Titu Andronicu Shakespeare in Limba Sarda Comuna a Sassari e a Cagliari, di Federico Francioni

Non era un pesce d’aprile. Serata davvero speciale quella del primo aprile al Teatro comunale di Sassari: non nel senso, però, di un pesce d’aprile più o meno riuscito. Si rappresentava infatti Titu Andronicu-Sa mudadura, adattamento, con versione in lingua sarda, tratto della fosca tragedia di William Shakespeare, scritta tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni novanta del Cinquecento, rappresentata nel 1594, meno nota di altri testi. L’allestimento è stato prodotto dal Mab Teatro, con un finanziamento della Fondazione di Sardegna e col patrocinio del Cedac. Lo spettacolo, dopo la rappresentazione sassarese, è stato realizzato anche al Massimo di Cagliari.

Una scelta controcorrente. Il regista Daniele Monachella, che ha diretto una compagnia di attori sardi, avrebbe potuto scegliere tranquillamente la traduzione in italiano. Non lo ha fatto: in proposito è emersa una scelta davvero coraggiosa, incurante, fra l’altro, della squallida campagna di stampa, sviluppatasi anni fa soprattutto su “La Nuova Sardegna”: il riferimento è ai massicci attacchi contro la Limba Sarda Comuna, qualificata come “transgenica” da alcuni giornalisti ed intellettuali asserviti, completamente privi di strumenti teorico-critici, di una sia pur minima conoscenza di problematiche attinenti le nazioni senza Stato e le minoranze linguistiche d’Europa. Solo Leonardo Sole – autore del testo teatrale  Pedru Zara – e pochi altri andarono controcorrente rispetto a  questa polemica de “La Nuova”, un pretesto per affossare qualsiasi iniziativa in favore dell’ufficializzazione del sardo.

Una truce vicenda. Col suo linguaggio, aspro e immaginifico nello stesso tempo, Shakespeare ha potentemente raffigurato una vicenda ambientata nella Roma imperiale, vista nei suoi aspetti più truci. Tito Andronico è un generale che, dopo lunghi anni, è riuscito vincitore dei Goti. Egli rientra a Roma recando con sé la regina Tamora ed i figli di lei. Uno di questi, Alarbo, viene offerto da Tito come vittima sacrificale in memoria dei soldati romani caduti, nonostante la madre implori clemenza e pietà. Da qui nasce un primo motivo di odio e di vendetta. Lo stesso generale rinuncia al titolo di imperatore, che il popolo vorrebbe conferirgli, cedendolo con magnanimità a Saturnino, figlio del sovrano da poco scomparso. Il nuovo imperatore dovrebbe sposare Lavinia, figlia dello stesso Tito, che tuttavia si è già unita segretamente in matrimonio con Bassanio, fratello di Saturnino. Quest’ultimo decide di sposare Tamora che peraltro ha un amante, il perfido moro Aronne, con cui concepirà un figlio. Tamora e Saturnino formano una coppia unita dal desiderio di vendetta contro Tito e la sua famiglia.

Deriva da queste vicende una serie impressionante di violenze e di omicidi, un’orgia di sangue e di ritorsioni che ha il suo culmine nell’invito formulato da Tito che, alla fine di un banchetto, rivela a Tamora di averle dato in pasto le carni di altri due figli di lei, Demetrio e Chirone, fratelli del già sacrificato Alarbo e stupratori di Lavinia. Al riguardo Shakespeare mostra di essersi ispirato al Tieste di Seneca. Infine lo stesso Tito viene ucciso; sarà suo figlio Lucio a diventare il nuovo imperatore. Egli ordina subito che Aronne, perfido istigatore delle faide, venga lasciato morire di fame.

Il testo shakespeariano riesce a stigmatizzare una sete di potere senza confini, una gerarchia prevaricatrice, corrotta, priva non solo di qualsiasi ritegno etico, ma agguerrita contro ogni idea di bene. Il regista Monachella, interprete anche del ruolo di Aronne, ha ambientato la tragedia in un luogo che potrebbe essere la Sardegna, chiamata in questo caso Su Regnu o S’Impèriu de Dominàriu.

Un successo, nonostante … Efficace la scenografia  di Marcello Scalas, che si è avvalso di sofisticati supporti tecnici. Gli attori si sono impegnati fino allo spasimo: oltre a Monachella e Vanni Fois, che ha interpretato Tito, il cast era formato da Fausto Siddi, Silvano Vargiu, Valentina Sulas, Nicolò Columbano, Giampaolo Sanna, Giaime Mannias, Manuela Ragusa, Ludovica Sanna, Andrea Petrillo, Riccardo Lai, Roberto Pusceddu. In brevi video sono comparsi anche Giampaolo Loddo e Gianluca Medas. Sono risultate in sintonia col progetto complessivo anche le musiche di Francesco Medda-Arrogalla. Tutti i tecnici che si sono impegnati per l’allestimento dello spettacolo vanno indistintamente lodati.

Il pubblico si è sentito coinvolto ed ha seguito con estrema attenzione, nonostante avesse contro un nemico implacabile: la pessima acustica del Comunale di Sassari, teatro sovradimensionato, sovrapposto in modo estrinseco, con le sue volumetrie esorbitanti, al tessuto architettonico delle ville liberty del rione Cappuccini.

Circa settecento i presenti: un numero da non sottovalutare se appena ripensiamo alla scellerata campagna di stampa prima ricordata (e ad altre). Tanti i giovani: una consolazione, un conforto, ma anche e soprattutto una speranza per quanti continuano a battersi per un bilinguismo giuridico effettivo, per il sardo curricolare nelle scuole di ogni ordine e grado, sostenuto dal Comitadu Sardu Ufitziale (e non solo).

S’ùrtima paràula. Comente at sutzessu pro sa Divina Cumèdia de Dante, traduida in limba sarda dae Pedru Casu e Paulu Monni, in tataresu dae Bustianu Meloni e Salvator Ruju, cun sa bortadura de Shakespeare in Limba Sarda Comuna, – cuntivigiada bene meda dae su banaresu Mauru Piredda – non benit mancu s’universalidade de s’òbera de su màssimu iscritore inglesu. Contra de sas responsabilidades terrìbiles de grupos dirigentes polìticos e intelletuales, su teatru podet èssere unu de sos mèdios detzisivos  pro sarvare una limba minetada de morte comente àteras. Ma s’ùrtima paràula non est istada galu pronuntziada!

 

Condividi su:

    Comments are closed.