Il progressismo moderno è morto. Parola del filosofo cattolico Fabrice Hadjadj, di Francesco Gnagni PORPORA

 

“Siamo in un’epoca in cui il progressismo moderno è morto. In pratica, è stato ridotto in polvere ad Auschwitz e Hiroshima. In teoria, è stato rimesso in causa dalla consapevolezza scientifica del carattere finito della specie umana, e della sua inevitabile estinzione, assunta come vero e proprio punto di vista sul mondo”. È uno sguardo preoccupato, anti-nichilista e tuttavia vicino allo sgomento, quello del filosofo francese Fabrice Hadjadj (in foto), scrittore cattolico amato dal pubblico tradizionalista, capace di fare discutere e di prendere posizioni spesso forti, o come a molti piace descriverlo, controcorrente. Caratteristiche che messe in relazione alla sua storia personale (lui è nato in una famiglia di ebrei tunisini, rivoluzionari attivisti del maggio francese, e a ventisette anni si è convertito al cattolicesimo “di fronte a una statua della Vergine Maria”, dopodiché si è sposato con un’attrice francese) compongono la figura di “uno degli intellettuali moderni più brillanti”, come si legge su diverse recensioni.

L’ABDICAZIONE DEL POTERE POLITICO DI FRONTE ALLA TECNOLOGIA SECONDO HADJADJ

“È vero che la nostra epoca si caratterizza per un’abdicazione del potere politico davanti all’innovazione tecnologica”, ha affermato Hadjadj durante la giornata conclusiva dell’incontro sulla Populorum Progressio in Vaticano. “Beh, in ogni caso, questa sarà la fine della civiltà occidentale”, ha poi proseguito. Intervento per nulla consolante, anzi: il quadro che ne fuoriesce è di una società in forte pericolo, e in costante discesa verso il baratro. Dove di fronte alla “pressione della concorrenza internazionale nei confronti della sovranità dello Stato”, l’unica sentenza possibile è che “la democrazia oggi è una parola vuota, perché siamo in guerra: commerciale, tecnologica, ma una guerra in ogni caso”. La rivoluzione industriale infatti, “presentata come il progresso, lo è stato senza dubbio per la produzione di beni commerciali e standardizzati. Ma per il lavoro? Per l’artigiano?”, si è domandato il filosofo. “Per quest’ultimo è la sua marginalizzazione, o la distruzione”.

“PER GLI ANZIANI LA TECNICA ERA IL SAPER FARE”, CHE È “L’OPPOSTO DI PREMERE PULSANTI”

In questo modo è evidente che ad Hadjadj non piace “quando si parla del progresso tecnico”, quando si dice “che è parte dell’umanità” e che “oggi rifiutare impianti celebrali che fondono l’uomo con il computer sarebbe assurdo quanto lo sarebbe stato rifiutare l’invenzione della ruota o della scrittura”. Perché “non si vede che il progresso tecnologico non è il progresso della tecnica”, che “per gli anziani si identificava con il saper fare”, con la pazienza dell’apprendimento “unito al corpo e alle mani”, “l’opposto di premere pulsanti e attivare automatismi”. Mentre questo è, al contrario, “il suo regresso”: “È noto che l’uomo iperconnesso possiede meno manualità di suo nonno”, ha illustrato il filosofo, e “forse ancor meno dell’uomo delle caverne”. Ma “possiede il denaro che gli permette di comprare ciò che avrebbe prodotto a casa, che è però ciò a cui si riferisce in origine il significato dell’economia, il nomos dell’oikos”.

“IL PROGRESSO DELL’INNOVAZIONE È FATTO DI SCARTI”. PERCIÒ PRESTO “NON AVREMO PIÙ LAVORO”

Tutto ciò, considerando che il progresso dell’innovazione “è fatto di scarti, e di accelerazione dell’obsolescenza”, al punto che “presto non avremo più nulla da trasmettere, e non avremo più nemmeno lavoro”. La stessa “cultura dello scarto” di cui parla Francesco, ricorda il filosofo, sostenendo che le basi dell’assunto di Bergoglio si possano in realtà già ritrovare nella Sollicitudo Rei Socialis pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1987, nella sua critica cioè alla “civiltà del consumo” e della “moltiplicazione delle cose” come orizzonte unico. “Siamo passati dal calamaio alla piuma, alla stilografica, alla macchina da scrivere, all’elaboratore di testi, al comando vocale. Ma, nel frattempo, non abbiamo fatto ciò che Virgilio faceva con un calamaio”, ha spiegato Hadjadj.

IL FILOSOFO: “IL COMPITO PIÙ RADICALE OGGI È PRESERVARE LA CONDIZIONE UMANA”

Questa morte del progressismo moderno però potrebbe anche essere una buona notizia, a detta dello scrittore, nel caso lasciasse spazio “al ritorno del Vangelo e della speranza teologale”. La realtà però è che “è stato rimpiazzato da forme di post-umanesimo”: “Il tecnologismo, l’animalismo, il fondamentalismo religioso si sono sostituiti all’umanesimo ateo ormai defunto. E il progressismo che gli corrisponde non è quello umano”, cioè “della famiglia, della cultura, della città”, ma “uno sforzo per uscire dall’umano, verso la produzione di individui adattati, di fondamentalismi, o di sistemi esperti che sostituiscono lo spazio pubblico di discussione”. Al termine del suo intervento lo scrittore francese ha ricordato ciò che già Albert Camus sottolineava nel 1957, ricevendo il Nobel: “Ogni generazione, senza dubbio, si sente destinata a rifare il mondo – diceva Camus -. La nostra ha il problema di evitare che cada a pezzi”. Per questo “il compito più radicale, oggi, è di preservare la condizione umana”, ha terminato Hadjadj. O in altri termini, “di essere conservatori”.

 

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