Tonino Cabizzosu: profilo di un prete-professore, parroco fra Logudoro, Goceano e Gallura e storico della Chiesa nella Facoltà teologica di Cagliari, di Gianfranco Murtas

 

Ho già anticipato alcune note di commento al nuovo libro di Tonino Cabizzosu, quarto della serie Ricerche socio-religiose sulla Chiesa sarda tra ’800 e ’900: un libro corposo per dimensioni ma soprattutto impegnativo per i contenuti articolati in una ventina di soggetti ricompresi all’interno di due sezioni fondamentali: Studi sulla storia religiosa e civile della Sardegna e Figure carismatiche.  Sul merito sarà bene tornare presto, offrendo spunti di riflessione ulteriori e, quando possibile, anche qualche asterisco o appunto integrativo che l’autore mostra sempre di gradire, aperto come è, per temperamento e per intelligenza, ai contributi di approfondimento e/o critici delle sue fatiche, quale che ne sia la provenienza.

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei qui presentare, a complemento di quanto già rassegnato nel sito, il testo della prefazione che egli mi chiese a suo tempo e che ha poi voluto stampare, oltreché nel suo volume, anche in una pubblicazione a parte (e per la diffusione fra gli amici nell’imminenza di questa Pasqua di Risurrezione), dal titolo, di mio conio,Tonino Cabizzosu, il rigore scientifico dello storico dono alla Chiesa ed alla società degli uomini.

Io sono debitore allo storico, oltreché di una ventennale amicizia fatta anche, per mestiere, di scambi di documenti e risultanze archivistiche, altresì di una densa e generosa introduzione al mio Papa Roncalli e la Sardegna. Corrispondenze Incontri Amicizie (Cagliari, edizioni della Torre, 2002), saggio onorato da una premessa dell’arcivescovo (poi cardinale) Loris F. Capovilla che mi accompagnò nella stesura del testo, e questo alimentò pure fornendomi molte carte (fra le più preziose quelle riferite al canonico Littarru ed alla relazione di questi con il pontefice incontrato, e frequentato, nella più giovane età di entrambi, addirittura nel 1901). Le occasioni di collaborazione e di scambio con Cabizzosu sono state, nel tempo, innumerevoli, non soltanto negli anni della sua direzione, abile e prestigiosa, dell’Archivio storico diocesano di Cagliari ma anche in quelli dei suoi diversi parrocati nel Sassarese. E’ dello scorso anno un report che mi parve utile pubblicare circa la visita resagli, unitamente agli amici Paolo Bullita e Andrea Quarta, nella sua cattedrale ardarese, che ci illustrò con dottrina e facondia: basilica romanica di matrice giudicale soltanto di recente lasciata, con la sua comunità, per la parrocchia di Ittireddu che egli cura (con gran soddisfazione) unitamente all’ufficio dei beni culturali della diocesi di Ozieri.

A dir di una diocesi antica-molto-antica e leggera

So bene – mi consento adesso questa rapida digressione – che la diocesi che fu di Bisarcio e di Castro, oggi affidata ad un vescovo giovane e specialmente caro per la sua provenienza sardarese-villacidrese (e d’altra parte don Giovanni Dettori è tornato da Ales e Villacidro a casa sua, proprio ad Ozieri, fratello consigliere di don Corrado Melis!), è a rischio di sopravvivenza, al pari di quella di Lanusei. Sono notizie rimbalzate ancora in questi giorni. Mentre Ales – proprio Ales, terza pericolante – pare abbia superato, per i coefficienti introdotti nelle matrici di ricomposizione del quadro diocesano nazionale, gli sbarramenti. Auspico certamente anch’io– che alla figura di un vescovo locale di lungo governo e complessa significatività, come è stato don Francesco Cogoni, ho dedicato più d’una pagina – riflessioni molto molto ponderate sulla sorte delle Chiese particolari, profondamente radicate nella sensibilità popolare dei territori.

Ozieri vanta, nelle rassegne statistiche, numeri modesti peraltro ampiamente compensati, oltreché dalle glorie remote, medievali, di Bisarcio e di Castro (di quest’ultima è stato arcivescovo titolare, fino alla morte, il compianto padre Giuseppe Pittau S.J., pure egli villacidrese), dalla bicentenaria storia del suo nuovo assetto. E di questa fase Tonino Cabizzosu ha scritto e scritto molto, curando l’elegante ripubblicazione della Divina Disponente Clementia, cioè della bolla di erezione della diocesi detta nuovamente di Bisarcio, nel 1803, ma anche l’uscita degli atti dei convegni di studi in preparazione del bicentenario (Duecento anni al servizio del territorio, 1803-2003, Sassari, Delfino editore, 2003, volume comprensivo anche dei suoi contributi) e, in estratto, il saggio Rievocazione storica dei cinquant’anni di vita di “Voce del Logudoro”, 1952-2002.

A questo giornale – invero, per l’attuale fragiledirezione, di standing complessivo molto inferiore alle possibilità della diocesi – Cabizzosu assicura ormai da tempo la sua collaborazione esterna, offrendo in ogni numero un articolo di presentazione bibliografica, mirata soprattutto alle ricchezze della stagione conciliare e postconciliare. Si tratta di una partecipazione mossa dalla evidente sensibilità educativa e formativa che il professore intende tradurre in gustose “lezioni minime” a vantaggio dei lettori di zona, clero e laicato.

Peraltro Ozieri e la sua Chiesa sono ampiamente presenti in numerosi altri scritti del Nostro, dai primissimi andati in tipografia come Alcuni aspetti della moralità e dell’evangelizzazione in Sardegna nella seconda metà dell’Ottocentoo Chiesa e società nella Sardegna centro settentrionale, 1850-1900, o ancora Chiesa e società in Sardegna, 1870-1987. Appunti per una storia, a quelli di taglio piuttosto biografico, che illuminano sui percorsi di vita e ministero di umili e di graduati: così Diario Mulas, così Studi in onore del cardinal Mario Francesco Pompedda ecc., così Pastori e intellettuali nella Chiesa sarda del Novecento: ivi don Tilocca, don Ortu, don Casu, don Filia, don Demelas, don Brundu…, cosìDonne, Chiesa e società sarda nel Novecento: ivi essenzialmente le Piccole Suore di San Filippo Neri.

Potrebbe adesso aggiungersi che la presenza negli uffici centrali della curia romana di una personalità esperta (e rimasta credente) come don Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato – un incarico che in anni lontani (dal 1937 al 1954) era stato nientemeno che di Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI –, come anche, fino a un decennio fa, il cardinale Pompedda, garantisce alla diocesi una visibilità che sorpassa ampiamente le sue dimensioni, confortandola anche di una sorta di… provvisoria stabilità in attesa di più complessivi nuovi scenari.

Una attuazione effettiva dei piani annunciati dal Concilio Plenario Sardo in termini di integrazione interdiocesana all’interno della regione ecclesiastica isolana potrebbe assorbire ogni conseguenza negativa della possibile soppressione, ipotizzata nei tempi medi. Il disinteresse però mostrato dai più dell’episcopato oggi in funzione – in primis dagli ordinari di Cagliari e Oristano – non sembra offrire molte garanzie al riguardo, e anche questo pare rifluire in quel chiaroscuro che è dato di rassegnata permanenza della Chiesa sarda. Fine della digressione.

Ecco dunque la mia prefazione al miscellaneo appena apparso in libreria.

 

Nel chiaroscuro della storia, fra scavi nel remoto e partecipazione nell’oggi

«Infiniti ricordi / sepolti nella provvisorietà / della terra che nutre / perché l’alba rispunti / e il seme germogli / e il frutto maturi».

Sono versi, questi di don Renato Iori, scomparso recentemente, che mi riconducono alla personalità di don Tonino Cabizzosu, oggi parroco di Nostra Signora inter Montes ad Ittireddu: personalità anch’essa, come le migliori ch’io conosca, dalla complessione prismatica: in cui una prima faccia è quella dell’uomo di fede, la seconda quella dell’uomo di dottrina, la terza – che le precedenti sussume, spiega ed illumina – quella del sardo figlio di una terra povera ma di antica virtuosa religiosità  e,insieme, di innumerevoli testimonianze culturali, sovente controcorrente ed anche incomprese, sedimentate nel tempo e finalmente riconosciute e premiate. Quelle che lo storico della Chiesa scopre e rivisita sempre in chiave critica, contestualizzando e insieme, però,cogliendo quel dato di permanenza, direi ispirativo,che nelle esperienze umane, e dunque anche in quelle culturali e religiose, è contenuto.

Lo storico e tanto più lo storico della Chiesa, non genericamente del fenomeno religioso, e lo storico che è, per abito d’esistenza, un consacrato, aggiunge allo svolgimento professionale che pur si qualifica nel distacco della analisi, insomma in un tanto di obiettività conquistato e difeso nello studio dei materiali documentari e d’archivio, un elemento chepotrebbe cosìdefinirsi di lettura provvidenziale. Scorge limiti e provvisorietà nella esperienza di vita degli individui e delle comunità, e insieme coglie, però,fra le complessità e le contraddizioni, gli annunci del riscatto e della realizzazione. Individua nei percorsi della storia le dinamiche segrete, eppure(etimologicamente) effettive, degli avanzamenti, nonostante resistenze e anche opposizioni. Distingue e quasi ricostruisce materializzando la magia naturale ed evangelica della semina che, all’apparenza inutile e sprecata, produce invece il risultato, così come nei versi di Renato Iori.

C’è un sostantivo-chiave nella dottrina cristiana ed è “amore”. Un sostantivo mai spiegato od argomentato quanto necessiterebbe nella pedagogia corrente del clero, se è vero che esso, nella generale percezione, scade – seppure si tratti di una derubricazione nobile anch’essa – al rango di generica benevolenza ed anche però, sovente,al sentimentale più o meno stucchevole ed a rischio d’esser perfino fastidioso. E invece la forza teologica contenuta in quel sostantivo è nel significato profondo che coinvolge tutto l’essere che se ne fa attore, qualificandosi come partecipazione intima e piena alla sorte dell’altro.

In questo amore partecipativo, in questa condivisione praticata e, direi, regolata dal senso tutto sardo (o sardo d’un tempo) della comunità, io vedo la figura di Tonino Cabizzosu studioso: di lui ricercatore, di lui saggista, di lui docente. Tutte modalità che ne definiscono il profilo di intellettuale,senza però mai separare l’uomo di cultura e l’accademico dal prete che all’altare celebra il suo Dio fatto uomo per fissare l’insuperabile mediazione fra Cielo e Terra, all’ambone propone la sua riflessione sulla Scrittura e i Padri, al confessionale raccoglie la domanda di riconciliazione delle anime.Così come altri, quanti altri! fra i suoi confratelli presbiteri, anziani di comunità: come anche Damiano Filia (1878-1956), suo compaesano illoraese, autore della monumentale storia della Chiesa isolana, uscita in tre tempi, fra il 1909 ed il 1929, con il titolo generale di La Sardegna cristiana, quel don Filia che fu vicario generale dell’archidiocesi di Sassari ai tempi del lungo episcopato del francescano monsignor Mazzotti e che don Cabizzosu ricorda, lui ancora bambino piccolo, in una predica paesana. O come Giovanni Ortu(1918 -1994), dorgalese a lungo parroco di Anela, cuore antico del Goceano e della diocesi di Ozieri e già di Bisarcio, presente anch’egli, con libertà e originalità, nel dibattito ecclesiale e sociale della Sardegna apertosi attorno alla stagione conciliare: autore, fra il molto altro, di un saggio pregevole che conserva la sua validità come Magistero dell’episcopato sardo. Aspetti politico-sociali (1793-1922). O ancora come – più prossimo per i dati dell’anagrafe – appunto Renato Iori  (1946 -2015), anche lui a lungo parroco (fu nella comunità di Santa Maria della Pace in Su Canale di Monti, diocesi di Ozieri), biblista certamente più che storico, ma non meno degli storici (e con una ispirazione di taglio propriamente profetico e poetico – si pensi al suo Sui fiumi di Babilonia oltre che a Due testamenti una alleanza) interprete dei segni dei tempi. Tre nomi fra gli altri, svariati altri, che avrei potuto affacciare, per dire delle relazioni spirituali e intellettuali del Nostro, partendo dalla condivisa umanità allevata e/o maturata nella provincia sassarese, dal Goceano al Monteacuto, dalla Romangia al Meilogu, dalla Nurra alla Gallura,a Sassari stessa, metropolitana capofila del territorio, sfondando anche nelle Baronie.

Come in una comunità ideale, e di ideali

Per aggiungere alla schiera don Francesco Amadu (1921-2015) e don Francesco Brundu (1906-2002), don Gesuino Mulas (1908-1978)e don Giuseppe Ruiu (1924-2011) – tutti conosciuti e frequentati –, magari anche don Agostino Saba (1888-1962), arcivescovo di Sassari dopo che presule in Calabria e già dottore alla Ambrosiana. In alto le stelle virtuose di signor Giovanni Battista Manzella (1855-1937), di monsignor Salvatore Vico (1896-1991), di don Pietro Casu (1878-1954), ma ancora di don Giovanni Antonio Tilocca (1863-1937), per restare agli affetti della più stretta famiglia goceanina, oppure del canonico Tommaso Muzzetto (1804-1870), il riferimento ideale attivo nella viciniora diocesi tempiesenei tempi calamitosi dello scontro fra Stato e Chiesa e della questione romana.

Tonino Cabizzosu, presbitero del clero ozierese, autore di cinquanta monografie e almeno mille articoli, forse duemila o tremila – su L’Osservatore Romano, dal 1985, nel maggior novero –, io lo sento così: con un’unica pelle, quella del chierico che affronta la sua missione di testimone ed evangelizzatore con gli strumenti della cultura storica e costruisce nel tempo, come in una formazione permanente, la sua identità umana e religiosa nella relazione partecipativa con i confratelli che lo hanno preceduto, con quelli che lo hanno accompagnato, ispirato ed affiancato, idealmente incoraggiato in percorsi complessi.

Come Machiavelli che discorreva con i suoi illustri, i classici della sua biblioteca, anch’egli colloquia con i suoi nella vasta e stabile, ad implementazione progressiva, biblio-emeroteca illoraese e in quelle mobili che parrocato dopo parrocato, da Berchidda a Bottida, da Ardara ad Ittireddu, si porta dietro per la missione: così io sento questo prete sardo – prete della stagione postconciliare –  insieme pensoso ed ardito nella ricerca e nella scrittura, che pare esaltarsi, dare il meglio di sé, quando incrocia le anime degli anticipatori, dei profeti che anche qui da noi, in Sardegna, non sono mancati. E che, incompresi nel loro tempo, hanno conosciuto il loro riscatto post mortem. E anche quando si è trattato di personalità che, per i tratti prevalenti, parevano allineate alle sensibilità correnti–metti nella generale visione ecclesiologica –, egli ha saputo individuare elementi distintivi che, investiti “in futuro”nonostante la diffidenza dei più, hanno generato – com’è nell’annuncio dei versi di Iori – frutti maturi.

Penserei, fra i primi, al Tommaso Muzzetto antitemporalista, penserei fra i secondi, e in tutt’altro quadro storico, ad Evaristo Madeddu (incompreso dal suo arcivescovo Ernesto Maria Piovella, dopo che da sacerdoti diocesani di “peso” come il canonico di Mandas), e magari anche a Felice Prinetti (nel suo scontro con l’arcivescovo Serci Serra), e anche a Virgilio Angioni (inseguito, con altri, dal sospetto di modernismo). Perché quello del rapporto fra il carisma e l’autorità è stato un problema che ha avuto, anche in Sardegna, la sua storia dolente.

Tonino Cabizzosu viene dalla scuola di padre Giacomo Martina e Gabriele De Rosa, ed a monte di tutti dalla scuola di don Giuseppe De Luca, che colloca la ricerca storica della Chiesa nel maggior quadro della storia sociale. Delineando i profili biografici di molti protagonisti del panorama religioso ed ecclesiale isolano – compreso quello femminile e degli istituti di consacrazione – egli sempre ha insistito nelle sue note di inquadramento economico-sociale o culturale-sociale dei territori che hanno accolto le particolari vocazioni ed esperienze di vita. Perché non potrebbe prescindere un qualsiasi tratteggio identitario personale dai dati elementari di formazione, e anzi di prima formazione familiare e ambientale, e da quelli generali che “contengono” fenomeni ed istituzioni, religiosità e parrocchie od asili, seminari e spazi di missione.

Eccellente, da questo punto di vista, già l’esordio di scrittore storico – ne dirò poi – di don Cabizzosu, al tempo prete ormai da un decennio e con esperienze associative e soprattutto parrocchiali in quel di Berchidda, vicario di don Natale Era, compaesano ed in intreccio di affinità con la sua stessa famiglia, parroco “costruttore” (talvolta… infelicemente decostruttore) di stretto imprinting cuglieritano, continuatore dell’opera, o della presenza, pur con altri segni, di “babbai Casu”, di don Pietro Casu cioè.

Fra studi e pastorale sul campo

Il lustro trascorso a Berchidda, dopo l’ordinazione ricevuta dalle mani dell’arcivescovo Paolo Carta il 15 settembre 1975, ancor più e meglio sembra aver collegato, nella sua maturazione intellettuale, il giovane presbitero (prossimo al gran salto verso gli studi alla Gregoriana)alla “storia” materiale che precede quella dei libri, ed assorbe nella pasta sociale ogni specifico, quello ecclesiale fra gli altri.Non soltanto per la memoria ancora viva del parroco traduttore in sardo della Commedia di Dante ed autore di tante opere di letteratura incomprese da molti delle gerarchie vicine,e però destinate a superare, alla grande, la prova del tempo, ma anche per la sconfortata ed impotente presa d’atto dello sfacelo (verrebbe da dire vandalico) imposto all’antica e bella parrocchiale, abbattuta, al pari delle secentesche consorelle di Nughedu, Anela, Bultei e Illorai stessa, da una furia modernista cui né l’autorità ecclesiastica né quella civile avevano saputo opporsi.

Nella riflessione amara circa quel disfacimento a catena credo sia da collocare molto del rinforzo di sensibilità storica del futuro professore e del saggista acuto e libero, rivelatosi tale negli anni con la sua vasta ed originale produzione.

Le inadeguatezze sono palesamento corrente degli uomini, anche degli uomini di Chiesa, a se stessi, e lo sono forse più ancora, nelle pagine della storia,quelle delle masse che alle virtù individuali non trovano mai corrispondenza nelle dinamiche collettive. Va detto però questo, e si tratta di un assunto dirimente (innanzi appena affacciato): se dentro le complessità e contraddizioni sociali lo storico (foss’anche egli prete) è chiamato a dipanare, interpretare e illustrare i fenomeni e le loro manifestazioni, il prete – anche il prete che è storico per professione – è invece richiesto di entrarvi per cogliere i soffi di provvidenza, i semi della grazia che, senza artifici o miracolismi, accompagnano singoli e comunità.

Evasioni, infedeltà, miserie – forse per il più è questo –, ed anche però virtuose progettualità ed applicazioni coraggiose, sforzi di avanzamento. Ritornano le suggestioni mistiche di don Iori e credo convintamente esse siano una costante nella riflessione di vita e di ministero anche di Tonino Cabizzosu prete e storico: «L’immagine tua / qual specchio / riflette l’uomo / ebbrezze di spiriti / beati / fervide idee / trasformate di voli e di arti / punto vagante / nell’universo / dominio mai conquistato / l’immagine tua / riflette l’uomo».

Ho accennato all’esordio della sua attività di interprete contemporaneista, di storico cioè dell’Otto-Novecento,sempre con il rimpianto (delicatamente accennato) di non aver potuto aggiungere altra specializzazione, quella tridentina e genericamente controriformistica che ancor meglio lo avrebbe potuto orientare nella peraltro competentissima direzione, quasi quindicennale, dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari (1996-2013).

E’ nella sua tesi del 1984 discussa alla Gregoriana, tesi diretta da padre Martina e premiata dal voto summa cum laude, che pare definirsi chi è e chi sarà il docente che dal 1985, ormai da trentadue anni copre la cattedra di Storia della Chiesa presso la facoltà Teologica della Sardegna ed ha “allevato”, con varia fortuna – ne avrebbe meritata di più, credo – , tanti alunni sia chierici che laici: in quel suo lavoro dal titolo Alcuni aspetti della moralità e della evangelizzazione in Sardegna nella seconda metà dell’Ottocento, Cabizzosu  sembra svelare le linee portanti (che poi svilupperà al meglio) della sua storiografia: linee interne, come detto, alla scuola dei De Luca, dei Martina e dei De Rosa.

Scorge nelle carte più antiche gli indirizzi di evangelizzazione e di catechesi seguite dall’episcopato isolano dopo il Concilio di Trento della metà del XVI secolo, ed affidate al clero urbano e rurale – tanto più rurale! – della Sardegna spagnola: la predicazione e la catechesi offerte al popolo sono mediate dalla lingua corrente, quella parlata nelle diverse zone secondo particolari idiomi, codici fonetici e inflessioni.«Questo sforzo di reinterpretazione – scrive – ha creato degli autentici gioielli letterari: i cosiddetti formulari… che, in modo breve ma sostanzioso, compendiano in modo kerigmatico le verità della fede. Di pari passo i momenti liturgici di maggiore importanza sono stati accompagnati da un tipo di evangelizzazione diremmo straordinaria, seguitissima dal popolo: quaresimali,missioni popolari, esercizi spirituali».

Osserva, Cabizzosu, che tale linea– che ben potrebbe dirsi di “inculturazione della fede” – fatta propria dall’episcopato sardo anche e ancora due secoli dopo, sia derivata dalla consapevolezza di dover combattere, anche con le armi della evangelizzazione, il grande e persistente male della ignoranza delle masse fedeli, chiamate ora a fissare i fondamentali ora, nei momenti forti dell’anno, a partecipare alle azioni liturgiche o paraliturgiche. Magari attraverso le confraternite della Settimana santa o quelle mariane e patronali.

Per questo nella conferenza dei vescovi svoltasi nel 1876 ad Oristano si offerse conferma canonica di una modalità evangelizzatrice, o catechetica che dir si voglia, puntando sulle regole di moralità personale e sociale assai più che sulle radici bibliche o patristiche della dottrina.La stessa quantità di catechismi pubblicati nel corso dell’Ottocento – ben 26, fra il 1803 ed il 1898 – è prova provata di questo sforzo: far calare nella cultura popolare il dogma, esprimendolo con formula semplice per il più nella lingua parlata, dal catalano al campidanese, dal logudorese al sassarese, altre volte – se in italiano – proponendo associata la versione nella variante sarda del territorio. Sempre però con l’obiettivo scoperto di giungere alla disciplina del presente, alle regole elementari del buon vivere privato e sociale nel tempo dato.

Di fianco a questo indirizzo rispettoso degli “specifici” locali – è ancora Cabizzosu giovane dottore in Storia della Chiesa a dimostrarlo – sale fra gli stessi vescovi od arcivescovi metropoliti, e nonostante qualche residuo formale, la sensibilità ad una necessaria progressiva integrazione nella pastorale, insomma alla ricerca di un comune denominatore interdiocesano, facendo cadere come le foglie d’autunno le consolidate opposte rivendicazioni di primato o le rapsodiche pulsioni isolazioniste o tentazioni all’autosufficienza,secondo un’ansia che porterà al Concilio Plenario del 1924 e, poco dopo, alla inaugurazione del seminario regionale di Cuglieri. Facendo della Sardegna del Novecento, e sia pure fra stop and go, una effettiva regione conciliare, sminuendo la consistenza di fatto delle stesse antiche province ecclesiastiche (definite anche dal Codex del 1917).

Per un identikit delle istituzioni formative del clero isolano

Direi a questo punto che proprio al seminario regionale– visto come luogo avanzato di catalizzazione unitaria affidato per oltre quarant’anni alla direzione gestionale e didattica della Compagnia di Gesù – ha lavorato negli ultimi tempi, Cabizzosu, che quella esperienza, almeno per gli anni del liceo, dopo il 1967 e fino al trasferimento a Cagliari, ha vissuto in prima persona.

Lo studio, documenti alla mano, del quarantennio e più della vicenda sia del seminario che della facoltà Teologica ad essa collegata, è stato anticipato in più saggi dallo stesso autore, in particolare nelle annate di Theologica &Historica, edite dalla medesima facoltà del Sacro Cuore (cfr. fra l’altro “Il Seminario regionale di Cuglieri 1927-1971: sviluppo, crisi e rinnovamento”, in Th. e Hist., XVI, 2007, ed anche, in parallelo, “Alcuni aspetti dell’insegnamento teologico a Cuglieri dal 1927 alla vigilia del Vaticano II”, in Iuventuti docendae ac educandae. Per gli ottant’anni della Facoltà Teologica della Sardegna, curato insieme con Luciano Armando, Cagliari, Aisara, 2007: entrambi riprodotti, con il medesimo titolo, in Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra ‘800 e ‘900, vol. III, Cagliari, 2009). Con questi lavori, giunti ora a nuova maturazione, Cabizzosu mostra, da uomo di ricerca e insieme però di scuola, di didattica cioè, tutta l’importanza che egli annette alla formazione del clero (del giovane clero, ma in termini di “formazione permanente” si direbbe del clero tout court e, per la parte accademica, anche del laicato impegnato e dei religiosi di ambo i sessi).

Dirò poi , più partitamente, di questo. Vorrebbe però egli che le scienze storiche fossero maggiormente coltivate, avvertite nella loro funzione di imprescindibile base culturale ed anche intimamente ecclesiale.Per l’indirizzo umanistico dei loro studi, gli uomini di Chiesa sono – o dovrebbero essere – portati spontaneamente alla interdisciplinarità e, di conseguenza, a percepire il senso della storia, così da inquadrare l’attualità della loro pastorale nel corso evolutivo della tradizione. Che non è cosa soltanto dottrinale, ma è anzi essenzialmente cosa sociale, coinvolgente la comunità nella sua più ampia accezione. Sotto questo aspetto, il clero che ha ben inteso l’arte, relativizzando e non assolutizzando (se non i principi fondamentali irrinunciabili, che si contano forse appena sulle dita di una mano, ad iniziare dalla paternità di Dio Creatore), riesce ad adattare, com’è suo compito, il modello canonico della pratica evangelizzatrice – che è culturale e pedagogica e non astrattamente dogmatica – alle situazioni date. Questo per dire di come la missione stessa del prete, dell’anziano della comunità cioè, sia naturalmente propensa ad esplorare per mediare e far incontrare i valori espressi dalla istituzione clericale con le variabili ansie, aspettative e necessità del popolo.

Una tale attitudine coltivata sui banchi del seminario e poi nella trincea della parrocchia, o delle associazioni e dei gruppi, importa una conoscenza “curiosa” e una indagine “intelligente” della storia molte volte secolare della Chiesa nei suoi apparati organizzativi oltreché nei suoi postulati, o nelle sue formulazioni, dottrinali. E capita – si sarebbe tentati di dire, con qualche malinconia per il regresso numerico in atto, è capitato – che delle sensibilità più avvertite, sviluppate nelle aule dei seminari regionali o delle facoltà di teologia, offrano allo studio perfino professionale della storia, colta nella sua costitutiva multiformità, addirittura il meglio delle loro energie di vita, di fianco ad una ministerialità ritmata dal bisogno delle anime.

La biografia intellettuale e religiosa di Tonino Cabizzosu presenta questo intreccio fin dall’inizio, ed ogni esperienza pare alimentare di stimoli, oltreché di conoscenze, l’altra. Viceparroco a Berchidda, parroco a Bottida, amministratore parrocchiale a Illorai, nuovamente parroco ad Ardara e parroco adesso ad Ittireddu (per non dire degli “appoggi” a Cagliari, più di tutti nella parrocchia di Sant’Eusebio); nel mezzo, responsabile della pastorale giovanile ad Ozieri ed insegnante, pur se per breve tempo, all’Istituto industriale di Cagliari, dal 1985 docente alla facoltà Teologica nel capoluogo regionale, direttore dal 1986 dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari sotto gli episcopati Alberti e Mani (in parte anche Miglio) e titolare del suo prezioso Notiziario, direttore del Bollettino Ecclesiastico Regionale (nel decennio 1988-1997), collaboratore di quotidiani e periodici (nel lungo periodo anche del modesto foglio diocesano, del quale ha ricostruito la vicenda storica nell’occasione del cinquantesimo di pubblicazione: cfr. il contributo “Una ‘Voce’ per il Logudoro e il Goceano, 1952-2002”, uscito anche negli estratti con il titolo Rievocazione storica dei cinquant’anni di vita di “Voce del Logudoro”), autore di saggi e conferenziere ed oratore sacro, promotore ed organizzatore di eventi culturali, attualmente direttore dell’Ufficio beni culturali della diocesi di Ozieri.

Uomo di concentrazioni solitarie nello studio, ma anche, per temperamento, alla ricerca aperta  ed ottimistica di ristoratrici compagnie amicali, tanto più nella fraternità clericale, come già in gioventù con don Giovanni Dettori (al tempo parroco della cattedrale di Ozieri, poi vescovo di Ales-Terralba) e don Giacomo Fara, ma anche in età matura nella casa cagliaritana di Gesù Sacerdote con don Dino Pittau e don Nino Onnis, ed oggi ancora con i padri carmelitani scalzi della parrocchia conventuale del Santo Bambino di Praga in Ozieri. Uomo di mille relazioni davvero con i continenti, tanto con i singoli – magari vecchi compagni di studio alla Gregoriana o all’Archivio Segreto Vaticano (per il corso di archivistica), o magari alla Biblioteca Apostolica Vaticana (per il parallelo corso di biblioteconomia) ed oggi magari vescovi o missionari in terra di frontiera– quanto con le comunità religiose, come alcune femminili conosciute nel tempo e per le quali ha curato studi e ricerche, ora sui fondatori ora sul flusso delle attività congregazionali.

Sotto questa luce mi pare ben illustrativa una osservazione che, dalla sua Oristano, il compianto don Giovanni Maria Cossu consegnò alle pagine de L’Osservatore Romano per l’edizione del 4 agosto 2000, ricorrendo il giubileo sacerdotale del Nostro: «Mons.  Cabizzosu coltiva gli studi storici con l’intento particolare di scoprire l’anima della storia e, nei suoi personaggi, il segreto in virtù del quale questi hanno sviluppato un’attività imponente a vantaggio della Chiesa edella società non solo della Sardegna, considerato che queste figure vedono dall’eternità ampliarsi il raggio d’azione oltre l’Italia e l’Europa: infatti le Famiglie religiose da loro fondate sono presenti ormai oltre oceano. Il P. Felice Prinetti, con le sue Figlie di San Giuseppe, il P. Giovanni Battista Manzella con le sue Suore del Getsemani, mons. Salvatore Vico con le sue Figlie di Gesù Crocifisso, e mons. Virgilio Angioni con le sue Suore del Buon Pastore, da molti anni ormai hanno attività in varie parti del mondo. Mons. Cabizzosu ha evidenziato, in queste figure, ciò che [dal]la contemplazione si è irradiata in azione di missione, di evangelizzazione, di servizio, di carità,mediante opere di docenza e di assistenza, affermate e in ulteriore fase di espansione. L’intensa, appassionata e continua ricerca archivista ha dato cospicui frutti spirituali».

I percorsi della sua storiografia

Questa riflessione di don Cossu induce a vedere la figura dello storico illoraese come un… podista che entra, ammesso sempre con rispetto, nei diversi luoghidella Chiesa di cui coglie oltre allo specifico carismatico o di missione, e all’interno di una coralità comunitaria – si tratti di parrocchie o di istituti culturali, di ordini religiosi o d’altro – il talento individuale che si esprime in due dimensioni sempre strettamente fra loro correlate: la lealtà ambientale, che è sempre più che la rispettata disciplina delle norme, e la “provocazione” profetica, anticipatrice, apripista che introduce la storia a nuove stagioni. Non si tratta, per lui, di sprecare energie nell’agiografia, ma di spendersi invece nella visita del mondo strettamente vocazionale dei protagonisti dei quali lo storico – voglio ribadire questo aspetto centrale –vuole indagare, innanzitutto, i percorsi formativi, quelli di base – familiari, scolastici, della comunità parrocchiale locale in cui si sono ricevuti i primi sacramenti e si è forse avvertita la voce della prima chiamata–e quelli che, spesso se non sempre, hanno accompagnatola pratica di un servizio già inoltrato, sia dove sia.

La dimostrazione di questo assunto o della bontà di questa lettura dell’intera storiografia di Tonino Cabizzosu è nei titoli dei suoi lavori (curatele comprese) che si potrebbero riclassificare in quattro filoni fondamentali asfondo sempre sardo: i testimoni/profeti, iniziatori di nuove presenze così in campo caritativo comein campo contemplativo; gli uomini del clero e dell’episcopato che, fra luci ed ombre, tanto più lungo il secondo Ottocento ed il XIX secolo, sono arrivati alla stagione del Concilio Vaticano II nel governo di ambiti particolari di responsabilità ecclesiale; gli istituti religiosi e soprattutto in essi quelli femminili, al cui interno s’alzano diverse stature esemplari di madri superiore; le istituzioni formative del clero, focalizzando il seminario regionale e la facoltà Teologica (di cui ho sopra accennato, ma che meriteranno ulteriore approfondimento).

Naturalmente tali classificazioni, riferite per il più alle opere uscite in volume (non dunque in conferenze o come contributi a lavori collettanei, peraltro recuperati altrimenti dall’autore), riflettono, in una qualche e non marginale misura, la mia personale ottica o sensibilità circa le gerarchie dei valori nella Sequela, dunque nella testimonianza e, tante volte, nella espressione lealistica, dunque comunionale, dello spirito critico od anticonformista.

Spazi a sé hanno gli scritti (invero abbondanti e preziosi, preziosissimi anzi anche nella parte compilativa) derivati, come ispirazione e come materiali elaborati, dal prolungato e faticoso lavoro nell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari, nonché, per la parte finale, dalla esperienza di convisitatore associato alla Visita pastorale compiuta dall’arcivescovo Mani nel primo decennio del nuovo secolo. Citerei, fra i tanti, Libros intitulados Quinque librorum (Cagliari, Zonza Editori, 2000, in collaborazione con Elisabetta Marongiu e Carla Uras), Inventario Quinque Libri Arcidiocesi di Cagliari (Cagliari, Edizioni della Torre, 2003, tre voll. in collaborazione ancora con Elisabetta Marongiu e Carla Uras), Inventario Contadoria Generale Archidiocesi di Cagliari (Monastir, Grafiche Ghiani, 2006, in collaborazione con Carla Uras), Intitulata. Archivio Storico Diocesano di Cagliari (Cagliari, Aisara, 2006, due tomiin collaborazione con Stefano Palmas e Nicola Settembre), Gli archivi parrocchiali dell’Arcidiocesi di Cagliari (ancora Monastir, Grafiche Ghiani, 2008). A tanto si è aggiunta, in epoca più recente(2014),la serie bibliografica in cinque volumi e sette tomi – 3.334 pagine in tutto –all’insegna di Studi e Fonti per la storia della Chiesa sardae per i tipi della cagliaritana Arkadia, con gli Inventari dell’imponente patrimonio documentario della maggior diocesa isolana: il primo volume recante i sottotitoli Governo dell’Archidiocesi, Clero diocesano e regolare, Contadoria Geneale, Altre serie (con la collaborazione di Nicola Settembre), gli altri intitolati rispettivamente Benefici, Legati pii (con Giuseppe Lisei, Andrea Quarta e Nicola Settembre), Patrimonio ecclesiastico (con gli stessi collaboratori), Tribunale ecclesiastico, Cause matrimoniali, Cause civili, Cause criminali, Indici generali (ancora con il medesimo team), Tribunale di appellazioni e gravami (idem). Straordinaria rappresentazione, mi verrebbe da dire, della pregnanza o della pervadenza della Chiesa cattolica nel vissuto sociale isolano in tutte le sue forme, comprese le più intime e personali e comprese quelle civili ed istituzionali, di un tempo che fu. Documentazione dettagliata delle discipline giuridiche alle quali le ville sarde o diocesane dei secoli scorsi erano sottoposte, secondo logiche – se può esser usata questa formula – di una teocrazia spalmata sugli assetti feudali e, sembrerebbe, senza speciali aneliti evangelici.

Analogamente una loro catalogazione autonoma mi sentirei di attribuire ai primi e già corposi lavori generali. Mi riferisco in particolare al già richiamato saggio dottorale Alcuni aspetti della moralità e dell’evangelizzazione in Sardegna nella seconda metà dell’Ottocento (uscito nel 1985 dall’editrice ozierese Il Torchietto), ma anche a Chiesa e società nella Sardegna centro settentrionale (1850-1900) ed a Chiesa e società in Sardegna (1870-1987). Appunti per una storia (titoli usciti nei due anni successivi, per i tipi il primo ancora dell’ozierese Il Torchietto ed il secondo del nuorese Studio Stampa).

Un corpus unitario e fuori classifica mi pare lo costituiscanoaltresì gli studi mirati alla storia diocesana di Ozieri (che in parte riprendono gli iniziali saggi sulla Chiesa “di territorio” cui ho fatto prima riferimento). Li richiamo qui in rapida sequenza: Una “Voce” per il Logudoro e il Goceano 1952-2002 (Monastir, Edizioni Diocesi di Ozieri, 2001) e, da questo estrapolato, Rievocazione storica dei cinquant’anni di “Voce del Logudoro” (Cagliari, Edizioni della Torre, 2001), Divina disponente clementia. Bolla di erezione della diocesi di Bisarcio, 1803 (Monastir, Edizioni Diocesi di Ozieri, 2002), Duecento anni al servizio del territorio (1803-2003). Atti dei convegni di studio in preparazione al bicentenario della Diocesi di Ozieri (Sassari, Carlo Delfino Editore, 2003).

Le “Ricerche socio-religiose”

La cattedra universitaria e gli uffici ricoperti negli ambiti a questa più prossimi (appunto la direzione dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari ed altro) impegnano il professore e il direttore nelle funzioni più varie di conferenziere e prefatore o presentatore di opere le più diverse e dei più diversi autori. E’ stata pertanto una savia decisione quella di Tonino Cabizzosu di riunire periodicamente in un libro i contributi che egli “sparge” ora da un microfono ora sulle pagine altrui, ora come contributi che egli stesso offre ad opere miscellanee. Hanno superato abbondantemente i cento questi “pezzi sparsi” che ritornano, per il più, ai filoni di studio privilegiati nella sua produzione. Sotto il titolo di  Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra ‘800 e’900 sono finora apparsi tre volumi – rispettivamente nel 1999 (con prefazione del professor Lorenzo Del Piano), nel 2004 (con presentazione dell’arcivescovo Giuseppe Mani), nel 2009  (con prefazione di don Cataldo Naro, arcivescovo di Monreale e storico autorevole uscito egli stesso dalla scuola gregoriana del padre Giacomo Martina) –, quattro con il presente.

Classificandoli per ampie categorie tematiche, con qualche variante – “Chiesa e società”, “Contemplazione ed azione”, “Prefazioni e recensioni”, “Ricerche sulla storia della Chiesa in Sardegna”, “Dimensione carismatica nella vita quotidiana”, “Personaggi”, “Figure carismatiche ed eventi culturali” –, l’autore che si fa curatore dei suoi stessi lavori recupera dal rischio della dispersione l’esito di studi sovente faticosi ed anticipatori, rioffrendoli in veste sistematica tanto alla comunità degli studiosi quanto a quella più larga e composita delle Chiese locali. In essi è evidente, forse più ancora che nei saggi editi con la pompa delle case stampatrici, molto del profilo di studioso (bellamente in esercizio e inesausto) di Tonino Cabizzosu. Perché lo si vede mai rinunciatario a cimentarsi, una volta per una conversazione magari nel più semplice dei saloni parrocchiali, un’altra per la modesta dignità di un opuscolo biografico, su eventi e personalità che gli sono proposti magari per celebrare una ricorrenza giubilare, non importa se bassa o alta, magari di una associazione, di una testata giornalistica, di una parrocchia periferica. Non si nega mai, don Cabizzosu, e dona sempre il meglio che può, perché avverte essere nella qualità, nel rigore del suo contributo il rispetto vero che egli porta a chi a lui si rivolge con fiducia.

Ho citato Cataldo Naro, presule siciliano ma anche storico della Chiesa, purtroppo immaturamente deceduto. Con lui Cabizzosu, suo condiscepolo alla Gregoriana dopo l’ordinazione presbiterale, coltivò un intenso rapporto di amicizia sostenuto dalla comunanza degli interessi culturali e di ricerca. Con lui soprattutto, e con altri (da Lorenzo Del Piano e Antonio Romagnino a Paolo Gheda e Umberto Zucca, ad ulteriori ancora – fra Lorenzo da Sardara compreso ed anche, accademico a Perugia, Pietro Borzomati, prefatore del primo volume sul Prinetti e altre volte presente negli studi sardi) – condivise la tribuna al convegno che, presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, il e2 e 3 giugno 2000, illustrò la vicenda spirituale e sociale di fra Nicola da Gesturi. Affidata a don Naro (sorprendentemente competente sulla religiosità sarda) la relazione sulla spiritualità del cappuccino, toccò proprio a Cabizzosu inquadrare l’indimenticato fra Nicola all’interno della “Chiesa cagliaritana dal 1920 al 1950” – così il titolo della sua dotta e corposa comunicazione (gli atti sono usciti in volume con il titolo Nicola da Gesturi e le povertà della società sarda, a cura dello stesso Cabizzosu con padre Beppe Pireddu, ad iniziativa dell’Istituto Storico dei cappuccini, nel 2001).

Le aree tematiche degli scavi d’archivio

Ritorno ai prevalenti filoni tematici trattati dal Nostro autore. In quello dei testimoni/profeti mi sentirei di collocare – qui menzionandoli secondo la data di uscita – Padre Manzella nella storia sociale e religiosa della Sardegna (Roma, Edizioni Liturgiche Vincenziane, 1991) e, riferito sempre al prete lazzarista di Sassari (ma soncinese, o cremonese, di origini), Un contemplativo in azione nella Sardegna del primo Novecento (Nuoro, Studio Stampa, 1993); Contemplazione ed azione in Felice Prinetti (Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997) replicato,con qualche rimaneggiamento e qualche integrazione, sotto il titolo di Felice Prinetti un prete giornalista tra i poveri (Cagliari, L’Unione Sarda, La biblioteca dell’identità, 2005);Virgilio Angioni. Una Chiesa per gli ultimi (Cagliari, Opera Buon Pastore, 1995); Salvatore Vico nel contesto sociale e religioso del Novecento Sardo (Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, con Francesco Atzeni: si tratta degli atti del convegno di studi svoltosi a Tempio Pausania ed Olbia nell’aprile 1997; il contributo specifico di Cabizzosu  è su “La Chiesa sarda nel primo Novecento”); direi anche Evaristo Madeddu. Epistolario di un uomo singolare, 1924-1934 (Cagliari, Zonza Editori, 2005).

Sembra rivelarsi, dal panorama dei nomi celebrati, la trasversalità piena che soddisfa l’interesse indagatore dello storico il quale vuole presentare i carismi in opera e li incontra ora nel clero diocesano (l’Angioni ed il Vico), ora in quello religioso (il Manzella ed il Prinetti), ora nello stesso laicato (il Madeddu). E pare anticipare quanto verrà presto, in termini di nuovi e necessari studi dati alle stampe, dal fertilissimo universo della consacrazione femminile.

Inquadrabili nell’ampio settore delle biografie clericali ed episcopali, con il convergente apporto, per queste seconde, delle corpose produzioni magisteriali o d’indirizzo disciplinare nei territori di giurisdizione canonica, sono le seguenti opere: Diario Mulas. Un sacerdote sardo tra crisi e rinnovamento conciliare (Cagliari, Zonza , 2001);Dizionario Biografico dell’Episcopato Sardo, Il Settecento, 1720-1800 (Cagliari, AMD Edizioni, 2005, con Francesco Atzeni), Pietro Balestra. Lettere Pastorali, 1901-1912 (Cagliari, Zonza Editori, 2006, ancora con Francesco Atzeni), Pietro Balestra. Lettere Circolari, 1901-1911 (idem), Francesco Rossi. Lettere Pastorali e Circolari, 1913-1920 (Cagliari, Zonza Editori, 2007, idem), Ernesto M. Piovella. Lettere Pastorali, 1920-1949 (Cagliari, Zonza Editori, 2008), Pastori e intellettuali nella Chiesa sarda del Novecento (Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2010), Giuseppe Ruju, un parroco-scrittore per l’identità sarda (Cagliari, ADSCA, 2012), I vescovi sardi al Concilio Vaticano II (Cagliari, Arkadia, 2013-2014: due volumi riferiti il primo alle Fonti, il secondo ai Protagonisti); Salvatore Casu una vita per la Chiesa (Cagliari-Pirri, Parrocchia San Giuseppe, 2015).

A tali opere mi parrebbe giusto accostare due curatele (con partecipazione alla collettanea): Studi in onore di Ottorino Pietro Alberti (Cagliari, Edizioni della Torre, 1998, in collaborazione con Francesco Atzeni: qui ilNostro interviene anche con la stesura di una dettagliata bibliografia del celebrato arcivescovo della scuola lateranense, e Studi in onore del Cardinale Mario Francesco Pompedda Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (Cagliari, Edizioni della Torre, 2002: lo specifico contributo di Cabizzosu qui s’intitola “In nomini desu Babu, de su Fillu, e de su Spiridu Santu. Aici siada”. Un catechismo sardo del 1835).Aggiungerei inoltre, per connessione tematica,la documentatissima relazione su “La partecipazione di mons. Antonio Tedde al Concilio Vaticano II”, svolta ad un convegno teddiano organizzato nel settembre 2012 dalla diocesi di Ales-Terralba, e rifluita nel volume Mons. Antonio Tedde a trent’anni dalla morte, 1948-1982, a cura di Angelo Pittau (Monastir, Grafiche Ghiani, 2013).

La galleria delle personalità raccontate e restituite, per il più, anche con gli ampi supporti delle rispettive produzioni (di genio o di dovere), porta il biografo nel cuore delle sue maggiori, o più ordinarie, esplorazioni. La quotidiana presenza tanto a lungo dipanatasi tra i faldoni delle carte clericali ed episcopali, infatti, ha come acceso una obbligazione di servizio verso memorie in parte ancora vive ma generalmente non colte o collocate a sufficienza nella loro contestualizzazione territoriale e temporale e non valorizzate nella dimensione della loro creatività passata al documento.

Ciò tocca, evidentemente, soprattutto i monsignori vescovi e soltanto per altri aspetti i preti. Circa i primi è da dire che i lavori su Balestra, Rossi e Piovella costituiscono soltanto l’iniziale parte di un colossale e faticoso lavoro di riordino di materiali che avrebbe dovuto coinvolgere anche numerosi altri presuli delle storiche province ecclesiastiche di Cagliari ed Oristano, includendo in esse, rispettivamente, anche la diocesi di Iglesias e quella di Ales. La collana condiretta da Cabizzosu e Atzeni, promossa e sostenuta, all’insegna di Magistero dell’Episcopato Sardo – Fonti, dalla CES, dal Centro studi “Damiano Filia” e dall’Archivio Storico Diocesano di Cagliari avrebbe dovuto snodarsi in ben ventidue volumi, includendo oltre ai pastori pubblicati, anche Botto, Tolu, Piovella (relativamente alla parte oristanese), Delrio, Cogoni, Fraghì, Ingheo, Dellepiane, Peri, Pirastru, Garau, Emanuelli e Tedde (oltreché il completamento cagliaritano, per le circolari, ancora di Piovella). I disastri editoriali e altro hanno, per adesso, interrotto la sequenza delle uscite, di cui è naturalmente auspicabile una sollecita ripresa, nonché una espansione – se non da altri già programmata – alle altre diocesi del capo sopra e della fascia orientale dell’Isola già facenti capo alla provincia ecclesiastica di Cagliari: Ogliastra e Nuoro-Galtellì cioè.

Anche il Dizionario episcopale appartiene ad una collana editoriale condiretta da Cabizzosu con il professor Atzeni e promossa, una decina d’anni fa, dal benemerito Centro studi “Damiano Filia” e dall’Archivio Storico Diocesano di Cagliari. L’opera, comprensiva nel suo piano di quattro volumi – di prossima (auspicabile) uscita quelli riferiti al periodo “Dal Concilio di Trento al 1720”, a “L’Ottocento” ed a “Il Novecento” (così i titoli annunciati) –, dovrebbe includere le schede di oltre trecento (!) presuli, curate da una ventina di studiosi di varia formazione e provenienza.

A dir di Concilio

Un cenno particolare meritano i due volumi sulla partecipazione dei vescovi sardi al Concilio Vaticano II, inseriti nella collana degli Studi e Fonti per la storia della Chiesa sarda della editrice Arkadia (comprensiva anche dei cinque volumi in sette tomi degli Inventari). La classificazione ed il regesto degli atti firmati coinvolge i nomi di ben venti presuli, cui sono associate anche la Conferenza Episcopale Sarda e la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna (adesso fra i promotori del regesto). Si tratta, per quanto riguarda i presuli, dei partecipanti alle quattro sessioni conciliari, fra l’ottobre 1962 ed il dicembre 1965 (sotto i pontificati giovanneo e paolino), che alla Sardegna risultano legati per varie ragioni: o perché residenziali, cioè a capo delle undici diocesi (o ausiliari, come nel caso di Enea Selis, in forza alla diocesi di Iglesias), o perché nell’Isola verranno in epoca successiva (così Baggio, Bonfiglioli e Canestri, tutti e tre a Cagliari), o perché attivi almeno nelle fasi preparatorie o antepreparatorie (così Mazzotti e Saba, entrambi in sequenza arcivescovi metropoliti di Sassari), o perché di origine sarda pur essendo, all’epoca conciliare, impegnati in uffici lontani dall’Isola (così Angioni, ausiliare di Pisa, e Maleddu, minore conventuale e già prefetto apostolico di Hingan in Cina).

All’elenco si sarebbe potuto aggiungere almeno un altro presulesardo, e speriamo che Cabizzosu avendo… le mani in pasta, su di lui possa presto fornirci analoghe tabelle di repertorio: mi riferisco al nunzio apostolico Angelo Palmas, nativo di Villanova Monteleone (diocesi di Alghero), promosso all’episcopato da papa Paolo VI nel giugno 1964 con il mandato di delegato apostolico in Vietnam e Cambogia (seguiranno le nunziature in Colombia ed in Canada) e dunque titolato a partecipare alla terza e quarta sessione conciliare.

La dotazione documentaria (tratta dagli Acta Synodalia ed opportunamente rielaborati) è rilevantissima: include i “consilia et vota” del 1959, i discorsi tenuti nell’aula conciliare, gli scritti inviati alla commissione centrale, le sottoscrizioni con altri vescovi (in lingua latina al pari dei discorsi e dei contributi scritti), la lettera pastorale collettiva dell’episcopato sardo della primavera 1962.  Ancor più che in quello sulle Fonti, è nel volume sui Protagonistiche viene ampiamente offerta, di ciascuno, una vetrina biografica e documentaria di estremo interesse (v’è una media fra le dieci e venti pagine, e raggiungono o superano le trenta i più facondi o produttivi monsignori di Nuoro, Ales e Bosa).

Importa qui però soprattutto richiamare, sia pure per flash, il giudizio complessivo che il compilatore delle schede si sente di poter esprimere in ordine allo spessore di quella partecipazione, per il più scritta, talvolta anche orale, dei nostri presuli . E’ peraltro lo stesso arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato e prefatore del volume, a riassumere, e in ampia misura a far proprie, le conclusioni espresse da Cabizzosu, suo condiocesano e suo condiscepolo negli studi cuglieritani e, infine, cagliaritani: che, cioè, «La formazione spirituale ed intellettuale della maggior parte dei padri conciliari italiani era maturata nel secondo e nel terzo decennio del Novecento», sicché essa risentiva della «visione apologetica, legata prevalentemente agli orientamenti della Pontificia Università Lateranense, chiusa alle istanze più innovative provenienti da oltre le Alpi, fortemente antimodernista […], conservatrice e, per gliaspetti più politici e sociali, anticomunista»; «In Sardegna la preparazione culturale era garantita essenzialmente dalla Facoltà Teologica di Cuglieri (Nu), che, per molti aspetti, non si allontanava dagli orientamenti conservatori dell’Università Lateranense» (ciò peraltro non senza finestre cautamente semiaperte, come «la proposta di utilizzare le metodologie fenomenologiche presenti in alcuni sistemi filosofici compatibili con la fede cattolica, oppure la promozionedella spiritualità del clero diocesano o la realizzazione di un progetto educativo a favoredeigiovani o, ancora, la necessità di evangelizzare la cultura laica»).

Precisa Becciu, recuperandone le tracce direttamente dalle pagine di Cabizzosu: «I Vescovi che guidavano le diverse diocesi della Sardegna non si staccavanodall’impostazione teologica della Facoltàdi Cuglieri, sebbene la maggior parte di loro avesse studiato negli Atenei Romani». Il curriculum studiorum e soprattutto le esperienze maturate fra parrocchia e uffici di curia (in città obiettivamente minori o periferiche, quand’anche si fosse trattato di Cagliari!) orientavano i presuli verso «una visione piuttosto parziale dei problemi», anche per «la mancanza di un’analisi scientifica e di uno studio approfondito», limite particolarmente evidente nei “consilia et vota”.

Tale limite ancor più montava dalla supposizione, o chiamala illusione o speranza, che il Conciliofosse convocato per «rimarcare ladottrina tradizionale, condannare  gli “errori” antichi e moderni, favorire un ritorno al regime di cristianità, in cui la legislazione canonica e i costumi morali potessero essere rispettati da tutti e garantiti dall’autorità civile. Si auspicava anche la proclamazione di  nuovi dogmi, come la regalità di Cristo e il titolo di corredentrice per la Vergine Maria».

Chiaro e inevitabile, date le premesse, lo scarto simpatetico con l’assise quale si mostrò da subito nella grande aula della basilica romana. Ma rilevato questo (anche da Becciu), Cabizzosu non “ricama” con intento… giustiziere – inconcepibile per la sua stessa cultura ad un tempo di storico e di uomo di Chiesa – ma si volge a considerare anche i recuperi o i pur misurati recepimenti dello spirito riformatore invalso fra i padri, segnalando fra i più sensibili, ancorché su aspetti diversi (quelli sociali ed ecclesiologici e quelli dottrinali) il decano monsignor Pirastru e il giovane monsignor Spanedda. Interessante anche la lettura offerta dal vescovo di Ozieri Cogoni circa il rischio di spersonalizzazione da parte del sistema industriale, così come andava delineandosi nel presente della stessa Sardegna centrale.

Dei contributi forniti da ogni singolo presule vien data la ragione e la misura, cogliendo di essi anche quanto di originale e positivo, oltre una prima apparenza magari di segno diverso, fosse sostanziale. Così nella riforma liturgica, così nell’auspicio della vita comune da parte dei chierici, così forse anche, almeno per l’universalità del codice linguistico e la pregnanza letteraria dei secoli, anzi dei millenni, nella minoritaria istanza della conservazione del latino nella pratica ecclesiale, oltreché nella liturgia.

Spiritualità e problematiche dei sacerdoti

Circa i volumi riguardanti i presbiteri molti vi sarebbe da osservare, per facilitare la comprensione della loro preziosa originalità. Riguardo al Diario Mulas sarebbe almeno da rilevare che le radici ozieresi, che avvicinano al memorialista il suo biografo, non esauriscono certamente i motivi di una pubblicazione ritenuta da alcuni azzardata per la relativa prossimità temporale all’oggi di quelle annotazioni personalissime e segrete ed anche scomode per tanti. Sarebbe invero ingiusto e infondato caricare su Cabizzosu la responsabilità di una leggerezza che, a mio avviso, non c’è stata, e non c’è stata per due solidi motivi: intanto perché egli stesso, il curatore, ha provveduto, d’iniziativa, ad espungere prudenzialmente le pagine che, per scienza e coscienza, ha ritenuto inopportuno portare, in un tempo ancora immaturo, alla pubblica notorietà; in secondo luogo perché il dibattito intimo, di mente e di cuore, del sacerdote che fu a Cagliari per lunghi anni cappellano militare e giornalista collaboratore de Il Quotidiano Sardo nonché richiestissimo predicatore, circa l’adeguatezza della Chiesa, in specie nei suoi pastori, ai tempi che le toccava vivere prima e durante il Concilio, è stato presentato come testimonianza umana e religiosa di un travaglio che non era soltanto suo. Potrei ricordare, perché inquadrabile nello stesso periodo, l’arrivo… rivoluzionario – tale per il costume ecclesiale in primo luogo – in Sardegna, nell’Iglesiente, dei Piccoli Fratelli del Vangelo che era seguito a certi irrigidimentidell’Azione cattolica italiana (in alleanza con i Comitati civici di fama reazionaria), dei quali erano state ingiustamente vittime figure magnifiche, e profetiche, del clero e del laicato nazionale come, per fare soltanto un nome, Arturo Paoli.

Il riferimento all’origine goceanina di don Gesuino Mulas riporta anche a quella di don Giuseppe Ruju, nativo di Anela, e degno successore, nell’arte della penna – perché narratore e saggista, linguista e poeta – di don Pietro Casu. E la figura di don Ruju – rivelata tanto più nel suo talento di scrittore identitario – riporta a sua volta  a quella di un cagliaritano della provincia, don Salvatore Casu, parroco fondatore e musicista, compositore ed esecutore di indubbia vaglia, al quale Cabizzosu ha dedicato la biografia più recente, di lui valorizzando lo spessore teologico e il tratto pastorale mostrato a Pirri ed alla Marina di Cagliari soprattutto.

Sono personalità, queste appena accennate – in specie Mulas e Ruju –, che si affacciano al meglio nella raccolta biografica di Pastori e intellettuali comprensiva di venti medaglioni e così implicitamente richiamanti a protagonismo tutte le plaghe socio-culturali e religiose della Sardegna. Entrano in campo presbiteri ed un vescovo dei quali, se non tutti quasi tutti, l’autore ha avuto modo, in circostanze diverse, di occuparsi scorgendo un filo rosso che, almeno a gruppi, li ricolleghi l’uno all’altro: i pastori d’anime (Tilocca, Spiga, Piga, Spano e Ortu), i fondatori (Prinetti, Manzella, Angioni, Vico e Urru), gli intellettuali con “la ragione al servizio della verità” (Casu, Filia, Saba, Putzu e Cannas), i giornalisti (Demelas, Mulas, Lepori, Cocco, Brundu). I territori, come detto, ci sono tutti o quasi: Goceano e Campidano, Gerrei e Ogliastra,Sassarese e Cagliaritano, Gallura e Barbagia.

Una rapidissima parentesi me la consento sui preti giornalisti. Perché ho potuto accompagnare don Cabizzosu nel pazientissimo spoglio de Il Quotidiano Sardo (quello di don Mulas diretto dal 1950 al 1957 da monsignor Giuseppe Lepori, passato poi al parrocato di San Lucifero in Cagliari). In più occasioni, e non soltanto per Il Quotidiano Sardo o per Voce del Logudoro, il nostro storico della Chiesa, e lui stesso (dal gennaio 1986) del mestiere e dell’albo, si è affacciato al mondo della stampa giornalistica. Fra il molto mi piace in particolare ricordare un suo importante contributo su Gioventù sarda, il periodico dell’Azione cattolica cagliaritana degli anni ’20, che esordì press’a poco in contemporanea alla visita che monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, al tempo presidente nazionale di Propaganda Fide, compì in Sardegna, migrando fra Oristano, Cagliari e Sassari. Questo breve saggio – “Un periodico per laformazione dei giovani: l’esperienza di ‘Gioventù sarda’, 1921-1927” – è apparso in Theologica& Historica, XIII, 2004 (e riportato nel terzo volume di Ricerche socio-religiose).

La stessa serie degli annali della facoltàTeologica (per la ripresa ancora in Ricerche socio-religiose sia della edizione del 2004 che diquella del 2009) ha accolto, nel fascicolo XII del 2003, un altro corposo saggio dal titolo “Stampa cattolica e società ozierese, 1922-1933”.

Aggiungerei, in argomento, un’ulteriore osservazione che riporta al Cabizzosu studioso della stampa cattolica sarda negli ultimi due secoli: i testimoni/profeti del clero diocesano o regolare che egli ha biografato fra i primi – dal Manzella al Prinetti, all’Angioni – sono tutti uomini anche di giornalismo: si pensi alle testate che marcano il passaggio dal pontificato di Leone XIII a quello di Pio X: rispettivamente, Libertà (apripista a Sassari nel 1910),Il Risveglio(a Cagliari, alla fine dell’Ottocento, sotto gli episcopati Berchialla e Serci Serra), Il lavoratore (nel primo Novecento ancora a Cagliari, tanto libero da essere chiuso d’autorità, nel 1905, dall’arcivescovo Balestra, piuttosto favorevole alle imprese della nobiltà nera dei Sanjust, Amat, Quesada ecc.).

Fu quasi sempre, almeno a Cagliari, sofferenza. Una speciale segnalazione, circa Prinetti e Il Risveglio, credo la meriterebbe la conferenza che Cabizzosu tenne a Voghera, nel Pavese, patria dell’antico segretario dell’arcivescovo Berchialla e suo confratello oblato, nonché preside del seminario diocesano, prima che ispirato fondatore dell’Opera delle Figlie di San Giuseppe in Genoni. Ne è riportato il testo in Ricerche socio-religiose edizione 1999 (titolo appunto “Impegno giornalistico di F. Prinetti su ‘Il Risveglio’”).

Vengono alla mente, sul punto – intendo sulla missione presbiterale nella quale i tanti hanno realizzato la propria umanità e che Cabizzosu condivide profondamente –, alcuni ispirati versi ancora dell’amico don Renato Iori: «Con te Aronne / levar vorrei / pacifiche mani / Stender rami / infiniti / di misericordia. / Incensi odorosi / bruciare / sul cuore del mondo / sentirne i palpiti / frementi / e a un tempo pieni… / Sacerdote d’eterna speranza… / Spaccare il Mare / come fuscello / che sogni di libertà / ostacola… / Salire il Monte / e udire l’inudibile voce / de l’Eterno / a dettar Legge di comprensione / e rispetto. / Deh vieni Aronne / a placar l’ira / de’ nuovi prigionieri / ne l’Egitto del mondo / nei Faraoni / mitici segni / d’insaziabile fame».

A chiudere il cerchio della relazione fra l’anziano e la sua comunità interviene qui la suggestione, non soltanto tematica ma soprattutto espressiva (in materia di “limba”), dei testi catechetici, d’istruzione e guida spirituale. Ricorderei in particolare, al riguardo, altre due opere curate da Cabizzosu insieme con Mario Puddu la prima, e con Matteo Porru la seconda: rispettivamente Un catechismo in sardo del 1777. Un eccezionale documento di fede (Cagliari, L’Unione Sarda, La biblioteca dell’identità, 2004) e “De s’imitassione de Cristos” di Giovanni Battista Casula (Nuoro, Studio Stampa, 2008). Prova provata, queste curatele, di una sensibilità da sempre avvertita ai valori apppunto anche espressivi, figurativi e non di rado poetici, oltreché ovviamente di rimando religioso, della cultura sarda.

Ecco qui, a mio parere, uno dei nessi stretti fra le più profonde qualificazioni umane e culturali, a monte di quelle religiose ed ecclesiali, di Tonino Cabizzosu: il suo connotato marcatamente identitario (ovviamente, e sapientemente, donato alla pasta ecclesiale che è per statuto universale) e la sua consapevole sublimazione – con evidenze personali pur se essa sia propria di ciascun consacrato – in un sacerdozio che pare innalzarlo, ogni giorno, nelle costrizioni oblative per il bene delle anime dopo che nella lode al suo  Dio.

Una pagina salesiana

Un altro tratto che, colto adesso quasi incidentalmente, meriterebbe però riprendere ed approfondire della sua prismatica personalità di studioso e però anche di uomo di Chiesa, è il suo porsi verso gli statuti ora del clero secolare ora di quello religioso o regolare che dir si voglia.

E’ nota dalla sua gradevolissima, necessaria prova autobiografica (Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo, Cagliari, 2008) la pagina che lo racconta studente delle medie e poi ginnasiale nelle scuole salesiane dapprima a Lanusei quindi di Mandrione, a un passo dalla capitale, giusto negli anni del Concilio:«la metodologia salesiana mi conquistò subito ed io mi lasciai plasmare da essa, così che quei germi vocazionali, gettati a piene mani nel mio cuore da persone generose, maturavano in un ambiente sereno».

Quello lanuseino era il primo istituto fondato da don Rua in Sardegna, era stato nel 1898. Nel 1963, quando vi arrivò il giovanissimo illoraese, esso non era più un collegio ma un aspirantato con indirizzo vocazionale. Questo avrebbe quindi ben potuto orientare lo studente, così voglioso di sapere e fare esperienza, ad una meta religiosa interna proprio all’Opera di don Bosco.

Cabizzosu si dilunga nella gustosa descrizione di quegli anni fondamentali nella sua formazione personale, scolastica ed anche, ovviamente, religiosa, proseguita – come detto – in continente. L’ottima sua memoria favorisce la ricostruzione, ch’egli propone, dell’umanità dei docenti e dei superiori, dei condiscepoli, delle occasioni d’impegno e di svago. Fino alla conclusione, alla licenza ginnasiale cioè: «A fine anno, dunque, mentre la stragrande maggioranza dei miei compagni scelse la via religiosa del Noviziato salesiano,io, con serenità interiore, optai per l’iscrizione alla prima liceo nel seminario regionale di Cuglieri. Di fatto io non avevo alcun obbligo verso la diocesi di Ozieri, in quanto non avevo fatto gli studi di base nel seminario diocesano, ma mi sentì spontaneamente portato verso quella istituzione in quanto Illorai faceva parte di detta circoscrizone ecclesiastica».

Ecco cosa derivare da questa testimonianza: la libertà e la nettezza della scelta per la Chiesa diocesana, dove egli avrebbe poi realizzato la propria vocazione, il rispetto e anche più verso la famiglia religiosa che lo aveva accolto ed accompagnato nella sua maturazione adolescenziale. E questo sentimento – sentimento che definirei semplicemente d’amicizia, di prossimità – Cabizzosu presbitero diocesano mi pare lo abbia conservato intatto, e forse anche migliorato, come potrebbe dirsi ne faccia fede il tanto che egli ha scritto circa il particolare carisma delle diverse congregazioni o degli ordini regolari, il talento coltivato in essi non mai per la chiusura in una incongrua e perdente autosufficienza, ma sempre in uno slancio di condivisione entro le più ampie coordinate della Chiesa locale e universale.

Sul proprium femminile nella Chiesa

Al filone, pure esso ricco di titoli, riferito agli ordini religiosi isolani – filoneinclusivo anche dei profili umani e spirituali (talvolta perfino mistici) soprattutto delle donne impegnate nel servizio ad un carisma –, appartengono una decina di lavori pure essi ragguardevoli  non soltanto sul piano del contenuto, dello scavo biografico cioè, ma anche su quello del linguaggio piano, discorsivo, che l’autore ha adottato, con naturalezza, per raggiungere il suo lettore senza però mai penalizzare la dignità o l’eleganza del testo. Eccone una rassegna, non saprei se completa: Congregazioni Religiose e Istituti Secolari sorti in Sardegnanegli ultimi cento anni (Cagliari, CUEC, 2000, con  Francesco Atzeni), Maria Giovanna Dore e il carisma dell’unità dei cristiani. Atti del Convegno di Studi svoltosi a Lodine il 15 settembre 2001, (Nuoro, StudioStampa, 2002), Maria Michela Dui una trappista barbaricina vittima per i sacerdoti (Cagliari, ASDCA, 2005), “Ti voglio amare fino alla follia”. Diario spirituale di Bianca Pirisino, 1935-1939(Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007), “Coraggio sempre e amore grande! Epistolario di M.A. Tribbioli, 1936-1965 (Cagliari, Zonza Editori, 2008, due voll.), Donna, Chiesa e società sarda nel Novecento (Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2011).

Assocerei fra loro il primo e l’ultimo di questi testi, con la precisazione ovvia che nel caso di Congregazioni– le femminili in netta maggioranza sulle maschili (appena accennate) – si tratta di un’opera affidata ad una ventina di autori, riservandosi Cabizzosu, oltreché la curatela, l’elaborato sulle Figlie Eucaristiche di Cristo Re, mentre nel caso di Donna, Chiesa e società sarda la fatica è tutta sua. Quest’ultimo lavoro, che recupera materiali in precedenza soltanto affacciatio ne presenta di assolutamente inediti, è articolato in tre grandi sezioni (“Contemplativi e contemplative nel mondo”, “La contemplazione seme di vita nuova in Cristo” e “L’azione al servizio delle povertà del territorio”) per ben ventuno capitoli piegati per il più alle specificitàcongregazionali delle maggiori Opere radicate sul territorio isolano – dalle Vincenziane alle Giuseppine, dalle Salesiane lussurgesi alle Filippine ozieresi , dalle Missionarie crocifissine di padre Vico alle Eucaristiche cagliaritane (quelle storiche di “su baroni”), ecc. – ed alle biografie religiose di creature fortemente carismatiche come le madri Bruna Maxia o Beniamina Piredda o Maddalena Brigaglia, o come le già altre volte presentate Maria Giovanna Dore, Maria Michela Dui e Candida Pirisino, o come la mistica e stigmatizzata Edvige Carboni ora prossima alla beatificazione.

Esso rivela l’interesse, invero in numerose altre circostanze dimostrato, di Cabizzosu alla esplorazione dell’universo femminile – religioso e laico, o laicale – nella Chiesa e specialmente nella Chiesa sarda: certamente per i dati storici che in esso sono rinvenibili tanto sul piano puramente orante o contemplativo quanto su quello attivo della carità sociale – si pensi alla straordinaria personalità di madre Anna Figus, delle suore della Redenzione (di cui Cabizzosu ha detto, in facoltà Teologica, in una memorabile presentazione del recente volume di Alessandra De Valle: cfr. Da schiave a libere, Rubbettino, 2015) –, ma anche per l’originalità dei suoi adattamenti, o tentativi di adattamento alle nuove realtà del tempo moderno e postmoderno, in una società che volge sempre più alla secolarizzazione ed alla totale trasformazione di ogni suo codice consolidato. Perché poi la questione femminile che si pone o si impone nella Chiesa dell’inizio del terzo millennio cristiano, esigendo risposte finora mai affacciate, è cosa tanto prepotente, ormai anche in termini di urgenza, quanto complessa nelle sue soluzioni, stretta fra dottrina e nuova mentalità ed anche, bisogna dirlo, dimensioni delle falangi in campo. Ché non si tratta mai – pare questa, nella sostanza, la posizione di Cabizzosu (e di fianco alla sua, modestamente, la mia) – di ridurre, banalizzandola, la questione femminile nella Chiesa alla questione dell’accesso al sacerdozio, ma semmai – con processo riformatore assai più avanzato perché sulla linea della declericizzazione della Chiesa e della rivalorizzazione della ontologia battesimale dalla quale sorge, senza gerarchie di merito, il pluralismo dei ministeri e delle diaconie – di portare le donne a funzioni anche direttive che ben possono prescindere dai vincoli di un ministero ordinato: dalle presidenze di facoltà o addirittura rettorati di università agli stalli prefettizi di taluni settori della stessa curia romana (così come delle innumerevoli curie diocesane), alle sedi parlamentari che in ogni Chiesa locale sempre più orientata alla sinodalità hanno voce decisiva, in una logica che ha da rivelarsi, evidentemente, sempre intimamente, e indefettibilmente, comunionale.

Ancora: perchéespandendosi nelle dimensioni (e consolidandosi nelle strutture di una Chiesa sempre più sguarnita di preti) gli spazi di responsabilità del laicato preparato e virtuoso, appaiono tutte nella direzione della storia le chiamate ora diaconali, ora anche magistrali, o magisteriali, in una cogestione della missione formativa – si pensi alla catechesi per minori e per adulti – o nella conduzione di talune azioni liturgiche, oltreché nella amministrazione funzionale od economica delle parrocchie e dei gruppi. Accennano, tali questioni, alle nuove frontiere verso cui è proiettata, volente o nolente, la Chiesa nel terzo millennio secolarizzato e tecnologizzato, Chiesa di minoranza in quanto a numeri ma forse mai come adesso chiamata ad essere, riformando o riscoprendo se stessa, sale della terra, lievito della pasta sociale.

Seminario e facoltà: per il clero che accompagna, non per la casta

Pur interno – per debito generazionale, ma nei termini “liberali” cui accennavo – ad una visione di Chiesa che ancora marcala centralità presbiterale nella comunità, giusto come applicazione della delega vescovile, Cabizzosu mi pare posizionarsi, per la richiamata sua formazione alla scuola del padre Martina nonché per le esperienze maturate in luoghi che impongono la relazione e lo scambio in termini di cultura laica (si pensi soltanto all’accademia o alla editoria), sul fronte della savia orizzontalità con i soggetti anch’essi partecipanti, con il proprio specifico e le proprie dinamiche, alla complessità sociale.

E’ appunto per questo che a me pare come egli intenda collocare la dimensione formativa del clero in una prospettiva di una ampia e concreta interdisciplinarità, scorgendo nello studio della storia (quella ecclesiastica ma nell’intreccio inevitabile con quella civile) – come accennavo all’inizio – quasi il passo dell’inoltro, consapevole del relativo terrestre, nella missionedel sacerdozio.

Questa sua sensibilità attraversa, per necessità di cose, la sua docenza nella facoltà Teologica della Sardegna, ma ispira, io credo, anche la lettura critica – nel senso più positivo del termine, s’intende – che egli effettua delle pratiche didattiche, ed in generale educative e formative,delle istituzioni seminaristiche cattoliche, tanto più quelle interessanti la sua e nostra Sardegna.

Non torna a caso questo nuovo indugio sulla materia. Vi ritorna perché i lavori ultimi o ultimissimi del nostro autore riprendono e sviluppano i saggi già conosciuti appunto sulla formazione clericale nell’Isola.

Come superamento dei Collegi teologici che a Cagliari ed a Sassari avevano dato sovente compimento agli studi che il giovane clero diocesano aveva svolto nei seminari vescovili del territorio particolare, venne nel 1927, ma voluto da Pio XI già nel 1925 e all’indomani della celebrazione, tutta canonica, del Concilio Plenario Sardo del 1924 in Oristano, il seminario regionale. Fu situato in territorio che, all’apparenza almeno, pareva pressoché baricentrico fra le allora undici diocesi isolane: a Cuglieri cioè, dove peraltro la baricentricità territoriale si combinava, smentendo se stessa, con un effettivo isolamento od uno stacco dal mondo circostante, voluto forse per tutelare, anche psicologicamente, la serenità degli studi e la concentrazione in essi, oltreché per favorire una certa crescente armonizzazione comunitaria di giovani provenienti da luoghi vissuti per essere mutuamente tanto diversi per ambienti fisici e umani e financo per parlate.

Nel richiamato collettaneoIuventuti docendae ac educandaeCabizzosu raccoglie la questione formativa del giovane clero pur se soprattutto sotto il profilo stretto degli studi, illuminando i lunghi decenni – quelli che arrivano alla vigilia del Concilio Vaticano II – della responsabilità didattica dei padri gesuiti a favore della Chiesa sarda articolata nelle aree diocesane.

Non manca qui, l’autore, con quella libertà che gli è propria, di cogliere le insufficienze, le inadeguatezze di taluni di quei corsi preparatori, di quel sapere teologico che giustamente ritorna nella qualificazione che ne fa lo stesso padre Teani – preside al tempo della uscita del libro e prefatore di questo –come entità “neutra”, a rischio di essere disincarnata o destoricizzata. Ma non manca neppure, e per contro, Cabizzosu, di valutare lo stacco positivo, in crescendo, sia dei livelli culturali generali sia del sensus ecclesiae, del sentire con la Chiesa e nella Chiesa, che anche la vita comunitaria interdiocesana di cui si diceva prima alimenta e promuove e forse esalta.Forse, aggiungo io, integrandola  con un positivo sentimento regionale che è più largo di quellonutrito per la sola propria città o provincia.

Ma, ne ho accennato più avanti, Cabizzosu – che l’esperienza del liceo e del quadriennio teologico l’ha compiuta per metà a Cuglieri e per l’altra metà a Cagliari, dato l’intervenuto trasferimento del seminario e della facoltà dal centro del Montiferru al capoluogo regionale nel 1971 – di tutto si fa insieme storico e testimone, combinando in straordinaria dialettica i due approcci, bene collocandoli nel tempo di passaggio ulteriore dal dopoConcilio (da intendersi come entusiasmo derivato dall’immediatezza dell’evento) all’apparente riflusso, o ripensamento di forme e misure e cadenze di quello che alcuni chiamarono aggiornamento e altri riforma. (E’ noto, per le riprese anche recenti di cui s’è data ampia ribalta, il vasto dibattito circa l’ermeneutica conciliare che ha avuto fra i suoi protagonisti lo stesso papa Benedetto XVI, cui è toccato celebrare, nel 2012, il 50° della apertura dei lavori in San Pietro).

Ho elencato i titoli dedicati da Cabizzosu alla vicenda del seminario regionale e riproposti con aggiustamenti o integrazioni  in più occasioni, mentre è ora in uscita – in parallelo al presente quarto volume di Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra ‘800 e ‘900 – il suo Per una storia del seminario regionale di Cuglieri, 1927-1971. E’ proprio tale insistenza sul tema, nel quale si vede bene anche l’interesse appassionato del docente, ad integrare, a mio parere, come un filone portante (pur di approdi più recenti di altri) della sua storiografia questo che punta a spiegare, si direbbe, la Chiesa alla Chiesa, i preti ai preti. Lezione di verità – sia detto senza enfasi – per la misurazione delle idoneità alla missione, mai per dare i voti ma per comprendere meglio anche i fattori di crescita delle comunità. Questi (catechetici, liturgici, diaconali, di moralità civile o d’impegno sociale) con altri. Appunto secondo la lezione dei Maestri.

 

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