Giuseppe Peretti, preside e magnifico rettore, sindaco di Cagliari e santo patrono della Cittadella dei musei, di Gianfranco Murtas

 

Mi ero ripromesso di celebrare degnamente il quarantesimo della scomparsa di Giuseppe Peretti, gentiluomo cagliaritano di un tempo perduto, ma non posso onorare l’impegno oggi. Lo farò spero presto, e però un segno lo voglio lasciare egualmente, un omaggio alla memoria del medico e del docente, dello scienziato e del rettore d’Università, del benemerito iniziatore – lui con altri, ma lui capolista – della Cittadella dei musei, del sindaco di Cagliari, ancorché per una breve stagione – breve in quanto alla suprema magistratura civica, ma interna ad una invece prolungata stazione in Consiglio comunale.

Accennerò per flash richiamando quanto di lui è forse rimasto nella conoscenza superficiale, non più nel ricordo neppure distratto, dei cagliaritani e dei sardi: ed è l’intitolazione della strada che porta all’ospedale San Michele in capo, così è stato per molti anni, all’Azienda ospedaliera Giuseppe Brotzu.

Brotzu – anche lui scomparso nel 1976, pochi mesi dopo il suo illustre collega –  e Peretti associati nella toponomastica in quella parte di città che, al tempo della loro sindacatura, e/o del loro rettorato, erano periferia estrema anche se non più desertica, senza Monreale di Pirri e senza Su Planu di Selargius , e anche senza Mulinu Becciu, il quartiere delle cooperative del ceto medio, a far da corona a quel fianco del colle di tanta storia e anche di tanto prestigio e fascino. In questo trascorso quarantennio quei territori hanno vissuto le loro avventure, fra sviluppo e riflusso e nuove stabilizzazioni, pressoché come il corpo umano vigilato dai medici.

Non mancano nei libri associativi, metti in quelli del Rotary club, o nelle collezioni dei giornali, metti soprattutto al tempo della sindacatura o del rettorato, le fotografie che documentano l’uomo e il suo operato. Mi piace ricordarlo specialmente in un ritratto a colori e di grande formato, che si trova, con gli altri dei predecessori e dei successori, nell’anticamera dello studio del Magnifico, a palazzo Belgrano. Opera di Vittorio Musio.

Un suo busto bronzeo, opera questo di Anna Cabras Brundo, è stato invece collocato lungo i viali della Cittadella dei musei, di cui – è detto nella dedica – «con felice intuito» egli sostenne «l’importanza ed il significato», seguendone la realizzazione «con costante ed appassionato impegno».

Chi poi entrasse nello storico – anteRivoluzione! – palazzo universitario potrebbe anche domandarsi delle circostanze che portarono nei nicchioni dell’atrio le monumentali statue rappresentative della scienza e della tecnica, della filosofia,  della medicina e della giurisprudenza, opere di autori diversi (Messina, Berti,  Moschi e Bini) unificate dalla committenza universitaria e dall’anno della loro collocazione, che fu il 1964: anno insieme del bicentenario della restaurazione accademica, in epoca già saldamente Savoia (di re Carlo Emanuele III per la precisione), e mediano del rettorato del professor Peretti.

Tracce di un passaggio certamente cento volte più corposo, ma pure significative di un lavoro costantemente d’alto profilo, progettuale, onesto e tanto discreto quanto fattivo.

Manca invece, a mia scienza – che, sul punto, spererei particolarmente insufficiente – una qualche testimonianza, ora in un ritratto ora in un’intitolazione, che rilevi, e riveli, della fatica amministrativa da lui svolta, in Consiglio e/o in giunta, fra il 1956 ed il 1960, al Comune di Cagliari. Perché, candidato come indipendente nelle liste democristiane, era stato eletto consigliere con buon riscontro di preferenze – 829 – e gli toccò pure, onde favorire la risoluzione di problemi politici interni alla DC senza penalizzare a lungo gli interessi generali del Comune, e cioè degli amministrati, di vestire la fascia tricolore del primo magistrato civico. Fu nel 1960, cuore di una lunga stagione storica che portava, non senza resistenze, contraddizioni o complicazioni, la guida politica cittadina, come quella regionale e quella nazionale, dal centrismo al centro-sinistra, con l’apertura progressiva della “stanza dei bottoni” ai socialisti.

E uomo di centro, ancorché con una marcata sensibilità sociale, fu Giuseppe Peretti: cagliaritano con una spiccata e precoce vocazione alla Medicina, fra ricerca e didattica. Personalità realizzativa, pragmatica ma anche felicemente visionaria, misurata ed elegante nella relazione e nell’eloquio pacato.

Classe 1904, aveva frequentato il ginnasio e il liceo nel vecchio caseggiato del Dettori alla Marina, a un passo dalla parrocchiale di Sant’Eulalia. O addirittura compagni di classe o, perché sfalsati di qualche anno in più o in meno, compagni di sezione erano lì ragazzi che, diventati uomini, avrebbero come lui lasciato un segno ora nella vita pubblica ora nell’insegnamento o nelle professioni e nell’arte, da Luigi Crespellani a Nicola Valle, da Enrico Gianeri (il famoso Gec) ai fratelli Maxia, Antonio e Carlo, da Italo Stagno ai due mazziniani in pectore Cesare Pintus e Silvio Mastio, da Enrico Endrich a Gustavo Piu, da Giovanni Battista Melis a chissà quanti altri. Buon padre Dante vigilava, di fianco al portone della piazzetta, ormai da qualche anno, dall’estate 1913. Ed era già lì, Giuseppe Peretti ginnasiale dodicenne, quando un giovane professore di fisica, un livornese di origine ebraica – Guido Algranati – si dette la morte proprio in uno dei gabinetti scientifici della scuola, sconfitto dalle turbolenze, disse allora una relazione ispettiva del ministero, dei ragazzi…

Maturatosi nel 1923, egli si iscrisse nella facoltà di Medicina e Chirurgia. Da studente frequentò in specie l’istituto di Patologia chirurgica (al tempo diretto dal professor Gino Baggio).

Gli studi di medicina, fra docenti e discenti

Cos’era l’università, e in particolare cos’era a Cagliari la facoltà di Medicina e Chirurgia negli anni ’20, che sono – sul piano civile e politico – gli anni cruciali (e direi drammatici) del passaggio dal liberalismo postbellico al regime di dittatura? A far rapido il discorso vale ricorrere ai numeri. La popolazione complessiva degli studenti nelle facoltà di Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia, Scienze (articolata questa nei corsi di Chimica, Scienze naturali e Matematica, Fisica ed anche Ingegneria, almeno per i primi anni in vista del Politecnico), oltreché nei corsi paralleli di Chimica e Farmacia e di Ostetricia, era di  421 unità nell’anno accademico 1923-24, quello del matricolato di Giuseppe Peretti. Gli iscritti a Medicina e Chirurgia – con un piano di studi articolato in un sessennio – erano 152: 29 le matricole, e 36, 22, 25,22 e 18 quelli frequentanti i corsi degli anni successivi; 104 gli iscritti a Scienze, 84 a Giurisprudenza, 60 ai corsi Chimica e Farmacia, 7 a quello di Ostetricia, 14 a quello sperimentale per Ufficiali sanitari.

Non granché diversi erano i numeri riferiti agli anni accademici a seguire, vale a dire il 1924-25, 1925-26, 1926-27, 1927-28 e 1928-29. La serie contava, rispettivamente, 418, 408, 422, 401 e 385 unità in quanto a popolazione complessiva; e, riguardo invece alla sola facoltà di Medicina e Chirurgia – che copriva un buon terzo del tutto – gli iscritti assommavano a 146, 136, 132, 129 e 126.

Sul piano generale va considerato che del periodo (1925) è l’istituzione a Cagliari della facoltà di Lettere e Filosofia (ex Filosofia e Belle Lettere), una novità subito incoraggiata o premiata dai numeri particolari: 21, 39, 47, 31, 38 gli iscritti nel quadriennio.

In quanto alle “curiosità”, ed ancora spaziando fra le diverse facoltà, meriterebbe rilevare che dal 1927 entrò nell’organico dell’ateneo cagliaritano, oltre che come docente (di Procedura civile e ordinamento giudiziario) anche come preside di Giurisprudenza, nientemeno che Antonio Segni, prossimo deputato, ministro e presidente del Consiglio ed infine capo dello Stato(1962-1964).

Era rettore, in quegli anni, un docente, autorevole per cursus scientifico, di Medicina: il cagliaritano Roberto Binaghi, che aveva nel suo passato onorevoli presenze sia nella politica (fra i radicali di sinistra) sia nell’associazionismo (in particolare nella loggia massonica). Preside, dal 1922, era invece Carlo Ceni, originario di Brignano d’Adda, titolare della cattedra di Clinica delle malattie mentali e nervose (un professore che, ormai rientrato nel continente, avrebbe tagliato il traguardo dei cento anni!); con lui e con Binaghi (docente di Clinica chirurgica e Medicina operatoria) il solo ordinario era il barese Nicola Pende, titolare di Clinica e patologia speciale medica. Gli altri erano docenti straordinari: Filippo Neri, Giovanni Vitali, Cesare Decio e Nicola Leotta (rispettivamente di Igiene, Anatomia umana normale, Ostetricia e Clinica ostetrica, Patologia speciale chirurgica). Un’autentica folla erano gli incaricati, i supplenti e gli aggregati; numerosi anche i liberi docenti, una riserva d’oro per l’università del tempo.

Ecco, soltanto per dare una idea, o una suggestione, dei nomi che il giovanissimo Giuseppe Peretti avrebbe incontrato magari anche soltanto nelle sue ricerche di informazioni  in quel disciplinato esordio di alunno d’università, nell’autunno 1923, o forse dopo, iscrivendosi alle sessioni d’esame, la lista con le materie di insegnamento: Alessandro Amato (Patologia generale), Umberto Parodi (Anatomia e Istologia patologica), Francesco Galdi (Clinica pediatrica nonché Clinica medica e Patologia speciale medica), GianBattista Zanda (Materia medica ed anche Fisiologia), Giuseppe Meriani (Clinica dermosifilopatica), Luigi Guglianetti (Clinica oculistica), Ruggero Romanese (Medicina legale), Cesare Zedda (Fisica applicata alla medicina), Giuseppe Sanna (Chimica applicata alla medicina), Agostino Castelli (Batteriologia, poi Microbiologia), Rafaele Aresu e Luigi Serra (aggregati), ed ancora – come liberi docenti – Giovanni Marini (Clinica medica), Armando Businco (Anatomia patologica), Giuseppe Setzu (Patologia generale medica), Angelo Garau (Patologia speciale chirurgica), Francesco Putzu (Patologia speciale chirurgica dimostrativa), Luigi Cocco (Medicina operatoria),  Attilio Gentili (Clinica ostetrica e ginecologica), Virgilio Massenti (Odontojatria), Giuseppe Sanna Salaris (Psichiatria), Lionello De Lisi (Clinica psichiatrica).

A scorrere gli Annuari universitari anno dopo anno si rileverebbero le novità in flusso continuo circa sia gli arrivi o gli abbandoni per trasferimento di sede, sia le collocazioni nei diversi ranghi di carriera. Né mancherebbero gli spunti per osservazioni riferite anche alla dimensione civica o pubblica di diversi di questi docenti. Ad esempio parrebbe interessante (o sfizioso) ricordare il De Lisi come fondatore a Cagliari, insieme con Lussu, del sardismo rivoluzionario/sindacalista (a fronte di quello liberista/salveminiano del Sassarese), il Marini superspecializzato nipote del celeberrimo medico pietrificatore, il gran numero di associati alle logge massoniche isolane (al minimo, in città, in quei primi anni ’20, Castelli ed Aresu, Sanna Salaris e Putzu, Gentili e Massenti, Garau, Cocco e Businco).

Fra i docenti che via via si aggiunsero all’organico e vi stazionarono per una durata più o meno lunga, forse incrociando il giovane Peretti in aula, in laboratorio o biblioteca ed in qualche conclusiva sessione d’esame, meriterebbe citare l’eminente Italo Simon (Materia medica e Farmacologia), Gino Frontali, Tullio Gaida e Antonino Clemente (tutti e tre di Fisiologia), Pietro Tullio (Fisiologia umana sperimentale), Luigi Castaldi (Anatomia umana normale), Efisio Orrù (Anatomia umana normale e Istologia),Bernardino Lunghetti (Anatomia patologica), Luigi Scalas, Guido Vernoni, Francesco Pentimalli e Bruno Polettini (Patologia generale o medica), il già citato e preferito Gino Baggio e Giorgio Benassi (Patologia speciale chirurgica), Leopoldo Granata (Istologia), Carlo Lotti e Luigi Ferrannini (Clinica medica), Giuseppe Bianchini (Medicina legale, in cambio con Benassi), Michele Bolaffio, Michele Floris e  Arturo Polettini (Ostetricia e Clinica ostetrica), Alberto Serra e Luigi Pais (Clinica dermosifilopatica), Luigi Piras (Igiene e polizia sanitaria), Giovanni Petragnani  e Giovanni Fornero (Igiene e Batteriologia), Antonio Demelas (Odontojatria), Francesco Mura (Clinica oculistica), Vittorio Desogus (Clinica psichiatrica), e altri ancora.

Nell’anno accademico 1928-29 la facoltà registrò un avvicendamento alla presidenza: al professor Ceni trasferitosi a Bologna subentrò il collega Alberto Serra. Nello stesso anno Giuseppe Peretti, neppure venticinquenne, si laureò con il massimo dei voti, con una tesi di patologia chirurgica – la materia appunto del suo primo mentore Gino Baggio –, vincendo anche una borsa di studio (con cui poté pubblicare il suo lavoro).

Fu un anno felice, per i risultati di facoltà, quello 1928-29: si laurearono in sedici in Legge, 25 in Medicina e Chirurgia, quattro in Matematica (fra gli altri Pietro Rachel, prossimo preside del liceo Dettori), due in Scienze naturali, tre in Fisica, sette in Chimica, uno in Lettere ed uno in Filosofia (era Agostino Cerioni, futuro presidente del Consiglio regionale della Sardegna), dieci in Chimica e farmacia, otto presero il diploma in Farmacia e due quello di Ostetricia.

Potrebbe qui replicarsi l’osservazione fatta per le scolaresche del Dettori. Dei ventiquattro colleghi di facoltà che si laurearono insieme con Peretti, in diversi avrebbero lasciato una traccia importante nella storia della  medicina isolana – fra essi Domenico Corda e Alfonso Ligas –, svolgendo la professione nel capoluogo o nei territori di provenienza. Per la statistica: 9 (Peretti compreso) erano cagliaritani, 16 delle più varie zone della regione, da Iglesias, Carloforte e Sant’Antioco a Bonnannaro, da Pula a Pimentel ed Arbus, da Quartu e Sinnai a Lanusei, Sorgono ed Olzai, da Cuglieri a Orune e Luras…

Comincia alla grande la carriera scientifica e didattica

Abilitatosi all’esercizio professionale a Pisa, il Nostro avvertì  da subito una vocazione didattica (grazie anche ad una comunicativa che favoriva la relazione con gli studenti), e decise di restare in ambito universitario come assistente volontario all’istituto di Fisiologia umana, da allora scalando gradualmente la carriera accademica. Nel 1935 ebbe un primo incarico di insegnamento (appunto di Fisiologia generale presso la facoltà di Scienze Naturali e Biologiche: qui per due anni), l’anno successivo (con bis nel 1939) ricevette un premio di operosità per i suoi studi in laboratorio, nel 1938 ottenne la libera docenza proprio in Fisiologia, divenendo presto direttore incaricato di quell’istituto, ma già da un biennio svolgendo i corsi in aula per gli studenti di Medicina e Chirurgia. Nello stesso anno cumulò altresì l’incarico dell’insegnamento di Chimica biologica presso la nuova – nuova in quanto ad autonomia dei corsi accademici (dal 1936) – facoltà di Farmacia, incarico mantenuto fino al 1945. All’università di Cagliari quelli erano gli anni del rettorato di Giuseppe Brotzu.

Intanto fra  il 1930  e il 1931 aveva prestato il suo servizio di leva, a Firenze come allievo Ufficiale presso la Scuola di sanità militare, poi a Cagliari, come sottotenente medico di complemento presso il 13° Centro Automobilistico. In regola anche con gli altri obblighi del regime: la sua iscrizione al PNF data dal 1932.

Saranno aggiornati da una seconda pubblicazione nel 1961, ma già nel 1937 una ricognizione di talenti e risultati fa impressione in una dispensina: Cenni biografici, attività didattica, operosità scientifica: elenco delle pubblicazioni scientifiche. (Titolo della successiva, uscita dopo il primo lustro di attività quale rettore: Curriculum vitae: attività scientifica e operosità didattica: 1932-1961).

A tutto il 1937 risultano ben trenta pubblicazioni nei cinque distinti filoni di fisico-chimica biologica, fisiopatologia dell’alimentazione, fisiologia della digestione e dell’assorbimento intestinale, della fisiologia del ricambio intermedio e della fisiologia della respirazione: lavori pubblicati per il più negli Atti della Società fra i cultori delle Scienze mediche e naturali in Cagliari, nel Bollettino della Società Italiana di Biologia sperimentale, nella Rivista di Patologia sperimentale, in Archivio di Scienze Biologiche, in Archivio di Fisiologia, in Rassegna Medica sarda, in Fisiologia e Medicina, nei Quaderni della nutrizione, e naturalmente negli Atti dei diversi congressi scientifici (nazionali od internazionali) via via in calendario.

Tappe rapide, queste, di un cursus radicato in un riconosciuta competenza scientifica, provata non soltanto nel suo ateneo d’origine ma anche in quello di Sassari e, prima ancora, di altre sedi universitarie del continente. In particolare, fra 1938 e 1939, sia a Bari che a Perugia, e nel 1942 appunto a Sassari partecipò al concorso per straordinario di Fisiologia umana, ottenendo gli attestati didattici e scientifici. Nello stesso anno conseguì la libera docenza anche in Chimica biologica.

A tenere il filo di tante esperienze concentrate già nel primo decennio del suo esercizio accademico, brevemente interrotto dal richiamo militare nella contingenza bellica (quando come tenente medico fu assegnato in un ospedale da campo mobile, e poi promosso capitano), è stato Giuseppe Dodero, medico e suo allievo, alto dirigente e storico della medicina pubblica sarda, che in più occasioni ne ha scritto (valga citare, fra l’altro, un bell’articolo dal titolo “Medico umano”, uscito sull’Almanacco di Cagliari del 2006).

Per alcuni anni si trasferì a Pisa, quale aiuto di ruolo del prof. Igino Spadolini – zio paterno di Giovanni, futuro storico, direttore del Carlino e del Corriere, nonché parlamentare repubblicano e presidente del Senato – presso l’istituto di Fisiologia di quell’università (la stessa università, per fare un nome dei cento sardi che lì studiarono o collaborarono, del nostro Efisio Marini!). Qui operò, guidando i corsi ufficiali e quelli integrativi di Fisiologia generale tanto per gli studenti di Farmacia quanto per quelli di Scienze Naturali e Biologiche, dall’anno accademico 1945-46 e fino al concorso – vinto bellamente – del 1948 per la cattedra, e cioè il rango di ordinario, di Fisiologia umana.

Rientrato nel 1949 nella sua amatissima città natale, pubblicò l’anno successivo, per l’editore fiorentino Macrì, un cospicuo (660 pagine con 230 figure) Compendio di Fisiologia generale, con prefazione dello Spadolini. Meriterebbe qui ricordare che Igino Spadolini, fisiologo fra i più autorevoli d’Italia, insegnò anche a Cagliari nell’anno accademico 1926-27 ed è credibile che un primo rapporto con il giovane Peretti si sia stabilito già allora, destinato a frutti maturi.

Sono aggiornate al numero di cinquantotto le pubblicazioni firmate a tutto il 1948. Fu lo stesso professore ad elencare, con maggior dettaglio (offrendo di ciascuna anche un abstract), le aree in cui aveva sviluppato, lungo quasi due decenni, in continua implementazione, la sua attività scientifica, così indicate: fisico-chimica biologica; alimentazione e nutrizione; fattori accessori dell’alimentazione; digestione e assorbimento; ricambio intermedio; reni e urine; endocrinologia; terapia caldo-umida e cicatrizzazione delle ferite; fisiologia del lavoro muscolare; fisiologia generale del cuore; innervazione autonoma della vescica urinaria. Aggiornò ulteriormente – alla vigilia della sua elezione a preside della facoltà – i titoli della sua produzione, rendicontando sull’attività del locale istituto di Fisiologia nel triennio 1949-1951. Ed erano altri meriti di cui si deve prendere atto, rinforzati dall’autorevolezza delle nuove ricerche ed osservazioni (ulteriori quattordici, alcune delle quali presentate ai periodici congressi scientifici). Una estensione del suo report raggiunse, nel cennato Curriculum vitae, l’anno accademico 1961-62 e sembrerebbe valorizzare lo spessore umano oltreché strettamente scientifico dell’associazione a lui degli studenti guidati, perché frequentanti Medicina o Scienze, e così l’abbondanza inarrestabile dei contributi dati a stampa, con legittima soddisfazione, anche dai più giovani colleghi e collaboratori (ulteriori sessanta).

Preside di facoltà e Magnifico Rettore

Nel  novembre 1951 Giuseppe Peretti venne eletto preside della nostra facoltà di Medicina e Chirurgia e tre anni dopo – il 5 dicembre 1955 – anche magnifico rettore (fu allora avvicendato al vertice della facoltà dal professor Aresu. E sarebbe qui da dire che, dal celebrato professor Ceni, la guida della stessa facoltà era passata, in rapido turnover, ai colleghi Serra, Castaldi, Zanda, ancora Serra, Macciotta, Giunti e Redi). Fra le molte immagini che lo ritraggono, vestito dei paludamenti antichi propri della carica, una speciale attenzione meriterebbero, per il risalto istituzionale, quelle che lo ritraggono con i presidenti della Repubblica in visita nell’Isola, fra anni ’50 (venne a Cagliari nel 1958 Giovanni Gronchi che, nell’occasione, premiò con medaglia d’oro i professori Motzo, Aresu e Brotzu) ed anni ’60.

Certamente i numeri segnalavano una realtà fattasi incomparabilmente diversa da quella che era stata l’università al tempo in cui il nuovo rettore era un semplice diligentissimo studente: erano ormai 2.685 gli iscritti alle diverse facoltà, 711 gli immatricolati, 548 i fuori corso. Inclusi nella tabella anche i medici iscritti alle varie specializzazioni – ben 111 – e le 47 allieve ostetriche. Interessante anche la rassegna statistica dei laureati nell’ultimo anno accademico: 47 fra Giurisprudenza e Scienze politiche, 6 ad Economia e Commercio, 48 a Medicina e Chirurgia, 45 a Scienze, 23 a Farmacia, 68 a Lettere e Filosofia, 26 a Magistero, 24 ad Ingegneria. 287 in tutto (di cui 36 con la lode). Soddisfacente il livello di presenze alle lezioni sia in aula che nei diversi laboratori.

Le biblioteche pubbliche, e naturalmente quella Universitaria per prima, conservano la sequenza delle relazioni che egli tenne in occasione dell’apertura degli anni accademici lungo un intero quindicennio, dal che si deduce anche un quadro più completo delle problematiche ma anche dei programmi e degli obiettivi che l’ateneo cagliaritano aveva nel suo presente.

Vale qui soltanto accennare a qualcuno di questi corposi testi rettorali, il primo dei quali – proposto alla riflessione non soltanto dei responsabili di facoltà ma dell’intera popolazione universitaria e, direi, dell’intera città e della Sardegna, includendovi tutte le autorità civili e politiche – segnò l’esordio di Giuseppe Peretti nel suo nuovo prestigioso ruolo. E’ datato 23 gennaio 1956.

Il nuovo anno accademico marcava una grande mobilità del corpo docente: dei 46 professori di ruolo presenti nel corpo accademico nel decorso anno, ben 14 erano stati trasferiti ad altro ateneo. All’interno di uno sguardo generale, l’attenzione del rettore si faceva analitica esplorando le singole realtà dei corsi di studio e valorizzando anche quanto dalle facoltà si produceva in termini di contributi scritti consegnati alle riviste scientifiche così nelle discipline umanistiche, giuridiche, letterarie e storiche, come in quelle mediche: da Studi Sardi agli Annali delle Facoltà di Lettere e di Magistero, dai Rendiconti del Seminario della Facoltà di Scienze a Rassegna Medica Sarda.

Lodava la partecipazione delle facoltà a congressi internazionali e la libera docenza conseguita da ben 18 assistenti inquadrati nei diversi corsi di studio

Dato conto degli interventi legislativi ed amministrativi tanto dello Stato quanto della Regione per il potenziamento delle dotazioni dei diversi istituti, con l’ovvio e inevitabile auspicio di maggiori contributi, passava, il rettore, ad illustrare, dalle colonne del bilancio, anche le dimensioni dell’assistenza fornita agli studenti in difficoltà col pagamento delle tasse: ne venivano dispensati in toto o parzialmente 132, mentre i sussidi erogati dall’Opera universitaria ammontavano a quasi 7 milioni di lire, includendovi anche l’erogazione di 35 borse di studio.

Egli riferiva ancora dell’avvio del primo lotto della nuova casa dello studente (idem del megacaseggiato di Lettere e Magistero), dell’avvenuta sistemazione in decorosa sede delle due facoltà di Giurisprudenza e di Economia e Commercio (1955), del prossimo completamento degli arredi assegnati alle facoltà di Geologia e Mineralogia, degli ampliamenti eseguiti nei plessi di Anatomia umana e di Radiologia, della conquistata funzionalità del IV padiglione di Ingegneria, del perfezionamento dell’atto di acquisto dalla curia arcivescovile dei locali del Seminario tridentino per la prossima decorosa sistemazione della Biblioteca Universitaria Centrale. Ma più lungo di quello dei risultati conseguiti era l’elenco dei risultati da conseguire, per il più riguardanti l’area medico-sanitaria.

Queste le ultime parole del suo discorso rivolte agli studenti: «Giovani, che vi apprestate alle nuove fatiche di studiosi e varcate le soglie di questo Ateneo, che da oltre tre secoli rappresenta il faro luminoso del sapere nel meridione della nosra Isola, ed anche voi giovani che vi siete già cimentati nello studio in questa Università, desidero oggi che le mie parole rappresentino un incoraggiamento alla vostra opera, perché, siatene certi, vi saremo sempre vicini per sorreggervi nelle difficoltà che incontrerete nell’arduo cammino degli studi; che siano da voi intese quale esortazione affinché, consapevoli del vostro altissimo dovere, vogliate operare sì che alla volontà ed alla dottrina dei Maestri non manchi mai l’entusiasmo e la fede dei giovani collaboratori. A voi guardiamo quali futuri continuatori dell’opera di studio e della dedizione alla Scienza, che è la nostra ragione di vita: voi siete la nostra speranza».

Proprio seguendo l’intera serie dei discorsi tenuti dal professor Peretti all’apertura degli anni accademici, dal 1955-56 al 1969-70 si potrebbe delineare, con documenti ufficiali di prima mano, il quadro completo ed articolato di sviluppo dell’ateneo cagliaritano nel periodo. Sarebbe auspicabile che qualcuno – ben potrebbe essere, per speciale valentia e rigore, un suo pronipote che ne segue le orme adesso ancora ai primi anni della facoltà di Medicina, Damiano Peretti – volesse raccogliere lo spunto ed estendere la ricerca e la lettura critica già intanto del notiziario post 1955.

Parentesi. Ho accennato sopra alla visita del presidente Giovanni Gronchi a Cagliari all’inizio di febbraio del 1958 ed alle medaglie d’oro concesse dal capo dello Stato ai professori decani .

Dal discorso del magnifico rettore indirizzato, a nome anche del senato accademico, alla massima autorità della Repubblica stralcio soltanto un passaggio per la sua rivelatrice ispirazione etico-civile: «Al segno tangibile che Ella, Signor Presidente, ha voluto darci della fiducia che la Nazione ripone nelle sue Università, l’Ateneo di Cagliari risponde con pari fiducia verso la Nazione dalla quale attende che la Università venga adeguata ai progressi della scienza moderna, e per mio mezzo afferma che, così come ha bene operato nei secoli passati, continuerà a svolgere la sua opera con impegno pari agli altissimi compiti che gli sono stati affidati e per il progresso della Scienza e nel proposito di educare accanto alle intelligenze degli uomini anche le loro coscienze ed i loro cuori, sì che la Scienza si associ alla saggezza, la vita al sentimento ed alla umana comprensione.

«A questi principi si è sempre ispirato l’insegnamento di questa Università nobilissima e la presenza in quest’aula del Presidente della Repubblica mi porta a ricordare un episodio di civismo e di amor patrio degli universitari di Cagliari: fu il 19 novembre del 1847 che i nostri studenti scesero in piazza con i loro professori invocando l’unità d’Italia. Oggi una nuova pagina gloriosa si aggiunge alla storia di questa Università e rifulge delle medaglie d’oro ch’Ella ha voluto conferire a tre nostri colleghi, i quali hanno speso la loro vita per affermare quell ideali di cui dianzi dicevo. Essi sono il professor Bacchisio Motzo… il professor Mario Aresu… il professor Giuseppe Brotzu.

«Con animo commosso e con legittima fierezza possiamo affermare che l’operato di questi Maestri grande onore reca al nostro Ateneo, che oggi rende loro l’omaggio dovuto ai suoi figli migliori, i quali nel puro ideale della Scienza e della Scuola hanno visto il fine ultimo della loro attività di studiosi al cui conseguimento hanno impegnato le migliori energie…».

Qualche flash sulle opere

Dopo l’ottennio (postbellico) affidato al prof. Antonino D’Angelo, preside di Giurisprudenza, la massima carica accademica dell’antico Studio di Cagliari era dunque tornata ad un professore dell’area scientifica, ed in particolare di Medicina. Quasi tutto l’intero primo cinquantennio del secolo (in buona continuazione del tardo Ottocento) era stato appannaggio della lobby docente costituita dalla più eminente facoltà accademica isolana: s’era cominciato con Ignazio Fenoglio, dal 1910 era poi stata una continua successione di medici-presidi: Pio Colombini, Cesare Sacerdoti, Oddo Casagrandi, Roberto Binaghi, Alberto Serra, Mario Aresu, Giuseppe Brotzu, Ernesto Puxeddu (questi chimico, in gioventù – al tempo di Bacaredda cioè – anima del movimento bruniano cagliaritano e promotore del busto di Fra Giordano, il domenicano abbrustolito, collocato in piazzetta Mazzini).

Rettore di provenienza dalla facoltà di Medicina non fu però, Giuseppe Peretti, partigiano nel governo degli interessi, pur tutti nobili, costituiti nell’ambito dell’ateneo. Perché anzi a lui si deve – e con risalto la stampa lo sottolineò accompagnando la triste notizia del suo decesso improvviso (mentre giocava a carte, con amici, nella distensione familiare della sua bella casa di palazzo Belvedere) – il trasferimento delle facoltà di Lettere e Filosofia e di Magistero alla nuova sede di Sa Duchessa, l’ampliamento della facoltà di Ingegneria e così quello dell’istituto di Zoologia (le collezioni museali, nello stabilimento di Mammarranca, presso il Ponte Vittorio, furono riorganizzate a scopo didattico nel 1966). Suo merito anche la grande casa dello studente, anch’essa in zona Sa Duchessa, un autentico polmone sociale per il territorio e luogo, in futuro, di grande animazione sociale e politica.

Va detto che i bombardamenti del 1943 colpirono duramente anche i plessi universitari e diverse strutture ad essi ricollegabili. E fu allora quello edilizio il maggior problema da affrontare e risolvere per accompagnare la rinascita universitaria a Cagliari, anche nel rientro dalla umiliante stagione dello sfollamento che aveva coinvolto pressoché l’intera popolazione del capoluogo.

Collocata la facoltà di Legge (con i corsi, ad essa aggregati dal 1936-37, anche di Scienze politiche) e poi, dal 1954-55, anche quella di Economia e Commercio nel viale fra Ignazio, a monte dell’Orto botanico e dell’Anfiteatro romano, si avviarono allora i cantieri per la costruzione dei nuovi caseggiati delle facoltà umanistiche – inaugurate poi nel 1961 – , dell’istituto di Geologia e Mineralogia (con relativi musei) oltreché, come detto, della prima vera e propria casa dello studente: nella via Trentino, a valle della piazza d’Armi e in allungo della zona detta di La Vega-Is Stelladas. I primi ospiti – studenti residenti fuori città – arrivarono nel 1963.

Sviluppi anche ad Ingegneria: è del lustro 1963-68 la costruzione del nuovo moderno complesso di viale Merello/via Peschiera, su progetti di Enrico Mandolesi muoventisi dagli esistenti padiglioni, elevati negli anni ’50 nella piazza d’Armi dismessa dalle autorità militari.

Altra priorità reclamò allora l’istituto di Anatomia, che ebbe il suo giusto ampliamento, e così pure la Clinica Pediatrica che poté dotarsi di un padiglione per i poliomielitici, in anni che registravano, anche in Sardegna, picchi allarmanti di epidemia del morbo provocante la “paralisi infantile”. E’ del 1958  l’inaugurazione del nuovo palazzo della Clinica Pediatrica, sul nucleo di quello insistente nella via Genovesi. Ancora nei primi anni di rettorato viveva il suo rodaggio la Clinica Medica (poi intitolata al professor Aresu) edificata nel fosso di San Guglielmo ed inaugurata nel 1953. (Nel 1958, proprio sotto il rettorato Peretti, fu innalzata, nello stesso sito, una palazzina per alcuni servizi amministrativi e con un capiente auditorium dominato dalle figure di Dino Fantin).

Le cere del Susini, le signore del bicentenario

Da vecchio preside di Medicina, ma soprattutto da cagliaritano orgoglioso dei tesori storici della sua città Peretti valorizzò, sostenendo la causa del professor Cattaneo direttore dell’istituto di Anatomia che lo aveva riscoperto fra il 1963 ed il 1964, quel patrimonio scientifico unico e meraviglioso costituito dalle cere settecentesche del Susini, destinate ad apposito Museo ed a speciali pubblicazioni.

C’è un testo a firma dello stesso rettore che dà conto dell’episodio. E’ bene leggere queste poche righe di testimonianza messe a mo’ di introduzione  del bel volume Le cere anatomiche di Clemente Susini dell’Università di Cagliari, a cura di Luigi Cattaneo e dato alle stampe dallo stesso ateneo nel 1967:  «Il giorno in cui il professor Luigi Cattaneo m’invitò a visitare la sala dell’Istituto di Anatomia di Cagliari, da lui diretto, dove egli aveva esposto la collezione delle cere anatomiche di Clemente Susini della nostra Università fui colto da ammirato stupore: la splendida raccolta, che io sapevo purtroppo danneggiata a causa delle vicende belliche e dello sfollamento durante gli anni 1943-45, faceva bella mostra di sé in ordinate bacheche e appariva integra e splendente, quale l’avevo conosciuta al tempo della mia giovinezza, frequentando da studente l’istituto di Anatomia. L’entusiasmo, la volontà e l’amore per l’arte del giovane anatomista avevano saputo compiere il mirabile salvataggio.

«In quell’anno 1964 ricorreva il secondo centenario del rinnovamento dell’Università di Cagliari e dell’istituzione in essa della Cattedra di Anatomia umana normale, voluti da Carlo Emanuele III di Savoia; più degnamente non si sarebbe potuto celebrare il ricordo dell’evento di come propose il giovane collega: riprodurre a stampa in un volume la collezione delle cere e così renderla nota. Fui perciò ben lieto di incoraggiare concretamente l’iniziativa, sicché l’Università si assumesse la pubblicazione dell’opera, che ora si presenta al lettore.

«L’Autore, alle didascalie che accompagnano le tavole, ha volutamente imposto un carattere strettamente descrittivo e scientifico, quasi a non turbare nel lettore l’emozione che suscita la visione artistica delle opere del sommo ceroplasta fiorentino; pure, traspare qua e là l’entusiasmo che lo ha guidato nel riuscito tentativo di restaurare la mirabile raccolta. E l’Università, nel favorirne la riproduzione in questo libro, vuole anche significare la sua gratitudine al nobile ed intelligente ardore di Luigi Cattaneo, il quale, meritatamente, oggi siede alla Cattedra di Anatomia dell’Ateneo bolognese».

Le tavole (a colori), in numero di 25, sono splendide: la prima sui “Preparati di anatomia generale e microscopica”, l’ultima sull’ “Apparato genitale femminile coll’utero al termine della gravidanza”.

In questo medesimo contesto di valorizzazione delle strutture d’arte dell’ateneo, Peretti promosse, come ho scritto all’inizio, l’abbellimento dell’atrio universitario con la commissione e quindi la collocazione delle quattro statue rappresentative delle maggiori aree di studio accademico.

Come anche avrebbe fatto per la appena menzionata raccolta delle cere anatomiche, egli incoraggiò già nel 1964 la pubblicazione di un libro, pure esso ampiamente fotografico, illustrativo delle quattro opere d’arte entrate nell’antico e solenne palazzo Belgrano. Titolo: Le statue dell’Università di Cagliari. In esso il testo introduttivo (“La dignità umana nelle quattro statue dell’Università di Cagliari”) è di Rodolfo Siviero, storico dell’arte e ministro plenipotenziario della Repubblica (di nomina degasperiana!) impegnato nel recupero dei tesori d’arte trafugati dal patrimonio nazionale italiano.

I quattro capitoli a seguire dettagliano, con le parole e con le fotografie (in bianco e nero), forme ed espressioni simboliche delle quattro signore simboleggianti il sapere sociale, ciascuna un’anima della cultura universale, dell’umanesimo partecipato. Accompagnano queste pagine le schede biografiche (comprensive dei lunghi elenchi del book) degli artisti – siciliano il primo, fiorentini gli altri tre –, autori essi stessi dei testi, anzi delle testimonianze.

Come testimonianza vanno lette anche le righe che lo stesso rettore offre come presentazione del libro:

«Ricorre quest’anno il secondo centenario della restaurazione della Università di Cagliari, attuata nel 1764, per volontà del Re Sabaudo Carlo Emanuele III, ad opera del suo illuminato ministro conte Giambattista Bogino di Migliandolo, “l’instauratore dei buoni studi tra noi ed il riformatore delle Sarde Università”. Nel quadro delle varie iniziative che l’Università va compiendo per solennizzare l’avvenimento , era nostro desiderio,nel ricondurre alle sue originali linee il bel palazzo settecentesco, attuale sede del rettorato, progettato dall’ingegnere Saverio Belgrano di Famolasco, di dare maggiore decoro e completezza all’atrio del palazzo collocando quattro statue, che rappresentassero le facoltà del nostro Ateneo, nelle quattro nicche a ciò destinate ma rimaste sempre vuote.

«Il compito mi fu reso facile dall’incontro fortunato con un grande signore dell’arte e della cultura, Rodolfo Siviero, al quale parlai del mio progetto. Egli lo accolse con entusiasmo e lo concepì piuttosto come un omaggio dell’arte alla scienza. E sorretti dal suo entusiasmo e dalla sua profonda sensibilità artistica fu per noi facile trovare i quattro scultori che  realizzassero il nostro intendimento in modo tale da fare dell’opera un avvenimento artistico di primo piano: Francesco Messina, Antonio Berti, Mario Moschi e Bino Bini. Questi artisti, che alla loro valentia uniscono anche sensibilità e comprensione per il mondo dell’alta cultura, hanno realizzato con il massimo impegno le loro opere, offrendole all’Università. Noi siamo commossi da questo edificante esempio di alte virtù civiche e lo additiamo principalmente ai nostri giovani, perché ne apprendano il profondo insegnamento, ed ai nostri reggitori, perché ne apprezzino l’alto significato ammonitore».

Progetto e realizzazione della Cittadella museale

E’ certamente qualificante il lungo rettorato Peretti la conversione da infrastruttura militare a infrastruttura civile e culturale dell’antico regio Arsenale castellano (databile al 1825) divenuto, con gli annessi ambienti ricollegabili alla trecentesca torre di San Pancrazio, moderna Cittadella Museale della Sardegna.

Immaginata (e via via rielaborata) a gestione “condominiale” fra Università (per le cere anatomiche e le collezioni Litiche Preistoriche) e Comune (per la Collezione siamese), fra Ministero (con le due Soprintendenze alle Antichità – per il museo archeologico – e ai Monumenti – per la pinacoteca) e la Regione Autonoma, la cittadella venne inaugurata, di fatto, a più step. Ciò per la differenziata tempistica nella formalizzazione dei coinvolgimenti dei diversi soggetti istituzionali e la successione delle integrazioni partecipative.

L’incarico tecnico della progettazione e della realizzazione del complesso museale, avviata nel 1960, venne affidato agli ingegneri Piero Gazzola e Libero Cecchini. Agli stessi sarebbe stata affidata dal professore Giuseppe Aymerich, successore di Peretti, la redazione di un documentatissimo volume riepilogativo della grande fatica visibilmente arricchente la città e l’Isola: La cittadella museale della Sardegna in Cagliari, uscita nel 1979.

Alla parte avuta dal rettore Peretti nella prima delineazione del progetto museale fa riferimento, già nelle primissime pagine, Gazzola. Scrive fra l’altro: «L’idea di una nuova strutturazione dei musei di Cagliari trovò una prima formulazione in seguito al contatto diretto del rettore Giuseppe Peretti con Guido Gonella, allora ministro della pubblica istruzione. Il programma iniziò con l’intenzione di usufruire dell’area dell’arsenale, andato distrutto, per costruire un nuovo edificio per il museo archeologico. Soltanto in un secondo tempo si pensò di poter sistemare nella stessa zona tutti i musei cagliaritani: la pinacoteca e il lapidario (statali), il museo etnografico (regionale) e la galleria d’arte moderna (comunale).

«In seguito, anche e soprattutto in considerazione delle finalità didattiche del museo, alle quali si voleva dar spazio, il professor Giovanni Lilliu ebbe l’idea di collocare nella stessa area anche l’istituto di archeologia e storia dell’arte della facoltà di lettere, con annessi locali per seminari, biblioteca e sala per conferenze – quest’ultima da destinarsi anche a manifestazioni non universitarie.

«Volendo tracciare per sommi capi la cronistoria dell’iniziativa, è doveroso ricordare la figura di chi, in qualità di direttore tecnico, seguì con scrupolosa competenza ed energia la sequenza dei lavori: l’ingegner Paolo Lixi Garau, purtroppo recentemente scomparso.

«Fu nel 1955, precisamente a Torino, in occasione dell’inaugurazione della nuova Galleria d’arte moderna, che si parlò per la prima volta del problema di un nuovo ordinamento, a Cagliari, dei musei della Sardegna […].

«A Cagliari, poco dopo, veniva affacciandosi la possibilità di ottenere in cessione dal demanio militare l’area dell’arsenale, i cui edifici erano stati distrutti dalla guerra. Del problema furono interessati la Regione, il Comune e l’Università e quest’ultima, dopo un certo periodo di incertezza, prese finalmente l’iniziativa, grazie soprattutto all’opera tenace e illuminata del compianto rettore e sindaco Giuseppe Peretti, che seppe aver ragione delle tante e continue difficoltà che si frapponevano. In Giuseppe Peretti ricordiamo non solo il docente  di profonda cultura, ma anche l’uomo socialmente impegnato e il cittadino aperto e sensibile ai problemi della propria città. Animatore impareggiabile dell’iniziativa fu, fin dall’inizio, il professor Giovanni Lilliu, direttore dell’istituto di archeologia e Storia dell’arte della Facoltà di lettere, che affiancò con intelligenza il rettore Peretti e gli altri che a lui succedettero…».

Questi i numeri complessivi di superfici e volumi della Cittadella: 15mila mq la superficie coperta, 17.852 quella totale utile pavimento, 59.819 mc il volume totale.

Fra le aiuole aperte e le brevi rampe di collegamento dei piani di corridoio alle diverse sale è collocato il busto del rettore benemerito, la lapide che ne ricorda l’antiveggenza, lo spirito progettuale.

I colleghi docenti compartecipi

Sono diversi ormai gli studi che ricostruiscono la storia della nostra università. A parte quelli ben conosciuti del Dessì Magnetti del 1879, del Guzzoni degli Ancarani del 1898, del Sorgia del 1986 (ma anche, piuttosto frazionato, di Pietro Leo, segretario generale dello stesso ateneo oltreché a lungo sindaco di Cagliari), ricorderei fra i recenti Calaritana. L’Università di Cagliari tra storia e domani, a cura di Paolo Fadda e Giorgio Pisano, Cagliari 2003, e L’Università degli studi di Cagliari, dalle origini alle soglie del terzo millennio. Memorie e Appunti, di Paolo Bullita, uscito nel 2006, anche con una versione ridotta ma altrettanto pregevole per grafica e contenuti (Note sulla storia dell’Università di Cagliari), per i tipi anch’essa, come il maggior volume, di Telema Editore, 2004.

Dati per acquisiti gli elementi di quadro civico, politico e culturale generale, sarebbe interessante passare in rapida rassegna i nominativi dei presidi di facoltà nei lunghi anni del rettorato Peretti, riconoscendo alla loro conferenza, o al senato accademico, il ruolo di attiva compartecipazione al governo dell’ateneo nei fondamentali tre lustri  che vanno dal 1955 al… cruciale 1970, l’anno della visita a Cagliari del papa Paolo VI e dello scudetto del Cagliari. Eccoli: a Medicina e Chirurgia, Mario Aresu, Giuseppe Macciotta e Luigi Frongia; a Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Silvio Vardabasso, Celso Guareschi, Giuseppe Frongia e Carlo Maxia; a Farmacia, Anna Raoul Poggi, Giovanni Montaldo e Vasco Rossetti; a Giurisprudenza e Scienze Politiche, Paola Maria Arcari, Vincenzo Buonocore e Lino Salis; a Economia e Commercio, Antonino D’Angelo, Adolfo Del Chiaro, Giuseppe Mira, Filippo Emanuelli, Salvatore Esposito De Falco ed Edoardo Vitta; a Lettere e Filosofia, Bacchisio Raimondo Motzo, Alberto Del Monte, Giovanni Lilliu, Corrado Maltese e nuovamente Giovanni Lilliu; a Magistero, Rodolfo Paoli, Angiola Masucco Costa, Carlo Salinari e Vittoria Sanna; a Ingegneria, Mario Carta, Costantino Fassò e Paolo Piga.

Un pur rapido richiamo meriterebbe la goliardia cagliaritana nella sua ultima stagione: giusto all’indomani della elezione di Giuseppe Peretti allo scranno rettorale riprese, e da allora andò con continuità e per quasi due decenni ancora e poi declinare, lo spirito tradizionale, burlesco e fantasioso, degli universitari del capoluogo, in giusta corrispondenza, anche concorrente od avversaria, con quello che animava i colleghi del Sassarese. (Ma invero, nel primo Novecento, furono numerosi gli episodi di autentica fratellanza, realizzatisi nello scambio alternato delle visite che si protraevano diversi giorni, di quelli del capo di sopra a Cagliari e di quelli del capo di sotto a Sassari…).

Tra goliardia e sport

I giornali del tempo, da L’Unione Sarda a La Nuova Sardegna, da Il Corriere dell’Isola a Il Quotidiano Sardo, ad altre testate periodiche diffuse allora, dettero discreto risalto, fra cronaca e commento, ai fatti. Qui ne riprendo la sintesi dal bel testo di Paolo Bullita sopra menzionato (cfr. pagg. 276 e 277): «il 7 dicembre del 1955 i goliardi cagliaritani, nuovamente in trasferta segreta a Sassari, trafugarono e portarono a Cagliari il “trono” del Pontefice Massimo sassarese; la goliardia turritana vendicò l’onta subita portando a Sassari, il successivo 10 dicembre, alcuni oggetti  [il “campanile d’argento” assegnato alla città nel corso di una popolare trasmissione della RAI ed il campanello utilizzato durante le sedute consiliari: tali oggetti furono restituiti in seguito] audacemente trafugati dallo studio del Sindaco cagliaritano Dottor Pietro Leo, che aveva ricevuto l’allegra brigata in Municipio; durante l’azione proditoria fu lasciata una spiritosa pergamena per ricordare ai colleghi cagliaritani che “… lo antiquo valore ne li turritani cor non è ancor morto…”.

«L’anno successivo la goliardia sassarese tornò nuovamente all’attacco: il giorno 19.11.1956 un gruppo di audaci, trattenutisi oltre la fine della cerimonia svoltasi nell’Aula Magna dell’Ateneo Cagliaritano per l’inaugurazione dell’anno accademico, ne trafugarono, “po giogu”, il prezioso Gonfalone che, successivamente, fu restituito [i goliardi sassaresi completarono lo scherzo lasciando uno spiritoso messaggio autografo].

«Quest’ultimo episodio, subito sfrondato dalle malevole interpretazioni iniziali e più giustamente considerato come tipica espressione, forse un po’ eccessiva, di esuberanza goliardica, può essere ritenuto emblematico del nuovo clima di fraternizzazione che lentamente andava  instaurandosi fra le comunità studentesche dei due Atenei sardi; questa fraternizzazione, largamente stimolata e condivisa dalle due antiche comunità accademiche, ha permesso di superare gradatamente i radicati campanilismi e le sterili contrapposizioni per dar vita ad una vera comunità di intenti fra le due università sarde, unite e concordi al servizio della più vasta comunità isolana».

E a dire degli studenti e per lasciare al rettore la quota merito della sua liberalità, un discorso a parte potrebbe farsi a proposito delle attività sportive sotto l’insegna gloriosa del CUS Cagliari, il Centro Sportivo sulla scena dal 1947, in prevalenza, e in progressivo divenire, sui campi di Sa Duchessa (già militari), divenuti negli anni una vera e propria cittadella sportiva.

I riferimenti ai successi, ma più che a quelli prettamente agonistici – neppure estemporanei, tanto più in alcune discipline – direi a quelli associativi, riconducibili agli anni del rettorato Peretti, sarebbero numerosi. Potrebbe intanto valere un primo nome ad evocare talenti e risultati: quando il professore salì al vertice della maggiore università sarda era presidente del CUS ancora per due anni il giovane Andrea Arrica, che sarebbe stato poi dirigente dell’Unione Sportiva (quindi spa) Cagliari, anima anzi della sua dirigenza tanto più fra gli anni ’60 e ’70, quelli dello scudetto del Cagliari di Gigi Riva.

Del giugno 1959 era la consegna (dalle mani del professor Lilliu, delegato dal rettore impegnato fuori sede) della pergamena sigillata, timbrata cioè, dall’ateneo cagliaritano, in vista dell’Universiade chiamata a Torino, dove essa sarebbe stata letta con il suo tanto di giuramento e delle firme dei rettori di tutt’Italia.

Erano gli anni, quelli, in cui l’Università concesse al CUS la chiesa sconsacrata del Monte, nella via Corte d’Appello, a Castello: una chiesa antica ma in abbandono, peraltro da lei stessa appena acquisita al proprio patrimonio immobiliare dopo gli sconquassi della guerra. Qui si stanziò la sezione schermistica del sodalizio: schermidori in attività ce ne erano a Cagliari, città che vanta antiche glorie sul campo, dal 1957-58, piuttosto collegati alla Congregazione Mariana dei padri gesuiti ma in permanente trasferimento da sede a sede, fino a che, appunto, entrando nel CUS (anno 1963), si poté fare punto fermo e da lì ripartire con maggior serenità per allenamenti e gare.

Performance calcistiche, nel range del rettorato Peretti, furono quelle del 1968 – titolo conquistato a Pisa dalla squadra allenata da Pupo Gorini –, quelle atletiche (nella velocità dei cento metri) rimanderebbero, negli stessi anni, al nome di Gianni Lai  (corse e vinse a Pisa ed anche ad Assisi fra 1968 e 1969), quelle nell’hockey su prato, spalmate nel tempo, in gran parte si riferirebbero ai nomi di Ugo Zorco e dei vari Pintor e Pisano, Frongia e Pittau, Bertolotti e Zucca, Spanedda e capitano Casarin, con Augusto Frongia allenatore: terzi nel campionato nazionale del 1962, campioni già nel 1958 a Pisa, vincitori del titolo tricolore, spettacolari sempre. La pallacanestro richiama soprattutto il nome di Alberto Pedrazzini, negli anni che preparavano i trionfi del Brill (presoché in parallelo a quelli del Cagliari finalmente in serie A).

C’è un bel libro, con tanto di tabelle e di medagliere, a raccontare tutto: è il volume che il CUS si è offerto nel suo cinquantesimo anniversario di fondazione, nel 1997 (50° Centro Universitario Sportivo Cagliari, CUS K, con contributi vari).

Rotariano, per servire

Tra i fondatori del Rotary club cagliaritano, nel 1949, Giuseppe Peretti venne chiamato più volte a ruoli dirigenti negli stessi anni del suo rettorato. Fu, per due mandati annui, fra il 1965 ed il 1967, presidente del club, succedendo ad Enrico Besson. Allora i novanta rotariani del capoluogo (il che voleva dire della provincia) si riunivano, per le loro riunioni sia culturali che conviviali, al Jolly Hotel, del viale Regina Margherita.

Successivamente, nell’anno sociale 1969-70 allo stesso professore fu affidato il prestigioso incarico di governatore del 188° distretto, comprendente, con la Sardegna, anche cinque regioni storiche (non ancora specificate nell’ordinamento costituzionale), del continente: Lazio, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo e Molise. E’ da ricordare, a tal proposito, che il congresso del 188° si svolse, nel 1970, proprio a Cagliari, dopo aver qui festeggiano il ventennale del primo club.

Le pubblicazioni che rievocano le vicende del Rotary cagliaritano sono ormai numerose e con i contributi in particolare di Eugenio Lazzari ed Achille Sirchia i meriti anche di Giuseppe Peretti, negli anni in cui questi fu al vertice del club o del distretto, emergono tutti. Si tratta di pagine che al racconto uniscono un corredo fotografico evocativo anche di atmosfere sociali che spiegano molto dello spirito associativo intensamente vissuto dai soci (cfr. fra l’altro Il Rotary in Sardegna dal 1949 al 2000, oppure Rotary club Cagliari, 60 anni al servizio della città). Anche il sito internet, oltre a fornire notizie interessanti, combina diverse fotografie molto significative, come quella – per dire specificamente di Peretti – della consegna a lui, nell’aprile 1966, da parte dell’omologo americano, della bandiera nazionale tricolore con stemma Savoia, risalente al tempo della guerra 1915/18, recuperata in Germania.

Sindaco per un semestre nel 1960

C’è anche un’altra sezione biografica, certamente non ultima in valore o per portata sociale, che può aiutare ad un inquadramento complessivo della ricca personalità di Giuseppe Peretti. E’ l’esperienza amministrativa nel Comune di Cagliari.

Schematizzando il quadro storico-politico del periodo, va detto che la sua esperienza si collocò nella terza consigliatura municipale del dopoguerra, dopo quella del 1946 (sindaco Crespellani fino al 1949) e del 1952 (con sindaco Leo, in carica peraltro dal 1949, avvicendando il collega Crespellani passato alla presidenza della Regione Autonoma allora al suo esordio).

La terza consigliatura del 1956, quadriennale in quanto a durata, fu piuttosto tormentata a causa anche delle ricadute che i nuovi equilibri che si sarebbero voluti affermare a livello regionale (dopo il successo a Sassari dei “giovani Turchi” di Francesco Cossiga e sodali, da Dettori a Giagu e Soddu, contro la consolidata lobby di potere dei dorotei di Antonio Segni) ebbero sulle amministrazioni locali.

La DC cagliaritana era ancora ampiamente caratterizzata da interessi clericali e moderati (per non dire conservatori): contavano i gruppi di pressione ora dell’Azione Cattolica e/o dei Comitati Civici, ora delle associazioni di categoria, fra commercio ed industria, artigianato ed agricoltura. La Camera di Commercio e le banche erano allineate al “pensiero unico” (ancorché babelico nelle sue espressioni) del biancofiore. E l’intero quadro politico, tanto alla Regione quanto in Comune, era condizionato dalle dimensioni del partito di maggioranza relativa per come esse si traducevano in termini di seggi nelle assemblee rappresentative. E se alla Regione per alcuni anni (1955-58) le giunte a presidenza Brotzu si erano rette – evidentemente senza prospettive spendibili nel lungo periodo – con l’appoggio palese o sotterraneo dei monarchici e dei missini, non granché diverso era accaduto, o accadeva, a Cagliari negli stessi anni: si procedeva con monocolori che in aula erano più o meno gratificati del voto della destra laquale peraltro, a fine decennio, entrò in crisi essa stessa lacerandosi al proprio interno e soffrendo vere e proprie scissioni (così nel MSI come nel fronte monarchico con i laurini popolari avversari dei nazionali). E fu in tale contesto che si situò, sul tramonto della consigliatura, la sindacatura Peretti.

Al rinnovo elettorale del 1956 la DC cagliaritana aveva raccolto oltre 28mila voti conquistando 22 dei 50 seggi del Consiglio. Fra gli eletti Giuseppe Peretti, presentatosi come indipendente, raccolse 829 preferenze. Il resto dei seggi era molto frazionato: i comunisti ed i socialisti portarono rispettivamente 8 e 5 eletti, i monarchici ed i missini 3 e 6, i liberali 4, la socialdemocrazia ed il Partito Sardo d’Azione uno ciascuno. Con qualche fatica si era dato corso ad un avvicendamento, sullo scranno sindacale, fra Pietro Leo e Mario Palomba. Con il suo monocolore sostenuto dalle forze di destra (o da parte di esse) si era arrivati alla primavera del 1960; il sindaco era stato infine sconfitto dalle turbolenze interne al suo partito il quale aveva cercato, con molti affanni, un rimedio lanciando la candidatura di Antonio Follese che, eletto e dopo anche aver presentato la sua giunta, aveva rinunciato al mandato. Nuove convulsioni, nuova ricerca di equilibri pacificatori in vista delle elezioni fissate per l’inizio di novembre. Ed è lì che uscì vincente, infine, il nome di Giuseppe Peretti, il solo capace – per l’evidente autorevolezza dell’uomo – di assicurare la pacificazione delle anime cattoliche e, insieme, la corretta amministrazione della cosa pubblica. Su di lui, infatti, conversero i quattro voti liberali e quello del sardista Giovanni Battista Melis, che costituirono con quelli democristiani la nuova maggioranza amministrativa. Peretti non si votò, manco a dubitarne.

La sua giunta entrò in carica l’11 giugno, e cessò il 29 dicembre dello stesso 1960, quando – dopo il nuovo turno elettorale – avrebbe passato il testimone ad un esecutivo Brotzu (proprio di quel Giuseppe Brotzu, scienziato di levatura mondiale, che lo aveva preceduto, negli anni fra ’30 e ’40, sullo scranno rettorale e politicamente passava – con breve intervallo – dalla presidenza della giunta regionale a quella comunale del capoluogo).

I voti liberali e sardista erano offerti a lui e alla città, non certo alla Democrazia Cristiana, che non li meritava. Gli assessori erano in gran parte quelli già scelti dal predecessore Follese (che per se tenne le Finanze e il Bilancio) e già prima dal sindaco Palomba: MariaTeresa Atzori alla Pubblica Istruzione, Mario Floris all’Igiene e Sanità, Enrico Garau agli Alloggi, Piero Grimaldi all’Annona e Mercati, Mario Spiga ai Servizi alle frazioni, Brunello Massazza alla Polizia Urbana, Viabilità, Autotrasporti e Nettezza Urbana, Antonio Falciani all’Assistenza e Beneficenza, Luigi Fantola ai Lavori Pubblici e Servizi tecnologici, Francesco Onano all’Economato e disciplina del commercio, Salvatore Sole allo Sport e turismo, Eliseo Fois ai Cantieri di lavoro.

La città conobbe, nel 1960, la maturazione di alcuni dei progetti già avviati, e l’inizio di altri lavori che sarebbe toccato agli amministratori futuri sviluppare e portare a compimento. Le maggiori banche aprirono le loro sedi nella city del Largo, al posto dell’antico Partenone: così la BNL (a luglio) e la Banca d’Italia (a dicembre). Partirono i lavori alla Cittadella dei musei…

Quando divenne sindaco Giuseppe Peretti, era appena stato inaugurato (il 30 aprile) il grande seminario arcivescovile di San Michele, s’era celebrata la giornata della Dante (con la presenza di Piero Bargellini, prossimo sindaco di Firenze) e ricevuta in città la delegazione del Consiglio d’Europa, s’era aperto un museo didattico alle elementari di piazza Garibaldi…

La microscena cittadina nel teatro del mondo

Se la grande storia segnava la decolonizzazione di numerosi paesi (sedici nella sola Africa) o l’elezione presidenziale negli USA di John F. Kennedy, e in Italia l’inaugurazione dell’aeroporto di Fiumicino e lo svolgimento delle olimpiadi, l’uscita de Il Giorno della civetta di Leonardo Sciascia o le drammatiche reazioni al congresso missino a Genova (è in carica il governo Tambroni, che ha avvicendato quello presieduto da Antonio Segni), la cronaca cittadina dell’estate ed autunno 1960 – le due stagioni su cui si stese l’Amministrazione Peretti – segnalava fatti evidentemente meno eclatanti ma pur interessanti sui molti fronti della vita sociale.

Sulla scena regionale, e anche cittadina, dominava il dibattito sull’atteso Piano di Rinascita, che sarebbe diventato legge soltanto nel 1962, mentre prendeva piede l’industrializzazione del Sulcis-Iglesiente con l’avvio della supercentrale di Portovesme, pur nel mezzo delle nuove agitazioni sindacali e dell’occupazione dei pozzi da parte dei minatori (92 giorni!), appena compensate, moralmente, dalla notifica del “non gradimento”, da parte della Regione Autonoma, al direttore generale della Pertusola. Mille avvenimenti, grandi e piccoli, si svolgevano a Cagliari riempiendo le pagine della cronaca, dei quali si potrebbe abbozzare un vago elenco, a mo’ di didascalia, quanto meno per risvegliare idealmente le atmosfere del tempo passato: mostra artigianale di San Saturnino, giornata del pescatore, saggi musicali al Conservatorio di Castello, Amerigo Vespucci in porto, congresso degli architetti sui quartieri residenziali e la città verticale, demolizione del palazzo della Dogana, trionfi delle operette al Teatro Giardino e delle opere all’Anfiteatro, congresso nazionale di stomatologia poi quello degli oculisti, decesso del mitico professor Liborio Azzolina, risurrezione dell’Unione Sportiva Cagliari e inaugurazione del Villaggio Paradiso, processo cosiddetto “del sapone” ed assegnazione delle case comunali, apertura del mercato all’ingrosso, nuova chiesa e nuovo porticciolo al Poetto, Dorelli e Claudio Villa e il Quartetto Cetra al festival della canzone con Walter Chiari e il maestro Kramer, visita dei giornalisti tedeschi, gita vespistica, prime idee sul CEP prossimo venturo, sede RAI in viale Bonaria, dibattito sulla censura cinematografica, conferenza di padre Ernesto Balducci agli Amici del libro, demolizione delle baracche di Tuvixeddu, primo progetto della megascalinata di Bonaria, assegnazione di nuovi numeri telefonici agli abbonati urbani ed estensione del servizio di filodiffusione, avvio del restauro dell’Auditorium, apertura dell’agenzia BPS in viale Trieste, torneo di bridge, in scena ad ottobre, al Massimo, La Giustizia di Giuseppe Dessì e Questi nostri figli di Fabio Maria Crivelli…

Naturalmente la prospettiva temporale molto ravvicinata e il taglio puramente amministrativo e non politico della giunta Peretti non concesse ad essa speciali benemerenze oltre la buona conduzione degli affari correnti. Suo compito era di impostare il bilancio e seguire il corso burocratico dei lavori d’interesse cittadino, dalle case alle fognature, dalla illuminazione pubblica alla nettezza urbana al verde di Monte Urpinu… Da giugno a dicembre: Peretti non si ripresento alle elezioni che marcarono un grande successo personale, in termini di preferenze, per Giuseppe Brotzu. A lui, come detto, avrebbe passato il testimone.

La signorilità del sindaco conquistò comunque il rispetto anche di quella parte di città che non si riconosceva, politicamente, nei colori uniformi della sua giunta. Idem dalle opposizioni in Consiglio.

Una rispettosa scappellata da “L’Unione Sarda”

Importa in questo stesso senso rilevare come, quasi alla fine della esperienza del governo cittadino (esattamente il 13 novembre 1960), un articolo de L’Unione Sarda dette pubblico riconoscimento al professor Peretti della linearità del suo disinteressato servizio in favore di Cagliari. Un servizio peraltro convergente con quello svolto in quanto magnifico rettore ancora in carica.

A firmare il lungo pezzo fu lo stesso storico capocronista Antonio Ballero, decano della redazione del quotidiano di Terrapieno. Titolo: “Saluto al sindaco Peretti”.

Eccone qui di seguito il testo:

«E adesso, calmatesi le agitate acque, giunto all’epilogo il travaglio elettorale, sommate le cifre dei voti ed elencati i nomi degli eletti, sia lecito alla cronaca – nella momentanea tregua che lascia per intanto tranquilli i partiti, soddisfatti o no dell’esito, e sopiti i contrasti – di rivolgere un saluto al Sindaco uscente.

«Ci pare questo il momento più opportuno, al di fuori e al di sopra delle lusinghe e degli inganni della propaganda, lontano dalle intemperanze  della lotta, delle rivalità, della polemica, e invero lo riteniamo confacente allo spirito e all’indole di colui che, dopo meditata riflessione e con piena consapevolezza dei propri compiti e doveri, accettò l’alto incarico senza esibizionistico chiasso e non senza personale sacrificio, e l’alto incarico ora lascia, allontanandosi in silenzio dall’attività politica, facendo ritorno al suo lavoro di scienziato e di studioso. Sia dunque lecito alla cronaca, in questo momento, nell’intervallo che precede l’insediamento del nuovo Consiglio comunale e la nomina del nuovo Sindaco, di rivolgere  un saluto, il doveroso saluto, al prof. Giuseppe Peretti. Egli, tra pochi giorni, forse tracciato su poche note il consuntivo dell’opera compiuta in quattro mesi di amministrazione, farà le consegne al suo successore: pertanto siamo certi d’interpretare il pensiero e i sentimenti di tutta la cittadinanza manifestandogli, con il saluto del commiato, il più vivo ringraziamento.

«Perché? Indubbiamente, la cittadinanza cagliaritana non può esimersi dal tributare al prof. Giuseppe Peretti un particolare attestato di gratitudine. Bisogna andare un po’ indietro nel tempo, allo scorso giugno, quando dopo tre mesi di crisi prolungatasi in paralisi di tutta l’attività municipale, incombeva sul Comune la drastica soluzione di un commissario governativo. Non era, sotto molti punti di vista, una soluzione accettabile, a breve distanza dalle elezioni, e avrebbe potuto provocare infatti l’esclusione di Cagliari dalla competizione di novembre rimandando il ricorso alle urne ad un’epoca imprevedibile.

«Questo pericolo, e varie altre considerazioni di carattere politico e di interesse amministrativo, indussero i partiti ad ostacolare l’avvento del regime commissariale, ma la crisi, originata dalle dimissioni della Giunta Palomba, non riusciva a trovare la via  di una qualsiasi composizione. E’ troppo recente la consumata vicenda per doverla riesumare. Dopo il passaggio all’opposizione anche del gruppo del PDI la Democrazia Cristiana era venuta a trovarsi in seno al Consiglio praticamente isolata.

«Fallita l’iniziativa Follese, che rinunciò alla Giunta a fatica formata per il polemico inserimento in essa di un consigliere monarchico, la DC, impossibilitata a rimediare in qualsiasi altro modo, dovette assoggettarsi alla proposta liberale-sardista  che, pure aderendo al rinnovo di una Giunta minoritaria democristiana, condizionava il proprio appoggio alla scelta della persona del Sindaco.

«Fu a questo punto che la DC da una parte, il PLI e il PSd’A dall’altra, invitarono e sollecitarono il prof. Giuseppe Peretti ad accettare l’incarico.

«Era un’eredità pesante. La Giunta Palomba aveva cessato l’Amministrazione subissata dalle critiche, rivoltele per tre anni e mezzo non soltanto dai banchi dell’opposizione ma sovente anche da quelli della DC, e abbandonata proprio nel periodo più cruciale mentre ancora divampavano le polemiche per la faccenda del grattacielo e il processo ai netturbini, da coloro che sino ad allora la avevano sostenuta: i monarchici. Era una eredità pesante. Dopo i tre mesi di crisi il nuovo Sindaco avrebbe dovuto ridar l’avvio a tutta l’attività amministrativa con il bilancio di previsione per l’esercizio in corso ancora da approvare, con molti problemi in sospeso, con parecchie pratiche in attesa di definizione e che non ammettevano ulteriori deroghe.

«Il più profondo concetto della civica esigenza e la sensiblità del cittadino cosciente di un delicato dovere da compiere prevalsero su ogni altro ragionamento di opportunità e di convenienza, di proprio comodo o disagio, e il prof. Peretti accettò. Quale indipendente nella compagine democristiana non lo legavano al partito specifici obblighi di solidarietà e di disciplina, né all’invito aderì quindi sotto pressioni partigiane e particolaristiche, ma, come abbiamo detto, con meditato pensiero e alto senso di responsabilità, lieto di poter servire la sua città e la sua città aiutare in una critica situazione.

«Altri certamente si sarebbero comportati e si comporterebbero come lui in similari contingenze poiché gli esponenti politici, i  preposti a pubblici uffici e a pubbliche funzioni non possono né devono sottrarsi ai compiti e ai rischi del comando quando le necessità lo impongono, quando lo richiedono il bene e l’avvenire della collettività. E qui non si intende affatto elogiare il prof. Peretti – egli per primo non gradirebbe un tale elogio – ma sottolineare il modo col quale venne incontro alle sollecitazioni dei circoli politici, la premura e la semplicità con la quale diede il proprio assenso – nel volger breve di una giornata, attraverso concitate telefonate  e animate riunioni, mentre la crisi era al culmine e andava scadendo il termine ultimo concesso dal Prefetto – e per la dirittura e lo scrupolo con i quali, di poi, assunse e mantenne l’impegno.

«Quattro mesi di amministrazione, e di una amministrazione agli sgoccioli e in via di scioglimento,  ingombra pertanto di pratiche già avviate o senz’altro decise, di orientamenti e di impostazioni che il nuovo Sindaco si è trovato magari costretto a portare innanzi suo malgrado, non consentono invero di esprimere un giudizio, un esauriente giudizio, sull’operato del prof. Peretti. Né lui, di sicuro, lo vuole e lo richiede, ben sapendo che quattro mesi costituiscono  un angusto lasso di tempo perché il valore, la capacità, l’attitudine di un amministratore possano manifestarsi e rifulgere in piena e vasta attività. Ma, senza dubbio alcuno, in pur così limitato periodo, il prof. Peretti diede una personalissima impronta a tutto l’andamento della vita comunale: nei quindici giorni in cui volle prendere quotidiani contatti con gli uffici e con i collaboratori, subito assicurando maggior regolarità  e ordine nell’ingranaggio della casa municipale, durante le riunioni del Consiglio in cui seppe dirigere i lavori con prontezza, con tatto e signorilità, nella preparazione di un programma naturalmente ridotto, ma che raccolse i maggiori e più urgenti problemi sul tappeto.

«Non è il caso di elencare questi problemi, di precisare quanti hanno trovato felice o non proprio felice soluzione, quali altri sono rimasti da risolvere, quanto era indispensabile che fosse compiuto, quanto era da completare e perfezionare nel complesso amministrativo ereditato dalla Giunta Palomba,  lo è stato, è oggi pienamente a punto.

«Con eguale alacrità ed eguale interessamento il Sindaco Peretti ha retto le sorti del Comune nella vacanza del Consiglio e non pochi sono stati i provvedimenti da lui adottati anche se nell’ambito dell’ordinaria amministrazione . “Ritengo un dovere civico in questo particolare momento – aveva detto il prof. Peretti appena eletto sindaco – accettare l’incarico che il Consiglio ha voluto affidarmi e che accetto con l’intento di condurre il Comune sino alle elezioni”.Poche, semplici parole e – ligio all’impegno – ha condotto il comune sino alle elezioni.

«Il prof. Giuseppe Peretti non è tornato candidato nelle recenti elezioni. Ci piace pensare che il predominante motivo della sua rinuncia si debba ricercare nel desiderio di nuovamente e più intensamente dedicarsi ai suoi studi, al suo oneroso compito di Rettore Magnifico dell’Università.  Del resto il prof. Peretti, anche non partecipando alla vita attiva del Comune, continuerà a dare il suo intelligente e fattivo contributo alla città di Cagliari: in quell’importante settore dell’alta cultura dove, proprio per suo appassionato intervento, si vanno sempre più e meglio sistemando e potenziando gli istituti universitari, dove non mancherà di essere realizzata l’eccellente iniziativa, da lui caldamente appoggiata, che farà dell’area dell’ex-Arsenale la degna sede dei Musei in una indovinata sistemazione urbanistica. E con l’augurio che tali opere egli possa vedere al più presto realizzate – sicuri di fedelmente interpretare l’unanime sentimento cittadino – rivolgiamo il saluto al Sindaco uscente».

 

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