Don Virgilio Angioni, fondatore dell’Opera Buon Pastore, nei “goccius in onori” firmati da Armando Mura, di Gianfranco Murtas

Ses pastori amorosu

Babbu de istribuliaus

Prestusantu t’invocaus

Virgiliugloriosu.


1-     In Quartu battiau

Incumintzas su camminu

Prenu de donu divinu

In sa fidi educau

A sa Cresia didicau

Divotu e fervoros

Prestusantu…

 

Se c’imbarchiamo nel motore di ricerca troviamo in internet molte decine di rimandi a testimonianze, raccolte fotografiche, saggi ed articoli su don Virgilio Angioni e la sua maggiore e migliore Opera, quella intitolata al Buon Pastore, ancora attiva e socialmente prospera – ché i bisogni non finiscono mai – a quasi un secolo dalla sua fondazione.

Più volte mi è occorso di essermi occupato dell’argomento, invero più del fondatore che dell’Opera, nel contesto di riflessioni circa il contrasto permanente, e stressante, fra carisma e istituzione. Con riferimento particolare alla soppressione del giornale il Lavoratore, che fra il 1904 e l’anno successivo, il gruppo dei giovani cosiddetti di “democrazia cristiana” guidati dal parroco collegiato di San Giacomo, don Virgilio Angioni appunto – per età più fratello maggiore che padre –, era andato pubblicando, finalmente accostando la sensibilità dei cattolici cagliaritani alla questione sociale in chiave di consapevolezza “politica” ben oltre il tradizionale approccio paternalistico degli ottimati.

Ormai prossime alla cessazione le uscite, iniziate nella primavera 1896, del quotidiano La Sardegna Cattolica, pensato voluto e stampato dall’avvocato Enrico Sanjust di Teulada e dagli altri nobili del tradizionale patronato sociale cagliaritano (gli Amat, i Quesada, ecc.), e mentre arrancando si procedeva, così per due anni (1905 e 1906), con un settimanale recante la stessa testata, i giovani del circolo Leone XIII (il pontefice della Rerum Novarum, scomparso da pochi mesi, più che novantenne, dopo un quarto di secolo di papato), lanciarono con molte speranze il loro periodico (“Per la Chiesa, per l’Italia, per il Popolo”).

Fra novembre 1904 e febbraio 1905 apparvero una quindicina di numeri. Politicamente vi si affermava che la redenzione sociale dei ceti più umili – quelli rifugiati nei sottani dei quattro quartieri storici, o nelle tane di Sant’Avendrace – sarebbe derivata dalla emancipazione democratica complessiva della società e da un più avvertita coscientizzazione della rappresentanza. Ci sarebbero voluti altri dieci anni per il trasferimento del Consiglio comunale dalla piazza Palazzo alla via Roma, con tutto ciò che quel trasloco avrebbe dovuto significare: la guida amministrativa della città doveva passar alla borghesia del rischio imprenditoriale simboleggiato dai traffici portuali, uscendo finalmente dalle mani degli scampoli delle stagioni feudali simboleggiati dai palazzi castellani. Non meno dei socialisti e degli altri gruppi estremi della politica – repubblicani e radicali –i cattolici avrebbero dovuto conquistarsi la fiducia anche elettorale dei poveri, nel progressivo allargamento degli ammessi al voto. Il che doveva essere per una promozione umana piena, integrale, e non soltanto materiale od economica, ché al miglioramento delle condizioni salariali, alloggiative ecc. doveva accompagnarsi una più diffusa educazione morale e civile…

 

Nella città di Ottone Bacaredda

Lo schema, che sembrava indirettamente, o per converso, impegnare l’aristocrazia nera, papalina e vescovile del capoluogo ad una fatica diversa da quella contemplata nel collaudato, ma ingessato, orizzonte benevolo e protettivo, fu respinto dallo stesso arcivescovo Pietro Balestra, che pure era un francescano conventuale, il quale per nome e carisma d’ordine avrebbe dovuto essere sensibile alla… rivoluzione, sì pacifica ma effettiva, dei poveri nella città en marche di Bacaredda. Nel 1906 sarebbe esplosa la rivoluzione, non pacifica e duramente effettiva, a Cagliari. Contro il carovita e contro la disoccupazione (si sommava a quella urbana la disoccupazione della provincia, e nello stesso proletariato si andavano creando fratture interne per la concorrenza nelle chiamate delle imprese, tanto più per le opere pubbliche bandite dal Comune o dalle altre amministrazioni).

Ma coscienza politica non poteva ovviamente significare disimpegno dall’attività caritativa, non dei giovani o ex giovani della prima stagione – fra essi Pietro Leo, futuro segretario generale dell’università e anche assessore e sindaco di Cagliari, storico e saggista di vaglia – e tanto meno del loro leader. Promotore, a Villanova non distante dalla storica parrocchiale, di una “casa del Popolo” e, durante la grande guerra, di una “casa del Soldato” per l’aiuto, in un caso, delle famiglie più disagiate per malattia, disoccupazione, povertà piena, nell’altro dei richiamati al fronte e delle loro famiglie (per i contatti con i congiunti, la ricerca dei dispersi, l’approntamento delle pratiche amministrative), don Angioni – “dottor Angioni” veniva chiamato a motivo del diploma conseguito al Leoniano in teologia e ascetica, pedagogia ecclesiastica, sociologia e teologia pastorale e della laurea in diritto canonico conseguita all’Apollinare – sviluppò, rielaborandole progressivamente, le esperienze maturate sul campo, arrivando ad affittare una casa in piazza San Domenico e, con l’aiuto di tre suore francescane di Seillon, di recente insediatesi fra le prossime vie Giardini e San Giovanni, ad accogliere le prime ospiti, adolescenti sbandate, e poi altre donne… Nel 1923 ecco il trasferimento nel vecchio convento di San Benedetto, che aveva ospitato, due secoli prima, nientemeno che fra Ignazio da Laconi.

Il convento, lungo la strada di collegamento con Quartu Sant’Elena dove da poco Felice Todde aveva impiantato il suo pastificio – piccola cattedrale laica e dell’ottimismo comune –, era in condizioni di degrado assoluto: cespite del demanio civico con trecento anni di storia onorata, ospitava qualche magazzino della nettezza urbana, era stato anche stalla di cavalli e candidato come tubercolosario nelle concitate discussioni consiliari dell’ormai lontano 1909: forse qualcuno ne prefigurava perfino l’abbattimento immaginando la trasformazione edilizia della zona. Questa, infatti, a partire dagli anni ’20, avrebbe coinvolto progressivamente, urbanizzandolo, quel tanto di campagna, di vigneti e cardeti, orti e frutteti che caratterizzava la piana fra la via Nuova – la via che dal porto sfrecciava con le rotaie della Tramvia del Campidano verso Pauli Pirri e Pauli Monserrato – ed il sempre suggestivo monte Urpinu di proprietà dei Sanjust, con la landa (socialmente miserrima) di “su baroni”…Si era già cominciato dal viale Bonaria, dove la stazioncina dello scartamento ridotto e la nuova sede dell’Amsicora vivacizzavano la zona; le case sorgevano sparse dal viale San Bartolomeo (l’attuale viale Diaz) e la salita oltre il monumentale e verso il santuario, dov’era anche ripreso, dopo duecento anni, il cantiere della basilica; altre case sorgevano nei dintorni del gazogeno, l’antico campo “de su Re”, pezzo a pezzo si sarebbe proceduti lungo il rettifilo che si sarebbe detto della via Dante, appunto in direzione Quartu (dove don Angioni era nato nel 1878)…

Tutto era destinato a cambiare ruolo e volto, la campagna sarebbe diventata città. L’Opera, nata in campagna, sarebbe divenuta il centro del centro della città nuova, oltre quella dei quattro quartieri… S’iniziò con diciotto posti-letto nel dormitorio, quando ancora mancavano gli infissi alla costruzione malandata: di quel degrado forse ci si sarebbe anche dimenticati, davanti al gioiello, anche estetico, di accoglienza quale sarebbe stata, un giorno, quel chicco di senape felice…I decenni sarebbero seguiti ai decenni, l’Opera – grazie alla intraprendenza delle suore Figlie di Maria Santissima Madre della Divina Provvidenza e del Buon Pastore – avrebbe articolato la sua attività, migliorandola continuamente a Cagliari a favore di bambini ed anziani, di donne ed uomini, di miseri e malati, gemmando poi istituti educativo-assistenziali e case di riposo, residenze per minorate psicofisiche ed asili infantili, oasi di spiritualità e nuovi pensionati, e il giro avrebbe preso Giorgino e Quartu Sant’Elena, Pirri e Furtei, Sanluri ed Aritzo, Villaputzu e Palmas Arborea, San Gregorio di Sinnai e Serramanna, Desulo e Tonara,Cornigliano in Liguria e Roma nientemeno… Come una raggera della Provvidenza nella città più bella del mondo.

L’Opera sarebbe stata missionaria, con la sua chiesa antica, minuscola e raccolta, di San Benedetto che era entrata perfino, decenni prima, nelle gustose descrizioni d’arte del can. Giovanni Spano, che s’era diffuso ad illustrare anche il convento e il suo chiostro.

Negli ultimi decenni in molti hanno scritto del Buon Pastore e del suo fondatore: da don Luigi Cherchi a don Edoardo Lobina, da padre Luigi Porsi, postulatore della causa di beatificazione di Virgilio Angioni, a Tonino Cabizzosu, professore di Storia della Chiesa nella Facoltà Teologica della Sardegna… Si ricorda anche una pubblicazione remota, del 1927, curata da Venturino Castaldi (“Io parlo al cuore”), si ricordano le cospicue dispense “Opera Buon Pastore 1923-1973” e “Il Servo di Dio Mons. Virgilio Angioni verso l’onore degli altari”, che rimonta al 1991, entrambe le pubblicazioni irrobustite da un ampio corredo fotografico capace di far rivivere il rigoglio provvidenziale di un sogno fattosi realtà.

Prendendo spunto dalla ricorrenza liturgica del Buon Pastore, di Virgilio Angioni e della sua Opera benemerita ha trattato Armando Mura, lo scorso 7 maggio, presso la comunità San Rocco, della quale è stato, ora sono già quattro decenni, fra i fondatori insieme con un pugno di volenterosi e valorosi laici e presbiteri, e con l’indimenticato e sempre carissimo don Efisio Spettu.

Egli ha tratteggiato il carisma del Fondatore riepilogandone, sia pure per sommi capi, l’originalità della fatica tradotta in soccorso, accoglienza, promozione dei poveri… migliaia di poveri, lungo le diverse stagioni del secolo che separa questo nostro oggi dall’avvio della bella impresa.

La scheda biografica ha fatto esplicito riferimento ai migliori lavori, sopra citati, del Porsi e del Cabizzosu, passaggi di lettura e studio necessari, superando il rischio della agiografia, per conoscere una personalità ragguardevolissima della vita sociale sarda della prima metà (ed oltre) del Novecento.

Ordinato sacerdote nel 1901, prima della specializzazione teologica e giuridica a Roma, di don Angioni e dei suoi ha ben ricordato, Armando Mura, le strette relazioni con i nuraminesi Serci-Serra, la famiglia dell’arcivescovo di Cagliari nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Avrebbe dovuto essere ordinato da monsignor Paolo Maria, il giovane don Virgilio già ottimamente accompagnato negli anni degli studi al Tridentino, ma la morte inaspettata del presule, nel settembre 1900, impedì si suggellasse, anche sul piano sacramentale, quella relazione amicale ed affettiva intensissima e di lungo periodo.

L’occasione è stata propizia anche per la riproposta di una composizione poetica in lingua sarda che lo stesso Mura, esperto del genere,formulò nell’ormai lontano 1989: i “goccius in onori de mons. Virgiliu Angioni”.

Eccone le nove strofe della lode sacra ed il ritornello, ed a seguire anche una traduzione in italiano offerta dallo stesso autore.

 

Nella comunità di San Rocco: “Babbu de istribuliaus”

 

Ses pastori amorosu

Babbu de istribuliaus

Prestusantu t’invocaus

Virgiliugloriosu.


1-     In Quartu battiau

Incumintzas su camminu

Prenu de donu divinu

In sa fidi educau

A sa Cresia didicau

Divotu e fervoros

Prestusantu…

 

2-     A Maria cunsagrau

Virgini de Bonacatu

De sa famiglia avatu

A Oristani ses pesau

A Franciscu ispirau

Serafinul uminosu

Prestusantu…


3-     Ma s’invitu celestiali

De Gesusu soberanu

Ti ‘ollit predi diocesanu

In sa terra tua natali

Servitziu sacerdotali

Po su populu diciosu.

Prestusantu

4-     Cun passioni e umiltadi

Ti preparas a s’Altari

Ses ministru esemplari

De sa santa caridadi

Maistru de beridadi

Zelanti e geniosu

Prestusantu…

 

5-     In santu Jacu retori

Apostolu illuminau

S’evangeliu has predicau

Testimongiu de amori

Su poberu in su dolori

Succurrisi premurosu.

Prestusantu…

 

6-     Sessiguresa e ghia

de fillus disiperaus

Kelillus gia isiccaus

Fulliaus in sa ‘ia

De onnia anima afrigìa

Ses consolu pretziosu.

Prestusantu….

 

7-     In d’unu antigu guventu

Su noixentusbintitresi

De genargiu in su mesi

E’postu su fundamentu

Fatta Opera e sustentu

Po donnia bisongiosu

Prestusantu…

 

8-     Damas prenas de piedadi

De genti biddanoesa

Ti sucurrint in s’ìmpresa

De sa grandu caridadi

In santa comunidadi

Faint votu religiosu.

Prestusantu…

 

9-     De su divinu Pastori

Fillas de sa Provvidentzia

Sighinti s’esperientzia

De su babbu fundadori

Fidi,spera e amori

Est s’impreu fervorosu.

Prestusantu…

 

 

 

 

1-Con la grazia del battesimo incominci il cammino di fede con fervore e dedizione nella comunità di Quartu, sostenuto dall’esempio della famiglia.

2-Due stelle ti guidano nell’adolescenza oristanese: Maria Madre dell’Accoglienza e Francesco, il poverello d’Assisi.

3-La chiamata al sacerdozio è chiara: servizio ministeriale nella diocesi di Cagliari.

4-Con umiltà e forti ideali ti avvicini all’Altare, sarai ministro della Verità nella Carità, zelante nell’apostolato e geniale in mille attività.

5-Parroco in San Giacomo, pastore illuminato, annunci la Buona Novella, testimone della tenerezza di Dio.

6-Sei guida sicura e dolce rifugio di figli senza speranza, abbandonati sulla strada come fiori recisi.

7-Nel gennaio 1923 un antico convento abbandonato diventa la casa dei poveri e degli orfani: l’Opera della Divina Provvidenza diventa una realtà.

8-Anime benedette della parrocchia di Villanova si consacrano al servizio dei poveri dentro il progetto dell’Opera.

9-Alimentate dalla fede, sostenute dalla speranza, le suore figlie della Provvidenza e del Buon Pastore continuano l’Opera della Carità con impegno fervoroso sull’esempio del Padre Fondatore.

 

Pastore amorevole padre dei diseredati

Glorioso Virgilio ti vogliamo presto Santo

 

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