritano il Capitolo della cattedrale, e quanti, nella sua diocesi, preti e laici, a vari livelli di collaborazione, lo avessero incoraggiato.

S’Aspru è una vasta tenuta all’uscita della superstrada per Siligo, superato, sulla destra per chi va a Sassari, il Montesanto. Parte a terreno pascolativo, parte a terreno seminativo, fa centro a un grosso fabbricato, dotato di saloni e di stanze, a suo tempo notevole villa di campagna di una famiglia che ne fece dono all’arcivescovo d’allora, il frate Minore mons. Arcangelo Mazzotti.

In questi anni la diocesi di Sassari ne aveva fatto luogo di attività di formazione ecclesiale per i vari gruppi diocesani: convegni, ritiri, incontri, campi-scuola, campeggi, ecc.

Ottime ipotesi ed esperienze di lavoro. Ma il destino di S’Aspru dovevano essere i drogati della Comunità San Mauro, se nel momento in cui gli ambienti del Convento francescano di via San Giovanni in Cagliari, dove ha sede la Comunità, raggiungevano l’esaurimento delle proprie capacità di accoglienza, arrivava, puntualissima, la possibilità di impiantare una nuova Comunità, di tipo agricolo, appunto a S’Aspru.

La logica della disponibilità della diocesi di Sassari, e, quindi, della sua adesione ideale e concreta collaborazione all’impegno dei frati Minori sardi sul problema della droga, è la stessa da cui nacque la Comunità San Mauro. E’ fin troppo ovvio dire che la diocesi idi Sassari potrebbe subito e domani farci tante cose belle con S’Aspru. Anche il convento San Mauro serviva ai frati Minori. Era, addirittura (ora lo è più che mai!) il più importante. Né la Provincia francescana aveva conventi inutilizzati o disabitati; non aveva ruderi pregevoli da scaricare sui collezionisti di reperti archeologici.

Quando, sul finire del 1978, noi francescani ci scoprimmo profondamente interessati al problema, non avevano davvero nulla da dare. Fortunatamente non ci fu bisogno di pensarci troppo per ricordare quella celebre e tanto predicata pagina del Vangelo in cui a quei tali, peraltro discepoli di Cristo, che tanto sapevano fare i conti da capire che per sfamare una certa folla ci sarebbero voluti tanti soldi, quanti non ce n’erano, fu detto che qualcosa, invece c’era. Si trattava di tirarlo fuori e di darlo. Si sarebbe moltiplicato.

Così i frati di San Mauro si strinsero un pochino e ne venne fuori tanto spazio per i tossicomani. I quali cominciarono ad entrarvi nel febbraio del 1980.

Per alcuni mesi venivano e se ne andavano. Gli ideatori e i realizzatori dell’opera eravamo tutti intimamente convinti che l’idea meritava il successo e che valeva anche il rischio dell’insuccesso. Dicevamo che se fossimo riusciti a «redimerne» anche uno solo… eccetera eccetera. Ma l’angoscia fu non poca. Anche perché non mancava chi, Vangelo alla mano, («l’albero buono si vede dai frutti») sperava di cuore che l’albero fosse marcio come quel grande noce dell’orto di San Mauro, verde e grosso per nulla, solo fecondo di noci tutte bacate.

Il tremore paziente fu premiato. Un piccolo gruppo finalmente si affermò; e la Comunità nacque, tanto che lo spazio si è fatto oggi stretto.

Ora è la Chiesa di Sassari a stringersi un po’, rinunziando, verosimilmente, ad ottimi progetti su S’Aspru, per fare spazio al piccolo drappello che da Cagliari si piazza in questi giorni nel Nord della Sardegna per spalancare una porta a quanti tossicomani vorranno intraprendere il loro esodo dalla servitù della droga. Se veramente a S’Aspru non incontreranno una utopia, ma vivranno con ragazzi veri; effettivamente liberati e rigenerati.

Lo spazio è davvero grande. Entro il 1983 tutta l’estensione, quattordici ettari, sarà a disposizione della Comunità. Da subito la Comunità dispone della casa e di circa metà del terreno.

La vita si muoverà sui criteri e sui metodi collaudati a San Mauro, niente droga né fumo, l’alcool con misura ascetica, niente soldi, otto ore di lavoro (agricoltura, edilizia, pastorizia, falegnameria, lavorazione della pelle, telaio, ecc).); dinamica di gruppo, programma culturale selezionato. L’aperta campagna libererà dai condizionamenti della città in tanti sensi.

Il terreno soprattutto la casa hanno urgente bisogno di cure. La situazione è di un certo abbandono. Mentre, però, se un manager dai molti quattrini va a S’Aspru e fa il calcolo di quanti ce ne vorranno per rimettere le cose in tono, può esser tentato alla disperazione, quando i ragazzi della Comunità di San Mauro sono andati ad esplorare per la prima volta questa terra hanno gridato di gioia. A gente che sa che cosa sia rinascere, e rinascere insieme a ciò che tu generi col tuo amore e col sudore della fronte, S’Aspru non suscita scoramento da impotenza, ma mette in movimento il dinamismo della creatività che questi ragazzi credevano di aver perduto e che in realtà si sono ritrovati ad alto potenziale.

Vincerà ancora una volta il genio del povero. Del resto la Chiesa di Sassari, che sa di avere nella Comunità terapeutica di Siligo un altro specchio della propria sensibilità ecclesiale e della propria intelligenza sociale, aiuterà certamente il frate francescano padre Salvatore Morittu, fondatore della Comunità San Mauro, e, da ora, responsabile, anche, della nuova Comunità, a metter le mani su qualcosa, anche se, oggi come oggi, si potrebbe dire che è tanto proprio perché non sa dove mettere le mani. La Chiesa di Sassari e le Chiese di Sardegna e quanti credono nell’uomo lo sappiamo: a S’Aspru c’è bisogno di tutto.

Gli «splendidi ragazzi di San Mauro», come li ha definiti padre John Vaughn, Ministro Generale dei frati Minori, che di recente ha fatto loro visita, sono col morale alle stelle, come si dice. Sia quelli che vanno, pionieri, a Siligo, sia quelli che rimangono a Cagliari. Non c’è alcun dubbio che essi sono felici pensando agli altri: a quelli che verranno; speriamo in gran numero, ora che le possibilità di accoglienza si sono notevolmente accresciute.

In buona forma è anche il padre Antonino Piras, Provinciale dei frati Minori, della diocesi di Sassari, erede convinto di una buona coscienza, sul problema droga. Egli inaugurerà il tredicesimo dei luoghi di presenza francescana in Sardegna. Pura e semplice e significativa coincidenza, ciò avviene in questo anno di celebrazioni dell’ottocentesimo anno della nascita di San Francesco. Ci si poteva contentare di indovinati slogans e efficaci manifesti. La Provvidenza ci ha dato l’occasione di ricordare San Francesco con un gesto d’amore, direbbe San Giovanni, «coi fatti e nella verità».

Ogni giorno, mille giorni

Li devi vedere, sempre in movimento, nella casa che per mille giorni è sempre cantiere, a far tramezzi e intonaci, bagni e solette. «Fervet opus!», avrebbe scritto il cronista dell’Unione Sarda o della Nuova Sardegna se la cosa fosse avvenuta novanta o cento anni prima…. Nella casa oppure nei campi, all’obbedienza, già quasi da subito, di Angheleddu, o… eterodiretti, in qualche modo, e per virtù di esperienza e solidarietà di vicinato, da taluno dei proprietari/lavoratori più prossimi. All’orto estivo o a quello invernale, nei recinti dei maiali o nel pollaio, nei ricoveri dei cavalli o nelle stalle di mucche e vitelli, nelle estensioni a pascolo, nell’area del vascone, in quell’altra dove un giorno non lontano sorgerà il pinneto, nelle strade d’accesso o penetrazione ed ovunque… Muratori e falegnami, fabbri e carpentieri, pastori ed agricoltori, cuochi e stiratori (o cuoche e stiratrici) anche, e servitor domestici per l’utile di tutti.

Si comincia in sei più Maria, meno d’un mese dopo arrivano da San Mauro, con Stefania e Lisa, i primi rinforzi. E altri ancora, a più riprese, in autunno e poi lungo l’intero 1983, fra primavera ed autunno. D’estate, ad agosto, è concesso a tutti, almeno all’inizio, il mare di Badesi. A turni di una settimana (poi l’esperienza consiglierà di limitare la vacanza ai vecchi). Arrivano i nuovi, anche, che a San Mauro han fatto soltanto i colloqui – e dal 1984 ci saranno pure quelli filtrati dal nuovo centro d’accoglienza di Sassari – e s’avviano progressivamente gli “scambi” fra le due comunità: questi scendono, quelli salgono…

Se gli incarichi di lavoro sono, all’inizio, per forza di cose, abbastanza grossolani, cumulando sulle spalle degli stessi e le incombenze del muratore e quelle dell’idraulico, oppure quelle del pastore e quelle dello stradino, ecc. man mano che ci si inoltra, che cioè si va… a regime, vengono le specializzazioni: questi all’orto e quelli agli animali, quegli altri alla casa e quegli ulteriori alla muratura, o alla falegnameria… E dopo meglio ancora: perché in ogni settore opera non più soltanto un singolo ma una squadra, con tanto di responsabile, e come in ogni azienda che si rispetti non mancano le rotazioni, per combinare al meglio specializzazione ed eclettismo. Naturalmente secondo logica comunitaria!

Maria Spiga, la responsabile

Ma qui bisogna dire intanto di chi ha preso su di sé il gravoso carico del “comando”. Di colei, cioè, che, dopo aver condiviso, per un anno circa, con Beatrice Ledda – Bea per tutti –, gli oneri della più diretta collaborazione con padre Morittu nel convento di Villanova, ha assunto la personale preposizione della nuova comunità

Così lei stessa si presenta, e illustra la sua attività, nelle pagine del Quinto Moro: «Ho cominciato pulendo i gabinetti a San Mauro. Adesso sono stata inviata qui a S’Aspru… Avevo fatto la scuola-convitto, dalle suore, per il diploma d’infermiera. La mia esperienza in ospedale non mi ha soddisfatto: avrei voluto intavolare con i malati un rapporto diverso, più umano. L’incontro casuale con Salvatore mi aveva impressionato. Parlava già (ancora prima che venisse fondata) della Comunità… mi trattava come se fossi una persona, non un robot capace di maneggiare soltanto termometri, siringhe e pastiglie…».

«Io mi sento, rispetto alla Comunità, come una sposa che ha detto “sì” e mantiene con entusiasmo la sua fedeltà!… Non ho fatto molti studi e tante volte questo mi dispiace, però sono convinta che il segreto della vita, la forza più grande sia l’amore…».

«Innanzi tutto bisogna accogliere il drogato. Al momento del suo ingresso non possiede una personalità leggibile. Tutto buio, confuso… Ciò di cui ha urgente bisogno sono cose che non hanno niente a che fare né col ricupero, né con un terapia psichica; solamente un tetto sulla testa, un piatto caldo e la necessità urgente di sottrarlo alla strada… Poi, in secondo luogo, bisogna seguirli, tutti, ad uno ad uno. In tanti modi: parlando con loro, nelle riunioni, sui luoghi di lavoro, ascoltandoli nei momenti più impensati quando cercano qualcuno a cui rivolgersi, per risolvere un dubbio, trovare una risposta sicura. E’ necessario responsabilizzarli nell’esecuzione di un lavoro, nel comportamento verso un ragazzo appena giunto, o nel prendere coscienza dei problemi essenziali della Comunità».

«Sanno che la Comunità vive con gli aiuti della solidarietà degli amici, di coloro che seguono con fiducia quest’esperimento… Quante volte si presenta l’esigenza di dire loro: “Ragazzi, risparmiamo perché non abbiamo molti soldi”. Allora comprendono benissimo che ci vuole molta accortezza, e si responsabilizzano, senza farne un dramma».

«Sono credente, ho fatto l’esperienza violenta della Provvidenza!…».

Zella Corona la osserva nel suo fare senza posa. Scrive: «Arriva sempre molta gente. Si ha l’impressione di tanti fili che, pure partendo da tanto lontano, si riannodino sul canovaccio di un discorso intrapreso una volta dai francescani e che il tempo non ha logorato ma anzi rafforzato. E il canovaccio è la Comunità, è il campionario più svariato di umanità, che si fa di giorno in giorno occasione di riflessione attorno a problemi di natura sociale, religiosa, politica, ed economica. E lei, instancabile, è sempre disponibile per rispondere, spiegare, soddisfare gli interessi più diversi».

Le emergenze sono meno rare di quanto non si pensi, ma non bisogna scoraggiarsi: «Il mese scorso ci è toccato combattere col fuoco! Oggi, l’acqua».

La vede, Zella, impegnata al lavatoio, «giù nella vallata, presso una fonte di granito rosso che contiene due vasche d’acqua». E mentre lava, Maria spiega: «In due ore qui si sbriga una quantità di biancheria che una lavatrice automatica come la nostra dovrebbe fare in tre volte. Senza contare il tempo, il detersivo e l’energia elettrica. Non ce ne possiamo permettere una molto grande: costa troppi milioni… Possiamo venire qui sempre, all’infuori dei giorni stabiliti per le donne di Siligo che vengono a lavare la lana delle pecore…».

Coetanea del fondatore-patriarca (giovane “patriarca”: appena 36 anni nel 1982), Maria si è licenziata dal suo impiego di ferrista all’Oncologico. A S’Aspru, dopo l’anno trascorso a San Mauro, esprime al meglio il suo potenziale umano, si rivela un’autentica trascinatrice, emana un carisma che le consente di tenere compatto il gruppo in progress…

I ragazzi

I sei del furgone – Sandro, Mauro, Franco, Giampiero, Pacicu e Poppi –, pur tutti generosamente immersi nell’avventura dei pionieri, mostrano, alla distanza, un grado di resistenza assai differenziato. Se infatti i primi tre si rivelano d’acciaio, riuscendo a concludere bellamente il programma e uscendo dai ranghi, col perfetto consenso del responsabile, per restituirsi alla famiglia o darsi al lavoro conquistandosi anche l’autonomia economica, non così è per gli altri.

Giampiero, 22 anni, casa nel quartiere cagliaritano di San Michele, resiste fino ad agosto: un mese l’ha passato a San Mauro, tre a S’Aspru. Speriamo che bastino. Agostino, soprannominato Poppi dal nome del suo paese a un passo da Arezzo – la calma fatta persona in un fisico da gigante, semplice d’animo con i suoi appena 21 anni – regge fino a marzo 1983. Francesco, rinominato Pacicu (così si firma lui stesso), origini sennoresi e carattere introverso con qualche insistita malinconia, eccellente muratore e falegname, anche lui sfonderà di poco l’anno comunitario.

E gli altri? Fra quelli arrivati, dall’universo mondo (italiano e sardo), fra estate ed autunno dello stesso 1982, ecco Gavino, sorsese, uno dei sei o sette che accompagneranno padre Salvatore ad Assisi, per le festività giubilari in onore del Poverello; ecco Sandrino, cittadino di via Podgora-city, fisico agile ed abilissimo – come tutti in famiglia – nel gioco del pallone, temperamento alquanto chiuso che però sa entrare nelle situazioni, prestandosi sovente a divertenti scenette e balletti; ecco Maria Vittoria, 18enne sassarese, piccolina e grassotella, venuta in comunità con la sua bella bambina che socializza innocentemente con i topolini di campagna, all’ombra di qualche arbusto nell’orto; ecco Umberto e Roberto, entrambi di San Severo (compaesani di Franco Sacco): 21 e 23 anni, hanno caratteri assai diversi, più propenso a sintonizzarsi (in positivo) con l’ambiente il primo, un po’ più restio il secondo, che però regge qualche mese più dell’amico (abbandoneranno il campo rispettivamente ad aprile e ad agosto del 1983); di San Severo è pure Angelo, 21 anni, che arriverà quando quelli se ne vanno, ragazzo straordinariamente capace di cordializzare con tutti, mangiandosi le parole e trasferendo il suo senso d’allegria…

Ecco ancora, magari saltabellando da una ragione all’altra, fra la Sardegna ed il continente, l’altro Angelo, assegnabile pure lui alla combriccola dei sennoresi, 19 anni soltanto, alto e robusto, con una forza fisica fuori dal comune, e Rino, 20 anni stravaganti, il sennorese arrivato col gatto al guinzaglio e qualche problema che la comunità assai meglio delle terapie degli psichiatri restituirà al meglio della sua lucidità («avete fatto un miracolo», dirà il prof. Desole); ecco Tino, ferrarese di Tresigallo – tanto che lo si chiamerà “ Tresgalet” – personalità disciplinata, gentile e meditativa, ed il suo compaesano Edoardo, magrolino e più del maggiore con difficoltà di inserimento (lascerà d’estate); ecco Pietro, 19 anni, il più felice di tutti quando gli si farà scalare Monte Santo, e Titino, di età quasi doppia, un bel mestiere a Sassari dove vivono i suoi due bambini, buona cultura e personalità spiccata, maschilista alla ennesima potenza (ma anche per gioco e far… dialettica con Lisa); ecco Nino, romano figlio di sardi impiantati nella capitale, e Gaetano, bello e alto di Trastevere o dintorni, affidato alle cure proprio di Nino; ecco Massimo “il carlone”, milanese riccio e un po’ bohémien, filosofo più che operaio, burlone e spensierato, ed ecco il sardissimo Roberto, ribattezzato Johstone da Sandrone, per merito di naso aquilino e capelli tirati indietro così come il campione inglese, carattere allegro e positivo, simpatico e sensibile.

Ancora, ecco Pino il polemico, cagliaritano di San Michele, buon lavoratore, così come Graziano Lampu, vecchio di 25 anni, casa a Sant’Elia e tante esperienze difficili alle spalle, “comunista” e chitarrista, cantante e spirito ilare, abilissimo giocatore di pinella e dama; ecco Piero e Laura, cittadini di Parte d’Ispi, entrambi poco più che adolescenti, il primo simpatizzante punk, lei naif ed affettuosa; ecco Renzo l’ozierese, alto e magro, brillante stratega dei suoi non banali futuri destini, e con lui Vanni, il rosso di Castelsardo, spiritoso viceré della campagna; ecco i galluresi Franco e Marino: tempiese di 23 anni il primo, amante del calcio e validissimo  specialista di orti e giardini; coetaneo olbiese (ma nato in Germania) il secondo, pure lui buon lavoratore epperò indocile, che evolverà nel misticismo dandosi alle savie letture di Gibran; ecco Giorgio il genovese, calmo come la sfinge, messosi agli ordini del vecchio Sacco, che vezzeggia cento volte al giorno col nomignolo di “papi” ed ecco i due Maurizio, dopo quell’altro che è scappato quasi il giorno stesso dell’arrivo: entrambi cagliaritani e entrambi 24enni, l’uno all’apparenza figlio di papà e invece scrupolosissimo nell’adempimento del suo dovere, l’altro tutto simpatia, agile e scoppiettante  biondino di San Michele; ecco Sergio il romano, geometra associato alla squadra dei rifacitori del tetto della chiesetta di Monte Santo, nell’estate 1983, ed ecco l’altro Sergio – cagliaritano proveniente come molti degli altri da San Mauro –, spirito pratico ed intraprendente, rimasto famoso per la mitica pelata non men che come leader della falegnameria e dintorni.

Ci sono poi le altre donne, dopo Maria Vittoria ed oltre Laura: da Cagliari sono salite, a gruppetti o alla spicciolata, Stefania e Lisa, e poi Sandra, e poi Maria Teresa… Il gruppo include ancora Patrizia (Kicca), veronese allegrona e… abbondante, e poi Roberta, timida monserratina, ecc. I nomi si aggiungono ai nomi, le storie alle storie, le persone alle persone, tutti alla ricerca del giusto modo per riprendersi la libertà. Ecco quindi, fra 1984 e 1985, Alessandro e Paolo, e Carlo e Giampaolo, ecco poi Giuseppe e Bruno, e Gianfranco e Mario, ecco la sequenza dei Roberto (fino a sei in contemporanea)…

Sul giornale è detto che…

Il giornale di Comunità è la tribuna in cui i ragazzi fissano le proprie riflessioni, o il racconto di episodi della propria vita precomunitaria, così come anche delle vicende occorse all’interno del gruppo. Periodicamente – per lunghi tratti può essere cadenza settimanale o bimensile, per altri (come d’estate) la frequenza si fa meno stringente – i ragazzi sono convocati in refettorio. Di norma è la sera, al termine del lavoro nei settori, e prima della cena. Fanno silenzio intorno a sé e raccolgono i pensieri. E’ stato dato loro un tema dei più vari da svolgere nell’arco di un’ora: «Ne vale la pena!…», «Apro la porta…», «Un momento particolare della mia vita…», «Cosa farò da grande?», «Scopare o fare l’amore?», «Ciò che è essenziale per la nostra vita», «Le mie angoscie», «Le mie letture preferite»… per dirne soltanto alcuni. Oppure c’è da commentare un fatto di vita comunitaria: la festa per un compleanno, per un rientro a casa, le feste pasquali… O da dar conto delle attività più recenti del gruppo in cui si è inseriti, muratura-ferro-felegnameria od animali, orto o casa… realizzazioni sì, ma anche umori dei realizzatori… Si tratta di una delle attività che meglio collegano, per specifico contenuto e metodo d’applicazione, “formazione” e “cultura”, due dei pilastri del programma pedagogico della comunità di vita di Mondo X.

Col tempo il giornale – che resta in tiratura monocopia, ben rilegata e a disposizione di tutti (e degli storici avvenire) – si arricchisce dei disegni di Paolino e non solo suoi, di rubriche (fra il serio e il faceto), di inchieste, di dossier. E la qualità è anche il riflesso dei “quanti” vi si applicano. In un anno, i sei dell’era pioniera si sono quasi triplicati, un altro anno e saranno cinque volte di più, un altro anno ancora e si sfonderà il numero dei 40. Sette sono stati gli ingressi nuovi nella frazione dell’anno di esordio e 27 (di cui cinque ragazze) in quello successivo, sono 24 (nuovamente cinque le ragazze) nel 1984…

Dicembre 1982. A S’Aspru da tutta Italia

Sono fra i primi, forse proprio i primissimi due fra quelli repertoriati, dei giornali di Comunità che i ragazzi di S’Aspru compilano con periodicità possibilmente settimanale. Per raccontare la vita del gruppo e quanto, di emozioni e riflessioni, si agita in ciascuno di loro. Il 1° ed il 9 del mese, nell’imminenza ormai della festa della Natività, i redattori fissano sulla carta, per la storia avvenire, la cronaca del visibile e dell’invisibile, lassù, sulla vetta della collina di Mesu Mundu. Sono già venti, qualcuno in più, i comunitari che padre Morittu ha riunito nella casa già Murgia-Vivanet, in quegli spazi che i pastori affittuari stanno progressivamente rilasciando (saranno infine quattro ettari più nove ettari)…

(Gavino P.). Il Natale è in arrivo, si sente aria di festa e tutti dentro i loro cuori lo sentono. Siamo in una comunità, siamo in poche persone ma tutti uniti aspettiamo questo momento per essere ancor più riuniti con gli altri nostri fratelli, cioè con quelli di S. Mauro.

Penso che certi nostri fratelli passeranno il Natale non molto allegro ad esempio quelli che si trovano sulla piazza buttati persi. Molte volte penso di aver fatto anch’io quella vita, in questo momento però sono fiero di me stesso, per essere riuscito ad essere entrato in un certo tipo di vita nuova, grazie alla comunità e all’eroina.

Da quando sono entrato in comunità non faccio altro che pensare a me stesso, perché ho molta voglia di cambiare, di essere più uomo. Molte volte ho paura di non riuscire ad affrontare la vita, e sinora mi chiedo se ce la farò.

Vi parlerò un po’ dei miei fratelli, che arrivano da tutte le parti, come dalle Puglie, Lombardia, Toscana, Lazio, Liguria, Sardegna uniti qua per passare da drogati a uomini con un cuore molto grande e pieno d’amore. Ogni giorno abbiamo molte cose da imparare e tante da dimenticare. Lavoriamo moltissimo, facciamo uso del picco e della zappa per lavorare la terra perché vogliamo ritornare alle nostre origini e per dare esempio anche a molta gente che sta fuori cioè nelle fabbriche e via…

(Sandrino B.). Sono stanco, forse ho lavorato molto, o forse è la ginnastica, mi si tirano i nervi; la stanchezza non mi fa pensare molto. Oggi è una brutta giornata, da stamattina piove e c’è anche freddo, però posso dire che quando c’è freddo fa bene la ginnastica perché ti riscaldi, oggi ho notato una cosa molto particolare, ho visto Pasquale che ci aiutava a scaricare blocchetti e a dire la verità non me l’avrei mai aspettato, ci voleva aiutare anche Mureddu, ma quando ha visto un Carabiniere se n’è andato voltandoci le spalle, e senza salutarci. Ho cenato molto bene, avevo una fame da lupi, forse perché adesso stiamo pranzando mezzora prima. Stavo pensando ad Agostino che è andato a Cagliari con Salvatore, sono andati dagli altri fratelli, ma torneranno presto, penso che domani saranno a casa, anche perché deve venire gente a trovarci, mi piacerebbe vederli per Natale tutti insieme, a divertirci, a cantare, a ballare ecc. La porcilaia è una costruzione per metterci dentro i maiali, ma siccome abbiamo un amico che si chiama Maiale, ce lo entriamo dentro e non lo facciamo uscire più, per Natale spero di staccarli le orecchie, e di metterli un anello nel naso. Sto pensando come faranno le suore a mettersi quel mantello quando me le ho viste davanti, io ho sentito queste impressioni. Adesso mi è venuto sonno, ma sono sicuro che divento un giornalista. Buonanotte.

(Franco S.). Massimo, come al solito con il suo timido passo stamattina ha dato la sveglia generale alle 6,30.

Per quanto riguarda il tempo la giornata si era presentata piuttosto bruttina, a causa della permanente pioggia durata da stanotte a fino le nove di stamane, e naturalmente ciò ha influito un po’ sull’umore mio personale, ma con la venuta improvvisa del bel tempo tutto è cambiato.

Comunque quel po’ di malumore me l’hanno fatto passare subito i circa 103 figli adottivi tra i quali 94 galline che strimbellano da circa un mese in una stanza sul cantinone che è 4 m. x 4 e che quando vedono arrivare me ed Umberto per poco non ci assaliscono per la fame che poi chissà perché hanno tanta fame visto che gli mettiamo da mangiare puntualmente due volte al giorno, comunque coscienti del fatto che ci devono produrre uova e subito di conseguenza carne, io e il mio socio non sgarriamo come orario. Poi vengono in ordine di arrivo i 4 conigli superstiti della famiglia reale (champagne) infatti all’origine ce ne erano 10, dopo due ore che erano entrati in casa nostra subito il nostro vicino Pasquale, non voglio malignare, ma penso gli abbia messo su il malocchio visto che la sua prima frase è stata: «Però per essere un regalo sono belli» e conoscendo Pasquale e quello che è successo dopo, cioè che la sua cagna a causa della scarsissima nutrizione ce li ha decimati ho dubito pensato «adesso vedi che qualcosa succede». Però non voglio tralasciare i più belli ed interessanti figliocci, i 4 maiali di cui 3 grandicelli e una maialetta, i quali quando ci vedono arrivare la mattina sono una cosa da fare quasi spavento per la fame, allora siamo subito costretti a fargli un pappone con uno sfarinato che tra polvere mischiata con acqua e qualcos’altro supera di sicuro i 10 chili e così subito si calmano, ma quella che patisce è la porcellina, la quale viene sempre messa da parte dai più grandi a causa della loro mole, ma questo ancora per poco, visto che il gruppo M sta preparando una bella porcilaia, manco dovessero abitarci delle persone civili. A parte alcuni particolari… Pasquale che era turbato per la sua maiala che da come dice lui il nostro Bodo gli ha quasi staccato la figa, e per questo avvenimento e per la strada che è molto difficoltosa a causa della fanghiglia, oggi mentre era tutto intento a salire, a stento ci ha salutato. Vorrei fare un annuncio a Massimo di darsi una mossa perché tutto sommato gli può essere utile.

(Mauro P.). Da circa 1 mese lavoriamo sulla strada: Mauro Umberto detto Ubert, Franco e Massimo detto Carlone. I 4 del gruppo A come agricoltura e a minuscolo come animali: ora tutti assieme siamo impegnati nella manutenzione della strada. I lavori sono andati senza episodi di gran rilievo sino a quando la pioggia ha trasformato il fondo stradale appena rimosso in un autentico pantano. Tutto questo ci ha causato non poche grane con i pastori della zona, specialmente col nostro amato vicino Pasquale detto “Pig”.

Costui, questo pomeriggio, mentre veniva come al solito con la sua 127 stracarica di mangime e sfarinati vari, con le balestre che strisciavano per terra, arrancava in mezzo al fango. Fu allora che Mauro, molto delicatamente gli chiedeva se poteva fermarsi. Invece lui senza degnarci di uno sguardo, impaurito dal fatto che poteva rimanere impantanato, ha preferito premere sull’acceleratore rischiando di uscire fuori strada. E’ stato in quel momento che ci siamo accorti che aveva i lineamenti marcati dalla rabbia e digrignava i denti. Dopo neanche 5 minuti si accingeva a salire un camion che portava dei mobili per la Comunità.

Anche il camion arrivato nello stesso punto ha iniziato a slittare. Siamo dovuti intervenire per smuovere  la situazione. Non passano 10 minuti che arriva la Panda delle “Vagine secche” addette alla sterilizzazione nonché lavaggio degli stracci della Comunità. Noi ci siamo premurati di consigliarle sulla velocità da prendere per superare il fondo viscido. Si è fatto avanti Mauro dicendo di prendere una rincorsa piuttosto sostenuta per poter superare l’ostacolo. Le sfortunate sono partite dalle terme di Mesu Mundu in prima, sgammando e sobbalzando senza mai togliere la prima fino a quando la leva del cambio fosse diventata incandescente. Mauro e Umberto alla vista di tutti questi fatti hanno riso ricamandoci su le ipotesi più disparate sulla fine che avrebbero fatto tutti i malcapitati.

(Sandro M.). Falegnameria Films presenta: “La combinata”. Attori principali Sandro, Titino; regia Maria; produttore Salvatore.

Tutto iniziò un sabato pomeriggio cielo sereno arbitro Salvatore spettatori tutti i componenti della comunità più i benefattori arrivati con un furgone tipo Bedford tutto chiuso. Dopo aver aperto gli sportelli ed aver scaricato le solite sedie, i soliti tavoli ed i soliti materassi abbiamo scorto un oggetto non identificato del “terzo dito”. La curiosità ci assale, tutti spariamo a zero su quel che può essere ma sbagliamo tutti, si fa avanti il benefattore stile III Reich imponenza mussoliniana che dopo averci dato istruzioni per scendere l’oggetto misterioso diviso in tre pezzi ci dice finalmente cosa è: «E’ una combinata»; Titino mi sorregge quasi svengo dall’emozione. Inizio del mio calvario. Attenti non raschiate la “combinata”, non appoggiateci niente; ormai sono preso dalla macchina ho un occhio puntato sulla “combinata” ed uno (quello con cui vedo poco) per tutto il resto. La mia fantasia si esalta con la mia mente vedo tavole di legno trasformate in “opere d’arti”, la “combinata” mi ha rapito, il cosmo che mi circonda è fatto di legno, … inizia in me uno squilibrio mentale. Mi capita di pensare ad i miei genitori ma contemporaneamente mi viene in mente la “combinata”…. Mi sveglia un “urletto” di Salvatore che mi fa vedere quel che ho combinato: ho rovinato una tavola tutto questo mi riporta alla realtà. Non avendo a cui dar colpe mi scaglio contro il progresso che rovina distrugge aliena ma… mi giro un attimo e la vedo è celestina le do una carezza e le do la buonanotte.

(Mauro P.). Questa località situata a pochi chilometri di Siligo è stata, negli anni passati, luogo di gite da parte di gruppi giovanili legati all’Azione Cattolica di Sassari. Luogo di incontro delle giovani del Cif Centro degli Scouts della provincia. Poi 10 anni di completo abbandono. Una casa con più di 40 stanze in rovina. Per il vescovo di Sassari mons. Paolo Carta era una spina al piede. Sin quando un fraticello dell’ordine dei Frati Minori, un certo Padre Salvatore Morittu, piccolo di statura, quasi insignificante, ma con un gran dono, quello dell’intelligenza e soprattutto della fede. A capo di una Comunità di giovani drogati, la feccia della società, scoppiati dalla vita metropolitana, dalle droghe pesanti (più note come Eroina, Cocaina ecc.) e da quelle meno evidenti, ma non per questo dannose e micidiali (TV, Radio, Sottoinformazione, Pubblicità, Persuasori occulti ecc.). Questi giovani, insomma, hanno chiesto aiuto!, ed è stato lui, assieme alle sue collaboratrici Maria e Beatrice, a tendere questa mano al grido disperato dell’Uomo. Ora si trovano a vivere in Comunità detta de S’Aspru 20 di questi giovani, ragazzi e ragazze, che hanno scelto di vivere questa vita tutti assieme nel bene e nel male. A contorno di tutto questo sta questo bellissimo posto Aspro come lo dice il nome che le genti della zona le hanno dato ma dolce per la bellezza del panorama, veramente unico in tutta la Sardegna. A questo posto io voglio dedicare queste righe, anche se non sono capace di descriverle così bene come io le vivo dalla mattina quando mi alzo alla sera, quando mi ritiro assieme ai miei compagni, su per la strada piena di rughe, come il viso di un vecchio. La luce del suo tramonto unico per bellezza e varietà di colore, il rumore degli animali al pascolo, il grido dei pastori che li richiamano si fonde in un tutt’uno che caratterizza questo paesaggio di fronte a mille.

In sette mesi che ho trascorso qui ho imparato tante cose che non impari in tutte le più grosse università. Capisci cosa significa Dio, perché sei a contatto con la natura, il nascere del sole il suo massimo splendore e il tramonto. La vita nella sua infinita continuità. Le stagioni nel loro infinito intercalarsi ti segnano il tempo che qui non ha più importanza in quanto cronos (tempo materiale), ma che è un continuo ascendere la strada della vita nei suoi momenti più importanti che sono quelli della rinascita, della pubertà e della maturità che uno vive giorno per giorno. Per essere un domani Uomo libero. Mi lascio sempre prendere la mano, quando parlo di certe cose. Ma sono veramente contento di essere a S’Aspru, luogo benedetto da Dio.

(Maria Vittoria S.). Oggi, diciamo per la prima volta da quando sono in Comunità, i ragazzi mi hanno fatto uno scherzo, che ora vi dico. Il mio amore per pulire i cessi ogni mattina mi fa fare la centometrista dal refettorio allo sgabuzzino delle scope, per prendere la scopa più nuova, lo strofinaccio più grosso e via, lasciando agli altri gli attrezzi più balordi. Oggi come ogni mattina più veloce del solito vado nello stanzino, e cosa trovo? Un biglietto con su scritto: «Brava sei arrivata seconda» e sotto la firma di tutti i ragazzi, ci siamo messi tutti a ridere, ma ciò non cancella la figura di merda che ci ho fatto (scherzo naturalmente). Questo scherzo mi è servito per imparare a rispettare gli altri.

(Agostino V.). Ore 20,30, per la prima volta scrivo il giornale e insieme a me ci sono Maria Mauro Sandro Gavino, Franco Stefania e tanti altri ancora, coloro hanno scritto la settimana prima che io mi trovavo a Cagliari.

Ognuno pensa cercando chi accumulare una frase di quando si ricorda, chi un avvenimento accaduto di pura scelta. Sto pensando e la cosa più bella che mi viene in mente è la giornata di oggi, qui a S’Aspru siamo distanti dalla strada principale per arrivare alla casa bisogna percorrere un km. di strada di campagna senza asfalto.

Un gruppo di ragazzi in questi ultimi giorni la stanno mettendo a posto, scavano con le pale lateralmente per fare dei fossetti dove scorre l’acqua, scavando hanno buttato la terra nel centro della strada, poi il tempo ha cominciato a piovere e fare fango, a tal punto che le macchine quando salivano trovavano delle difficoltà, allora oggi è arrivato il camion con della ghiaia da spargere.

Erano molti giorni se non qualche mese che non riprendevo la pala in mano, appena mi hanno chiamato ho fatto il muso poi quando mi sono trovato a spalare mi sono aperto molto, il pensiero volava e le riflessioni erano tante, una di queste era il lavoro che facevo fino al momento, ero proprio al punto di mollare, camminare per la casa aggiustare maniglie e serrature delle finestre, che quando mi sono ritrovato a spalare è stata proprio una contentezza ed era molto che non arrivavo a queste sensazioni.

Ne sono successe di tutte, la camionetta il primo viaggio è arrivata sino in vetta senza problemi, invece il secondo ne ha avuti, si è impantanata e non riusciva a uscire, siamo saliti con le pale e buttando la ghiaia sotto le ruote, dai dai è riuscita a uscire.

Arrivo sino alla casa per fare manovra si è impantanata un’altra volta nell’erba, anche allora abbiamo buttato ghiaia ma non usciva, accanto a noi dei pastori hanno delle torce e abbiamo chiamato Giacomino che è anche proprietario del trattore che ha attaccato il camion per tirarlo fuori.Tirato fuori il camion si è fatto quasi buio, ci siamo incoraggiati per spargere la ghiaia, mi sono impegnato molto forse più di prima, alla fine ero stanco davvero ma di lavoro non di farfalle, la meta era lucida e presente il desiderio di andare a parlare con Maria per chiedergli se era possibile cambiare lavoro, ma per il momento il lavoro non mi manca sto abbattendo una vecchia fogna e l’abolizione la fatica non manca.

Questa sera è trascorsa con qualcosa in più delle altre!! Forse sì anche per questo giornale che è la prima volta e scrivendo ho riflettuto e sfogato i miei pensieri, e adesso mi alzo con un po’ di contentezza e un po’ di felicità.

(Umberto M.). Ieri, come è d’obbligo in questi giorni onde evitare allagamenti e straripamenti, siamo scesi a riparare la strada. Così, picconi e marre alla mano, io Mauro Franco e Carlone ci siamo diretti nell’ultimo pezzo di strada (appena inizia la salita), che dopo la pioggia di questi giorni è diventata un autentico pantano. E qui iniziano le risate. Salvatore si affossa nel fango con la 131 per far passare Pasquale. Lo aiutiamo ad uscire, riprendiamo il lavoro e dopo neanche mezz’ora arrivano tutte pimpanti Rita Pavone e Betti Curtis in 127. «Sarà meglio che la prendiate di volata – dice Mauro alle arpie riferendosi alla strada – perché il fango l’ha resa viscida». «Certo, certo» rispondono le due. E dopo neanche dieci metri eccole lì impantanate fino alle orecchie. Aiutiamo anche loro ad uscire. Ripartono in prima sparata senza toglierle per niente. «Rita, non senti puzza di bruciato??» – dice Betty – «Ti credo – risponde Rita – hai la leva delle marce che è incandescente!!!». Per chiudere in bellezza arriva Peppino con la Renault che striscia con la sottocappa per terra tanto è carica. A questo punto, senza che lui ci chiami, ci attacchiamo dietro a spingere sbellicandoci dalle risate! E con un Peppino imprecante arriva la sera, per cui rientriamo divertiti alla base.

Natale, poi il nuovo anno. L’esordio a Monte Santo

Il gruppo si compatta. Vive il suo primo Natale in un’atmosfera che per qualcuno è magica. Le cronache guardano all’esperienza del collettivo, ma poi anche, e sempre più, dei vari settori di lavoro. Né però possono mancare gli stimoli all’introspezione, ciascuno è invitato a frugare dentro di sé, finalmente senza bluff («Le mie prigioni», «Scopare o fare l’amore?», «Che cosa secondo noi è importante per la vita?», «Ciò che sento in questo momento», «I nostri disagi in comunità e al di fuori»…). Così il 28 dicembre, e quindi il 12 e 26 gennaio 1983, il 3 e 23 febbraio, il 4 e 17 marzo…

(Maria Vittoria S.). Non so cosa scrivere stasera, forse è la stanchezza che mi svuota la testa. Scelgo come argomento il Natale, sarà banale ma come ho già detto prima ho la testa vuota. Questo Natale è stato il migliore della mia vita, e non è la solita frase fatta. Gli altri li ho passati sempre male ossia: da piccola ho sempre sognato di passare le feste con la famiglia unita come tutte le mie amiche cosa che invece non è mai successa, e per questo ho sempre sofferto moltissimo al punto di sentirmi inferiore agli altri, e forse lo ero davvero. Gli ultimi Natali invece li ho passati lo stesso da sola o peggio in compagnia di falsi amici e della droga, se devo dire la verità sono i peggiori ricordi della mia vita e forse è meglio tralasciare.

Questo invece è stato il migliore, l’ho passato insieme a mia figlia e ai miei fratelli, ho potuto assaporare la gioia di fare l’albero, di brindare allo scoccare della mezzanotte, di prendere i regali da sotto l’albero, tutto questo altri l’avevano già provato se non altro da piccoli, io invece no per questo era tutto nuovo. Il momento più bello è stato quando la mattina del 25 io e Maria siamo sotto l’albero ad aprire i suoi regali, è stato un momento meraviglioso ed io quel momento l’ho aspettato 18 anni e forse per vivere questo momento dovevo venire in comunità, spero di arrivare al prossimo, lo vivrò senz’altro meglio.

(Sandrino B.). Come sempre non ho molto entusiasmo nell’iniziare a scrivere, ma qualcosa c’è sempre nella testa. Voglio iniziare con un fatto che è successo oggi dopo pranzo, siccome c’era Rino che giocava con la bici e salvava il muretto dove noi facciamo la ginnastica, poi ha voluto provare Massimo che come ha saltato il muretto stava per lasciarci la barba attaccata alla bici, ha fatto un volo pazzesco.

Oggi abbiamo preso i cani per metterli con le pecore, così si abituano agli animali e ho visto in giro tanto interesse, adesso che sono piccoli, dopo quando sono un po’ più grandi il calcio nel c…o che prendono dev’essere piccolo, scusate se scrivo un po’ indiscreto ma sono un po’ giù.

Un altro fatto successo oggi, ma questa volta è capitato Pasquale, che lo visto dopo pranzo cotto come una zonca (per chi non capisse zonca vuol dire “spugna”) mi ha detto che è morto un giocatore di Cagliari che giocava nella Juventus di 32 anni, ma doveva essere una delle tante baggianate che dice dopo pranzo, quando viene arrabbiato si mette a bisticciare con le vacche, e con l’asino che è più duro di un muro di cemento armato, certo che le feste natalizie le avrà passate senza pensieri con tutto il nettare che avrà ingoiato, lui e la moglie si sono lasciati andare e l’hanno finita sotto il tavolo.

Questo è l’ultimo fatto che racconto, ne stavo parlando oggi con Umberto, cioè Franco stava per mettere in moto il Dumper, superbo per i fatti suoi e Umberto che lo chiamava, Franco convinto di andare avanti, si è sfasciata la ruota davanti e ci mancava poco che ci entrava tutto intero nel fango, nessuno rideva, solo Umberto sotto i baffi, ma dopo quando l’ha raccontato a tutti ci siamo fatti una bella risata. Ci sono tanti fatti da raccontare ma c’è anche la 2a. puntata perciò vi lascio, ciao, a ci rivedere.

(Rino S.). Ci hanno regalato quattro maiali abbastanza grandetti, per ognuno abbiamo dato un nome. Si chiamano prima Lilli Sacaddozza, Franca, Venosa e Giacinta.

I muratori che siamo Gavino, io Rino e Sandrino stiamo costruendo 4 porcilaie. Gavino è il nostro responsabile, tutti e tre non siamo molto bravi però ce la caviamo per murare. Siamo partiti velocemente con la prima porcilaia, fondamenta blocchetti a nastro calce e via. Quando abbiamo incominciato a intonacare ci siamo accorti che un muro era storto, maestro Gavino diceva come mai, se siamo partiti dritti adesso è storto. Allora ci siamo guardati in faccia e ci siamo messi a ridere, forse dovevamo usare il piombo, ma non conoscevamo. Per non fare brutte figure l’abbiamo addrizzato con la calce alla meglio. La seconda con un po’ di esperienza dell’altra l’abbiamo fatta meglio. Sandro il nostro falegname ci ha costruito le porte di ferro dalle brande vecchie, e son venute molto belline. Salvatore le ha viste e ci ha elogiato, Maria ha detto che era meglio della sua stanza. Veramente ci stiamo mettendo impegno e non vediamo l’ora di finire, ci stiamo lavorando quasi due mesi, comunque le abbiamo costruite tutte e quattro e stiamo per finire speriamo che Salvatore sia contento, e subito ci metteremo i maiali ad abitarci.

(Franco S.). Non di certo gli auguri di buon anno sono stati dati ai nostri poveri animali, i quali stanno passando un periodo molto critico, infatti il lutto qui a S’Aspru è stato reso pubblico dal 5 corrente mese e cioè con la morte del povero maiale maschio, il quale lo abbiamo dovuto ammazzare perché aveva una spalla fratturata, e non potevamo evitargli la morte. Anche se ha procurato un po’ di carne per le due comunità quando ho visto che Nanni lo stava ammazzando stavo quasi per piangere, perché appena morto ho fatto subito il paragone con una persona, ho visto che il passaggio tra la vita e la morte è proprio una frazione di secondo, e dicevo tra me: «E’ proprio facile morire».

Dopo aver subito il trauma del maiale due giorni dopo è iniziato lo sterminio delle galline, le quali me le sono viste morire sotto gli occhi manco le avessero sterminate a colpi di mitra, infatti morivano a 5 o 6 al giorno, e sabato scorso 9.1.83, è stata proprio la mazzata, ne sono morte circa 25 al che mi sono proprio spaventato e mi chiedevo se non fosse stata questa la fine delle povere gallinelle, e un particolare che ricordo bene è che quando lo dicevo a Maria, ella mi rispondeva che Pasquale, il pastore vicino ce le ha sentenziate come i conigli e il maiale, come se ciò potesse influire sulla loro morte. La morte l’abbiamo bloccata facendo anche una selezione accurata tra le galline, separando quelle in ottimo stato da quelle anche appena toccate dal raffreddore, adesso sono due giorni che non ci sono più decessi, e sembra che dobbiamo quasi togliere questo lutto.

(Edoardo B.). E’ passato quasi un mese per me, e sono sempre qua, più contento di prima. Ultimamente in comunità sono successe molte cose, ed abbiamo anche ricevuto un ospite importante. Come persona importante abbiamo ricevuto a cena con noi lo scrittore del libro “Padre Padrone” e cioè Gavino Ledda, e a noi ci ha fatto molto piacere, perché è una persona per quello che riguarda a me molto interessante.

Ultimamente abbiamo ucciso il nostro primo maiale perché aveva una gamba rotta. Nessuno di noi aveva mai ucciso un maiale e dunque sono venuti ad ucciderlo Cuccu un nostro conoscente, ed il nostro vicino il pastore Budddusò. Devo dire che è stata una serata movimentata ed abbiamo finito alle 11,30.

Ora a S’Aspru abbiamo finito la strada che da lungo tempo ci si lavorava, e per seconda cosa sono finite le porcilaie, che sono state finite dai nostri fratellini muratori, Gavino, Rino e Sandrino.

Ora nell’orto abbiamo piantato “cipolle, ceci e fragole” che ci sono stati regalati in parte dalla nostra nonna Vacca, e dal nostro vicino pastore Pasquale.

Questa settimana in programma stiamo facendo i bagni, e ce ne era bisogno perché siamo in tredici in una sola doccia.

Questa settimana è entrato un ragazzo nuovo, e ce ne sono altri in arrivo, io auguro loro una lunga permanenza, e che abbiano tutti le idee come le mie, non per dire che sia maturo, ma di partire con idea di restare per un lungo periodo, sino a raggiungere la piena maturità, e mi aspetto, che verrà anche per me, ma bisogna sempre dire che ogni cosa va a suo tempo.

Anche se so di non scrivere bene non mi importa, ma quello che mi importa è che le parole siano tirate fuori dal fondo del mio cuore e dalla mia mente.

(Rino S.). Essendo riuniti tutti qui vicino al fuoco, per prima cosa sento freddo perché il camino è troppo piccolo. E non avendo caldo non riesco a far niente neanche a pensare. Sento una mancanza che è proprio Maria che questa sera è andata a Bonorva e ci passerà anche la notte, poi non mi sento molto libero e felice tra noi ragazzi, forse perché ancora non ho imparato ad amare forse perché non mi è simpatico non riesco neanch’io a spiegarmelo ma mi fa restare male. Di solito non sono tanto felice ma in questo momento che sto riflettendo un po’ mi sento felice perché scopro in me molta volontà di cambiare, bontà e amore verso le altre persone e sono contento per la mia scelta che ho fatto della comunità, e la forza che mi sta dando per diventare uomo.

(Sandrino B.). «Le mie prigioni». Sono triste, non mi so esprimere tanto bene ma credo che capirete, a me succede molto di aver tante cose da dire ad una persona e non mi riesce perché mi imprigiona la timidezza, mi priva di fare tante cose, certe volte ho la mente piena di idee e non so sfruttarle come si deve, perché ho questo freno che mi blocca e non mi fa parlare. Nell’andare del tempo credo che passerà, anche perché mi sto dando da fare per vincerla questa timidezza, che a volte mi gioca dei brutti scherzi, cioè mi fa diventare freddo nel parlare, nel giudicare, e nel lavorare. Io credo che questo problema ce l’ha tanta gente, io lo affronto senza problemi, anche perché posso contare sui miei compagni che mi capiscono e mi aiutano tanto con armonia, perché loro hanno anche una certa esperienza su queste cose che come dicevo prima l’hanno passato quasi tutti.

Io ho tante prigioni ma talmente ne ho che non riesco neanche a spiegarle tutte. Per esempio io ho anche quella prigione di pensare spesso al passato anche se capisco che non è servito a niente, forse anche perché ho avuto cose belle nel passato e sono quelle cose che mi fanno rimpiangere certi avvenimenti. Una delle peggiori prigioni è il «non amore» a me all’inizio della permanenza in comunità non mi piaceva amare una persona perché non capivo il significato, invece adesso che ne capisco una minima parte gli do un significato immenso, e credo che una persona senza l’amore non può vivere bene. Io credo che dando fiducia ad una persona che non conosci bene, solo con il gesto di dargli fiducia, gli fai vedere che la vuole bene, a volte c’è quella persona che non ti capisce e ti odia per quello che fai non per quello che sei, e questo è molto ingiusto. Comunque la vita deve avere per forza tutte queste cose se no non avrebbe senso, cioè avere l’amore per aiutare tanta gente che non ne ha, avere coraggio per fare sperare alla gente su qualcosa che loro magari con la timidezza non ci riusciranno mai, o magari per paura della gente stessa. Mi ha fatto tanto bene esprimere le mie idee.

(Maria Vittoria S.). «Scopare o fare l’amore»… io per parlarne devo per forza rifarmi alla mia esperienza personale, certamente non è molta se consideriamo che ho appena 18 anni, e che ho fatto x 3 anni una vita da tossicomane, quindi dell’amore non ne so molto, e il poco che so, l’ho acquisito qui in Comunità, quindi non l’ho neanche vissuto, ho sperimentato invece lo scopare, è un modo un po’ grezzo per dire una certa cosa, ma il modo in cui l’ho sperimentato io non si può chiamare altrimenti, in me c’era sempre una ricerca dell’amore quello vero, ma purtroppo le circostanze mi hanno sempre portata a fare tutto l’opposto, e forse è anche x questo che oggi sono qui. Per 2 anni ho creduto di avere una storia d’amore, ma purtroppo pensandoci bene tutto si riduceva nello stare a letto, finito quello non c’era altro, e penso di non essere la sola ad aver vissuto certe storie, scopare è per tutti ossia è facile aprire le gambe e non pensare, difficile è fare l’amore, l’atto fisico per me è solo una certa situazione che viene dopo che 2 persone si conoscono, deve essere una cosa spontanea per tutti e due…

(Rino S.) Scopare è una cosa bellissima, ma fare l’amore è una cosa ben diversa che vale più del scopare e che bisogna anche saper dare agli altri, forse dobbiamo stare attenti come usare questa parola. Io quello che ho capito sino ad oggi dell’amore (grazie alla comunità) devo dire che non penso di aver mai amato nessuno e penso anche di non essere mai stato amato. Penso che l’amore più profondo mi è stato dato da mia madre e mio padre, ma io non riesco a sentirlo, forse perché non ho mai saputo amare come si deve adesso ho trovato quel poco d’amore che avevo sepolto dentro di me, e cerco di offrirne quanto più posso a persone però che possono capire e apprezzare il mio amore e che anche loro cercano di offrirtelo. Amore vuol dire volersi bene, starsi vicino aiutarsi a vicenda su tutto. Fare l’amore si può esprimere anche su un oggetto o su un lavoro che tu fai.

(Sandro M.). «Che cosa secondo noi è essenziale per la vita». Dentro di me sono nate nuove esigenze e mi son accorto che non era possibile colmarle con i pseudovalori che mi trascinavo fin da quando vivevo fuori. Tanto la vita di fuori è regolata in un modo orribile dettata da quei falsi valori che hanno travolto un po’ tutti. Di falsi valori se ne contano a centinaia e in tutte le forme, a partire dall’egoismo che fa si che una persona per poter emergere schiacci fino a calpestarlo l’uomo che gli sta al fianco, ed il ritmo frenetico non ti dà neanche il tempo di riflettere su quello che fai e non ti accorgi nemmeno che fai parte di un sistema dove il ruolo dell’uomo è il fulcro trainante, ma ahimè! il ruolo dell’uomo è stato ridimensionato anzi ridicolizzato tanto da esser preso in considerazione solo come numero e sostituito da un comunissimo computer. Addirittura ha perso in tutti i sensi la libertà che ogni comunissimo uomo deve avere e tutto è regolato dal tempo, non ci si deve perdere neanche un secondo per non arrivare secondo nella gara verso il potere, verso il perbenismo ecco ne risalta un altro, l’arrivismo. Tutto questo porta alla conflittualità tra gli esseri umani ed in susseguenza a tutto quello che lo circonda e cioè natura, cosmo ecc.

In tutto questo la morale non intacca minimamente le persone non si sentono neanche minimamente il peso schiacciante di codeste e il non sentirsi onesti con se stessi lo si esclude dai normalissimi problemi che sorgono nelle persone.

In contrapposizione a tutto questo e rientrando un po’ in quelle esigenze sopraelencate nel cappello del giornale sposto il baricentro per focalizzare in breve i veri valori che ogni persona dovrebbe avere anche per poter dare una svolta alla loro vita aggrappata alla marginalità per di più materiale. Un grande valore che farebbe risvegliare dal torpore tantissimi uomini è l’ “amore”. L’amore per gli altri per tutto quello che ti circonda, ecco così riscopri il vero senso della vita e la riscopri nella sua semplicità nella sua povertà e… stavo dimenticando nella propria umiltà. Ecco così ti si prospettano nuovi orizzonti nuovi obiettivi per poter indirizzare la propria vita nella ricerca di quelle verità interiori che sconvolgono volta per volta che le incontri la propria vita.

(Pietro P.). «Ciò che sento in questo momento». Mi sento un po’ stanco perché oggi credo d’aver lavorato, i miei pensieri sono un pochino confusi ma nonostante la mia confusione il pensiero che sovrasta tutti gli altri è sempre lo stesso da un po’ di tempo a questa parte, la tranquillità, la liberazione, anche oggi c’è stato un momento di abbandono da parte di Mario.

Mario è un ragazzo di Cagliari che oggi ha presto il volo come altri, avrà avuto le sue menate, a me è dispiaciuto relativamente, sono delle storie che non mi toccano anzi quando succedono mi sento stranamente più tranquillo più Bho! è una sensazione che non riesco a descrivere però è una bella sensazione.

Come ha detto Maria mi devo fare le palle quadre, anche se credo un pochino d’averle. Penso anche sia ora d’andare a letto perché la stanchezza si fa sentire.

(Rino S.). In questo momento sinceramente mi sento molto in forma. Fisicamente, perché stasera abbiamo eseguito la ginnastica dopo un lungo periodo (domani mattina vedremo i risultati delle ossa). Moralmente mi sento un po’ giù, perché non so spiegarmelo, comunque sento molto una mancanza che è quella di Maria che col suo spirito di allegria ci tiene allegri. Sono contento perché siamo alla fine della settimana e domani è sabato e la sveglia è alle sette e mezzo anziché alle sei e mezzo. Pensando a me mi sento contento perché sono qui in comunità per cercare di cambiare la mia vita, ma vorrei convincermi di più a credere in me ad avere più fiducia e a credere che sto diventando uomo ma mi sento ancora vuoto molto vuoto soprattutto adesso.

(Titino R.). Molto semplice svolgere un tema con un titolo libero come questo di stasera, se si pensa che oltre al titolo qui sopra abbiamo deciso che bisogna parlare del momento attuale. Ebbene in questo preciso istante sono molto emozionato, anzi è meglio dire teso, ansioso, non so di preciso ma è un qualcosa di elettrico che mi corre dentro. So anche il perché (naturalmente), è già da tanto che ho imparato a dare una risposta a tutti i miei stati d’animo. Non credo a quelle persone che dicono di star male, di avere un qualche cosa che non capiscono cosa sia, se ci si pensa bene un poco si arriva sempre alla radice di ciò che si ha dentro in quel preciso istante, e se si scava bene in queste radici si arriva naturalmente alla causa, basta essere onesti con noi stessi.

Ma veniamo a quanto stavo per dire prima. Sono in ansia perché domenica prossima… oggi è venerdì… devo vedere miei figli. Chissà come saranno cresciuti, Arianna non la vedo dall’estate dell’81, mentre Gianluca dall’estate scorsa. Quante cose avrei in mente di dire loro, ma sono sicuro che (poi) al momento propizio non ve ne sarà pronta nemmeno una di tutte quelle che ho (preparato) in mente. Fra l’altro sarà la mia prima uscita dalla comunità dopo otto mesi. Forse sarebbe stato meglio se fossi andato a casa a svagarmi un po’ (ma poi pensandoci bene) quale casa? Non ho più una casa. L’unica che adesso ho è questa e allargandomi un po’ San Mauro.

Molto probabilmente anche questa volta sto cercando di prendere tempo per evitare questo problema di affrontare la visita dei bambini. Ancora una volta il mio spirito egoistico risorge e cerca di sopraffare il mio spirito paterno, da uomo serio che deve pensare all’avvenire dei propri figli oltre che a quello proprio. Ad ogni modo per il momento ho voluto rilassarmi su questo piccolo problema, che diventerà grande solo Domenica sera, quindi lascio che arrivi domenica.

Mi sta venendo un gran mal di pancia, forse è perché ho mangiato troppo, o forse… No! E’ senza dubbio perché ho mangiato troppo. Sto mangiando moltissimo tutti i giorni, e sto ingrassando a vista d’occhio. E’ necessario che mi ritenga di più, e che abbia cura di me stesso. Se non ho cura di me stesso io chi ha cura di me????????

(Stefania P.). Ho voglia di assumere un atteggiamento fatale e piangere tantissimo. Pensare a me, alla mia vita, al fatto che io sono una persona. Capire se sono veramente una persona. Questa donna, fragile, incapace, paurosa. Debole. Ho voglia di stringermi le ginocchia al petto sino a soffocare e far scivolare le mie lacrime per terra. E sono cosciente che questo mio momento non è di vita e non posso fare a meno di prendere atto di questa Stefi che vorrebbe non essere. In questo momento mi sento molto schizofrenica perché c’è una parte di me che invece ha voglia di sdraiarsi e spalancare le braccia, allungarmi nello spazio, essere, esistere, impormi, credere, volere. E’ una parte molto bella di me che ancora devo scoprire del tutto, è una parte di me che lotta contro i miei momenti di morte.

Ma ora prevale l’altra Stefi. Quella Stefi brutta, incapace, antipatica, asociale, depressa, quella Stefi che si è spesso giocata la vita, che tante volte è morta in un angolo di strada, sola, o in un letto in cerca di amore, di compagnia e calore umano. E’ una Stefi che deve morire in quei momenti perché oggi non ha più motivo di esistere. Sono contenta, anche se soffro un casino, di vivere questi momenti di morte perché poi vivere è ancora più straordinariamente meraviglioso.

(Mauro P). «I nostri disagi in comunità e al di fuori della comunità». La Comunità è stata un punto fermo per la mia vita. Ormai sono due anni che ci vivo, e penso di avere capito anche le sottigliezze più profonde. Questo modo di vivere mi sta continuando a dare tanto, senza provare stanchezza.

All’inizio della mia permanenza, gli orari così ferrei, il lavoro, l’impegno sempre costante, devo dire mi pesava. Dovevo proprio stringere i denti per non mollare. Poi pian piano la mente e il corpo hanno incominciato a rispondere. Allora ho capito che questa vita andava la pena di essere vissuta. I disagi che uno può sentire sono specialmente all’inizio come ho detto prima, sono soprattutto le regole quelle che pesano.

Al di fuori: le volte che sono stato a casa, ho trovato delle difficoltà innanzitutto nei discorsi con la gente, la quale non è abituata all’ascolto. Poi un’altra delle cose che più mi infastidiva era la banalità dei discorsi, imperniati tutti quanti su come è giusto vestirsi oppure sui pettegolezzi i più svariati.

P.S. Sono stanco, e per questo non riesco a essere più chiaro. Spero che mi vogliate scusare. Grazie.

(Sandrino B.). Voglio iniziare questo giornale parlando dei disagi che incontro oggi. Uno dei primi disagi che incontro io personalmente è il fatto di comunicare in pubblico che è stato sempre un punto fermo nella mia persona, che andando avanti cercherò di sbloccare. Quando ho davanti una persona non so come iniziare un dialogo e magari ho centomila cose da dirgli, ma c’è qualcosa che mi frena, forse la timidezza, forse l’insicurezza non so, lo scoprirò.

Fuori era più facile dire: questo problema non mi interessa perché, più poco comunicavi e meglio era perché come ben sappiamo un tossicomane più isolato era nel suo mondo e più stava bene (fisicamente), perché nessuno toccava i suoi pensieri fasulli.

Al di fuori della comunità non trovavo disagi come li trovo qui in comunità, perché in comunità mi sto riscoprendo e avrei vergogna io stesso riscoprirmi per quello che ero, e cioè tossicomane, in pratica è un disagio anche questo l’aver paura di rifarti un altro uomo buttando tutto quell’uomo falso che avevo sopra le spalle, che oggi mi ossessiona. In comunità grazie all’aiuto dei miei fratelli, mi hanno fatto capire che certe cose le devi affrontare per risolverle.

Un altro disagio mio personale è questo, non saper ricevere le persone che vengono da fuori, perché non saprei come iniziare un discorso su fuori, talmente ero menefreghista, invece della comunità gliene parlerei bene ché la sto vivendo e capendo il significato di viverla con intensità. Io penso che un uomo avendo dei disagi su certe cose, al primo impatto magari ti incasini, invece poi quando l’hai superato ti aiuta a farti riflettere una prossima volta che ti capiterà un altro disagio del genere e in un certo senso sai come affrontarlo, non del tutto, però quasi. Una cosa è certa, i disagi che ho io, fuori si moltiplicheranno, essendo fuori talmente tutto il menefreghismo che c’è da parte di tutti, presi da tutto quello che… fanno.

Anche se mi sono trascinato a scrivere tutte queste cose, il perché è che ho sentito la necessità di scriverle perché sono cose che sento io. Data la stanchezza che ho addosso, non posso scrivere più perché mi devo risparmiare per il prossimo giornale che faremo.

(Pietro P.). «Monte Santo nel Meilogu». Domenica tredici marzo è stata la mia prima scalata a quota 730, è stata un’esperienza unica in questo genere. Siamo partiti alle 8,30 da S’Aspru dopo aver percorso circa un km. in campagna abbiamo preso una strada bianca che ci ha portato fino ai piedi del Monte. Giornata non tanto favorevole perché è scesa la nebbia, che nel primo momento stava disorientandoci ma poi con lo schiarirsi del mattino ci siamo diretti con più sicurezza verso la cima che sembrava irraggiungibile, mentre invece l’abbiamo raggiunta con molta tranquillità. Abbiamo portato con noi anche la cavalla Aurora, per lei è stata un’impresa molto dura perché l’ultimo tratto di monte era roccioso e per questo motivo ha trovato molta difficoltà. Nella pianura che sovrasta Monte Santo abbiamo incontrato tre persone che facevano parte del comitato della Chiesa di S. Elia, erano là su perché sono già in atto i preparativi per la festa che ci sarà i giorni di Pasqua e di Pasquetta, abbiam fatto il pranzo, ci siamo fatti delle foto, a noi e al paesaggio. Ci sono stati dei momenti molto belli per esempio quando siamo andati in giro per il perimetro ci si dominava quasi tutto il Meilogu si vedeva S’Aspru in lontananza, c’era un senso di dominio non solo per me ma penso un po’ per tutti era una sensazione fantastica, sarei molto felice se queste gite si ripetessero più spesso.

(Rino S.). Monte Santo è un monte molto importante, si trova nella zona chiamata Meilogu, una zona della Sardegna come può essere la Barbagia. Monte Santo lo troviamo precisamente vicino a Siligo un piccolo paesino, ma più vicino, proprio ai piedi del monte troviamo la comunità S’Aspru, dove viviamo noi ex tossicomani. Mi sembrava un monte normale come un altro monte che c’è vicino, sino a quando Salvatore, il nostro responsabile, ha deciso di scalarlo tutti assieme. E’ stata una salita abbastanza ripida soprattutto per il nostro cavallo, e anche perché abbiamo sbagliato strada, non sapevamo che c’era un sentiero da dove ci salgono anche con gli asini.

Domenica scorsa quando siamo saliti noi abbiamo visto che portavano su casse di aranciate, cocacola, birra ecc, e preparavano tutto vicino alla chiesa per fare la festa a S. Elia. Salvatore ci ha spiegato il significato di perché è stata costruita la chiesa là su, e ci ha parlato anche un po’ di Elia. Lui era un profeta che ha trascinato con sé un popolo chiamati «ebrei» era uno che vedeva le cose diciamo dall’alto, e per questo la chiesa è là su, perché da su si vede una grande visione di tutto, si vede tutto dall’alto.

Figli lontani e figli vicini

Maggio 1983. Il giornale del 19 propone ai ragazzi di riflettere sulla propria esperienza comunitaria a mo’ di consuntivo, ancorché parziale o parzialissimo. E c’è chi, in tale contesto, porta il suo pensiero anche ai figli lontani… La volta successiva – il 28 – il tema redazionale suggerisce una più puntuale considerazione sulla presenza di alcuni bambini in comunità.

(Angelo Pi.). Al mio punto di vista questi sei mesi vissuti in Comunità direi che grosse difficoltà non ne ho ancora avuto. Cioè una delle mie piccole difficoltà era il comunicare, mettermi a rapporto con determinate persone, cioè trovavo difficoltà perché mi sentivo inferiore agli altri, mentre ora ho provato a mettermi a contatto e ho visto che non ho avuto problemi.

Come dicevo in questi sei mesi infatti ho cominciato ad aprire gli occhi e vedere il colore argenteo dell’aria, sentire il canto degli uccelli, sentire l’odore dei fiori cioè scoprire tante belle cose.

(Maurizio M.). Sono in comunità da tre giorni, mi trovo abbastanza bene, anzi troppo bene. Spero di rimanerci perché sono convinto di farcela. Il primo giorno che sono arrivato qui a S’Aspru invece di tendermi la mano mi hanno teso la pala e il picco. E mi hanno affidato a un padre abbastanza sensibile ma un po’ coglione. Scherzi a parte qui mi sento veramente bene e questo benessere deve far parte della mia nuova vita.

(Pino P.). Ieri 18 maggio ho compiuto il mio ventottesimo anno qui in comunità; devo dire che non avevo mai festeggiato il mio compleanno in modo così festoso, accerchiato da tanti amici. Devo dire che sto scoprendo che le cose più semplici acquistano un grosso valore qui a S’Aspru, cose che fuori non avevo mai fatto, ma che forse dentro di me sentivo, visto che il mio ambientamento nella comunità non è stato difficile, e credo di avere capito il discorso che la stessa ti propone, consapevole del fatto che devo imparare tante cose, sia con l’aiuto dei ragazzi, ma soprattutto con l’aiuto di persone veramente umane in tutti i sensi come Salvatore e Maria, dei quali uno ci si può arricchire tutti i giorni, cogliendo tutti i loro consigli, per raggiungere un giusto equilibrio, che ridia uno scopo alla mia vita che stava sfuggendo.

(Titino R.). Decisamente anche stasera non è la sera adatta per scrivere (si comincia sempre così tanto per trovare una scusa) ma proverò a mettere giù qualcosa. Prima di tutto devo fare i complimenti a me per la tenacia con la quale sto affrontando questi giorni difficili di comunità, resi ancor più duri dall’arrivo di parecchi ragazzi nuovi, fra i quali un certo Ignazio A. che Maria o Salva hanno appioppato a me. Comunque (tutto sommato) va bene così, in fondo è un tossico che ha bisogno di aiuto ed allora devo mollare le mie storie per dedicarmi completamente a lui. E’ un gran figlio di putt… ma credo che prima o poi riuscirò a farlo innamorare della comunità.

Io dal canto mio ho avuto fortuna ad aver conosciuto la comunità ed avere con essa intrapreso un cammino che oggi so con certezza mi porterà verso la salvezza. E’ difficile però far capire ad un ragazzo appena arrivato cosa è in effetti la comunità, a cosa conduce, quali orizzonti apre nella mente di chi segue il filo.

Sono preoccupato per mio figlio, ha 13 anni ed ho paura che fra poco cominci a frequentare ambienti poco raccomandabili. Credo che se non avrà voglia di studiare e non farà il ragazzo serio lo porterò qui con me in comunità, e gli farò vedere come vive suo padre con tutti gli altri. E se non vorrà rimanere lo legherò.

(Pacicu). «I bambini in comunità». Uno dei miei punti di vista sul problema dei bambini in una comunità di tossicodipendenti mi giunge un po’ nuovo nel senso che io con i bambini ho sempre avuto un rapporto sempre positivo nonostante il mio carattere un po’ introverso. Mi piace moltissimo giocare con loro quando il tempo me lo permette, a me personalmente mi danno più un senso della famiglia, mi fanno sentire bene ogni qualvolta che li vedo e che stanno con me.

Avrei voluto averli anche tutto il giorno intorno, sento più armonia e sono contento del lavoro che faccio. Penso che se i bambini non ci fossero a me personalmente mi si creerebbe un piccolo vuoto.

Sono contento anche che per un ragazzo nuovo sia e dia la sensazione di benessere nei momenti più duri. Ho sempre desiderato avere un figlio per insegnargli tutto quello che sento e che avrei desiderato e sognato anch’io.

(Rino S.). Noi ragazzi qui in comunità ci buttiamo su tutte le cose che abbiamo di fronte a noi, di più su cose nuove, perché abbiamo bisogno di vedere di sapere di scoprire sempre cose nuove per farcene sempre una buona esperienza.

Quando sono entrato in comunità c’era solo un bambino Ale di tre anni figlio di Lisa ex tossicomane che vive ancora con noi. Io i primi mesi che ero in comunità ricordo che questo bambino lo volevo molto bene perché non lo so, però mi ci ero affezionato, perché anche molte volte lavorava vicino a me gli piaceva molto la paletta di muratore, e allora era questo bambino che giocava vicino a me parlava sempre chiedeva di tutte le cose che vedeva, e mi aiutava molto a parlare ed aprirmi, perché io parlavo poco per non dire niente.

Oggi i bambini sono due, Ale e Samuele di dieci anni, poi altri due in arrivo che devono ancora crescere, uno sarà il fratello di Ale e uno di Samuele.

A me personalmente stanno dando molto come penso io a loro. Ho visto molte volte che i bambini si sgridano, e molto spesso li picchiamo senza spiegargliene i motivi, ma di più qua in comunità succedeva come uno sfogo di nervi che riversiamo su di loro, e questo succedeva pure a me. Io mi sono accorto subito di questo mio modo e ho cercato di rimediare, oggi e posso dire che riesco a controllarmi cioè a mantenere un giusto equilibrio, mi hanno aiutato a mantenere la pazienza e spiegargli tutte le cose sbagliate e le cose giuste.

(Lisa C.). Sin dai miei 17 anni ho dovuto riflettere sul mio ruolo come madre e di conseguenza su ciò che il bambino è per me, e sono arrivata a considerare il rapporto fra noi come uno stimolo di crescita per entrambi.

Trovarsi di fronte ad un bambino può voler dire per esempio, in comunità, ritrovare e ripensare alla tua infanzia, così da poter poi mettere in pratica le tue ipotesi sul modo migliore per cominciare a vivere, probabilmente come a te non è stato possibile.

Io preferisco pensare ai lati positivi che questa presenza comporta, anche se mi rendo conto delle difficoltà che avere a fianco dei bambini è prima di tutto una fortuna se pensiamo che tra l’altro più o meno tutti saremo genitori, ma è ovvio che se preso seriamente questo vuol dire anche impegno e sacrificio.

A volte come madre di Ale ho avuto paura che fosse un peso per gli altri, ma dato che sento miei figli come parte di me ho deciso che devono essere accettati, così come devo essere accettata io; questo però è stato solo un problema mio, perché gli altri non me l’hanno mai fatto pesare (certo se continuo così mi sbatteranno fuori, dal momento che mi fidano poco poco e… faccio bambini).

A parte tutti i vari problemi, dalla cacca verde a quella gialla, dalla pappa alla nanna, io ringrazio Ale e voglio bene a Samuele; devo a mio figlio gran parte della mia “pazza” maturità e tanti momenti belli, non mi pentirò mai di averlo fatto nascere di conseguenza do alla loro presenza notevole importanza. Sanno ricompensarti del tempo e le energie che ti rubano. Tutto questo con un po’ di filosofia!!

E’ il 1984, cresce la squadra. E il bisogno di austerità

Sandra dice: «siamo ormai trenta, le stanze sono tutte occupate, urge un’altra casa». In effetti S’Aspru appare sempre più, anche nei numeri e nella dimensione delle attività, quel che è: una repubblica dove tutti fanno, dove si procede per obiettivi, dove ne capitano… Franco ha ormai imparato a fare il formaggio e s’è pure provato come ostetrico bovino, insieme con Pino, Vanni ed Angheleddu. Natalino («che si doveva chiamare Andrea») però… muore rapido. Come sono morti una dozzina di maialini. Armato di forbici da elettricista, il Conte Mauro Piras si improvvisa coiffeur, facendo della testa del povero Gaetano una specie di «campo di Motocross tipo i capelli di S. Francesco». Arrivano Giorgio e poi Patrizia, mentre Sandrino rientra dalla visita a casa («Via Podgora, una delle vie più belle di Cagliari, che ho trovato sempre bella come prima, iniziare dalla popolazione che non cambia neanche se ci buttano la bomba H»). Graziano – il più spiritoso di tutti – rievoca la sua seconda permanenza a Fonni. Roberto Johnston e Renzo – gli idraulici della compagnia – completano l’allestimento dei nuovi bagni delle ragazze… Cronache spiritose, film neorealista. Le date: 11 gennaio, 23 febbraio. Ah, c’è pure l’ordine, severo e non discutibile, impartito da Salvatore: risparmiare! Lo richiede il bilancio, ma poi risparmiando si fa anche più comunità. O no?

(Renzo M.). «Impressioni e propositi per un nuovo anno». Sono quattro mesi in comunità. Inizio col scusarmi con il giornale perché purtroppo come inventiva stasera sono molto scarso a causa della stanchezza. Ci risentiamo dopo due mesi dall’ultima volta, nell’ormai lontano 1983. Da allora sono successe tante cose molto positive, ed ora sto iniziando veramente ad avere fiducia nella comunità anche se mi pesano molto i sette anni trascorsi nella merda andando avanti a forza di cazzate e ogni giorno cadendo sempre più in basso sino a toccare il fondo, nonostante tutto ho ancora delle menate per la testa e perciò non ho ancora dato la svolta decisiva anche perché cambiare devo dire la verità mi fa un po’ paura, comunque sto iniziando a vedere uno spiraglio di luce e questo mi sta dando la forza di andare avanti.

Come inizio del nuovo anno non mi posso lamentare perché sono partito bene. E questo mi da fiducia. Del 1983 non rimpiango assolutamente niente perché per me è stato un anno terribile, pieno di esaurimenti e casini di ogni genere per cui non vorrei riviverlo. L’unica cosa positiva è stato il mio ingresso in comunità…

(Franco S.). Ciao, … inizio col dirvi che ho chiuso abbastanza felicemente il 1983, certamente anche il Natale, però la messa di Capodanno detta da Salvatore mi ha fatto riflettere molto. «Un anno ci è dato come un foglio di carta bianca, il quale sta a noi riempirlo, e come riempirlo».

Francamente per quel che mi riguarda, sono cambiato in parecchie cose in un altro anno che sono stato qui, però come in tutte le cose ti accorgi che si può fare sempre più, e questo non lo dico per scusarmi o per dire una cosa, ma lo dico perché cerco ancora una volta di ripropormi che la vita è un qualcosa di grande e di unico che ci è stata donata, e quindi va vissuta appieno.

Una cosa che mi sono imposto è quella di riuscire a instaurare un rapporto con la gente che fino adesso c’è stato buio completo, e penso che riuscendo a fare questo mi libererò da un grande peso, e questo lo devo fare, perché se non imparo qui, fuori certamente non è la scuola adatta.

Per quanto riguarda le cose che sono successe in questi giorni, c’è da sottolineare che Angheleddu nostro amico fidato mi sta insegnando a fare il formaggio. E’ una cosa molto bella, anche perché non avevo mai visto farlo, a volte dico che se non fossi entrato in comunità chissà se sarei riuscito ad imparare tutte le cose che mi hanno insegnato qui tutta la gente che vive con me, e quindi penso che non ci sia dono più grande di quello del conoscere sempre cose nuove. A proposito, stavo quasi scordandomi della nascita del nuovo vitellino, il quale è il primo che nasce qui in comunità, e personalmente, il periodo che stava per nascere ero sempre lì in ansia, e tutto concentrato sulla mucca, e vi lascio immaginare il momento in cui io Pino, Vanni ed Angheleddu l’abbiamo tirato fuori dalla pancia della madre, eppure ho visto molti vitelli nascere, però il nostro è stato tutta un’altra sensazione, perché ci abbiamo messo tutta la passione e cura, in modo che andasse tutto liscio, ora è là che si ciuccia circa 10 litri di latte al giorno, e si chiama Natalino, perché è nato durante il periodo di Natale…

(Gaetano P.). «Rovinato». Ciao gente… vorrei parlare di un triste avvenimento successo quattro giorni fa cioè sabato sera. Dopo aver lavorato tutto il giorno mi viene la brillante (brillante per modo di dire) idea di tagliarmi i capelli, e allora vado in cerca di un volontario e siccome il coiffer Pentolino è occupato con Graziano si offre Mauro (avvoltoio in cerca di teste da rasare). Dopo essermi fatto la doccia è venuto Mauro e mi ha incominciato a tagliare i capelli con le forbici da elettricista. Dopo cinque minuti avevo la testa che sembrava un campo di Motocross tipo i capelli di S. Francesco.

A questo punto c’era una sola alternativa: tagliare a zero, ed ecco che comincia il bello perché Mauro si inventa una pettinatura alla Sergio R., scuccato al centro e lunghi ai lati, sembravo il fratello (che brutta esperienza). Adesso ho la capoccia totalmente liscia pare un melone. Speriamo che mi ricrescano in fretta…

(Graziano C.). «Interno della comunità». Stasera arriva papà; Maria ha dei colloqui a Sassari; Billy il nostro secondo cane si è infortunato.

E’ arrivata Patrizia e Giorgio sembra sereno le auguro che ce la faccia. Giorgio è il secondo giorno che sta in comunità, sembra spaesato (cosa alquanto normale per tutti quanti), si nota che è un bravo ragazzo, le auguro di trovare ciò che fuori sicuramente aveva perso.

Fatti di cronaca sana. Lunedì riunione infuocata per tutti quanti, si è fatto una cronistoria dei tempi passati. I Papi hanno proclamato la sentenza: per Graziano in particolare deve curarsi l’estetica, finalmente qualcuno si accorge che ho anche difetti.

Feste natalizie e viaggi. Un anno di estasi; nel vuoto e nel buio più completo del mio Io si accende una piccola scintilla e mi appare un video illuminato con la scritta «l’amicizia esiste», ma forse è un miraggio o non voglio crederci.

Fonni è meravigliosa è stata una bellissima vacanza. E’ la seconda volta che vado a Fonni ed è stato sempre magnifico trovo a Fonni una cordialità e una simpatia per me unica proprio è come se stessi in comunità.

Testamento e Denuncia. Io Carboni Graziano nato a Cagliari il 30.7.1949 ivi residente nel popoloso quartiere di Sant’Elia dichiaro: che il Conte Mauro Piras sorpreso da me in persona a non chiudere una porta, da me rimproverato un miliardo di volte, risponde testualmente con sgarbo e dice che lui porte non ne chiude, anzi dovrei io chiudergli la porta. Denuncio questa sua apatia pubblicamente, o dovrò porre rimedi attaccando la sua piccola Bastiglia.

P.S. Se mi troverete morto sappiate che è lui, il Conte Mauro Piras.

La comunità sta diventando per me un “frutto esotico” dolce da assaporare. Io voglio gustarlo piano piano. Buona notte.

(Sandra B.). Ciao giornale, ne è passato di tempo da quanto ho scritto il mio ultimo articolo!! Da allora qui a S’Aspru son successe un casino di cose. Siamo diventati di colpo circa trenta persone e il grosso della ciurma è formato da nuovi ragazzi che ogni giorno stringono i denti per rinnovare quest’impegno. Le camere sono tutte occupate e ai colloqui i ragazzi non mancano mai, i casi si fanno sempre drammatici e urge quindi un’altra casa.

L’idea di essere così tanti inizialmente mi spaventava pensavo a qualcosa di molto dispersivo mentre invece mi accorgo che le nostre comunità non diventeranno mai fredde caserme perché anche se una persona non vuole nel momento in cui rimane in comunità si scontrerà sempre con quei valori che ora dopo anni hanno messo radici. Radici così come mi pare sto mettendo io, giorni fa ho compiuto il terzo anno di comunità e so benissimo che non sono troppi però ora mi sento veramente diversa, non arrivata diversa, diversa da tutta quella serie di problemi iniziali, confusioni ecc.

La cosa più importante per me è avere una strada davanti che seguo ogni giorno, questa strada diventa me (stessa) e il tempo mi passa dentro rendendo il mio ideale sempre più forte.

Niente, è inutile che mi metto a fare grossi discorsi, non c’entrano niente 1° perché sono stanca morta, 2° perché ho dimenticato di telefonare per il pane e così domani siamo fregati: mi dirai cosa c’entra il pane? Ebbene sì, mi ha portato in un altro stato d’animo…

(Sandrino B.). Caro giornale, come al solito c’è la difficoltà di partire, anche perché si è perso l’allenamento… Qualche spunto per iniziare ce l’ho però manca l’approfondimento. Reduce da una esperienza nuova ho tantissime cose da dire, iniziare da Via Podgora, una delle vie più belle di Cagliari, che ho trovato sempre bella come prima, iniziare dalla popolazione che non cambia neanche se ci buttano la bomba H. Vorrei parlare della difficoltà che si incontra quando uno come me si è ritrovato a distanza da 1 anno e mezzo sempre le stesse cose, a differenza della famiglia che un po’ è cambiata non molto ma quel poco mi basta.

Una cosa che mi ha colpito molto è stata la mia diversità in confronto alla gente che ho trovato fuori, nulla che si condivide, nulla che si comunica, insomma fuori ognuno pensa per sé, sono cose che già sapevo, una visita con un’ottica più critica e obiettiva si nota di più.

Un altro aspetto che mi ha colpito è l’orgoglio che si ritrova fra la gente, ignorante alle comunità, ai centri di accoglienza, a tutte queste cose che secondo loro in questi posti ci deve andare solo a dormire e mangiare, ho avuto dei casi davanti a me che restavo una mezzora a parlargli e alla fine mi sballavano il discorso con una cazzata del tipo «ma proprio non fate niente con le ragazze?». Allora lì, lasciavo tutto il discorso e cambiavo argomento.

Certe persone mi hanno fatto riflettere, e mi ha fatto molto piacere quando mi dicevano che in me c’è stato un cambiamento totale e mi sono convinto di una cosa, che se uno vuol cambiare veramente ce la fa, ma fuori sono tutti dell’idea che non si può cambiare, perché non si parlano mai l’uno con l’altro, ognuno ha una mentalità, ognuno ha delle idee, e non si tende ad uscire da questo cerchio di cose, anche monotono. La condivisione in minoranze come le nostre fuori non è visto molto bene perché loro pensano ad un isolamento, un modo per non affrontare la realtà, però quando stai lì a spiegare certe cose per mezzora, dico per mezzora, non c’è niente da fare.

Quello che mi è piaciuto di me è stato il modo in cui ho preso le cose, con una tranquillità fenomenale, e con una sicurezza magnifica, che mi ha soddisfatto, e credo che mi abbia messo una supposta alla nitroglicerina: speriamo in un modo significativo.

Ho parlato di queste cose e me la scappotto perché in testa avevo altro, e se mi scusano i lettori chiudo questo articolo di attualità, arrivederci al prossimo numero di S’Aspru Sera.

Cronaca nera.

1) Ultima notizia dal nostro inviato Paolo Z.. Ci fa sapere che il noto Sandrino Belfagor è diventato il più incallito tossicomane della nota via Podgora, segue…

2) Muore nella comunità di una ventina di rovinati un vitello che doveva essere chiamato Andrea.

3) Strage di una famiglia intera una settimana fa, questo sempre nella famiglia di quei rovinati sono morti 12 porchetti della famiglia Porcu.

(Renzo M.). Caro Giornale, anche se eravamo da molto tempo senza sentirci stasera ho veramente poche cose da dirti anzi quasi niente.

Inizio col citare le ultime novità tra le quali quella che oggi si è fermato l’impianto di riscaldamento a causa della mancanza di carburante e quindi non funzionano né i termosifoni né le docce; speriamo che arrivi presto il rifornimento di gasolio.

L’altra novità è che io e Jhoston stasera abbiamo finito di dare gli ultimi ritocchi ai bagni nuovi delle ragazze che si potrebbero già utilizzare se non fosse per la mancanza delle finestre.

Questa settimana diventerà memorabile a causa delle disgrazie successe alla comunità, infatti a parte la storia del riscaldamento in tempo di tre giorni ci sono morti una dozzina di maialetti e anche un vitellino entrambi appena nati…

(Johnstone). …Voglio optare per il primo pensiero che mi passa per la testa. Eccolo: si tratta dei bagni delle ragazze, proprio oggi abbiamo finito di montarci sopra i sanitari. Circa 10 giorni fa, insieme a Renzo siamo entrati nei suddetti bagni abbandonati allora dal gruppo dei muratori che avevano appena dato termine alla piastrellatura. Ma, visto che ci sono, forse è meglio che vi spieghi tutto dall’inizio.

Bisogna dire innanzitutto che i bagni originariamente erano una grossa stanza unica, quella in cui alloggiava Donna Vivanet nella quale lei poi è morta. Questa stanza è stata tramezzata dal gruppo dei muratori e ridotta a tre piccole stanzette (i futuri tre bagni) dopo di che, siamo entrati in scena io e Renzo e abbiamo dato il via all’impianto idraulico.

C’è da precisare che è stato il primo impianto che ho fatto da solo senza l’apporto di Sandro, quindi se ci fosse qualche errore di costruzione me ne scuso fin da ora. La costruzione dell’impianto è durata circa 2 settimane, compreso l’impianto di scarico in PVC. Devo dire che è stato molto difficoltoso perché vari problemi di stesura dell’impianto hanno messo a dura prova l’ingegno mio e di Renzo. Montando e rismontando finalmente siamo giunti alla fine del lavoro che si è concluso con il benestare di Sandro.

E’ stata di nuovo la volta dei muratori, che si sono dati da fare per intonacare i tramezzi e poi piastrellare; devo dire che hanno fatto un ottimo lavoro.

Come ho già accennato è toccato nuovamente il mio turno entrare nei bagni per il montaggio dei sanitari. Io e Renzo ci siamo subito dati da fare a montare ed a riparare le perdite dei vari rubinetti, sia di bidet che di lavandini. C’è da sottolineare la sostituzione di un piatto doccia, che Marino ha delicatamente graffiato facendoci scivolare sopra un ponteggio da muratore. Noi oggi abbiamo finito il montaggio di tutti i sanitari in tutti e tre i bagni, resta solo da piazzare gli infissi alle finestre, ed è un lavoro che spetta a Sergio, bisogna montare le scatole degli interruttori e i lampadari, ed è un lavoro che spetta a Graziano. E poi se permettete tocca a me e Renzo con il colpo finale; il montaggio delle porte e degli accessori a plick comprendenti portasapone, portasciugamani, specchi ecc.

E poi la parola alle donne che in quei bagni prevedo ne combineranno di tutti… gli odori.

(Conte von Mauro Piras). «E ritornata a S’Aspru l’Austerity». Puntuale come sempre Maria ha fatto la sua apparizione stamane nel refettorio di S’Aspru. Il suo viso era marcato ed esprimeva preoccupazione. La notte prima aveva ricevuto una burrascosa telefonata dal capo ossia Salva. Diminuire tutti gli sprechi, specialmente quelli di carburante. Quindi niente riscaldamento, niente macchine. Asinello fuori strada per Angeleddu.

Penso che questo non ci faccia male. Senza dubbio ci fa mettere in moto un meccanismo che si chiama “risparmio”. Ma più di tutto, un ritorno all’austerità, che deve essere soprattutto interiore.

Le nostre esigenze devono essere immancabilmente ridotte. Io per primo ho bisogno ogni tanto di essere ripreso per questo. Per il mio carattere un po’ refrattario a questo genere di cose e per questo motivo mi laverò meno. Non userò più la macchina, se non per casi urgenti. Nel vestire sarò più semplice. Mangerò tutto (anche la polenta al latte).

Io penso che vivere in povertà fa sì che ognuno di noi raggiunga più in fretta l’essenza delle cose. E per adesso è questo che mi interessa.

(Graziano C.). «Cronaca nera». I nostri cugini animali sono in lutto: Monza la nostra super sexy Vacca ha abortito; questo fatto ha messo la comunità in crisi, perché la nostra bella Monza pare sia stata istigata da un gruppetto di vacchette di un rabbioso definito partito politico. In pratica Monza è stata strumentalizzata da questo gruppo femminista che non ci vuole dare neanche più latte.

L’altro articolo di cronaca nera riguarda la sparizione di (quattromila) 4.000 litri di combustibile liquido detto: gasolio. Maria, dopo aver attentamente guardato se il serbatoio fosse bucato, è in crisi e non sa se chiamare il Maresciallo di Siligo per le dovute indagini oppure se il Medico del CMAS per i dovuti prelievi. Ma io sinceramente dalle parti del serbatoio ho visto spesso Paolo Z. e penso che egli sia benzinomane.

Vita da ortolano. La terra comincia a piacermi ed a affascinarmi. Debbo dire sinceramente che è molto più pesante fisicamente lavorare la terra, ma personalmente mi sta anche gratificando anche se in questo periodo non stiamo facendo dei veri lavori, dove vedi crescere ciò che hai seminato. La vita in campagna è bellissima; poi sono circondato da una vera banda di ortolani (la miglior banda di S’Aspru), non per niente abbiamo come professore the doctor Anghel.

 

«Angheleddu il dominatore della campagna», ghe

Maestro di tutte le arti rurali – sia orto che animali – Angheleddu vive gomito a gomito con i ragazzi tutta la lunga giornata di lavoro. Parla con la sua competenza e con l’esempio, non risparmiandosi mai nella fatica. E’ un istruttore rispettato da tutti, ammirato anzi, il vero punto di riferimento nel fare adesso nei “quattro ettari”, poi nei “nove ettari”… Ma è anche canzonato, nel modo più affettuoso e garbato che possa pensarsi. Così, ad esempio, da Vanni. E intanto – ancora nel giornale comunitario del 23 febbraio – Nino “er romano” riferisce delle sue cure al pioppeto, e della magia che sprigiona nell’animo dei ragazzi quel pezzo di Eden.

(Vanni C.). Dedico questa pagina del giornale a Angheleddu il nostro insegnante nei lavori dell’orto e anche pastorali. Oggi dopo otto mesi mi sono convinto che Angheleddu per quanto riguarda i lavori della campagna è insuperabile sia per capacità e anche per sveltezza, e come dicevo prima oggi mi ha dato una superdimostrazione, siamo andati nella striscia di terreno vicino al nuraghe per fare il passaggio per il bestiame di zio Bastiano, una striscia di circa duecento metri in questa striscia dobbiamo fare un viale che va diviso con paletti e rete, i paletti li abbiamo già messi giorni fa, però solo per mettere tanta rete si impiegava circa due giorni, invece con capitan Angheleddu la rete ha tremato in due ore tra un capozzolo un ghe e altro abbiamo quasi finito e la cosa come dicevo mi sorprende anche perché il lavoro lo fa con semplicità ma con tanta efficacia.

Poi un’altra cosa che mi piace molto di Anghel è il suo modo di parlare: lui quando è di buon umore è anche divertente, oggi si è esibito con qualche ghe come solito ma anche con altro ad un certo punto mentre Pino cantava li ho chiesto ti piace la sua voce, e lui ridendo mi ha risposto «più che altro mi piace perché non si vergogna di cantare con quella cantilena ghe». Poi mentre stiamo tirando la rete si strappa un pezzo di fil di ferro li chiedo come mai si è strappato, e lui mi risponde «porcu mundu adoloradu, per forza si è strappato ghe c’erano i capozzoli stretti male ghe».

Con questo finisco il mio giornale perché sta per arrivare l’ora della cena e essi hanno fame, ciao porche mundu adoloradu ghe.

A, dimenticavo, la prossima volta vi racconterò l’eccitazione di Anghel quando impugna la motosega.

(Nino M.). Ciao, io sto lavorando nel pioppeto, vorrei parlarvi di come lo trasformerei una volta ripulito della folta vegetazione e di quello che provo mentre avanzo imperterrito al compimento finale.

Una fitta boscaglia di rovi ne impedisce l’immagine graziosa all’inizio. Si respira un’aria soffocante metro per metro avanziamo lentamente ogni albero sembra chiederci grazie. Nessuno ha detto di farlo ma quando ciascuno di noi trova un pioppo che lentamente soffoca stritolato da una pianta rampicante cerca istintivamente di salvarlo: sembra di vedere un condannato liberarsi dalle catene.

Abbiamo fatto dopo due, tre settimane di lavoro più della metà forse questa settimana finiamo. Dentro il boschetto già si respira, si inventa, si progetta il modo come si potrebbe rifinire, nessuno parla, c’è il silenzio e un minuto particolare, si ascolta un canto accompagnato dal vento le cime degli alberi sembrano danzare ispirando i nostri cuori ad entrare nel bosco incantato, soffro mi affanno nel fare in fretta mi rivedo io liberandomi da un grande peso, malgrado tutto questo tengo d’occhio la situazione (i compagni che sono vicino a me nell’impresa) parlando con loro ne trovo un’argomentazione che attrae un po’ tutti.

Superfelice di questo ne iniziamo il tema, interessante vedere come ognuno dei ragazzi cerchi di dare una interpretazione personale di come rifinirebbe il magnifico boschetto: tutto, nei minimi particolari. Nel frattempo anche il tempo e la fatica si affievoliscono, si entra come per incanto nella fantasia.

Naturalmente passano i giorni, le settimane ed i mesi, gli anni anche, e tutta l’esperienza umana, quella pratica quotidiana di lavoro e di relazione e quella interiorizzata si cerca, da cerca, da parte dei ragazzi, di fissarla sulla carta. Può essere per l’utile di tutti. Ognuno si racconta, ma anche apprende dagli altri e degli altri… Ecco ora in rapidissima rassegna soltanto titoli ed incipit dei vari capitoli nei quali, in S’Aspru, vent’anni. Storia di un’avventura, cercai di riassumere i contenuti dei giornali usciti, a molte firme, in quei primi tempi di vita della comunità silighese…

Marzo, un serf con la vela blu, e gli abbandoni…

Da Olbia o da Cagliari, e già da Villacidro e da ogni dove, a S’Aspru arrivano i ragazzi per mettersi alla prova. I più, fortunatamente, resistono, e avanzano nel loro cammino di emancipazione, ma sono molti quelli che rinunciano. Chi rimane si specchia negli altri: in quelli che la valigia la depositano, in quelli anche che la riempiono per il congedo anzitempo. Misura le proprie emozioni, si spiega a se stesso… Nel giornale del 13 od in quello del 20 marzo Gaetano dice di Maurizio, Maria Teresa di Paola; Piero racconta di sé dopo i primi quattro mesi, e Renzo dopo i sei mesi e la crisi del centocinquantesimo giorno…

Le scrofe Prima e Nervosa, e Monza la vacca

Nascono ben 12 maialini, e poi un vitello, e un agnello, e un cavallino (figlio faticato di Aurora). Sul giornale del 13 marzo e del 3 aprile vogliono raccontare, Giorgio e i suoi fratelli Nino e Tino, di «Animali con la A maiuscola». Su quello del 20 marzo ancora Giorgio riferisce della ripulitura delle terme di Mesu Mundu.

La benedizione di monsignor Isgrò

Per la festa liturgica di San Salvatore, giungono a S’Aspru i ragazzi di San Mauro e tutti insieme festeggiano il loro «fondatore Patriarca, fraticello Francescano, Salvatore Morittu Imperatore di Bonorva», insieme con l’arcivescovo di Sassari ed il parroco di Villalba, entrambi Salvatore. La festa, con annessi e connessi, nella cronaca del giornale del 20 marzo.

Scarpetta selvaggia, zappa pesante e sedia calda

Sono riflessioni di primavera quelle che compaiono sul giornale del 27 marzo e del 3 aprile. Tino confessa, con autoironia, l’amore per il piatto, il Conte Mauro Piras l’avversione per la zappa («Dopo una lunga assenza ritorna in campo il leader degli zappaterra, gridando ad alta voce: schiena ci vuole!»), Kicca le emozioni ella dinamica.

Inchiesta su Maria

Nell’edizione del 10 aprile Franco V., Rino, Nino, M. Teresa e Sandra raccontano quel che sentono per la loro responsabile.

Nuovi e vecchi, più dialogo, e le coccole

Né, in verità, c’è solo, nel numero speciale del 10 aprile, l’inchiesta su Maria Spiga. No, c’è anche molto altro, ed in particolare – come espone la vetrina – è sviluppato il tema del ruolo della donna in comunità: «tra gli autori Sandro M. (“Viva le donne! Storia di una rivoluzione interiore”) e Sandro B. (“Donne alla ribalta”). Gli astrologhi di turno sono Gaetano (“Sarà, ma ci credo”) e Vanni (“A ciascuno il suo sogno”) che ci parlano dei loro progetti per il futuro. Marino (“Il permaloso”) ci parla del suo rapporto con Angelo; Patrizia (“Viva le crocerossine”) dell’assistenza sanitaria, e altro, a causa di una sua malattia. E ancora Roberto (“Non dice bugie”) medita sul disordine interiore ed esteriore, mentre il nostro filosofo Franco S. si impegna su un argomento oseremo dire “classico” (“La verità è dura ma ci fa capire la vita”). Se vi interessa il mare, correte a leggere l’articolo di Sergio (“Sapore di sale, sapore di mare”); di mare, ma come argomento di un sogno, parla anche Mari (“Un tuffo dove l’acqua è più blu”). Il nostro redattore sportivo Rino ci dice come vive l’argomento sport (“Il corriere dello sport”), mentre Gianfranco fa il metagiornalista spiegandoci come si scrive un giornale (“Ti scrivo questa mia”). E infine il nuovo acquisto Bruno firma il suo articolo di prime impressioni sulla comunità (“La ricerca”), Giorgio (“Domenica in… comunità”) della domenica (si capisce dal titolo?) e Mauro… del ritorno alla natura (“Il naturalista”). Dulcis in fundo, una poesia di Moreno e un disegno di Paolino. Ehi… buona lettura!

Samuele e Johnatan, poi Monte Santo bis

A Viddalba, la notte di Pasqua, battesimo per i figli di Adriana. La mattina di Pasquetta, poi, la salita a Monte Santo. Dopo, le scoppiature, cioè gli abbandoni: lasciano Moreno e Giorgio, e anche Franco V. va in crisi. Sul giornale di Comunità del 1° maggio, il resoconto.

Sandrone torna a casa

Dopo giusto tre anni di impegnata militanza (iniziata a San Mauro) a fine aprile Sandro M. torna a casa sua, nel quartiere cagliaritano di Sant’Avendrace. Ha mostrato di essere in gamba, è stato un autentico punto di riferimento per i suoi compagni, attivo e capace, e allegro. Nell’edizione ancora del 1° maggio del giornale di Comunità i saluti sono numerosi e tutti affettuosi.

Missione Sant’Elia (e Sant’Enoc). Il tetto

Seconda quindicina di settembre. Undici ragazzi più padre Salvatore si trasferiscono per una settimana e mezza all’interno della millenaria chiesetta eremitica di Monte Santo per il radicale restauro del tetto. A vivere come i monaci di mille anni addietro i ragazzi si adattano con relativa facilità. La partecipazione alla causa è alimentata dall’ideale, e più ancora da quel senso di “compagnonaggio” che è anch’esso pertinente al vivere comunitario. La cronaca dell’evento è sul giornale di Comunità del 24 ottobre.

«E’ tanto bello potermi guardare dentro»

I tre mesi di Alessandro C.e Gianfranco P., la settimana di Roberta, l’arrivo di Luigi mentre il nuovo Mauro non ce la fa ad inserirsi ed abbandona. Le ragazze al vascone a lavare la roba o i pomodori, «e ci siamo divertite un casino». Cambio di responsabile per Maurizio P.: da Paolo l’ingegnere a Renzo. I compleanni e poi la nascita di Andrea Porcu. Morte e macellazione di Ursula. Le cronache sul giornale di Comunità del 24 ottobre.

Un eucaliptus sul “muro della discordia”

«Venti metri di lunghezza e due di altezza, due mesi per costruirlo e un secondo per distruggerlo». Un incidente, può succedere… Le testimonianze dei protagonisti ancora sul giornale di Comunità del 24 ottobre. Intanto Graziano riferisce le ultime sull’amplesso fra il gallo e la gallina.

Tema: «L’importanza del lavoro in Comunità»

Alla base del programma di Mondo X e, insieme con la formazione e la cultura, la cosiddetta “ergoterapia”, vale a dire l’attività lavorativa manuale. I ragazzi si confrontano con l’impegno loro richiesto, ci ragionano su, e riferiscono: il lavoro è per la liberazione, non per l’alienazione. Sul giornale di Comunità del 7 novembre.

 

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