Il terremoto nelle Marche e nel cuore dell’Umbria. Memoria testo-fotografica dell’episcopato spoletino e nursino di don Ottorino Pietro Alberti, quarant’anni fa (seconda parte), di Gianfranco Murtas

Ottorino Pietro Alberti, del clero nuorese, da quindici anni professore alla Lateranense – la storica università del papa – e suo vicedecano, per un anno e qualche mese anni rettore del seminario regionale di Cagliari trasferito nel 1971 da Cuglieri a Cagliari, venne promosso vescovo da papa Paolo VI nel 1973 ed inviato alle sedi unite di Spoleto e Norcia, in Umbria. Qui rimase per quasi tre lustri, fino a tutto il 1987, quando venne trasferito alla sede metropolitana di Cagliari.

Della lunga e fertile esperienza umbra conservò sempre grande memoria ed intime gratificazioni. Ne parlò e me ne parlò spesso.

In occasione del reading che gli dedicai nel teatro di Sant’Eulalia nell’autunno 2012, a pochi mesi dalla scomparsa dopo molesta e avvilente malattia, a lui attribuii una simulazione autobiografica, affidata alla pubblica interpretazione di Gianluca Medas.


Eccone, a seguire, la seconda e conclusiva parte (già pubblicata nel sito di
Fondazione Sardinia il 14 febbraio 2014), integrata da immagini fotografiche che, del gran numero che mi furono inviate dall’ufficio stampa della archidiocesi di Spoleto, rievocano momenti e documenti di quella missione.

Il tutto è qui riproposto come segno di prossimità ideale alle terre umbre, fra le province di Perugia e di Terni (e dunque nelle interprovinciali diocesi unite di Spoleto e Norcia), colpite dai terremoti negli scorsi mesi: quattordici i comuni più direttamente coinvolti.

A Spoleto e Norcia, un sardo in Umbria

Spoleto e Norcia sono nel sud dell’Umbria. E comunque non lontane da quel Casentino che era la terra d’origine di mio padre. Mi ricollegavo idealmente, e con poco sforzo, alla terra degli Alberti…

Ad accogliermi ai confini del territorio diocesano, in località Molinaccio, domenica 7 ottobre – festa della Madonna del Rosario –,  fu il vicario capitolare, don Giuseppe Chiaretti, che avevo conosciuto – lui studente ma già prete, anzi prete prima di me, io segretario generale – alla Lateranense nel ’59. Fu il mio eccellente vicario generale, ed avrei avuto il piacere di consacrarlo vescovo, di fianco al cardinale Baggio, nel 1983.

Pioveva a dirotto. Fui accolto… Centinaia e centinaia di persone nella strada, nonostante la pioggia: brevi discorsi a Molinaccio e nel palazzo arcivescovile, addirittura duecentesco come primo impianto. Fra l’uno e l’altro, in piazza del Mercato, un reparto della locale scuola allievi sottufficiali di fanteria mi rese gli onori militari. Era la mia prima volta!

La Chiesa di Spoleto dette alle stampe una brochure di quattro pagine, con alcuni attestati di benvenuto. In uno di questi si ripassava qualche mio studio e si prendeva a man bassa dal mio “Il Nuorese, cuore della Sardegna”, uscito l’anno prima, con tutte quelle descrizioni ambientali e sociali della campagna e dei pastori…

Mi hanno detto che la giunta comunale si era presentata con la cravatta rossa social-comunista. E che problema c’è?! Il rosso noi preti lo indossiamo nientemeno che per la Pentecoste, il colore è bellissimo.

Ma, vorrei dire, fui accolto e prima ancora accompagnato: accompagnato da 200 nuoresi, in testa il sindaco Giuseppe Corrias. Che festa! C’era anche una bella delegazione dell’Avis, dei donatori di sangue di Nuoro, con il presidente Elettrio Corda, mio amico.

Il rapporto con la mia città e la Sardegna restò, anche in quegli anni, intensissimo. Soltanto un flash, legato al pellegrinaggio che annualmente compivo con gli amici dell’Unitalsi a Lourdes, presente quella volta anche il cardinale Baggio: era l’estate 1977, ed invitai il coro di sosCanàrjos del maestro Nuvoli, in pellegrinaggio con noi, a cantare nella grotta della Vergine santa. Stupore gioioso dei trentamila partecipanti alla liturgia.

Certo mi occupai del riordino degli archivi storici, ma prima di tutto mi occupai delle impellenze sociali, che erano anche religiose. Il territorio, ripeto, passava per essere di sinistra, e in effetti lo era. Ma la cosa non mi è mai dispiaciuta, pur essendo io, per natura e formazione ed esperienza, un moderato, diciamo pure un centrista, amico dei Mannironi e di un certo ambiente che guardava alla politica. Ma prima di tutto e sempre in tutto ero un prete ed ora un vescovo, che deve guardare chi incontra esclusivamente in termini di fraternità.

Per questo, fin dai primi momenti, mi ricordo, partecipai ai cortei sindacali, parlai dal palco: qualcuno non ci credeva, era la prima volta, poi gli applausi vennero, ma non vennero al vescovo, vennero alla Chiesa che si faceva presente. Avevo scelto come motto episcopale “Veritatemfacientes in caritate”, e questo spiega tutto. Così ricordo la immersione piena che feci nel 1979, quando le popolazioni della Valnerina furono colpite da un terremoto. Questo stesso facevano tutti i preti della diocesi, tutte le comunità. Un solo popolo.

Ma già nel 1974 – ero lì da un anno soltanto – ecco scoppiare il caso della diffusione della droga. Anche a Cagliari è di quegli anni, il 1973-74, e poi la valanga andò ingrossandosi sempre più, che il fenomeno dell’eroina, e anche e forse soprattutto degli acidi, oltre che del fumo, si impose alla attenzione di tutti. Eppure v’era chi non voleva vedere. Ebbi questa intuizione: il problema poteva diventare tragedia, per la propagazione facile di quella che era la spia di un malessere diffuso nella giovane generazione. Ne parlai nella omelia di San Ponziano: chiesi al patrono di Spoleto di salvare la città, l’Umbria, da quel male. Voleva essere, tradotto in parole umane, una chiamata alla corresponsabilità. E invece in Consiglio comunale qualcuno mi criticò, considerava eccessivo l’allarme.

Da quell’allarme, da quella presa di coscienza che andò poi espandendosi, nacque il nostro Centro di solidarietà per il recupero dei tossicodipendenti, certo fra i primi in Italia.

Nel 1980 accolsi a Norcia, per i 1.500 anni dalla nascita di San Benedetto, il papa Giovanni Paolo II.

Gli incontri con il pontefice, che pur non potrei dire frequenti, furono comunque diversi: non soltanto per le visite adlimina, non soltanto per le udienze ai membri delle Congregazioni di cui facevo parte o anche per le liturgie solenni di beatificazione o canonizzazione… Capitò una volta, nell’aprile 1982, che portai in Vaticano – lo dico adesso in breve – una giovane donna, Francesca, su cui Giovanni Paolo II esercitò personalmente, e non dico con quanta fatica, un esorcismo…

In quegli stessi anni – la cosa vale a complemento di quanto detto prima – fui chiamato ad altri due incarichi nella curia romana: nel 1981 e nell’84, come membro rispettivamente della Congregazione per le Cause dei santi e della Congregazione per i Vescovi.

Intanto il 18 e 19 marzo 1981 celebrai il 25° del mio sacerdozio: ordinazione e prima messa. La squisitezza da cui fui circondato mi fa ancora venire i brividi. Scrissi un breve testo, un opuscolo diffuso tra tutti i fedeli, per condividere con loro i sentimenti. Ricordai che fino ad allora avevo celebrato 11.466 sante messe…

Vorrei anche segnalare che, incaricato dalla Conferenza Episcopale umbra mi occupai intensamente, nel 1983, del rilancio della testata unitaria delle nostre diocesi, “La Voce”. Non ho detto che la Regione Ecclesiastica umbra si compone di otto diocesi: Città di Castello e Gubbio, nel nord della regione; Perugia-Città della Pieve e Orvieto-Todi nella parte centrale occidentale, verso Toscana e alto Lazio, Assisi-NoceraUmbra-GualdoTadino e Foligno, sulla stessa fascia centrale, ma verso oriente, dunque verso Marche ed Abruzzo, infine Terni-Narni-Amelia e Spoleto-Norcia, nella parte meridionale, rispettivamente ad ovest e ad est.

I tanti nomi che compongono le diocesi rivelano la stratificazione della loro storia millenaria, nel cuore degli Stati della Chiesa, poi dello Stato pontificio. In Umbria si è sviluppato nel tempo un incisivo processo di aggregazione di Chiese particolari. Sola metropolitana è quella di Perugia, che ha per suffraganee le diocesi del centro-nord regionale; sono invece direttamente soggette alla Santa Sede l’archidiocesi di Spoleto-Norcia, la diocesi di Orvieto e quella di Terni.

Ma fatto questo quadro, quel che mi pare importante rilevare è che in tutta la regione ecclesiastica, con l’eccezione di Foligno (che aveva ed ha una sua “Gazzetta” centenaria), c’è un solo giornale cattolico: sì con pagine diocesane particolari, ma unitario nella testata e nell’indirizzo e nella organizzazione. Proprio quel che s’era ipotizzato anche in Sardegna col Concilio Plenario…

Il giornale nacque, o rinacque, grazie alla determinante collaborazione del buon amico avvocato Giuliano Salvadori del Prato, che era stato dal 1968 e per una ventina d’anni l’editore de “L’Unione Sarda”, a Cagliari, prima che la testata passasse a Nicola Grauso. Egli ci procurò le risorse finanziarie, comprammo una buona rotativa, e via…

Mi preme evocare, in ultimo, anche un campo di attività che è stato per me di… speciale beatitudine. Gli scout. Non avrei potuto trascurare questa bella presenza associativa organizzatissima anche in Umbria. Gli incontri sono stati numerosi, e ce n’è anche una bella documentazione fotografica: nei campi – ho celebrato anche la messa da campo! – e in duomo, fra lupetti e tutti gli altri, di tutte le età. Lo dico: ho trovato negli scout umbri, certo non meno che in quelli sardi, una purezza interiore e un pensare positivo che mi hanno incantato sempre.

Peraltro dovrei anche far presente che fu proprio nei miei anni spoletini e umbri, precisamente nel 1974, che l’ASCI – fondata nel 1916 (quando l’Italia era stretta nel macello della guerra!) – si è fusa con l’AGI (Associazione Guide Italiane) dando vita all’AGESCI, viva e vitale ancora oggi, in Umbria e in Sardegna e in tutta Italia, anche se è vero che i problemi non sono mancati per qualche differente sensibilità presente fra le componenti andate alla unificazione…

Poi so – lo dico fra parentesi – che l’attuale arcivescovo di Cagliari anche lui viene dal mondo scout, e la cosa mi tranquillizza molto circa quel che farà…

Il 23 novembre 1987 mi raggiunse ufficialmente la notizia del trasferimento a Cagliari. Ormai sessantenne rientravo nella mia Sardegna.

Salutai con una solenne messa nella festa di San Ponziamo martire, giovedì 14 gennaio. Ero commosso alle lacrime. Dissi: “Questo è il momento che ho scelto per dirvi non l’addio di chi si allontana per sempre, ma l’arrivederci di chi sente, desidera, anzi fermamente vuole, che ci siano altre occasioni di fraterno colloquio, anche se sa che diverso sarà il rapporto, non più di padre con i figli, ma di fratello con fratelli, di amico con amici… Dalla sera del 7 ottobre 1973 ho incominciato a conoscervi, ad amarvi. Non in una maniera indistinta e anonima, ma persona per persona, parrocchia per parrocchia. Eravate la mia chiesa, la mia famiglia spirituale e per questo ho amato chiamarvi figli. Non ho avuto in questi quattordici anni altro amore che per voi, altra preoccupazione che non fosse il vostro bene”.

Mi fu fatto un dono: alla mia partenza mi venne consegnata la “lex spoletina”, una riproduzione del cippo di pietra risalente al II secolo a.C., conservato nel locale museo archeologico. Un pezzo di Umbria che materializzava i sentimenti più belli di un sodalizio umano durato quasi tre lustri…

Mi confessai ringraziando, e riferendomi per lo più agli amministratori che in quel certo primo giorno qualcuno mi aveva descritto come “rossi”. Dissi così: “Uomini che ho sperimentati amici, solleciti come me, quanto me, del bene comune della comunità umana della quale ci siamo trovati a far parte. Uomini con cui ho potuto condividere tante speranze, partecipare preoccupazioni e dolori, concertare azioni comuni, in una collaborazione alacre, intelligente, fattiva: in una parola sola, uomini tra i quali mi è stato una gioia vivere e operare, uomini che mi hanno dato più di quanto ora io possa dire, uomini che hanno arricchito la mia vita, fatto di me un altro uomo da quello che ero, ex professore universitario ed inesperto neoeletto vescovo, animato di tanto amore, di tanto slancio, di tanto desiderio di giovare alla ignota comunità nella quale stavo per inserirmi, ma anche pieno di tremore e di timore”.

Tornai più volte in diocesi, negli anni cagliaritani e anche in quelli successivi nuoresi, quelli del riposo. L’ultima visita è stata l’anno scorso: non stavo bene, ma me lo imposi, un congedo. Speciale l’incontro con le monache del monastero di Santa Rita da Cascia, cui ero particolarmente legato e cui indirizzavo i biglietti di “preghiere insistite” a Dio per le cause più diverse. Molti nuoresi, e anche cagliaritani, hanno avuto le preghiere delle monache casciane. Ero stato in grande amicizia con la badessa madre Geltrude Ceccarelli al tempo della ristrutturazione della basilica di Santa Rita, cui partecipò anche il maestro Giacomo Manzù… Un bel lavoro!

 

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    1 Comment to “Il terremoto nelle Marche e nel cuore dell’Umbria. Memoria testo-fotografica dell’episcopato spoletino e nursino di don Ottorino Pietro Alberti, quarant’anni fa (seconda parte), di Gianfranco Murtas”

    1. By Pietro CABRAS, 14 marzo 2017 @ 10:12

      Caro Gianfranco,
      grazie per avermi insegnato, tra le altre cose, che gli abitanti di Norcia si chiamano Nursini.
      Saluti sardi,
      Pietro