La Catalogna alla prova della finanza e dell’accentramento degli Stati. La Sardegna … anche di se stessa, di Bachisio Bandinu

L’EDITORIALE DELLE DOMENICA,  della  FONDAZIONE.

 

L’aspetto non sufficientemente evidenziato nella questione catalana è quello riferito alla finanza. Il dibattito si è ovviamente incentrato sul rapporto tra la Generalitat e il governo di Madrid. Così la domanda insistente è stata: “Come reagirà lo Stato spagnolo”?

È del tutto ovvio che Rajoy non potrà mai accettare l’indipendenza catalana e d’altro canto la Generalitat non vuole rinunciare alla volontà di piena sovranità. Tutto questo è scontato: lo sanno bene entrambi i contendenti.

Invece, le vere incognite, sottotraccia, riguardavano la tenuta finanziaria della Catalogna e il riconoscimento da parte degli Stati europei.

La banca Caixa, il nerbo finanziario della nazione catalana, abbandona il campo e si trasferisce in territorio spagnolo, e con la Banca anche le industrie più importanti. È un colpo mortale alla Catalogna perché senza la finanza non c’è sostentamento né sviluppo. Senza il riconoscimento, almeno in parte, degli Stati europei, non c’è reale sopravvivenza politica. Infatti la Catalogna così verrebbe a trovarsi fuori dell’euro e senza avere una propria moneta; fuori dall’Europa e dunque in un isolamento insostenibile.

Emerge una riflessione sconfortante. Ogni aspirazione legittima delle minoranze nazionali è tarpata dall’eurocentrismo, dal potere finanziario che difatto domina questo tipo di unione europea. Ci si aspettava da parte degli Stati europei una certa benevolenza verso la volontà catalana di autodeterminazione e invece ha trionfato il realismo politico-finanziario. È stato davvero sorprendente e pilatesco l’atteggiamento di Bruxelles. L’Europa, in linea di principio, dovrebbe sostenere la tesi dell’autodeterminazione dei popoli, ideale nobile e democratico, e invece si schiera col centralismo di Madrid per motivi ben più pratici e terrestri di establishement politico-economico.

Non c’è posto per una Europa dei popoli e delle autonomie: vince il conservatorismo statalista.

Il capitalismo finanziario non è sensibile a desideri, aspirazioni, sogni di un popolo, come quello catalano o altro, e neppure gli interessa la difesa dei diritti fondamentali dell’uomo e dei popoli. Sono deboli sovrastrutture, ciò che conta è la struttura finanziaria: il vile denaro è un moralismo dei poveri, il denaro è nobile, è il più nobile di tutti i prìncipi e di tutti i princìpi.

Il denaro non è soltanto l’equivalente universale di tutte le merci, ma è anche l’armatura più potente contro ogni pretesa di vera democrazia: i padroni dell’ossigeno sono padroni della vita e della sopravvivenza di ogni economia e di ogni politica.

La sovranità non appartiene al popolo ma alla finanza. Si arriva persino a capovolgere la questione: la minaccia alla democrazia viene dai catalani, non dall’eurocentrismo.

Anche l’intellettualità europea, in massima parte, si è schierata contro la Catalogna: si è accennato a qualche sentimento di comprensione, in linea puramente teorica, ma si è rimarcata la ragione ferma di una condanna in nome della statualità esistente, valida anche per gli altri Stati europei. E queste ragioni sono stati argomentate in maniera molto partigiana e discutibile, per non dire con scarsa serietà critica. Si è affermato che la Catalogna va contro la Costituzione che regola lo Stato spagnolo, dunque l’indipendenza è illegale: partendo da questo presupposto non c’è alcuna speranza di cambiamento, dunque le cose rimangono come sono. Non si è insistito sulle ragioni della Catalogna che si appella ai diritti umani dell’Onu (1948) e ai diritti della Convenzione europea (1954). Così da porsi una domanda: vale più la Costituzione spagnola, già messa in dubbio per il suo carattere di accentramento unitario rispetto a proposte di federalismo, oppure i fondamentali diritti dell’autodeterminazione e i diritti dell’uomo e di popoli? E’ragione più vincolante una Costituzione che non è altro che un convenzione di un particolare momento storico o sono più forti i principi di libertà dell’uomo e dei popoli?

Ed è ancora pilatesco l’invito, apparentemente di buon senso e di maturità politica, al dialogo costruttivo tra Barcellona e Madrid. L’eventuale conciliazione non può che essere la rinuncia all’indipendenza della Catalogna e magari un eventuale allargamento della sua autonomia. Ma non è questo che la Catalogna vuole. Dunque sono tutte discussioni che sostanzialmente danno ragione alla volontà del governo centrale spagnolo.

Il riferimento alla realtà sarda richiederebbe un discorso molto lungo e articolato, anche perché la somiglianza della Sardegna attuale con la Catalogna è molto vaga: assai differenti sono le condizioni politiche, economiche, culturali tra le due realtà: l’unico punto in comune è il desidero di sovranità o di indipendenza.

La strada da percorrere, per la Sardegna, è ancora molto lunga per poter raggiungere la condizione della Catalogna circa la volontà diffusa di indipendenza, sentita dal popolo e realizzata nella forma istituzionale della Generalitat e vissuta nella passione della gente.

L’indipendenza della Sardegna è una costruzione che si fa giorno per giorno in progetti e in atti che riguardano gli indirizzi di crescita economica e culturale a profitto dei sardi, nonché in pur provvisorie conquiste di riforme istituzionali, per esempio l’attuazione di un nuovo Statuto. Lavorare per fare strada è già un modo di vivere il raggiungimento della meta, che peraltro non potrà essere che un nuovo incamminamento.

Bachisio Bandinu


Condividi su:

    Comments are closed.