Una Chiesa sarda non di soli preti: intervista a Salvatore Cubeddu, di MARIO GIRAU

Dal 12 al 14  ottobre  2016 una numerosa rappresentanza di preti si ritroverà a Orosei per discutere di formazione permanente dei presbiteri. In sostanza sacerdoti che
parleranno soprattutto a se stessi nel tentativo  anche di delineare un volto nuovo per le dieci chiese sarde. Solo per aiutare il clero in questa sua non facile riflessione, abbiamo chiesto a Salvatore Cubeddu,  di rispondere sostanzialmente alla seguente domanda: quali preti per quale Chiesa Sarda oggi?

(L’intervista è stata pubblicata  nel periodico della diocesi di Ales-Terralba,  NUOVO CAMMINO, lo scorso 11 settembre)

 

Dal 12 al 14  ottobre una numerosa rappresentanza di preti si ritroverà a Orosei per discutere di formazione permanente dei presbiteri. In sostanza sacerdoti che parleranno soprattutto a se stessi nel tentativo  anche di delineare un volto nuovo per le dieci chiese sarde. Solo per aiutare il clero in questa sua non facile riflessione, abbiamo chiesto a Salvatore Cubeddu, sociologo ( laurea a Trento), scrittore, ex sindacalista e insegnante, conoscitore come pochi della società isolana, di rispondere sostanzialmente alla seguente domanda: quali preti per quale Chiesa Sarda oggi?

Un laico  libero, non appartenente a nessun gruppo ecclesiale organizzato, ma attento osservatore, da giovane per qualche anno nel seminario regionale.

“ Un’esperienza  conclusa alla fine degli anni Sessanta. In una cristianità che si faceva cosciente di non essere più tale, ma si avviava a diventare minoranza  all’interno di una società sempre più secolarizzata; con le donne che iniziavano ad abbandonare esse pure una Chiesa che non consentiva loro il controllo ’individuale’ delle nascite; con una parte del clero (talora la più vivace intellettualmente) che non reggeva la solitudine esistenziale; nel mentre iniziava il lungo papato di Woytila che amplificava la spettacolarizzazione di massa  della propria azione pastorale e delle celebrazioni liturgiche quali succedanee di una nuova politica di clericalizzazione della Chiesa”.

 

2. Clericalizzazione: perché?

“Cancellati quasi al completo quell’insieme  di associazioni laicali costruitesi nei secoli della “cristianità”, entrate in crisi le associazioni professionali legati all’Azione cattolica, il clero è rimasto solo  ma titolare di tutto (beni spirituali e … temporali), in una Chiesa tentata  dappertutto di imitare gli spettacoli liturgici  romani.  Un mio amico la chiama da anni “la mondanità spirituale del clero”. La tv: vanitas vanitatum …tentazione irresistibile.  Credo di non stupire nessuno se affermo che l’identificazione tra clero e chiesa  non è stata mai così esclusiva”.

 

3. Lei conosce sacerdoti che stima e non  solo ….

“Alcuni sacerdoti, anche giovani, continuano a stupirmi positivamente. Nell’educazione dei ragazzi spesso rappresentano l’unica ancora di salvezza per le famiglie. Più invecchio e più mi sorprende che esistano persone la cui ‘professione’ consista nel fare il bene”.

 

4. E, allora, perché tanta severità? La clericalizzazione può essere un prezzo da pagare?

“Non per chi è interessato alla  Chiesa di Cristo quale popolo che Dio ha scelto, al cui interno opera il sacerdote. Ne parlo con amici che vanno riaccostandosi alla fede mossi da empatia verso papa Francesco. Questi tornano in chiesa e vi ritrovano discorsi e atteggiamenti che li avevano allontanati, si chiedono se i preti non siano diventati più ignoranti. Faticano ad individuare personalità con cui meriti confrontarsi”.

 

5. E quindi?

“ Bisogna che il clero trovi il modo e la capacità di misurarsi con i laici, innanzitutto quelli cattolici. La domanda di evangelizzazione anche in Sardegna è immensa. Lo Spirito Santo ci assale con messaggi e ci carica di opportunità. La domanda del nostro popolo cristiano avrebbe bisogno di una “teologia del popolo”, che in esso abbia fiducia, e che lavori per rispondergli. Si ha invece la sensazione che tanti, del clero, questo popolo proprio non lo capiscano. Come la grande massa dell’intellettualità sarda”.

 

6. Che c’entra l’intellettualità sarda?

“Il clero è l’archetipo dell’intellettualità, in Sardegna come in tutto l’Occidente. L’intellettualità è oggi al potere in Sardegna e si distingue per una speciale separatezza dal popolo. Un lusso che la Chiesa non può permettersi. Abbiamo bisogno di vescovi e di preti vicini al popolo, non di fiduciari territoriali di un’organizzazione multinazionale”.

 

7. Cosa significa “vescovi e preti vicini al popolo”?

“Abbiamo degli esempi: i nostri vescovi ed i laici che hanno celebrato il Concilio Plenario sardo ed elaborato i suoi documenti riflettendo sul destino della fede dei Sardi; il modo con il quale mons. Arrigo Miglio ci ha fatto vivere negli ultimi due anni la messa in occasione di sa die de sa Sardigna;  sacerdoti, che tutti conosciamo,  con la passione per un Vangelo da ‘inculturare’ finalmente nella società sarda.

 

8. Ma esistono dei laici disponibili a collaborare alla formazione del clero, che rappresenterà comunque il nocciolo delle questioni sulle quali intervenire?

” Da quanto ho capito funziona ancora oggi nei seminari il metodo proposto da don Fernando Pavanello ai suoi seminaristi di Verona negli anni ’60. Ottimo, se non fosse che si trattava di seminaristi che concludevano gli studi teologici dopo aver frequentato il seminario a partire dagli undici anni. Mantenendo il tanto di valido che resiste di quell’esperienza, oggi bisognerebbe offrire ai giovani (e non giovani) destinati al sacerdozio un severo percorso di studi ed esperienze di lavoro, anche manuale, che li porti a venire ordinati in un lasso di tempo che ne verifichi la maturità umana e cristiana. Per la quale sarà inevitabile un lungo (almeno dieci anni?) periodo formativo, che consideri importante l’intervento ed il giudizio della comunità ecclesiale di appartenenza insieme a tutto coloro che sono stati loro vicini”.

 

8. La qualità prima di tutto, quindi?

Ne sono convinto. La Chiesa cattolica – la più grande, complessa e longeva organizzazione della storia umana – andrà necessariamente incontro ad un’importante ‘ristrutturazione’ organizzativa. Il clero, anche in Sardegna, rappresenta la categoria che dovrà per prima affrontare i problemi del suo crollo demografico.  Per evitare l’estinzione e mantenere la qualità, tante posizioni oggi ricoperte da preti verranno passate a diaconi,‘accoliti e laici. Ai sacerdoti verrà richiesta ulteriore competenza ed autorevolezza.

 

9. Personalmente, cosa chiederebbe dalla e per la Chiesa sarda?

“Oltre al già detto, ad esempio, una riflessione sulla costante sensibilità dei sardi verso le feste dei santi, quale possibile tramite per una crescita di consapevolezza evangelica. La lingua dei  Sardi nella liturgia ci aiuterebbe a credere in Gesù ed in noi stessi (provare per ‘credere’!).  Nelle città sarebbe bello riunirsi con il vescovo ed i presbiteri per conoscersi, pregare e confrontarsi sui modi di annunciare il Vangelo. Penserei, a Cagliari, ad incontri nella chiesa di S. Agostino.  Nuove forme di confronto ed aggregazione. Siamo ormai un ‘piccolo gregge’.

 

 

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