Islam e occidente una via italiana, di Goffredo Buccini

Non abbiamo ancora banlieu ma una rete capillare in piccoli centri. Il «patto nazionale» tra governo e alcuni rappresentati della comunità è un primo passo.

Una via diversa. Dove i luoghi di culto siano protetti dall’odio. Dove le porte delle frontiere si aprano davanti ai profughi ma quelle delle galere si serrino alle spalle dei jihadisti. Dove a più regole corrisponda più dignità. È stretto il sentiero lungo il quale prova a muoversi l’Italia nel rapporto con l’Islam. Dunque va percorso a piccoli passi, con cautela. E tuttavia ogni passo delinea un modello peculiare, più che mai prezioso per la nostra convivenza in questi giorni infiammati dagli ordini esecutivi di Donald Trump e dalla strage nella moschea di Quebec City. Domani una dozzina di organizzazioni musulmane andranno dal ministro Minniti, secondo incontro in due settimane per arrivare alla firma di un «patto nazionale» assai simile ai patti di cittadinanza già siglati a Firenze e Torino: trasparenza nelle moschee e uso dell’italiano nei sermoni, le linee guida. Non è ancora il riconoscimento della seconda religione del nostro Paese (con un milione e 600 mila fedeli) ma è un memorandum con il quale comunità e governo si impegnano a passare dal livello del mero confronto al livello politico: l’emersione delle moschee dagli scantinati e la formazione di guide religiose non improvvisate è interesse di entrambe le parti. Così in queste stesse ore tredici imam, selezionati dall’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche italiane) e approvati dal ministero degli Interni, si prepareranno ad entrare nelle carceri più a rischio per sostenere la deradicalizzazione dei detenuti.

È la prima volta dai tempi di Giuliano Amato (tra il 2006 e il 2008) che il Viminale lancia un programma così vasto per ridisegnare le relazioni con l’Islam: e forse non è privo di significato che, di nuovo, l’iniziativa venga da un laico di ispirazione socialista come Marco Minniti. Il ministro appare giustamente convinto che il terrorismo si vinca «solo se c’è una grande alleanza»; dunque l’apertura alle comunità è l’altra faccia necessaria di una stretta su espulsioni e procedure che verrà illustrata organicamente tra qualche giorno. Sarebbe miope non cogliere le risposte che dalle comunità stanno venendo. In un’intervista al Corriere, Izzedin Elzir, imam di Firenze e capo dell’Ucoii, la più forte delle organizzazioni islamiche sul nostro territorio (con 164 moschee nel suo circuito) ha ammesso che i terroristi jihadisti appartengono «all’album di famiglia» dell’Islam (cioè sono mossi dalla fede e non dalla follia), mutuando la forte immagine con cui Rossana Rossanda delineò negli anni Settanta la storia identitaria del terrorismo rosso. La sortita di Elzir, la prima da una guida religiosa di questo livello, ha ottenuto l’appoggio di un centinaio di imam e l’attenzione del ministro. Naturalmente l’Ucoii è una realtà assai complessa (come lo è, ancora oggi, l’intera galassia islamica in Italia): accusata in passato di essere sotto l’influenza dei Fratelli musulmani e ancora segnata, appena pochi mesi fa, da esternazioni gravi come quella di un suo esponente storico, Hamza Piccardo, in favore della poligamia.

E però le parole pesano tutte, certi sentieri ne sono lastricati. Se pesano (e pesano) quelle degli xenofobi nostrani che spargono panico per qualche voto in più, non possono non pesare parole di pace e verità specie quando vengono, così nette, da soggetti cui non manchiamo giustamente di chiederle a ogni strage jihadista. L’Italia è un unicum in Europa. Non abbiamo (ancora) banlieue ma una presenza diffusa di cittadini di fede islamica in piccoli borghi e paesini che nonostante tutto favoriscono l’integrazione (il sociologo Stefano Allievi parla, non a torto, di «Islam dialettale»). Non abbiamo seconde generazioni rancorose verso lo Stato (le avremo, se continueremo a rinviare la sacrosanta legge sulle nuove cittadinanze). In questa unicità fatta di contingenze e tradizione si colloca dunque la nostra comunità islamica. Non è casuale che l’imam di Firenze pensi che proprio da noi possa prendere slancio un movimento verso quell’assai auspicabile riforma nella lettura del Corano che stroncherebbe infine interpretazioni radicali e antistoriche. Un passo lungo, che postula libertà e democrazia: il nostro vero tesoro, da preservare a ogni costo.

Il corriere della sera, 30 gennaio 2017

 

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