Alla ricerca delle sintesi improbabili. Azionismo e Sardismo in Sardegna dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alle prime elezioni dell’Autonomia speciale, di Gianfranco Murtas

 

 

 

 

 

 

Somiglianze e distinzioni fra azionismo e sardismo: che materia straordinaria di discussione intelligente e colta – si può dire? – in tempi in cui c’è chi crede che i soggetti collettivi denominati una volta forza italia o cinque stelle, un’altra verdiniani o leghisti (di varia obbedienza salviniana bossiana bogheziana calderoliana) o truppa di governativi semplificatori, siano anch’essi della partita politica. Dico della partita che dovrebbe riempirsi di analisi e di impegno sempre e soltanto nel nome dell’interesse generale. Con rigore di metodo e lo sguardo lungo della classe dirigente meritevole della qualifica. Come un tempo De Gasperi, o Einaudi, o La Malfa, l’uno nella maggioranza, gli altri nella minoranza. Come avveniva settant’anni fa, e anche qualcosa di più, mentre ci si preparava alla novità della democrazia tutta da costruire con l’allargamento del suffragio, sperabilmente con un altro regime costituzionale in chiave repubblicana, con presìdi saldi di libertà civile ed economica, laicità dell’ordinamento e, secondo il sogno che era stato dei mazziniani da più d’un secolo, dignitosa e feconda integrazione continentale. E collocazione occidentalista ed atlantica. Comprendendo che i nuovi statuti sarebbero stati certamente un superamento della dittatura ma anche un avanzamento rispetto allo standing del liberalismo notabilare degli anni ’10 e successivi.

Si ricostituivano le sezioni dei partiti, dopo l’8 settembre 1943, mentre le armate alleate risalivano dalla Sicilia la penisola intera e liberavano Roma a giugno e Firenze ad agosto dell’anno successivo, rallentando per gli ostacoli della linea gotica e giungendo alla pianura Padania – altro che la Padania pontificata dagli sgrammaticati del peggio immaginabile – per liberare, nell’aprile 1945, le grandi città, da Bologna a Genova, da Torino a Milano a Venezia. Si ricostituivano i gruppi politici, nelle città via via tornate alla libertà entravano in necessaria supplenza dei vertici amministrativi travolti dalla caduta della dittatura i comitati di concentrazione antifascista, segmenti nucleari ora locali ora provinciali del CLN operativo nella capitale e ispiratore o regista dei governi esapartiti, in logica ancora paritaria fra le varie componenti comunista e socialista, azionista e liberale, democristiana e demolaburista. Restavano fuori, per autonoma scelta, i repubblicani, antifascisti anch’essi della più bell’acqua, minoranza salda nella storia secolare della patria, ma irrigiditi sulla pregiudiziale istituzionale, o sulla tempistica stretta di quella santa pregiudiziale. Era il trionfo dei valori universali – la libertà partecipativa, l’imparzialità della pubblica amministrazione – che danno sempre sostanza alla politica vera, integrando gli interessi dei territori e delle classi dentro le maggiori categorie della convivenza nazionale.

Si animava il confronto così sui giornali tornati liberi e aperti (e per qualche tempo essi stessi a gestione concentrazionista) come nei comizi in piazza, nella fatica della selezione della nuova classe dirigente in recupero ora di esperienze ante-dittatura ora pescando nella nuova generazione presto maturata dalle difficoltà belliche, dai sofferti richiami militari o dalla prigionia subita e spesso prolungata, comunque dall’avarizia materiale di un tempo che cercava un nuovo orientamento al suo corso.

Anche in Sardegna, che pur non aveva conosciuto le dure prove della resistenza sulle montagne o nelle città occupate, e addirittura con qualche precedenza rispetto a larghe parti della penisola, prima di Roma stessa, per non dire delle regioni del centro-nord. Rinasceva la democrazia, da noi, anche con il contributo appassionato del Partito Sardo d’Azione, che pur scontava, non meno di altri settori politici, le povertà imposte dal ventennio della cattività, per la mancanza del libero confronto, impedimento ideale da sommare a quello fisico degli spostamenti da e per l’Isola. Ma rinasceva la democrazia e il contributo del sardismo veniva in gran parte dalla dignitosa e talvolta ardita testimonianza del grosso del suo ceto dirigente, quello dei Mastino e dei Melis, degli Oggiano e dei Puggioni e di altri cento.

Sicché le concentrazioni antifasciste nell’Isola dovevano qualificarsi non come esapartite ma eptapartite, proprio per la partecipazione anche del PSd’A, e di più ancora, per la partecipazione qui, seppure a macchie di leopardo, anche dei repubblicani, a fronte spesso della defezione, per inconsistenza organizzativa, dei demolaburisti (partito di rimando a certo radicalismo anche filoministeriale degli anni ’10 e ’20, ma ora con un profilo istituzionale certamente repubblicano).

 

I fratelli della democrazia

Nel novero erano – così per un anno circa, da settembre 1943 a settembre 1944 – anche gli azionisti, che in Sardegna si richiamavano, pure nelle intestazioni dei documenti ufficiali, al movimento di Giustizia e Libertà, che invero aveva assunto nei suoi ranghi clandestini, nei tempi più calamitosi delle retate di polizia e più tardi nelle prove di guerra in Spagna, anche molti sardisti così come diversi repubblicani sardi (e numerosi della penisola). Perché comune e condiviso era l’albero della cultura democratica di radici risorgimentali impregnate di un mazzinianesimo etico forse più che ideologico, e sardismo e azionismo e repubblicanesimo erano fratelli forse più ancora che cugini. Sarebbe poi entrata la variabile socialista – come dottrina applicata all’economia – a dividere i fratelli e a renderli cugini mutuamente (e in crescendo) diffidenti.

Ad animare il dibattito – mi limito qui soltanto alla famiglia dei fratelli della democrazia, a sardisti e azionisti e repubblicani cioè – erano uomini come Lussu e Mastino, Fancello e Siglienti, Pintus e Melis, Puggioni e Pinna e Oggiano, e quanti altri con loro. E ciascuno poteva dire di sé, e quantificare i giorni o i mesi o gli anni del carcere e del confino, quelli della esclusione dalle attività (e dagli albi) professionali nonché da quei minimi diritti che anche la dittatura poteva riconoscere ai cittadini-sudditi. Melis era entrato in carcere a 23 anni soltanto, più tardi aveva fornito l’inchiostro simpatico per la lettera (imputativa) che Pintus doveva recapitare, tramite Fancello, a Lussu ormai esule-fuggiasco a Parigi, Siglienti per pochi mesi era stato ospite dei tedeschi in un campo di prigionia da cui l’aveva fatto evadere la sua meravigliosa Ines Berlinguer prima che fosse indirizzato anche lui alle Fosse Ardeatine –, Mastino e Pinna e Oggiano avevano anch’essi da poter elencare le occasioni della propria pubblica testimonianza e anche dei prezzi pagati per questo a Nuoro, mostrando come l’intelligenza e la coscienza potevano arginare la pervadenza imbecille del regime, Pintus – nato repubblicano – poteva dire dei cinque anni di carcere e dei tre di vigilanza speciale, e anche delle conseguenze sui suoi polmoni che nel 1948 l’avrebbero portato anzitempo alla tomba, e anche Fancello poteva riferire del cumulo dei tredici anni fra cercere e confino caricati sulla sua schiena, lui che era il più vecchio di tutti. Qualcuno avrebbe presto aggiunto le proprie esperienze internazionali, di guerra internazionale, come Giacobbe, e Lussu la sua tela antifascista sul campo largo dell’Europa e anche dell’America. Viva in lui la memoria tutta speciale di un repubblicano cagliaritano caduto per la gloria della democrazia a soli trent’anni, in una terra lontana, nome Silvio Mastio.

Questo il quadro, e ogni distinzione fra l’uno e l’altro, negli anni ’40, a guerra finita o quasi finita, negli anni della ricostruzione, non era per diminuire o abbattere l’altro, era per donare il di più del quale l’esperienza umana e quella politica maturata li avevano resi capaci. Certo sarebbe stato il crescente radicalismo socialista di Lussu a rompere gli equilibri, a introdurre un corpo ritenuto dai più, anche dai vicini e vicinissimi (che l’avrebbero anche seguito in qualche evoluzione del posizionamento), estraneo alla cultura consolidata della democrazia repubblicana ed autonomista (direi nata autonomista).

Le conseguenze sarebbero state pesanti e divaricanti nell’ultima stagione: perché si sarebbe arrivati alla scissione del PSd’A, in chiave di sardo-socialismo, nell’estate del 1948, all’indomani cioè delle prime elezioni parlamentari, si sarebbe anche arrivati l’anno dopo alla concorrenza elettorale nella conta politica all’esordio della autonomia speciale (sette gli eletti del PSd’A, tre quelli del PSd’A socialista). Si sarebbe perfino arrivati, a fine 1949, alla confluenza del sardo-socialismo dicentesi federalista nel PSI di Pietro Nenni e Lelio Basso (paradossalmente il partito più centralista fra tutti quelli dell’arco democratico). Una parabola conclusasi con un nuovo inizio ereticale, con l’avvio della militanza socialista di Emilio Lussu, battezzato dalla consegna a lui ed ai suoi della tessera del PSI datata 1919. Lo racconta Lussu stesso in una delle pagine conclusive del suo Sul Partito d’Azione e gli altri, Milano, Mursia, 1968: «Nell’atto scritto della fusione di questo [il Partito Sardo d’Azione socialista] col PSI a Lussu e a 200 dei vecchi suoi compagni del movimento, fu assegnata la tessera del Partito Socialista Italiano del 1919, riconoscendo, così, l’originaria natura socialista del movimento; e a tutti gli altri la tessera socialista alla data della loro iscrizione nel PSd’A e nel PSd’A socialista».

 

Appunti su un dibattito

Lo scorso martedì 14 dicembre [2016], ad iniziativa insieme della sezione cagliaritana dell’Associazione Mazziniana Italiana – una sezione intitolata all’indimenticato Salvatore Ghirra ed attualmente guidata da Antonello Mascia – e dell’Associazione Cesare Pintus, pure del capoluogo, presieduta da Gianni Liguori, si è svolta presso i locali della Società Operaia, nella via XX Settembre, una bella serata di discussione sul tema della relazione fra azionisti e sardisti a Cagliari e nell’Isola in quel tempo che fu di alta febbre ideale e politica. Non importa il numero dei presenti, le minoranze hanno il gusto di interessare gli individui, non le masse. Dell’argomento dovevo trattare io (per la parte azionista prevalentemente) e Salvatore Cubeddu – autore di una corposa biografia politica del PSd’A dalle origini agli anni ’70 (cfr. Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia: documenti, testimonianze, dati e commenti, Sassari, Edes, due voll., 1993 e 1995), qualcosa come 1.370 succose pagine; dovevano poi portare la loro testimonianza di coprotagonisti di vicende che li avevano visti presenti ancorché soltanto ancora adolescenti o giovanissimi, fra Nuoro e Cagliari, Lello Puddu e Marcello Tuveri. Aperto agli altri ogni spazio di intervento per integrazioni o domande di approfondimento.

Vero è che questo impianto è stato rispettato per il grosso, vero è anche però che un mio introduttivo riferimento alla severità “italianista” degli azionisti isolani chiamati da Lussu a confluire nelle sezioni sardiste come prezzo (o concambio) per ottenere dal PSd’A il riconoscimento del Partito d’Azione quale formazione di riferimento nella politica nazionale ed internazionale, ma poi più concretamente per ingrossare, all’apparenza almeno, la corrente appunto lussiana dettasi socialista, ha deviato – sul piano dei contenuti – tutto il dibattito. Che è andato per il più alla misurazione del tasso di lealismo italianista (da me sempre sostenuto) o di pulsività separatiste del PSd’A (presenti invece in una parte ampiamente minoritaria del partito, forse anche consapevole dell’irrealismo della prospettiva affacciata senza alcuna approfondita riflessione). Con qualche opportuna e acuta riflessione di Tuveri circa il doppio livello che rendeva obiettivamente difficile l’incontro fra Pd’A e PSd’A: per il fatto, a dirla in breve, che il primo puntava tutto al progetto politico e mostrava, pur fra le contraddizioni interne (forse non tutte percepite nell’Isola), un formidabile senso della storia e conoscenza delle dimensioni di tutti i problemi in campo, ed il secondo era tirato nelle considerazioni di vita della pressante quotidianità popolare.

Quella che segue è la scaletta degli argomenti come l’avevo preparata e avrebbe meglio delineato i percorsi faticosi della prossimità e delle distanze, se il dibattito avesse seguito l’ipotizzato svolgimento.

Resta la schematicità degli appunti, ho qui soltanto aggiunto qualche verbo a dare un minimo di compiutezza grammaticale agli alinea tematici.

E sarei partito, intendendo dimostrare la complessità politico-ideale dell’azionismo assumendola come valore positivo, cui avrei sognato si fosse saputo dare una migliore sintesi, rivelando quanta altra complessità avrei io stesso trovato nel Partito Repubblicano Italiano, che in parte, sommandosi o integrandosi al tronco storico dei mazziniani, dalla storia azionista derivava: quel partito al quale mi iscrissi (nella Federazione Giovanile) diciottenne nella sede cagliaritana di via Sonnino, quasi nei giorni in cui Bruno Josto Anedda lavorava intensamente al suo Angius prima che al suo Asproni. Combinando così energie personali e spazi alla storia del risorgimento e alle prospettazioni moderniste del repubblicanesimo lamalfiano.

Ma a tutto avrei anteposto una pagina che ricordo mi colpì e accese, ancora adolescente, leggendo (nella sua edizione pocket, 350 lire accessibili anche a uno squattrinato assoluto come me) quel Papato socialista di Giovanni Spadolini – al tempo direttore del Corriere della Sera e collaudato facondo professore a Firenze – al quale ero stato indirizzato per orientare la mente ad altre e maggiori complessità che non quelle che avrei trovato nella politica, intendo quelle della storia e della storia magna dei rapporti fra Stato e Chiesa, sempre dilaceranti in Italia.

Fu forse quello, quasi cinquant’anni fa, il primo incontro con l’azionismo, quale me lo rappresentava lo Spadolini, storico di formazione crociana, certamente con rispetto e quasi devozione per l’altezza ideale dei suoi apostoli, ma anche caricandolo della responsabilità di aver talmente radicalizzato, in termini etico-politici, la sua presenza sulla scena nazionale del post-fascismo da aver crocifisso tutto quanto aveva portato alla dittatura (tanto più nella galassia liberale, magari notabilare e giolittiana), ma con questo facendo inevitabilmente spazio alla repubblica guelfa, alla repubblica governata (e tanto spesso malgovernata) dai democristiani.

 

Il Pd’A e il “Papato socialista” di Spadolini

«Ai più acuti fra i pensatori cattolici non poteva sfuggire, nell’immediato dopoguerra, la crisi ideale del Risorgimento, che trovava nei “comitati di liberazione nazionale” i suoi ultimi guizzi rivoluzionari, ormai destinati all’esaurimento…

«La negazione, la confutazione, la discussione spesso feroce e senza riserve dei raggiungimenti dell’Ottocento dava a tutti la sensazione che un processo ideale si era veramente chiuso, che lo Stato nato dalla fortuna monarchica aveva perduto ormai il suo “stellone”, dissolvendo nella sconfitta i miti che lo reggevano…

«Le nuove generazioni erano sorde a tutti gli appelli della mitologia patriottica; la corrosione era nelle coscienze prima che negli atteggiamenti e nulla poteva sanarla, nulla poteva infrenarla. La Monarchia stessa era in discussione, proprio perché era in discussione il Risorgimento, in cui essa si rifletteva e quasi s’identificava. I valori “nazionali”, screditati dalle degenerazioni del fascismo, i principi liberali e laici, criticati oggi non meno di ieri, tutta l’eredità della patria era all’incanto: e chi avrebbe avuto il coraggio di rivendicarla?…

«Agli intellettuali, agli uomini della cultura laica, importava soltanto rilevare le responsabilità del passato remoto o recente: era la gara per la ricerca dei colpevoli. Lontani o vicini, morti o vivi non interessava: purché colpevoli. Colpevoli di quel che non era avvenuto o di quel che era avvenuto poco e male, della libertà insufficiente, della moralità scadente, dei fiacchi costumi, dello scarso spirito pubblico, del cattivo funzionamento degli istituti politici…

«Il partito d’azione, che raccoglieva tanti degli eredi dello spirito gobettiano, che conservava in sé le ansie del revisionismo salveminiano e del puritanesimo della Voce; il partito d’azione, che era l’ultimo filo della corrente ereticale italiana, l’ultima eco protestante in Italia; il partito d’azione, che perfino nelle figure fisiche, nei suoi giornali, nei suoi congressi, nei suoi gesti era tutto risorgimentale, tutto giacobino, alla Alberto Mario o alla Pisacane; il partito d’azione, che era il più spietato nella ricerca delle responsabilità, nella denuncia delle colpe, nell’inseguimento dei colpevoli, in realtà lavorava per i suoi nemici, spazzava il terreno che avrebbe servito ad accogliere la repubblica guelfa».

 

Pluralismo ideologico nel PRI

Fatto lamalfiano per attrazione, per il carisma intellettuale e civile di un uomo dell’antifascismo e della resistenza che aveva l’orgoglio della minoranza, avrei col tempo, maturando con l’età, le letture e le esperienze, messo meglio a fuoco, progressivamente, tutta la ricchezza morale e culturale, prima che politica del repubblicanesimo italiano, scoprendo in esso le molte fronde originate dall’unico albero. Così era stato, e meglio sarebbe stato, anche in Sardegna, per almeno due decenni, fra anni ’60 e anni ’70.

Questo dunque avrei acquisito.

Ugo La Malfa al 29° congresso nazionale repubblicano, del 1965, in cui assume la segreteria politica: «Ho finito, amici repubblicani. Che cosa sono nel vostro partito? Sono mazziniano, sono cattaniano, sono gobettiano? Ebbene, nell’umiltà delle mie forze, sono tutto questo. E’ inutile, Zuccarini, che mi combatti, c’è la tua battaglia nella mia coscienza, te lo posso dire. C’è anche la battaglia di Conti, di Ghisleri, di Mazzini, di Cattaneo, di Salvemini, di Amendola, di Gobetti. E c’è anche la battaglia di Gramsci. C’è la grande amara sofferenza del pensiero politico democratico… ma con grande responsabilità.

«Mi volete solo mazziniano, per la divisione degli utili, l’azionariato operaio? No… ma se uno solo di questi elementi, di questa sofferenza, di questa passione di sinistra, di questo dramma della sinistra democratica italiana c’è in me, ebbene, siate indulgenti, non chiedetemi il certificato di origine, perché questo è nella mia coscienza, non è nella mia tessera…».

Oronzo Reale al 30° congresso nazionale repubblicano, del 1968, a forte sostegno della segreteria La Malfa: «Fra l’altro voglio dire che mi è piaciuta l’affermazione che l’amico La Malfa fa nella sua relazione, quella rivendicazione della ispirazione ideologica fondamentale del Partito repubblicano, visto che la stampa, gran parte della stampa, ha interpretato questo congresso in chiave di contrapposizione fra tradizione e modernità. E’ una chiave che noi rifiutiamo perché non apre nessuna porta…

«L’affermazione di La Malfa mi è piaciuta, non perché io appartenga alla schiera di coloro che recitano il Pater Noster mazziniano ogni giorno… ma perché questa affermazione era necessaria per rassicurare i repubblicani che erano rimasti – in parte almeno – un po’ impressionati dal fatto della intitolazione alla ideologia…

«Non ci si allontana dalla tradizione repubblicana quando si discute la validità di certe formule temporali, nelle quali si è espressa la nostra dottrina. Perché il fondamento ideologico del repubblicanesimo, della scuola repubblicana, della dottrina repubblicana, non sta nelle formule temporali, transeunti e strumentali, nelle quali si è espressa in certi momenti storici. Alcune di queste formule vanno ripensate di fronte alla realtà economica e sociale dei giorni nostri. E, comunque, esse non sono formule risolutive dei problemi di fronte ai quali ci troviamo, considerati sia nel loro aspetto quantitativo, dimensionale, sia nel loro aspetto qualitativo…

«E mi ricordo, amico La Malfa, che, nei primi tempi del Partito d’azione, siamo andati insieme a fare una visita all’onorevole Giovanni Conti, che era un maestro del repubblicanesimo tradizionale: in quell’occasione La Malfa è rimasto quasi sorpreso di sentire dire da Conti queste cose, e cioè questo storicismo, questa flessibilità in relazione alle formule delle soluzioni economiche.

«Quindi non siamo fuori dalla tradizione repubblicana quando diciamo che alcune di queste formule vanno ripensate…».

E Ugo La Malfa allo stesso congresso, nelle conclusioni: «E’ stata questa una mia preoccupazione: di proiettare all’esterno il patrimonio storico, culturale del partito, di muovermi su di un filo dottrinario, ideologico, che dai grandi del Risorgimento giunge ai nostri giorni. E’ stato un lavoro difficile, tenace, quello di cercare di rispecchiare questo grande patrimonio ideale della democrazia del nostro paese, che passa attraverso spiriti immensi, immensamente più grandi di ciò che noi rappresentiamo.

«Ho financo il pudore di fare dei nomi. Mi si è detto di aver citato solo il nome di Mazzini, ma ciò corrispondeva alle mie intenzioni. Io dovevo partire da uno dei nomi più grandi che registra la storia del pensiero democratico del nostro paese, ma poi, per non commettere ingiustizie per omissione nelle citazioni, ho evitato di collocargli a fianco gli altri grandi.

«Io ho coscienza di aver rispettato la continuità del pensiero democratico. Il mio sforzo è stato solo quello di tradurlo in termini moderni, perché il pensiero democratico, formatosi storicamente in età diverse, può ancora vivere, sta alla nostra responsabilità collocarlo nella società moderna».

Ancora Ugo La Malfa al 32° congresso nazionale repubblicano, del 1975 (quando lascia la segreteria per assumere la presidenza del partito): «Io sono fiero di essere tra di voi, vecchio partito, antico partito, antica nobiltà. Sono fiero e vi ringrazio, con umiltà, di avermi accolto e di avermi dato tante soddisfazioni. Ma anche quello è stato un passaggio glorioso, amici repubblicani.

«Stando tra voi io non posso dimenticare (allora ero giovane) i giovani che alle Fosse Ardeatine sono morti per il Partito d’azione. Essi sono nella mia coscienza, come voi tutti, vivi, siete nella mia coscienza, come i padri del Risorgimento sono nella mia coscienza…

«Nel 1945 io ebbi una lunga e clamorosa polemica con Pietro Nenni, che si può leggere ormai nei libri di storia: io dicevo a Pietro Nenni: Lo schieramento del PSI non può essere accanto al PCI, in nome dell’unità della classe operaia. Noi insieme, repubblicani, azionisti, socialisti, costituiamo una grande forza laica. E se quella proposta fosse stata accolta non avremmo oggi né l’egemonia dei cattolici, né l’egemonia dei comunisti. Avremmo avuto, allora alla vigilia della Costituente, la grande bandiera democratica, laica e socialista, come forza direttrice della democrazia nel nostro Paese. Pietro Nenni mi rispose che per lui l’unità della classe operaia era il valore fondamentale, e che noi non avevamo alcun titolo a questo riguardo…».

 

Pluralismo ideologico nel Pd’A

Dall’altra parte restava il mito di Emilio Lussu, sardo come me e per questo sentito come un lare, ancorché vivo e attivo negli anni del mio approccio alla politica (lo andai a visitare, nella sua casa di Cagliari, nell’estate del 1972, e fu un incontro luminoso). Avrei avuto modo di approfondire la sua impostazione ed elaborazione nei lunghi anni dell’antifascismo e della costruzione della repubblica.

Così dunque Emilio Lussu nel terzo capitolo del suo Sul Partito d’Azione e gli altri (Mursia, 1968), titolo “Il convegno clandestino del Pd’A a Firenze”: «… a Firenze, il 5 e il 6 settembre ’43, ebbe luogo quello che doveva essere il primo convegno nazionale del Pd’A. Era un convegno, e non un congresso… e il convegno non era neppure propriamente nazionale. Vi mancavano infatti, oltre a molti rappresentanti del Nord e del Centro, tutti i rappresentanti del Mezzogiorno e delle Isole. Il convegno era clandestino… Il primo giorno presiedeva Bauer e il secondo Leone Ginzburg… Delle sedute non venne redatto verbale né fatto l’elenco dei presenti… Qualche gruppetto rimase a Firenze anche il 7, per accordarsi sui collegamenti interregionali…

«I presenti superavano certamente la cinquantina… dal Lazio dieci:… Francesco Fancello… Leone Ginzburg, Ugo La Malfa, Oronzo Reale… Stefano Siglienti, Bruno Visentini, e infine Joyce Lussu ed Emilio Lussu provenienti dall’estero…

«E’ da quel convegno che è derivata la costituzione di un gruppo dirigente, al quale si deve principalmente la guida politica del partito nel momento più critico della nuova situazione che veniva a crearsi…

«Il convegno dimostrò quanto sia difficile, nel lungo periodo di una dittatura di polizia, discutere in molti, trovare una linea politica comune di pensiero e di azione e di concludere, politicamente, fra compagni provenienti da luoghi ed esperienze e cultura differenti… In un partito politico nuovo, e peggio ancora in un nuovo movimento che ha i suoi aderenti dispersi e all’estero e nel territorio nazionale, la formazoine di un’organizzazione centrale collegata a quella periferica, presenta difficoltà pressoché insormontabili…

«Prima di aprire la seduta, a gruppetti si dava uno sguardo al dattiloscritto della breve relazione che era stata distribuita, non in molte copie. Io stesso avevo fatto circolare un diecina di copie dell’ultimo mio stampato clandestino in Francia, La ricostruzione dello Stato, che Joyce Lussu ed io stesso avevamo potuto, col nostro rientro, far passare in Italia. E si scambiavano le idee sul socialismo liberale di Carlo Rosselli, sul liberal-socialismo toscano, sui repubblicani socialisti e sui sindacalisti socialisti, sul PSI, sui ceti medi e sul proletariato…

«La relazione esponeva il programma dei “7 punti”. Il primo comprendeva l’esigenza della repubblica parlamentare con la classica divisione dei poteri… Il II allo stato centralizzato opponeva la riorganizzazione dei comuni e delle province, che venivano mantenute; le regioni vi apparivano autonome in forma indefinita. Era una concezione arretrata, di fronte alla visione federalista-regionale dello Stato italiano, avanzata da GL fin dal marzo ’33, con uno scritto di Lussu approvato all’unanimità… Il III comprendeva da un lato la nazionalizzazione dei complessi industriali e assicurativi, delle imprese a carattere di monopolio e d’interesse collettivo, e dall’altra la proprietà individuale e associata. Era l’economia a due settori del programma GL del 1932… ll IV presentava la riforma agraria, tesa sì a immettere vaste masse di lavoratori nella terra, mentre la mezzadria e l’affittanza si presentavano suscettibili solo di essere trasformate nei loro rapporti… Nel V avevano posto le libere organizzazioni sindacali, con la rappresentanza unitaria delle varie categorie e la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa. Nel VI… si affermava la separazione del potere civile da quello religioso. Il VII infine avanzava la necessità della federazione europea di Liberi Paesi democratici…

«Per dare una rapida idea delle divergenze fra i “7 punti” e il pensiero politico di GL così come lo esprimevo nell’opuscolo La ricostruzione dello Stato… ricorderò che Parri… ne era rimasto sensibilmente contrariato. Tale accoglienza non mi aveva particolarmente colpito, per il fatto che lo stesso Carlo Rosselli, che considerava Parri “la sua seconda coscienza”, lo definiva un conservatore illuminato…

«Oltre la sommaria rievocazione del contenuto de La ricostruzione dello Stato, precisavo quello che era il mio pensiero dominante e che più tardi, durante la Resistenza romana, avrei dovuto esporre nei 10 punti a La Malfa e nei 21 al Pd’A e cioè: “GL è l’organizzazione politica degli operai, dei contadini, dei tecnici, degli artigiani, degli intellettuali e di quanti vivono del proprio lavoro. GL dev’essere il partito unitario dei lavoratori italiani senza distinzione di religione, di razza o di sesso”…

«Questi compagni, costituitisi nel Pd’A al di fuori della corrente di GL saranno le minoranze sconfitte al congresso di Cosenza e a quello di Roma… Ritengo che al convegno neppure un terzo condividesse le tesi di Lussu… Dottrine nuove e nuove definizioni sul Pd’A furono esposte da più di un delegato. L’affermazione che il Pd’A dovesse esser la voce della coscienza del partito comunista cui avrebbe dovuto fornire i quadri intermedi, e nello stesso tempo un partito della piccola borghesia cittadina, mi colpì molto, perché dopo la Liberazione una simile enunciazione è apparsa in un libretto d’uno scrittore non ignoto, che si richiamava a Gobetti [Augusto Monti]…

«Altri parlarono del Pd’A come solo grande partito dei ceti medi. Fra quanti parlarono pochissimo, e con idee chiare, vi fu Duccio Galimberti, che presentò la regione come organizzazione diretta di democrazia, a difesa dagli arbitri e dalle offensive dello Stato centralizzato anche se repubblicano.

«A conclusione del dibattito sui “7 punti” si poteva dire che non vi fossero cinque o sei compagni che potessero riconoscersi attorno a una stessa tesi. Neppure attorno a La Malfa che, pur palesandosi tra i più attivi, e ben deciso nelle proprie idee, sembrava pronto a transigere su molti punti, ma non sulla struttura dello stato capitalistico, ordinamento ideale, correggibile ma non sostituibile, della civiltà del mondo moderno…

«Nella sua composizione principale, il convegno era, in modo certo, l’espressione dei ceti medi, ma di ceti medi che, per la prima volta nella storia nazionale, si orientavano verso il socialismo sia pure in forme estremamente differenziate… Solo la libertà costituiva un’aspirazione comune, ma non bastava».

A dire di quella multiformità ideale/ideologica dell’azionismo sarà in anni più recenti anche e ancora Ugo La Malfa, che risponde ad Alberto Ronchey in Intervista sul non-governo (Laterza, 1977): «Nel Partito d’azione vi erano posizioni piuttosto divergenti dal punto di vista ideologico. Vi era una corrente che, sotto l’influenza di Carlo Rosselli e poi di Emilio Lussu, si richiamava al socialismo; un’altra, sotto l’influenza di Calogero, che si richiamava al liberal-socialismo; ancora un’altra, che si poteva definire democratica di sinistra che, attraverso me e altri, si richiamava ad Amendola e culturalmente a Croce; e infine, vi era la corrente discendente dalla tradizione repubblicana, impersonata da Oronzo Reale. Un equilibrio tra queste correnti era stato raggiunto attraverso la formulazione concreta del programma e l’azione politica. Ciò che cominciò a minare l’equilibrio raggiunto fu prima il convegno di Firenze, avvenuto fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, che diede a Lussu possibilità di influire sulla nomina dell’esecutivo del partito che doveva guidare l’azione durante l’occupazione tedesca e poi, dopo la Liberazione, il fatto che il Partito d’azione accettò con molto entusiasmo la presidenza Parri del governo costituito dopo la liberazione del Nord. La caduta di quel governo, per gli errori compiuti, oltre che per l’azione congiunta liberale e democristiana, determinò un pesante strascico polemico nel partito e lo portò ormai diviso al primo suo congresso. Eravamo rimasti nel governo De Gasperi succeduto al governo Parri, come rappresentanti del Partito d’azione, io stesso, considerato rappresentante della frazione non socialista del partito, e Lussu che era considerato il rappresentante maggiore della corrente orientata sul socialismo. Io e Lussu ci eravamo messi d’accordo, alla vigilia del congresso, per non inasprirne le divisioni, e rispettare lo statu quo, ma una gran parte degli altri esponenti si era messa d’accordo per fare il cosiddetto “taglio delle ali”, cioè per relegare in posizioni di minoranza sia Lussu che me. L’operazione non riuscì, poiché Parri si schierò completamente contro Lussu e mi diede quindi la possiblità di confluire nella maggioranza che avrebbe riportato la vittoria. Ma quando Parri sorprendentemente ritirò la sua mozione desistendo dalla battaglia iniziata, e diede a Lussu la possibilità di conseguire la vittoria, si aprì la strada a un’immediata scissione, con l’uscita dal partito di Parri, di me e di altri esponenti».

 

Pluralismo ideologico in GL

Il punto è sempre questo. Il pluralismo ideale/ideologico e quindi politico nelle formazioni anche di minoranza e perfino di estrema minoranza – nei repubblicani degli anni ’60 e ’70, come negli azionisti del dopoguerra alla “fabbrica della Repubblica” – e più a monte ancora, nel movimento di Giustizia e Libertà.

Ricorda Giuseppe Fiori in Il cavaliere dei Rossomori: «La guida del movimento è affidata a un triumvirato espressivo delle tendenze su cui GL si fonda: Rosselli socialista, Lussu sardista-repubblicano, Tarchiani liberale».

Certamente queste sarebbero state qualificazioni mobili, rivedibili e riviste. Si pensi fra il molto altro al repubblicanesimo socialista di Fernando Schiavetti, che pure era stato segretario nazionale del PRI (e in quanto tale in visita in Sardegna nel 1921) e che attraverso Giustizia e Libertà approderà a convinzioni socialiste e sarà deputato costituente, nel 1946, per gli azionisti ormai tutti di fede socialista. Rimane la varietà iniziale e la ricerca faticosa della sintesi.

Parentesi. Si è sempre parlato, ma non ho il supporto documentario, della appartenenza di Emilio Lussu negli anni della sua iscrizione universitaria, dunque all’inizio del secondo decennio del Novecento, alla sezione repubblicana di Cagliari. E comunque potrebbe dirsi che un certo suo spirito interventista si saldava bene al sentimento diffuso nella democrazia, né liberal-giolittiana, né socialista, né cattolica, del tempo in ordine alla partecipazione dell’Italia al conflitto europeo in chiave antiasburgica, poer il compimento risorgimentale, con Trento e Trieste finalmente nei confini della patria. Da qui e anche, pur dopo i ripensamenti destinati alla summa di Un anno sull’altipiano, che è del 1938, dalla esperienza parlamentare di quattro anni, dalle competizioni elettorali del 1921 e più ancora del 1924 (si pensi al quotidiano Sardegna, cofirmato da Raffaele Angius sardista e Silvio Mastio repubblicano, tutto in chiave lussiana, e si pensi anche alla intervista di Cesare Pintus a Emilio Lussu uscita sulla prima pagina de La Voce Repubblicana), e a quanto ne seguì nell’Aventino, può darsi per coerente quella prossimità repubblicana attribuitagli nel 1929 all’atto della fondazione di Giustizia e Libertà.

Le sintesi di compatibilità si sarebbero cercate negli anni ’40 fra azionismo e sardismo, nel nome di Lussu, con forzature di varia natura, e la maggiore non sarebbe stata quella dell’apparentamento – che pur ebbe la maggior tribuna anche delle polemiche e dei dubbi – ma nel carico di socialismo che Lussu avrebbe cercato di portare all’interno del sardismo, invece storicamente interclassista per origine e ragione.

 

Anni ’20, il magma combattentista incapace di sintesi

Altre sintesi si sarebbero cercate, e infine però non trovate sotto il profilo puramente politico, dal PSd’A con le altre formazioni cosiddette azioniste del continente nei mediani anni ’20, alla vigilia della dittatura. Tanto più con il Partito Molisano d’Azione. Tutto quel magma politico/ideologico che avrebbe agitato la scena nel dopoguerra e ancora per un lustro circa, combinando l’Associazione Nazionale Combattenti che discuteva della propria apoliticità e il partito cosiddetto di Rinnovamento, nel quale avrebbero trovato spazio la prima pattuglia di deputati sardisti/presardisti eletti nel 1919 con la lista dell’Elmetto nonché appunto le formazioni azioniste, e magari del socialismo contadino, che s’erano affacciate in riviste come Volontà di Vincenzo Torraca – cui dalla Sardegna collaborarono Bellieni e Fancello/Cino d’Oristano e Lussu stesso –, tutto quel magma non avrebbe prodotto una linea chiara, e a monte una soggettività individuabile ed organizzata, della nuova politica contro il montante pericolo fascista.

Nuovi i popolari, e cioè i cattolici che finalmente erano stati sdoganati dalla grande guerra per la partecipazione alla vita delle istituzioni nazionali; nuovi i socialisti, che pur vivevano il contrasto fra tendenze riformiste e massimaliste, e perfino comuniste; divisi nelle strategie e anche nelle tattiche politiche e parlamentari i liberali della galassia comprensiva dei giolittiani e dei nittiani, degli amendoliani e di una destra tutta conservatrice e lealista; restava di fianco a certo riformismo e ai repubblicani di Giovanni Conti e magari di Oliviero Zuccarini – alla cui Critica Politica collaboravano ancora Bellieni e Fancello –, il magma dell’azionismo meridionale ed insulare con le sue istanze autonomiste, restava il magma dell’azionismo ruralista presto allettato e soffocato dal fascismo in vista di farsi regime – anche in Sardegna – sicché le sintesi fra le diverse anime di un’unica famiglia diventarono impraticabili e anzi impensabili.

Negli anni ‘40 la ricerca delle sintesi avrebbe riguardato sardisti ed azionisti, dico gli azionisti del Partito d’Azione, così in politica economica come in politica istituzionale. Ma, è da ripetersi, se questa sintesi poteva trovarsi, tramite Lussu, nelle formulazioni, invero soltanto accennate, autonomiste o federaliste, certo fu un equivoco grande il contagio socialista che il Partito Sardo rifiutò con nettezza soltanto alla fine ma che, subito in non cale, dette risultato al congresso della scissione azionista del 1946, perché vinse Lussu, sedicente (?) leader morale-politico del sardismo, con il suo programma appunto socialista.

E si ha memoria, a questo proposito, dei rimbrotti de Il Solco a Parri, presidente del Consiglio uscente, e uscente anche dal Partito d’Azione insieme con La Malfa e molti altri, Siglienti fra essi. Perché – va ancora rimarcato – il Partito Sardo sosteneva, pur dall’esterno, le posizioni lussiane senza valutare l’alto tasso di socialismo che quelle posizioni contenevano e che esso intimamente avversava. E senza valutare con la giusta freddezza l’ammonimento di Ugo La Malfa che indicava nell’associazione lussiana socialismo-federalismo quasi un ossimoro, una contraddizione in nuce, data l’esperienza storica. (Ben altra la storia negli anni ’60, tanto più nella quarta legislatura repubblicana, della relazione fra sardisti e repubblicani, che avrebbe portato Giovanni Battista Melis al seggio parlamentare e alla vigilanza critica sulla attuazione del piano di Rinascita. Le difficoltà finali non sarebbero state addebitabili in alcun modo alla politica economica ma a quella dello strisciante separatismo di Simon Mossa in uno con la mitologia delle lingue tagliate).

Tutto interno al tatticismo lussiano, la dirigenza del PSd’A non seppe vedere con lucidità tale contraddizione, che si sarebbe rivelata ai loro occhi già fra il 1947 ed il 1948, con la pervadenza classista nel programma di Lussu, così da portare questi alla scissione sardista del luglio 1948 e infine alla confluenza nel PSI.

 

Il resistente influsso azionista nella prima Repubblica

Certo sarebbe da dire che, pur nella varietà delle opzioni politico-programmatiche, la migliore dirigenza del Partito d’Azione – che verrebbe da dire essere… l’intera dirigenza del Partito d’Azione! – fu segnata da una impronta culturale ed etico-civile di primissimo riguardo, tale da potersi affermare nei più diversi campi, non soltanto politici, della vita repubblicana quale si sarebbe espressa per molti decenni. A darne una rapida (e parzialissima) prova si consideri la nomenclatura:

PRI: La Malfa – Reale – Visentini – Cifarelli

PSI: Lombardi – De Martino – Lussu – M. Berlinguer – Vittorelli (Codignola, Fancello)

PSDI: Calamandrei -  Garosci

Sinistra indipendente: Parri – Antonicelli (ex CDR)

Federalisti: Altiero Spinelli

Radicali: Ernesto Rossi – Bruno Zevi – Leo Valiani

Società Umanitaria: Riccardo Bauer

Università: Norberto Bobbio – Guido Calogero – Luigi Salvatorelli – Guido Candeloro – Federico Chabod

Giornalismo: Giorgio Bocca – Francesco Fancello

Letteratura: Carlo Levi

Magistatura: Alessandro Galante Garrone

Corte Costituzionale: Ettore Gallo

Economia: Carlo Azeglio Ciampi – Enrico Cuccia

CGIL: Vittorio Foa

 

Azionisti/Sardisti anni 1943-1949, rassegna degli episodi

-       All’indomani dell’armistizio abbandonano la Sardegna 25mila/32mila soldati della Wermacht il cui comando è presso Collinas/Gonnostramatza (le forze italiane ammontano a circa 130mila uomini)

-       I tedeschi “quasi” senza colpo ferire lasciano l’Isola alla volta della Corsica (episodi Ponte Mannu, La Maddalena, affondamento corazzata Roma, ecc.)

-       postArmistizio, ricostituzione dei partiti

-        gli azionisti cagliaritani targati “GL” (negli avvisi/manchette dei giornali, vedi L’unione Sarda con Cesare Pintus caporedattore) – a Sassari L’Isola defascistizzata con direzione Satta Branca e Riscossa

-       Flashback: Giustizia e libertà e Partito Sardo d’Azione: Lussu cofondatore con Rosselli e Tarchiani

-       Giustizia e libertà, Centro romano – Fancello-Siglienti (entrambi di origine sardista, Dorgali-Oristano e Sassari)

-       Giustizia e Libertà, Sardegna: coordinatore Sassari è Luigi Battista Puggioni, a Nuoro Dino Giacobbe, a Cagliari Cesare Pintus (i primi due di origine sardista, il terzo repubblicano in comunione con il PSd’A: nel 1925 Mazzini celebrato nella sede de Il Solco)

-       arresti ottobre-novembre 1930 (la retata di Bauer-Ceva-Parri-Rossi-Luigino Battisti, ecc.): fra Montepulciano e Cagliari arrestati Fancello e Pintus – (Girolamo/Pintus ha scritto a Mariano/Fancello includendovi un messaggio in inchiostro simpatico, procurato da Titino Melis, di Froid/Pintus e Carciofo/Lussu per informarlo della organizzazione ed attività di GL in Sardegna) – ballano i nomi di Sogliola, Mastro, Vescovo… e altri

-       in Sardegna arrestati Anselmo ContuEfisio LiggiEugenio CaoAntonino LussuGiovanni PirisiMichele Saba (tutti sardisti, l’ultimo repubblicano)

-       guerra di Spagna, Giuseppe Zuddas sardista monserratino (Monte Pelato), Dino Giacobbe (batteria Rosselli, 60 italiani e 30 spagnoli, già combattenti nella grande guerra ma anche 17enni) – Lettere d’amore e di guerra, libro curato da Simonetta Giacobbe

-       Lussu persona-chiave degli snodi GL-Pd’A-PSd’A

-       nel settembre 1943 a Firenze partecipa al gruppo degli aderenti al nuovo Partito d’Azione (vedi Sul Partito d’Azione e gli altri)

-       articolazione territoriale dell’azionismo (in parte di ispirazione GL, in parte no): Cagliari/Pintus, Sassari/Berlinguer-Cottoni, inizialmente manca Nuoro (Gonario Pinna è ancora esponente repubblicano)

-       l’azionismo sardo acquista una presenza nel Nuorese quando Pinna partecipa, per il PRI, al congresso dei partiti antifascisti (riuniti in CLN provinciali) convocato a Bari nel gennaio 1944 ed apprende (per equivoco) che i repubblicani sono tout court confluiti nel Partito d’Azione

-       anticipazione: lettera di Pintus e Pinna a Lussu (estate 1944) sulla realtà sociale-ideale degli azionisti sardi in PSd’A

La lettera-verità di Pintus e Pinna a Lussu, settembre 1944

L’antefatto, in sintesi estrema, è il seguente: Lussu, sulla convinzione che il suo personale carisma avrebbe determinato le scelte sardiste alla ripresa delle libertà politiche, tenta la confluenza del PSd’A nel Partito d’Azione, assicurando che egli stesso sarebbe stato la garanzia della prosecuzione della ispirazione autonomista/federalista del partito nel nuovo contesto nazionale e all’interno della nuova formazione distintasi per il rigore antifascista. Peraltro con lui uomini del livello di Francesco Fancello e Stefano Siglienti ben poteva assicurare la coerenza ideale e politica fra PSd’A e Pd’A. Questa linea egli sostiene al rientro in Sardegna, nei numerosi comizi tenuti nei principali centri isolani. Questa linea viene con argomentazioni stringenti sostenuta da Fancello e Siglienti al congresso di Macomer del Partito Sardo, dove infine, contro le resistenze ed ostilità di una parte apertamente separatista, il grande centro di Mastino-Oggiano-Melis afferma non la confluenza ma la prossimità all’azionismo.

Da parte sua, Lussu, non potendo raggiungere il maggior obiettivo della sperata confluenza (in funzione del rafforzamento del suo indirizzo socialista avverso alla linea dei democratici), rapidamente punta su una subordinata: sarebbero gli azionisti sardi a confluire nelle sezioni sardiste, in cambio del riconoscimento del Pd’A quale referente nazionale (e sulla politica anche internazionale) del Partito Sardo. Sostiene questa scelta, trattandone con i suoi – cioè con gli azionisti sardi – argomentando che il movimento azionista sia costituito, di fatto, nell’Isola, da sardisti militanti prima della dittatura.

E’ appunto a tale giustificazione, ritenuta strumentale, che ribattono Cesare Pintus e Gonario Pinna quando in una lettera a Lussu fanno presente quanto i quadri azionisti isolani, tanto più quelli sassaresi e certamente anche quelli nuoresi, sono estranei alla storia del sardismo, ma vantano altre provenienze.

Ecco il testo della lettera (l’inedito è stato pubblicato nel mio Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano, Cagliari, Alternos, 1990: trovai il documento, insieme con tutti gli altri riferiti ai patti che sarebbero stati sottoscritti il 15 settembre 1944 a Macomer, in una cartella riservata custodita da Antonino Lussu, da questi mostratami in occasione di un incontro privato, e concessami con liberalità per i motivi della ricerca, tempo dopo, dal nipote dello stesso dottor Lussu, l’allora giovanissimo Massimiliano Rais):

«Caro Emilio,

«Ho avuto la tua lettera, datata 2 agosto, che ho letto a Gonario Pinna col quale siamo rimasti d’accordo per inviarti la seguente risposta, che devi ritenere come risposta di tutti i nostri compagni delle due province. Non mi è stato possibile recarmi a Sassari per comunicare ai nostri compagni il testo della tua lettera, e quindi questa risposta non li impegna; appena potrò mettermi in comunicazione con loro, mi affretterò a farti conoscere il loro pensiero e le loro decisioni. Rispondiamo, punto per punto, alla tua lettera.

«Hai scritto: “Le costituzioni delle sezioni del partito italiano d’azione sono indubbiamente artificiose. Esse sono, in realtà, sezioni del partito sardo di azione; tutte, nessuna esclusa, a quanto ho potuto personalmente constatare”.

«Non è esatto quanto affermi. Tu hai parlato ai compagni della sezione di Sassari del partito italiano d’azione, per esempio; nessuno degli inscritti a quella sezione ha mai fatto parte del partito sardo e non ne ha mai condiviso le idee. Si tratta in prevalenza di giovani provenienti dal liberalismo, dal socialismo, dal mazzinianismo. Puoi controllarlo quando vorrai. In provincia è la stessa cosa; i sardisti, non appena si è resa possibile la riorganizzazione dei partiti, hanno ricostituito le loro sezioni, che con le nostre nulla hanno mai avuto di comune. I nostri compagni di Sassari (in particolar modo Spano-Satta, Passigli, Merella, Cottoni) hanno svolto in quella provincia attiva propaganda sin dal luglio 1943 ed erano già in precedenza in rapporto con Calogero e con l’ambiente universitario di Pisa, dal quale alcuni di loro provengono, e compilarono e distribuirono opuscoli di propaganda, che nulla, assolutamente nulla, hanno a che fare col programma del partito sardo di azione, e infine, tennero in provincia di Sassari anche molti comizi nei quali illustrarono e diffusero il programma politico e sociale del partito d’azione, che qui in Sardegna – per non essere confuso appunto col partito sardo d’azione, e per non creare degli equivoci – fu chiamato italiano. In seguito è venuta la tua intervista romana, ed è ben naturale che noi, in Sardegna, affermassimo che tu eri uno dei maggiori esponenti del partito italiano d’azione.

«In provincia di Cagliari è avvenuto presso a poco lo stesso, sebbene in tono minore per la impossibilità in cui mi sono trovato di fare opera attiva di propaganda. Ma anche io ho diffuso molta stampa del partito d’azione, e tu, che conosci molto bene le mie origini politiche, non puoi avere dubbio alcuno sul carattere della propaganda che ho svolto e sul fatto che ciò facendo io abbia sempre inteso fare opera ben distinta da quella della propaganda sardista. Le Sezioni nella provincia di Cagliari si sono costituite dopo che i simpatizzanti hanno preso conoscenza ed approvato il programma del partito. Anche con Liggi di Serramanna, come potrai controllare facilmente, ho agito con la massima lealtà; ma siccome conoscevo il suo attaccamento per la tua persona, l’ho consigliato, al fine di evitare prevedibili sbandamenti pericolosi verso destra, di costituire la sezione del partito italiano di azione con l’intesa esplicita che al tuo arrivo in Sardegna tu avresti sul posto chiarito la situazione. Lo stesso linguaggio ho tenuto nel Gerrei.

«Ma a Solarussa, a Ghilarza, a Sorradile, ad Ardauli, ed in tutta la zona del bacino del Tirso si sono costituite delle sezioni del partito italiano d’azione, e ti posso assicurare che gli inscritti non sono molto favorevoli all’idea di fondersi con i sardisti.

«Hai scritto: “A mio parere, tutte le sezioni del partito italiano d’azione debbono subito riprendere la loro vera forma e chiamarsi partito sardo d’azione”.

«In queste condizioni, né io, né Antonino Lussu, né Gonario Pinna, né molti compagni delle tre province, avremo rapporti con i dirigenti sardisti: è chiaro. E nessuno di noi pronuncerà mai una parola contro l’unità dello stato italiano, né farà mai propaganda di separatismo. Il tuo ritorno fra noi è quindi necessario, come forse sarebbe stato necessario che io e Pinna fossimo andati a Cosenza. Non siamo partiti perché dopo le tue dichiarazioni di Samassi e dopo la protesta di Puggioni sulla stampa, e soprattutto dopo i risultati del congresso di Macomer, noi non sapevamo se potessimo essere i veri rappresentanti del partito d’azione in Sardegna.

«Ma veniamo per un momento al congresso sardista di Macomer. Credo sia stato informato su quanto è accaduto e conosca l’ordine del giorno che è stato votato. Esso non poteva essere diverso, perché la questione dei rapporti fra i due partiti e le possibilità di una fusione avrebbero dovuto essere trattate con calma e senza forzare i tempi, come si è fatto. Noi comprendiamo che tu avevi bisogno di portare al Congresso di Cosenza l’adesione del partito sardo (i 50.000 voti di cui ha parlato Schiano) per far trionfare la tua tesi che è anche la nostra; ma devi pur riconoscere che in fatto di chiarificazione non si è fatto un passo avanti, e si è giunti all’assurdo di stilare un ordine del giorno, pieno di riserve e di contraddizioni, che, se fosse stato letto a Cosenza, avrebbe suscitato viva ilarità.

«Lasciamo stare l’astuzia dei sardisti a Macomer, per poterci in un prossimo avvenire chiudere la bocca, provvedendo con la massima urgenza alle nomine dei comitati e fiduciari regionali, provinciali e di zona. Nessuno di noi ambiva a cariche; per quanto riguarda me e Pinna, puoi esserne assolutamente sicuro. Ma sta di fatto che con l’ermetica chiusura dei quadri, votata (ed in che modo Dio solo lo sa!) nel congresso di Macomer, il nostro apporto nel partito, e cioè la nostra opera di propaganda in favore del programma del partito italiano d’azione, sarebbe stato reso impossibile. Stando così le cose, io, Pinna, ed i compagni di Sassari, ci riuniremo presto e decideremo sul da farsi. Questo è, in sintesi, quanto avevamo il dovere di rispondere alla tua lettera.

«Caro Emilio, ti sono molto grato per le buone parole di personale attaccamento e sai bene quanto grande sia il mio affetto per te. Ma siccome hai voluto accennare alla mia situazone politica particolare, mi permetto di dirti che essa è chiarissima. E’ la stessa del povero Silvio Mastio, che, se fosse fra i vivi, direbbe a te la stessa cosa che io ti dico. E non insistere, ti prego, sulla questione Puggioni. E’ una questione mia personale, che non tocca altre persone e che non ha niente a che fare con la fusione dei due partiti. Per me essa è chiusa, definitivamente chiusa.

«Saluti cordialmente dal tuo.

«Post scriptum – Io, Pinna, e credo, anche Cottoni, siamo sempre disposti di venire a Roma, entro il giorno 20 settembre, per conferire in proposito con te e con l’Esecutivo del partito. Natualmente, dovreste prenotarci i posti sull’aereo per l’andata e per il ritorno. Grazie».

 

Il quadro politico nazionale fra 1943 e 1944

-       cos’è questa realtà politica nazionale-italiana dell’azionismo? in breve, nel 1942 – in clandestinità, poiché il fascismo è ancora al potere – i gruppi milanesi costituisi attorno a Ferruccio Parri (Edison, dopo la carcerazione, nuovamente arrestato febbraio 1942) ed a Ugo La Malfa (Comit, dopo la carcerazione del 1928) si danno convegno, con compagni di varie città (censiti da Ragghianti incaricato da Parri):

-       dapprima a Milano (presente Siglienti) per approvare i “7 punti”,

-       poi a Roma a casa Comandini

-       (mancano liberalsocialisti di Calogero/gruppo Pisa, arrestati – necessari per La Malfa, pur anticrociani)

-       la linea (Vinciguerra) è:

1) la questione sociale si affronta soltanto in una dimensione politica (istanza democratica) e

2) la mediazione fra liberalismo e socialismo si realizza “nel fare del governo”

-       1943, dopo la caduta del fascismo e il rientro di vari GL (Lussu compreso) dall’estero, altre riunioni e in progress entrano elementi di socialismo – incontro di Firenze

 

-       prosegue la guerra fra nazi-fascisti e anglo-americani

-       . liberazione di Napoli (settembre 1943)

-       . liberazione di Roma (4 giugno 1944)

-       . proseguiranno Firenze (agosto 1944)

-       . e oltre la linea gotica nell’aprile 1945 Bologna, Genova, Torino, Milano, Venezia

-       . intanto episodi della resistenza e carneficine nazi-fasciste (stragi 1944: Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, ecc.)

-       . brigate Mazzini e brigate GL

 

-       esce in clandestinità L’Italia libera (direzione Fancello) – pubblicato nel gennaio 1944 Il Partito d’Azione nei suoi metodi e nei suoi fini (Fancello, quaderni de L’Italia libera), magna charta dell’azionismo: “Il Partito d’azone tiene pertanto a collegarsi alle più nobili tradizioni morali del nostro Risorgimento, e segnatamente ai motivi perenni che vivono nell’insegnamento di Giuseppe Mazzini”

-       Lussu, Ines Berlinguer e Fanuccio Siglienti (Ai Nipoti)

-       Siglienti via Tasso arrestato novembre 1943, liberato marzo 1944 – poi ministro CLN!

 

-       a livello nazionale la vita del Partito d’Azione si snoda, fra 1944 e 1945, su quattro fronti:

. quello di continuazione nella lotta anche militare al nazifascismo (fino al 25 aprile 1945)

. quello di continuazione nella solidarietà del CLN e partecipazione ai governi (meno al Bonomi2)

. quello di definizione della propria proposta politica complessiva

. quello del contrasto ideologico fra l’anima democratica e quella socialista

 

-       luglio 1944, Lussu torna in Sardegna (dopo 17 anni), nei suoi comizi affaccia il socialismo

-       dopo la liberazione di Roma primo governo CLN Bonomi esapartito (con Pd’A, Siglienti alle Finanze)

-       i governi CLN semestrali (Bonomi 2 senza Pd’A-PSI), Parri (post 25 aprile 1945), De Gasperi

-       luglio 1944, VI congresso sardista a Macomer con ospiti Fancello e Siglienti e grande centro Mastino-Melis

-       agosto 1944, congresso Partito d’Azione (meridionale) a Cosenza:Lussu afferma il carattere socialista del Pd’A (“il nostro socialismo non è quello tradizionale, marxista e classista, ma scaturisce da profonde esigenze etiche, da una visione umana e spritualistica del mondo sociale, un socialismo che deve essere considerato in funzione di libertà”) – invece La Malfa sostiene che “il Pd’A postula il superamento storico del liberalismo e del socialismo in una creazione rivoluzionaria di libertà e di giustizia”)

-       su Riscossa ne scrive Salvatore Cottoni

 

-       la corrente liberal-democratica o democratica tout court, o riformatrice (non riformista) pone il centro della libertà (come storicamente ha fatto la democrazia che antepone la riforma politica a quella economica) nell’istituzionale e nel civile – il “partito della democrazia” di Salvatorelli

-       la corrente socialista, oltre ai postulati politico-istituzionali introduce in una pari dignità l’istanza sociale

 

-       sul piano delle dottrine politiche: la differenza fra il filone democratico e quello liberale e/o socialista: il centro della libertà nell’istituzionale (suffragio universale, repubblica, autonomie territoriali, separatismo Stato/Chiesa) piuttosto che nell’economico (libertà d’intrapresa, unità di classe)

 

-       la tavola dei 7 punti media fra le due impostazioni, delineando uno stato repubblicano-democratico-laico-autonomista (abbattimento Stato centralista e burocratico)-ad economia mista (con riforma agraria e nazionalizzazioni grandi complessi industriali-finanziari-assicurativi monopolistici con prevalente interesse pubblico)-europeista

-       elaborato nel 1942 (e pubblicato nel gennaio 1943), da Ugo La Malfa e Adolfo Tino – Comit – e Carlo Lodovico Ragghianti

 

-       in vista del congresso di Cosenza i 7 punti diventano, per mano di Lussu e altri, 16 punti, marcando un’espansione dei postulati socialisti – nel congresso sono illustrati da Francesco De Martino

 

-       importa rilevare le coerenze istituzionali (repubblica, autonomie, laicità) e di respiro internazionale (europeismo: il Manifesto di Ventotene è del 1941, pubblicato nel 1944), e la maggiore nettezza dei postulati economici del secondo documento

-       la questione sardista è il “collegamento”, la questione azionista è il “socialismo

 

I programmi del Partito d’Azione

I 7 punti

1°) In considerazione del fallimento monarco/fascista responsabili dello della rovina dello Stato, si rende necessario un rinnovamento totale delle Istituzioni dello Stato con una democrazia Repubblicana per il ripristino delle libertà politiche,civili e sindacali.
2°) La separazione dei poteri dello stato.
3°) L’abbattimento dello Stato centralista e burocratico a favore delle autonomie degli enti locali.
4°) La nazionalizzazione dei grandi complessi industriali,finanziari e assicurativi aventi carattere monopolistico e di rilevante interesse collettivo.
5) La riforma agraria con la revisione dei patti colonici
6) La laicità dello Stato
7) Gli Stati Uniti d’Europa

Questi punti programmatici vengono considerati massimalisti dal Mario Paggi e Sergio Fenoaltea e moderati dalla corrente liberal-socialista di Guido Calogero e di Tristano Codignola. Più severo il giudizio di Emilio Lussu.
Per attenuare i pesanti giudizi sul programma, Ugo La Malfa, Guido Calogero e Carlo Ludovico Ragghianti pubblicano una precisazione:
Facciamo nostra la rivendicazione e l’ulteriore promozione di tutti quelli quegli istituti della libertà democratica che hanno assicurato il fiorire dello Stato moderno,ma siamo convinti di potere procedere in tal senso solo affrontando e risolvendo insieme anche il problema sociale. Vogliamo che agli uomini siano assicurate non soltanto le garanzie istituzionali,giuridiche e politiche della libertà,ma anche le condizioni economiche,che permettano ad essi di valersene per la piena espansione della loro vita Alla libertà di parola e di voto, non vogliamo che si accompagni la libertà di morire di fame.

I 16 punti – Dopo le critiche al programma dei 7 punti,viene preparato con il concorso soprattutto di Emilio Lussu,un nuovo documento di 16 punti in cui compare per la prima volta il termine “socialismo”
1°)Il Partito d’Azione è un movimento politico ispirato all’unità inscindibile fra la libertà politica e la giustizia sociale, dove confluiscono le più vitali correnti repubblicane, socialiste,  liberalsocialiste e di radicalismo liberale, che in Giustizia e Libertà avevano già iniziato il loro processo di unificazione.
2°) Il Partito d’Azione aspira alla fondazione di una società di uomini liberi,in cui l’uguaglianza politica e sociale di tutti i cittadini segni la fine di ogni oppressione dell’uomo sull’uomo. Il Partito d’azione è perciò innanzi tutto l’interprete delle aspirazioni di giustizia e libertà dei lavoratori: operai, contadini,artigiani,tecnici, intellettuali e quanti altri vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui. Ma i lavoratori hanno appreso dalle passate esperienze che quelle aspirazioni,motivo vitale del socialismo, non possono realizzarsi nel quadro dei principi e metodi tradizionali dei vecchi partiti.
3°) Il Partito d’Azione pertanto imposta il problema della democrazia e delle realizzazioni socialiste su di un piano nuovo e concreto di trasformazione strutturale della vita italiana,nell’ambito della presente realtà storica. Esso s’impegna con spirito realistico ma con estrema risolutezza a costruire il nuovo ordine democratico che realizzi il pieno sviluppo della personalità umana, e attui il principio che il lavoro è un diritto e un dovere per tutti
.
4°) Il Partito d’Azione combatte la monarchia considerandola necessariamente legata alla reazione,sia come forma istituzionale,sia come realtà concreta nella vita dello Stato italiano.
5°) Il Partito d’Azione propugna una costituzione repubblicana e democratica che garantisca ai cittadini la libertà di parola,di stampa,di associazione,di culto; l’eguaglianza giuridica di razza,di religione,di sesso,nonché il pieno esercizio della sovranità politica attraverso istituti fondati sul suffragio universali.
6°) In diretto rapporto coi postulati di libertà e di autonomia il Partito d’Azione propugna una radicale trasformazione di tutte le burocrazie e della polizia mediante il controllo e le limitazioni delle varie competenze. Una magistratura spogliata da ogni spirito di classe e di casta e costituzionalmente garantita nella sua indipendenza, offrirà sicura difesa ai diritti individuali ed eserciterà il controllo di legittimità sull’attività dell’esecutivo e di tutta la pubblica amministrazione, nei complessi rapporti politici e sociali sorgenti dal nuovo ordine democratico.
7°) Il Partito d’Azione addita nell’ordinamento privatistico dei maggiori complessi aziendali uno dei fattori più diretti dell’alleanza fra borghesia plutocratica e fascismo e della conseguente politica corporativa la quale, aggravando lo sfruttamento dei ceti proletari e piccolo borghesi,ha finito per coinvolgere nella stessa rovina anche le medie imprese e la media borghesia.  Il Partito d’Azione propugna perciò la trasformazione di quei grandi complessi in imprese di interesse pubblico. La loro immediata socializzazione abbatterà il dominio della reazione fascista e promuoverà l’addestramento degli operai e tecnici alla gestione diretta delle aziende, nell’interes-se della produzione e del consumo e sotto il controllo della pubblica amministraz.

8°) Il Partito d’Azione propugna una economia organizzata su due coesistenti setto-ri, uno a gestione pubblica dei grandi complessi industriali, commerciali, finanziari, assicurativi e fondiari, l’altro a gestione libera – individuale,cooperativa o altrimenti associata – nel quale si cimentino il rischio e lo spirito di iniziativa personale.
9°) L’intero sistema delle aziende,socializzate o private, dovrà assicurare adeguato tenore di vita ai lavoratori e sostenere il peso di moderni servizi di assistenza e di previdenza.  Nelle aziende private si attuerà il controllo degli operai, impiegati e tecnici attraverso commissioni interne,le quali,oltre a esercitare compiti di tutela sociale e di applicazione degli accordi sindacali, assicureranno ai dipendenti la conoscenza dello stato economico dell’azienda e li faranno partecipare alla pratica gestione.
10°) Il Partito d’Azione riafferma il postulato della terra ai contadini.
11°) Il Partito d’Azione propugna immediate misure di espropriazione senza indennizzo necessarie per la liquidazione della plutocrazia reazionaria complice del fascismo, anche in rapporto alla politica socializzatrice, nonché un regime fiscale e successorio che incida radicalmente sui grandi patrimoni e ne impedisca la ricostituzione. Nel quadro delle ridotte dimensioni patrimoniali, la pubblica finanza dovrà essere alimentata da un sistema di imposte a carattere progressivo che, pur non menomando la produttività delle piccole e medie imprese e dei relativi investimenti,riduca la sperequazione dei redditi.
12°) Il Partito d’Azione assegna al nuovo Stato il compito di un piano di ricostruzio-ne nazionale che dovrà essere inquadrato in un piano europeo e mondiale di più razionale distribuzione delle materie prime,delle industrie produttive,dei traffici e delle forze del lavoro. Tale coordinamento economico,il cui fine deve essere di sviluppare al massimo la circolazione libera degli uomini e delle merci sulla terra, è alla base del nuovo ordine democratico internazionale.
13°) Il Partito d’Azione dichiara la riforma della scuola di interesse essenziale per l’avvenire del Paese. Sta al centro di questa riforma il rinnovamento dei metodi educativi in speciale modo di quella umanistica e faccia meglio valere nella scuola le esigenze delle vita e prepari nell’uomo non solo il professionista ma anche il cittadino.
14°) Il Partito d’Azione ritiene incompatibile con la libertà religiosa e l’eguaglianza dei culti di ogni regime di religione o Chiesa di stato. Afferma che lo Stato deve riconoscere alla Chiesa cattolica,come alle altre Chiese,indipendenza di organizzazione e di azione entro i limiti della legge comune. Auspica la partecipazione di tutte le forze spirituali del paese all’opera di ricostruzione,che non deve essere soltanto economia e politica, ma anche profondamente morale.
15°) Il Partito d’Azione, constata una identità di problemi politici e sociali in tutti i paesi devastati dal nazifascismo ed individua nella loro comune soluzione il maggiore contributo all’unificazione europea nel quadro di una intesa mondiale.
16°) Il Partito d’Azione afferma che il successo del fascismo in Italia ed in altri paesi europei costituisce un avvenimento la cui importanza deve mantenere perenne valore di insegnamento e di monito. In rapporto a tali esperienze esso considera egualmente interessati all’instaurazione e al consolidamento della democrazia il proletariato operaio e contadino e gli altri multiformi ceti produttivi non proletari: per essi tutto lo Stato democratico deve essere aspirazione,conquista e difesa comune. Ma afferma altresì che senza profonde trasformazioni strutturali sociali e politiche del Paese, per cui profonde masse di lavoratori in ogni categorie partecipino direttamente alla vita dello Stato democratico, la democrazia sarebbe attaccata e demolita dalla risorgente reazione. Il Partito d’Azione favorirà pertanto la formazione di un fronte unico del lavoro nel quale riafferma la sua posizione d’avanguardia.

 

Le distanze di formazione fra La Malfa e Lussu

-       Lussu – dall’ANC al sardismo rivoluzionario alle debolezze del 1923 nel Cons. provinciale, alle deputazioni del 1921 e del 1924, all’arresto 1926, Buoncammino un anno, confino a Lipari 1927-1929, fuga (con Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti) per la Francia, fondazione GL con Rosselli e Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, ottobre 1943 certifica identità GL/Pd’A

-       entrambi ministri del governo Parri (Trasporti – Assistenza postbellica)

 

-       La Malfa – da Democrazia Sociale di Silvio Trentin (radicalismo riformulato nel primo dopoguerra) all’amendolismo (Unione Democratica Nazionale del 1925), all’arresto del 1928, all’esperienza professionale al centro studi della Comit, all’azionismo riformatore (1942, Tino, Ragghianti) con riferimento il new deal e certo labourismo inglese, interessato al cattaneismo in quanto al pragmatismo economico, al mazzinianesimo in quanto alla tensione nazionale, ad entrambi in quanto all’europeismo

 

La nomenclatura Pd’A, fra governo, Consulta e Costituente

Così, schematicamente, può rappresentarsi la dirigenza del Partito d’Azione fra 1944 e 1946:

-       azionisti nei governi di CLN

.anteCLN-Badoglio – Adolfo Omodeo (Educazione Nazionale), Alberto Tarchiani (LL.PP.) – sottosegretari: Filippo Caracciolo (Interno)

. Bonomi 1 – Alberto Cianca (senza portafoglio), Guido De Ruggiero (P.I.) e Stefano Siglienti (Finanze) – sottosegretari: Sergio Fenoaltea (presidenza), Giuseppe Bruno (LL.PP.) e Antonio Ramirez (Marina)

. Bonomi 2 – non partecipa il Pd’A

. Parri (presidente, Interno e Africa italiana) – Ugo La Malfa (Trasporti), Emilio Lussu (Assistenza postbellica: qui s.segr. Mario Ferrara) – sottosegretari: Pietro Mastino (PSd’A, Tesoro, danni di guerra), Giuseppe Bruno (LL.PP.), Carlo Lodovico Ragghianti (P.I.), Ernesto Rossi (Ricostruzione)

-       .De Gasperi/Nenni – Ugo La Malfa (un mese, poi Mario Bracci – Commercio con l’estero; id Ricostruzione, subito soppresso), Emilio Lussu (un mese, poi Alberto Cianca – Consulta nazionale) – sottosegretari: Bruno Visentini (Finanze), Giuseppe Bruno (LL.PP.), Pasquale Schiano (Marina), Riccardo Lombardi (Trasporti), Pietro Mastino (PSd’A, Tesoro, danni di guerra)

 

-       azionisti nella Consulta nazionale (da settembre 1945 – presieduta da Sforza, in Badoglio e in Bonomi 1): nominati dal governo Parri 304 consultori di cui 156 politici, altri tecnici, reduci, sindacalisti, ex parlamentari – gruppi paritetici- lavorano 10 commissioni

-       i consultori azionisti includono il sardista Luigi Battista Puggioni (poi dimissionario)

-       gli azionisti sardi sono Lussu, Berlinguer, Fancello, Siglienti e la Bastianina Martini Musu (+), inoltre Mastino – dei gruppi politici gli azionisti hanno più sardi (7): DC 3 (Delitala-Maxia-Segni) – PCI 2 (Spano-Virdis) – PSIUP 2 (Giua-SattaGalfrè) – PLI 1 (CoccoOrtu) – DL 2 Sotgiu-Stangoni)-

-       maggio 1946, proposta degli azionisti sardi Berlinguer-Fancello-Siglienti di estendere alla Sardegna lo statuto siciliano, ma la Consulta regionale (e la componente sardista nonostante delibera del direttorio PSd’A) sono contrari – ne dirà Giovanni Battista Melis negli appunti autobiografici

 

-       i sardi leader dell’azionismo nazionale si possono distinguere in due filoni: amendoliani (Mario Berlinguer) e sardisti (Francesco Fancello e Stefano Siglienti, cognato di Berlinguer, oltre che Lussu)

-       Mario Berlinguer avvocato, è cresciuto in una famiglia repubblicana (Enrico Berlinguer sr – La Nuova Sardegna – l’Unione Popolare), è stato consigliere provinciale prima del fascismo, deputato nel 1924 nella lista di democrazia liberale (Cocco Ortu), amendoliano della Unione Nazionale (dove incontrò il giovane La Malfa)

-       nel 1944 per breve tempo è aggiunto di Carlo Sforza come alto commissario per l’epurazione (dopo Tito Zaniboni); nel 1945 vicepresidente della commissione Giustizia della Consulta Nazionale

-       Francesco Fancello, già medagliato della grande guerra, dirigente ospedalità pubblica a Roma, ha collaborato col Solco e Critica Politica e Volontà (con Bellieni e Lussu, e Parri; socialismo contadino) – arrestato nel 1930 (in cella con Pintus a Civitavecchia), dieci anni di carcere, poi Ponza e Ventotene – consultore nazionale, romanziere (Il diavolo tra i pastori, Il salto delle pecore matte/Francesco Brundu)

 

La questione Puggioni interna al PSd’A

Si situa nel contesto del dibattito politico circa il prossimo ordinamento repubblicano ricettivo delle istanze autonomistiche dei territori più periferici, una lettera del consultore nazionale di matrice sardista, ma in quota azionista, Luigi Battista Puggioni al direttore regionale del PSd’A Giovanni Battista Melis.

Il tenore della lettera bene inquadra le questioni dibattute e di dissenso interno al Partito Sardo. E’ ancora Lussu, sul doppio cavallo romano e sardo, ad ispirare – stavolta senza influssi ideologici socialisti, ma sullo stretto fronte istituzionale – la linea del PSd’A su un piano realistico e positivo.

Le aspettative insieme romantiche e autoreferenziali (di un sardismo, o di una Sardegna autorefenziale) espresse da Puggioni non hanno seguito, e la conseguenza è nella sua dichiarazione di rinuncia allo stallo di consultore a Montecitorio.

La denuncia e la rinuncia di Puggioni non avranno conseguenze pratiche e l’avvocato sassarese (nativo di Ozieri, legatissimo a Bellieni) resterà nel gruppo dirigente del Partito Sardo e fra i più attivi suoi apostoli anche con la scrittura (firmandosi più spesso Sardo Patore, così anche nel numero speciale dedicato alla Sardegna dalla prestigiosa rivista Il Ponte, a direzione Calamandrei – il già azionista Calamandrei –, nel 1951). Resta di Puggioni l’ottima antologia di scritti curata da Luigi Nieddu per i tipi di Fossataro nel 1962: Luigi B. Puggioni e il PSd’A.

Reperii la lettera, senza data ma databile forse al 31 dicembre 1945 o al capodanno 1946, nei primissimi anni ’90, presso l’archivio Mastino, per la liberale disponibilità dell’allora giovanissimo Martino Salis, pronipote del senatore:

«Caro Melis, la decisione del Direttorio Regionale del Partito di sottoporre all’approvazione del Governo o dell’Assemblea Costituente, e cioè dello Stato Italiano, l’ordinamento interno della regione autonoma significa una cosa molto grave, che avrà le sue conseguenze funeste nell’avvenire.

«Significa che la libera Sardegna non si costruisce alla base per libera decisione del popolo sardo, in piena ed incontrastata sovranità, ma viene creata artificialmente con un provvedimento che cade dall’alto come una graziosa elargizione.

«A mio avviso l’ordinamento regionale deve essere il frutto di una elaborazione dell’Assemblea Costituente Sarda entro i limiti di sovranità che le saranno stati assegnati.

«Comprendo bene, e vi consento, che la carta statutaria che consacri le competenze dell’ente autonomo regionale, e fissi le attribuzioni ed i limiti dei poteri dello Stato nazionale non possa essere il frutto che di un compromesso fra la regione e la nazione, ma, una volta compiuta questa netta divisione di poteri e di attribuzioni, deve cessare ogni ingerenza del potere centrale nella vita regionale.

«Questo principio fondamentale che sta alla base della dottrina del partito, che tutti noi abbiamo sempre illustrato, difeso e divulgato, che è in sostanza tutto il nostro partito, dalla decisione del direttorio nella notte del 30 dicembre 1945, è non soltanto snaturato, ma distrutto.

«Pertanto, il dissenso insorto fra me e Lussu (che, infine, gli altri membri presenti del direttorio hanno creduto di seguire) non è un contrasto di puro dettaglio, ma di due concezioni antitetiche, ed inconciliabili malgrado ogni accorgimento formale per superarlo. Durante la lunga ed ostinata discussione credo di aver chiarito il mio pensiero, e, rientrato da Nuoro, ho continuato a riflettervi profondamente.

«In sostanza, nessuno ha conestato l’esattezza e la vertià della mia concezione, nessuno ha contestato che questa esprimesse il pensiero genuino del partito e lo spirito della sua dottrina, ma Lussu ha dichiarato che, nell’attuale momento storico e politico del paese, non era neppure pensabile che essa potesse trionfare; che il proposito di una costituente sarda per la creazione dell’ordinamento interno regionale sarebbe un nonsenso, una volta che non vi era stata una rivoluzione sarda.

«Era quindi necessario e fatale il compromesso da lui proposto. A me appare, attualmente e storicamente, inesatta l’affermazione che ogni assemblea costituente, anche quella modesta per la formulazione di un ordinamento interno regionale, sia stata e e debba essere preceduta da una rivoluzione.

«Recentemente la Francia ha avuto la costituente senza una rivoluzione e nel maggio prossimo l’Italia avrà la sua, pure senza una rivoluzione. Rivoluzione o no, è la concorde e decisa volontà dei popoli quella che conta.

«Codesta volontà il popolo sardo la possiede ed è assai grave che voi, invece di rafforzarla e guidarla alla sua naturale conquista, la vogliate snaturare e deviare, attraverso un ben strano compromesso.

«Tutto è compromesso oggi in Italia, ha detto Lussu.

«Si voleva la monarchia e si ha la luogotenenza; si voleva l’epurazione radicale e se ne ha una addomesticata.

«Così deve essere per la Sardegna: si voleva un’autonomia conquistata dal basso col concorso effettivo del popolo sardo, ma conviene accontentarsi di un’autonomia concessa dall’alto. Una specie di repubblica per decreto reale.

«E’ il medesimo errore commesso durante il risorgimento, per lo statuto e per l’unità attraverso la conquista regia di cui anche oggi stiamo assaporando i frutti amarissimi.

«L’ordinamento interno della Sardegna approvato dalla Costituente significa un ordinamento concesso dallo stato centrale, significa l’impossibilità per il popolo sardo di modificarlo quando ne riconoscesse l’opportunità, significa spostare la fonte della sovranità legittima e quindi aprire la porta a più facili usurpazioni di potere nell’avvenire. Significa anche spezzare lo slancio vitale e spegnere l’orgoglio e l’amore dei sardi per i propri liberi ordinamenti.

«Il popolo sardo in avvenire, in un momento di pericolo, non sarebbe affezionato alle proprie istituzioni e non sarebbe deciso a combattere e a morire per la loro difesa, non avendo concorso a crearle; così come gli italiani non hanno difeso la vecchia costituzione perché non era la loro costituzione.

«Ed è per me estremamente doloroso il constatare come tanti vecchi e fedeli amici del partito non abbiano compreso l’importanza decisiva di questo fattore spirituale.

«Ed infine, quale sarebbe il valore pratico di questo compromesso? Io affermo che esso, non solamente ci costringe all’abbandono definitivo della nostra dottrina per una conquista snaturata e senza vitalità, ma è anche un imperdonabile errore tattico.

«Non si può iniziare la lotta con un compromesso che spegnerebbe ogni entusiasmo ed ogni spirito combattivo, che svuoterebbe di ogni contenuto serio e profondo la conquista da realizzare.

«Se un compromesso si dovesse rendere necessario, esso dovrebbe essere accettato solamente quando l’esito della lotta dovesse apparirci assai difficile o incerto. Ma la lotta non è ancora iniziata.

«La battaglia per la costituente darà la misura delle nostre forze, esprimerà l’ampiezza della volontà del popolo sardo, e noi abbiamo il preciso dovere di non impegnare il suo avvenire con un compromesso che annulla in partenza il valore di una sua eventuale vittoria.

«Penso altresì che il direttorio non abbia il diritto statutario e morale di capovolgere e deformare il programma e la dottrina del partito proprio alla vigilia della battaglia decisiva.

«Avrei tante altre cose da dire, ma mi pare di aver scritto abbastanza per spiegare la decisione alla quale sono giunto.

«Non intendo rinnegare quanto ho creduto e detto per venticinque anni, e che ha dato un senso alla mia battaglia.

«Il farlo, l’accettare un compromesso mi sembrerebbe un annullamento della mia personalità ed un danno all’avvenire della nostra Sardegna. Non dubito della vostra buona fede e del vostro sincero attaccamento per la nostra terra, ma vi ritengo traviati da un grave orrore e non mi sento più di seguirvi sulla via che avete intrapreso.

«Auguro alla vostra sempre nobile fatica ogni migliore successo, però, personalmente rinunzio ad ogni attività politica pur restando sempre come gregario oscuro e nodesto, nelle file del partito.

«La conservazione della tessera significa che mi asterrò da qualsiasi azione di critica e di propaganda che possa turbare il vostro lavoro e indebolire la vostra opera.

«Non sono, come qualcuno pensa e dice, il debole millantatore, il ridicolo rugantino romano.

«Quando il dovere me lo impone, ed è dovere sacro non tradire mai la propria coscienza, so assumere le mie responsabilità e fare le mie rinunzie, senza ricerca di effetti teatrali.

«Ti prego di provvedere alla mia sostituzione come consultore nazionale poiché dichiaro di dimettermi dalla carica di cui la vostra fiducia mi ha onorato e ti sarò grato se vorrai dare conoscenza al direttorio di questa mia lettera nella prossima riunione di Macomer.

«Poiché ne avevo già preso impegno, e non voglio deludere ancora una volta gli amici che mi attendono, il giorno sei gennaio andrò a La Maddalena ove pronunzierò il mio discorso di addio alla politica militante. Credo che la presente dovrà essere inserita fra gli atti del direttorio regionale.

«Con immutato affetto, sempre tuo, Luigi Battista Puggioni».

 

Le compatibilità (o no) fra azionismo e sardismo

-       misurerà la anomalia della elaborazione sardista nel 1946-47-48 la prossimità politica (soltanto in nome del federalismo, istanza peraltro impraticabile nel dopoguerra e ancora per lunghi anni) con Lussu (polemica con Parri) mentre si conferma l’interclassismo del PSd’A

-       15 settembre 1944, Macomer – Lussu promuove gli accordi Pd’A sardo/PSd’A (confluenza azionista in Sardegna, Pd’A riferimento nazionale e internazionale del PSd’A)

-       il collegamento del PSd’A con il Pd’A sarà trattato ancora nel congresso PSd’A di Oristano del 1945 (solo Lussu è autorizzato alla doppia tessera – ai sardisti che risiedono sul continente si concede il tesseramento al Pd’A: Fancello e Siglienti, non Berlinguer mai stato sardista)

-       più sfumati o inesistenti ai congressi PSd’A del 1947 e del 1948 a Cagliari, perché intanto il Partito d’Azione si è diviso fra democratici riformatori (La Malfa-Parri-Reale-Visentini—Siglienti) e socialisti (Lussu-Lombardi-De Martino—Fancello)

-       luglio 1944 (fino al dicembre 1946) l’esperienza di Riscossa (direttore Francesco Spanu Satta, Michele Saba fra gli articolisti e rubricisti più autorevoli) e gli altri giornali di partito nell’Isola, non repubblicani e non azionisti

 

-       congresso di Roma del febbraio 1946 – rottura, scissione dei democratici

-       costituzione del gruppo Democrazia Repubblicana, poi federato con altri gruppi: Dorso, liberali progressisti ecc. e confluito nella Concentrazione Democratica Repubblicana, 2 eletti alla Costituente

-       settembre 1946, ingresso di La Malfa e Parri (e altri) nel PRI storico di Pacciardi e Conti

 

Gli azionisti e la Costituente, poi la confluenza nel PSI

-       Lussu ormai egemone nel Partito d’Azione, ma minoranza nel PSd’A

-       alle elezioni della Costituente eletto con Mastino: dibattito interno al PSd’A, laicismo (strumentalizzazioni DC, lettera-report di Marianna Bussalay a Mastino) – PSd’A distinto dal Pd’A (il quale non presenta lista in Sardegna)

-       però gruppo unitario “delle autonomie”:i due sardisti Lussu e Mastino a Montecitorio insieme con i sette azionisti eletti: Cianca, Calamandrei, Codignola, Foa, Lombardi, Schiavetti, Valiani -  ed al valdostano Giulio Bordon

-       gli eletti repubblicani sono 23, più La Malfa e Parri che confluiscono nel PRI

-       il Partito d’Azione (socialista) confluisce nel PSI a fine 1947, dopo la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini: nel dibattito interno il partito si divide fra l’adesione al PSLI (Valiani-Codignola) e quella al PSI (Lombardi-Foa), mentre Lussu propone di federare i vari partiti socialisti compreso il PCI

-       dopo un congresso a marzo (il 2° della serie) si arriverà all’autunno quando i 2/3 del comitato centrale presieduto da Lombardi delibera la confluenza nel PSI

-       azionisti sardi che confluiscono nel PSI: Fancello, Berlinguer

-       Lussu non formalizza subito la sua confluenza nel PSI (ancora fino al luglio 1948) essendo vincolato al PSd’A

-       permanendo in una doppia affiliazione Pd’A(soc.) e PSd’A alle elezioni parlamentari dell’aprile 1948 egli appoggia, ancorché indirettamente, il fronte social-comunista, contro la linea del Partito Sardo che sostiene una collocazione centrista

-       il PSd’A elegge deputato Giovanni Battista (Titino) Melis e Luigi Oggiano al Senato

-       sono senatori di diritto (limitatamente alla prima legislatura repubblicana) perché parlamentari dichiarati decaduti dal fascismo nel 1925 Lussu e Mastino

-       sia Lussu che Mastino, che Oggiano stesso, fanno parte a Palazzo Madama del gruppo Democratico di sinistra insieme con altri sette senatori di varia estrazione

-       al congresso di luglio 1948 Lussu guida la scissione del PSd’A verso il PSd’A socialista, con cui combatterà la campagna elettorale per le regionali del 1949 e quando verrà eletto consigliere regionale (per dimettersi essendo senatore di diritto, subentrandogli Carlo Sanna)

-       il PSd’A socialista confluisce nel PSI nel novembre 1949.

 

Condividi su:

    Comments are closed.