Di Ireneo Picciau: ” L’ULTIMO SCIAMANO”, presentato da Michela Deriu.

Non c’è bisogno che venga qualcuno a insegnarci la magia, perchè in realtà non c’è nulla da imparare. Occorre solo che un maestro ci convinca dell’incalcolabile potere che abbiamo sulla punta delle dita. Ogni guerriero sulla via della conoscenza crede, una volta o l’altra, di star acquisendo  cognizioni magiche ma tutto quella che fa è lasciarsi convincere del potere nascosto dentro di sé che  riuscirà a raggiungere.

Carlos Castaneda

La strada della consapevolezza è la via dello sciamano.

La via della consapevolezza è quella che percorre “L’ultimo sciamano”  di Ireneo Picciau (Edizione Creativa, novembre 2015, pagg. 292, €16,50).

L’Ultimo sciamano, ovvero: una vita, tante vite.

Ci sono esistenze segnate dalla monotonia del tempo, talvolta, anche lo scorrere di molti anni si può riassumere in pochi eventi.

Quello che salta subito agli occhi, nel romanzo di Ireneo Picciau è il fatto che che nel lungo tempo della sua vita, il protagonista, al secolo Giovanni Perra, cambia spesso, radicalmente, la sua esistenza.

O meglio la sua personalità agisce sugli eventi e trasforma la strada già segnata.

Gli anni della fanciullezza, ricordano vagamente quelli di Gavino Ledda in “Padre padrone”.

Nella vita di Giovanni, però, sua madre, Cesarina Dessy, vigila, si  oppone alle angherie del padre, che vorrebbe fare di lui un contadino come i suoi fratelli, e lo manda a scuola.

Giovanni si sente estraneo a tutta la famiglia, e anche dall’atteggiamento del padre nei suoi confronti, ha come un vago sentore che dietro questa diversità si celi qualche cosa di poco chiaro.

Fisicamente è alto e forte, molto diverso dai suoi fratelli, spesso viene apostrofato come “su burdu” il bastardo.

In effetti ha poco in comune con la sua famiglia, il loro mondo gli sembra del tutto estraneo. Essere dei diversi non rende la vita facile e Giovanni, dopo l’ennesima crudeltà del padre, decide di andar via di casa. La situazione è difficile, viene ospitato per un breve periodo da Stefano, l’unico dei fratelli con il quale ha un rapporto affettivo.

Giovanni, però, vuole continuare gli studi. Inaspettatamente gli si offre un occasione interessante: occuparsi di  un Colonnello in pensione che abita a Cagliari.

Inizia la seconda vita.

Interessante come nell’Ultimo Sciamano le donne abbiano una funzione rilevante, sebbene, passatemi il termine, a me pare “accessoria”.

Prima è la madre a vegliare sul suo destino, poi, proprio in questi anni dell’adolescenza, compare Anna che tanta importanza avrà in questa storia.

Anna è una compagna di scuola, non è sarda.

Bello lo sfondo storico, sfumato ma efficace, dà al lettore la giusta cornice per identificare il contesto in cui si muovono i personaggi.

Sono gli anni del fascismo e delle persecuzioni razziali. Anna è ebrea, il padre, ufficiale di marina, viene trasferito a Cagliari.

Tra Anna e Giovanni nasce il classico amore adolescenziale.

Ma le avverse fortune son sempre dietro l’angolo, il padre di Anna dopo poco tempo deve lasciare la Sardegna e tutta la famiglia con lui.

Questo amore tenero sembra destinato a morire sul nascere.

“Tuttavia, sapevo bene che la sorte toglie e la sorte concede”, afferma con fede Giovanni.

 

Bella storia, ma lo sciamano nel frattempo che fine ha fatto?

Un po’ di pazienza per favore, per diventare sciamani bisogna dare tempo al tempo.

Giovanni, tra non poche difficoltà, per due anni scrive ad Anna senza ricevere risposta.

Il suo carattere lo porta di nuovo ad agire e modificare così il destino che sembra sovrastarlo: decide di affrontare un viaggio in Continente per trovare la ragazza. E’ una scelta coraggiosa e del tutto irrazionale.

Forse proprio per questo, mentre inizia questa avventura ha la chiara premonizione della vita futura: in sogno le compare un entità che lo esorta ad intraprendere “il cammino della consapevolezza”.

La percezione di essere una creatura destinata a vicende oltre il visibile comincia così.

Questo romanzo è ricco di colpi di scena- Giovanni trova Anna e, dopo rocambolesche vicissitudini, insieme tornano in Sardegna. E’ importante ricordare che Anna è ebrea, non ha documenti e per fuggire  dal Continente i due ragazzi danno fondo alle loro scarse risorse.

In ogni cammino spirituale il caso non esiste, per questo  è scritto che Giovanni ed Anna, una volta tornati in  Sardegna, incontrino, in un piccolo paese all’interno dell’isola, l’uomo che inizia Giovanni alla vera natura delle cose: Sebastiano Virdis.

“Vedi Giovanni, tu sei abituato a percepire le cose nella loro concretezza solida e  materiale di oggetti, ma la nostra vera natura non è solida, è fluida, in continuo movimento eternamente mutevole. Vedere significa cogliere questo flusso, averne piena consapevolezza.”

In questo piccolo paese inizia la vera vita da sciamano di Giovanni Perra.

A questo punto della storia, oltre alle vicende familiari e affettive, l’autore procede ad elaborare un complicato sincretismo magico tra lo sciamanesimo proprio dell’America latina e la tradizione apotropaica nella cultura  Sarda.

Strias, coghas e filongianas si librano nel cosmo, Giovanni le incontra spesso nei suoi viaggi astrali, il suo compito è porre riparo ai danni di questi esseri malvagi.

Da Castaneda alla Deledda, perché questa difficile coniugazione ?

Risponde Ireneo Picciau: I libri di Castaneda hanno nutrito i miei anni giovanili, mentre le Novelle della Deledda (meno conosciute dei suoi grandi romanzi, ma altrettanto stimolanti per la ricchezza descrittiva in fatto di riti magici e mitologie fantastiche) sono state per me un incontro relativamente recente, ma per certi versi rivoluzionario. In entrambi gli autori ho trovato significativi elementi di spiritualità e lo stesso profondo bisogno di elevazione rispetto ai limiti ed alle catene della cultura dominante e della tradizione. In ultima analisi, lo sciamano descritto nel mio romanzo è nient’altro che un giovane uomo in cerca di un senso per la propria esistenza di diverso.

In alcuni punti del romanzo la lingua italiana viene definita come”la lingua della libertà”. In genere é la deprivazione del sardo, come tutte le lingue madri, che  viene considerata come una perdita della libertà, non sei d’accordo?

 

E’ opinione comune che nell’evoluzione della società sarda il matriarcato sia stato un dato dominante e, in effetti, per alcune aree geografiche (ad es, la Barbagia) questo è un fatto su cui antropologi e sociologi concordano. Tuttavia, anche il patriarcato ha avuto ampia diffusione in diversi ambiti regionali. Senza scomodare il “Padre padrone” di Gavino Ledda, anche in questa mia storia c’è una famiglia ed un tessuto sociale caratterizzati da un rozzo patriarcato, ostile ad ogni più piccola concessione al progresso ed alla modernità, in un contesto in cui alle figure femminili nulla è concesso, se non la servitù nei confronti degli uomini di casa.

In questo clima sociale e relazionale nasce la definizione di “lingua della libertà”, riferita all’uso dell’italiano. Cioè, come momento di stacco libertario rispetto alla rozza violenza del marito-padrone. Quando la moglie oppressa decide di ribellarsi ed alzare la testa, usa la lingua della modernità (l’italiano), con l’unico scopo di rimarcare il rifiuto della condizione di serva obbediente cui il marito l’ha tenuta per decenni. Alla stessa stregua, oggi i movimenti libertari ed indipendentisti usano la lingua sarda per rimarcare il distacco da uno stato padrone e percorrere con tutti i mezzi la strada dell’autoconsapevolezza e della presa di coscienza.

 

Nella lunga storia di Giovanni le donne hanno una grande importanza. Prima  la madre, Cesarina Dessy, poi Anna. Soprattutto Anna ha un ruolo determinante. Anna è la compagna della sua vita e per lei farà   qualunque cosa. A me ricorda  la famosa canzone  di Bennato, la Fata

Farà per lei qualunque cosa

E tu sorella e madre e sposa

e tu, regina e fata, tu non puoi pretendere di più.

La donna della sciamano è sempre una costola di Adamo?

 

Nella storia del giovane sciamano effettivamente le donne hanno un ruolo importante. Questo, per la verità, accade in tutti i miei romanzi e non è un fatto preordinato. Accade inevitabilmente, quasi senza che me ne accorga.

Tralasciando la madre, Cesarina Dessy, figura sofferta e segnata da una profonda sconfitta esistenziale, ritengo che il ruolo più significativo nella storia sia quello di Anna, la compagna di una vita dello sciamano. Anna è la donna a tutto tondo, è l’universale femminile, un concentrato di forza, coraggio, intuito e sensibilità. E’ la donna che ogni uomo sogna di incontrare nella vita.

“Anna è ciò che mancava al tuo cammino”, recita un passo del romanzo: il cammino è quello della consapevolezza di sé, punto d’arrivo del percorso esistenziale dello sciamano, ma, se vogliamo, di ogni essere umano.

 

Anna conosce le cose per istinto e predisposizione naturale verso l’ascolto, senza bisogno di passare per il difficile e faticoso lavoro della razionalità, come accade invece al giovane sciamano..

In questo senso, potremmo dire che Anna e Giovanni sono mirabilmente complementari. Ognuno di due trova nell’altro il completamento di sé ed il senso dell’esistenza.

Mi piace che, almeno nell’invenzione letteraria, questo possa accadere. La donna vede dove l’uomo non vede.

Questa complementarietà è molto difficile da raggiungere, non solo nella vita, ma anche nel volo pindarico della letteratura.

Si parla d’amore, si sospira per amore, soprattutto si muore per amore.

Difficilmente si è semplicemente Amore.

 

Pablo Neruda

 

Forse non essere è esser senza che tu sia,

senza che tu vada tagliando il mezzogiorno

come un fiore azzurro, senza che tu cammini

più tardi per la nebbia e i mattoni,

 

senza quella luce che tu rechi in mano

che forse altri non vedran dorata,

che forse nessuno seppe che cresceva

come l’origine rossa della rosa,

 

senza che tu sia, infine, senza che venissi

brusca, eccitante, a conoscer la mia vita,

raffica di roseto, frumento del vento,

 

ed allora sono perché tu sei,

ed allora sei, sono e siamo,

e per amore sarò, sarai, saremo.

 

 

 

 

 

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