Il terremoto nelle Marche e nel cuore dell’Umbria. Memoria testo-fotografica dell’episcopato spoletino e nursino di don Ottorino Pietro Alberti, quarant’anni fa (prima parte), di Gianfranco Murtas

Sono di ritorno nell’Isola le colonne di vigili del fuoco e numerosi volontari che, appartenenti a varie associazioni solidali, hanno partecipato alle operazioni di governo dell’emergenza nel centro d’Italia.

Dei 62 comuni colpiti dal terremoto di queste ultime tragiche settimane, e già dalla fine dello scorso anno, sono 14 quelli umbri: dieci della provincia di Perugia, quattro di quella di Terni. Essi insistono tutti nel territorio (appunto interprovinciale) della archidiocesi di Spoleto-Norcia. Sono Norcia, Cascia, Sellano, Monteleone di Spoleto, Poggiodomo, Vallo di Nera, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Cerreto di Spoleto (con dodici frazioni anche di Foligno), nel Perugino, e Ferentillo, Arrone, Montefranco e Polino, nel Ternano. Per il più, piccole comunità di montagna, rurali ed artigiane, molto legate alle secolari tradizioni sociali e religiose dei territori che i gioielli dell’arte e dell’architettura suscitano ed accompagnano, generazione dopo generazione, già dalla prima educazione in famiglia, nella scuola, nella parrocchia e nei gruppi.

Ho ripensato alla esperienza pastorale che un vescovo sardo come Ottorino Pietro Alberti, al quale mi hanno unito molte cause con speciale intensità dal 2000 alla sua morte nel 2012, fra Cagliari e Nuoro, compì in quelle terre appenniniche fra l’autunno 1973 e tutto il 1987, quando fu trasferito nel nostro capoluogo: quattordici anni pieni, di totale donazione di sé a quelle popolazioni, anche oltre il range religioso di più stretta competenza. La statura intellettuale del vescovo, la sua formazione umanistica ed il suo spiccato interesse a tutte le aree culturali già incrociate e coltivate negli spazi dell’accademia per tre lustri frequentati alla Lateranense – professore di filosofia della natura, ma anche esploratore esperto degli archivi vaticani – associarono il presule nuorese, infatti, non soltanto alla intima vita sociale delle comunità affidategli da papa Paolo VI, ma anche alla stessa complessa dimensione storica, storico-letteraria, storico-musicale e storico-artistica od architettonica del vasto e vario ambito diocesano.

Per i magici giochi della mente mi è parso fattibile, facile ma soprattutto giusto, richiamare e quasi restituire a vita presente lo spontaneo, generoso sentimento partecipativo di don Ottorino nel tempo in cui il barbaricino si fece integralmente umbro, impegnato nella sua missione ed affascinato, corroborato, dal carisma dei grandi santi – da San Benedetto a Santa Rita – che avevano lasciato il loro nome a nobilitare, in quelle terre, così prossime a quelle dello stesso Francesco d’Assisi, le cose e gli uomini.

Allorché preparavo, nell’estate 2012, un reading all’insegna di “Omaggio a Ottorino Pietro Alberti, vescovo umanista”, poi proposto nel teatro di Sant’Eulalia, fui raggiunto da una gran quantità di immagini fotografiche che l’ufficio stampa della diocesi di Spoleto-Norcia, per la gentilezza del direttore Francesco Carlini, aveva riunito per farmene dono, e così dai documenti pastorali che a firma del presule erano circolati fra parrocchie, gruppi e famiglie dei 25 centri di quella singolare, speciale diocesi risultante dalla fusione, dapprima “in persona episcopi”, quindi (dal 1986) per ordinamento, delle due circoscrizioni di Spoleto e di Norcia.

Ecco quindi, a commento del testo che costituisce la ripresa dell’autobiografia simulata di don Ottorino (come fu presentata al pubblico dall’attore Gianluca Medas), quelle immagini, o gran parte di loro, che raccontano frazioni di una relazione umana, sociale, culturale e religiosa dell’arcivescovo con i suoi umbri.

A Spoleto e Norcia, un sardo in Umbria

Nel 1972, riguardo alla Sardegna, pubblicai presso Fossataro un volumetto di 140 pagine, “Il Nuorese, cuore della Sardegna”; e detti anche un contributo – “Un autentico sacerdote di Cristo” – a un volume che si stampò per l’ingresso di monsignor Salvatore Delogu nella diocesi di Lanusei, all’inizio come amministratore apostolico.

Per una singolare coincidenza il lavoro successivo fu per un altro esordio, ma il mio: “Primo saluto all’Archidiocesi di Spoleto e alla Diocesi di Norcia”. Dodici pagine appena, ma tutte di amore e responsabilità, stampate a Nuoro nell’estate 1973. Il papa Paolo VI, su proposta del cardinale Baggio, nel frattempo divenuto perfetto della Congregazione per i Vescovi, mi aveva infatti promosso – il 2 agosto – all’episcopato, dopo 17 anni di presbiterato, assegnandomi al servizio pastorale di due storiche Chiese dell’Umbria, la terra di San Francesco e Santa Chiara, di Santa Rita e San Benedetto, per dire soltanto qualche nome illustre dell’Italia e del Cielo…

Completo adesso il riferimento alle cose scritte in quegli anni, perché le considero una offerta, nei limiti delle mie possibilità, alla Chiesa nel divenire e alla Chiesa anche nella progressiva presa di consapevolezza di sé e della propria missione nella storia.

Riguardo alla Sardegna, pubblicai nel ’74, in occasione del primo centenario della cattedrale di San Pietro di Bosa, un breve saggio dal titolo “La Sardegna e in particolare la diocesi di Bosa nei secoli XI e XII”; nel ’78 in “Nuoro ieri e oggi”, un contributo su “La Chiesa delle Grazie”; e la seconda parte del primo volume di “La diocesi di Galtellì’-Nuoro dalla sua soppressione (1495) alla fine del secolo XVI”; lo avrei completato negli anni dell’episcopato cagliaritano, nel 1993…

L’anno dopo, poiché cadeva il bicentenario della diocesi di Nuoro e si tennero delle giornate di studio su vari aspetti della vita sociale ed ecclesiale del territorio, ecco “La diocesi di Nuoro nei 200 anni di vita (1779-1979)”: la relazione confluì in “Pacificazione e Comunione”, e le mie parole sono state impaginate accanto a quelle del mitico cardinale Michele Pellegrino venuto anche lui a Nuoro!

Ancora curai le introduzioni, che però avevano una loro propria autonomia, in alcuni volumi del mio amico Elettrio Corda (“Terra Barbaricina” e “La legge e la macchia. Il banditismo sardo dal Settecento ai giorni nostri”): “Nuoro nella storia e nel folclore” e ”La Chiesa e il banditismo nell’Ottocento”, rispettivamente. A questo aggiungerei altre 9 fra presentazioni e prefazioni a libri di altri, taluno riguardante la Sardegna e Nuoro, sempre fra società e Chiesa, talaltro su questioni storico-religiose più generali o riferite alla realtà ecclesiale delle mie nuove diocesi di Spoleto-Norcia.

Nella stessa logica ci furono, mi pare – sempre se il buon amico don Cabizzosu ha contato bene… trovando tutto – 15 contributi di natura pastorale: fra essi qualche omelia – anche per il Redentore di Nuoro, dato che monsignor Melis mi invitava a celebrare e predicare – e qualche lettera pastorale alle mie comunità umbre; ricordo fra esse un testo, dell’80, “Per il XV centenario della nascita dei Santi Benedetto e Scolastica“ e altri, in successione, “Per il 750° anniversario della Canonizzazione di Sant’Antonio da Padova”, o “Per il V centenario della Madonna delle lacrime in Trevi”, o “Per l’VIII centenario della SS. Icona”, o ancora “Per il 250° Anniversario del miracolo della Madonna Addolorata di Norcia”.

Perché ho fatto queste zoomate? Perché le ricorrenze di calendario sono provvidenziali per indurre le anime e le comunità a ripensare criticamente ai doni accolti o non accolti in un certo torno di tempo…

Negli anni spoletini e nursini mi calai profondamente nella realtà spirituale-devozionale di quelle comunità che ho amato moltissimo. Ho studiato il percorso umano e religioso di figure di primo piano, come don Pietro Bonilli (il fondatore delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto) o come madre Maria Luisa Prosperi, di imminente beatificazione; molto mi sono dedicato anche ad esplorare la grande figura di Pio IX che, prima di diventare papa, fu mio predecessore come arcivescovo di Spoleto. So che la figura di papa Mastai Ferretti, oggi beato, è contestata da molti, soprattutto per il suo atteggiamento verso il risorgimento italiano e per la mannaia che tagliò il collo di diversi condannati… Ma io ho visto anche e soprattutto il bene che egli fece e la sua fede…

Essendo membro della Congregazione per le Cause dei santi, ho potuto e dovuto consultare migliaia di documenti riguardanti un numero imponente di candidati agli onori degli altari. Mi sono speso per molti, avendo maturato la profonda consapevolezza di quelle virtù evangeliche possedute in modo eccelso ed eroico da battezzati che si sono votati tutti a Dio e al prossimo.

Ho accennato alle fatiche di studio e, come dirò adesso, di pastorale degli anni umbri: furono 5.227 giorni fra le due date dei provvedimenti pontifici, di entrata e di uscita: 9 agosto 1973, 23 novembre 1987.

Dirò intanto che quel giorno della mia consacrazione episcopale, a Santa Maria della Neve, la sera di sabato 8 settembre 1973 – Natività di Maria, una settimana dopo la festa del Redentore –, tutta Nuoro era venuta per pregare per me e con me, per mostrarmi il suo affetto. Non l’ho mai dimenticato. Celebrante principale era il cardinale Baggio, tornato apposta da Roma per la cerimonia; i conconsacranti erano l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Bonfiglioli ed  il carissimo monsignor Giovanni Melis Fois, vescovo di Nuoro. Avevo 46 anni, e molti ricamarono sulla giovane età… anche se poi, confrontato con il grosso degli apostoli, sarei stato forse il più vecchio di loro…

Nello stemma episcopale che la tradizione bimillenaria impone ai vescovi, disegnai l’albero sì… degli Alberti, ma anche e soprattutto immagine di ogni sardo, di ogni uomo, che sorge dalla terra fecondata (“Gli uomini sono piante germogliate dal cuore stesso della Sardegna”). Sopra, la stella con la M di Maria, il mio orientamento.

Dovrei ripartire dalla tarda mattinata di giovedì 9 agosto di quel 1973: quando monsignor Melis dette ufficialmente la notizia, in episcopio. Erano presenti anche diversi miei familiari, e molta parte del clero diocesano, oltre alle autorità civili. Si consideri che l’anno prima un altro prete della stessa diocesi era stato fatto vescovo, l’ho citato prima: don Salvatore Delogu, destinato a Lanusei. Il quale don Delogu fu presente alla mia consacrazione insieme con monsignor Carta, monsignor Urru, monsignor Spanedda. Che bello essere tutti insieme su quel presbiterio affollato!

Dovetti dire una parola già quel primo giorno: “Resterò comunque sempre nuorese”. Cos’altro avrei potuto dire?

Ricordo qualche commento, sui giornali regionali. Il canonico Bonu, scrittore eminente, lodò, su “La Nuova Sardegna”, i miei studi di agraria, quasi introduttivi agli altri di teologia: “Gli arride nell’animo l’argomento virgiliano e come praticare l’arte da dedicare alle viti, agli armenti e alle api, come tenere uffici convenienti alla sua materia e guidare aziende”.

Per non dire che, riferendosi alla destinazione umbra, richiamava con qualche pertinenza, il caro canonico, quel “Cruce et aratro” che, insieme con il più noto ”Ora et labora”, era nella regola benedettina…

Arrivai in Umbria. Le diocesi erano due: quella maggiore di Spoleto e quella di Norcia, due sedi destinate alla fusione – come in Sardegna è capitato per Alghero e Bosa, affidate per intanto allo stesso vescovo, ”in persona epìscopi”, come si dice.

Due diocesi piccole: insieme facevano press’a poco quella che nell’Isola è, per popolazione e territorio, la diocesi di Ales: diciamo centomila anime – un quinto dell’archidiocesi di Cagliari – e milleottocento chilometri quadrati di territorio, meno della metà di Cagliari. Una settantina di parrocchie in 24 comuni di entrambe le province di Perugia e Terni. Un centinaio i preti diocesani, una sessantina quelli regolari. Circa 300 le suore, una ottantina i religiosi. Queste le dimensioni. Aggiungerei che la cattedrale spoletina s’intitola come quella di Cagliari a Santa Maria assunta in cielo; quella di Norcia – oggi concattedrale – a Santa Maria Argentea.

Si tratta di diocesi antiche: una del primo secolo, l’altra del terzo. Entrano nella loro storia San Feliciano e San Benedetto… Norcia era la “vetustissima urbs” sabina diventata romana col nome di Nursia, un municipio autonomo, terra natale della madre di Vespasiano e delle mogli di Claudio e di Traiano…

Vorrei precisare che nel 1986 – vale a dire un annetto prima che fossi ritrasferito in Sardegna – le due diocesi si fusero canonicamente in una sola.

 

 

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