Livio Ferruzzi, un arborense cittadino del mondo, di Alberto Medda Costella

 

«Ognuno di noi riceve un imprinting all’inizio della vita. Chi dalle vette su cui nasce, chi dal mestiere di suo padre, chi da un amore e chi da uno sgarbo. Livio Ferruzzi è nato nel 1940 in una città che non esisteva prima che l’uomo prosciugasse le paludi di Terralba, alla quale arrivi percorrendo strade lunghe e dritte come argini e che ha costruito la sua fortuna sull’allevamento e sull’agricoltura. Era inevitabile che un uomo simile passasse la vita a bonificare terreni e ad ingegnarsi su come sfruttarli al meglio»[1].

Sono le parole utilizzate da Paolo Viana, giornalista de “L’Avvenire”, per riassumere le origini di Livio Ferruzzi. A qualche arborense questo cognome potrebbe non suggerire nulla, ma chi ha vissuto l’epopea della bonifica e il secondo dopoguerra, quando il paese era ancora nelle mani della Società Bonifiche Sarde (SBS), non può ignorare chi fosse Giovanni Ferruzzi. Livio era figlio di uno dei fattori, valorosi tecnici di cui si serviva la SBS per mandare avanti i poderi dell’intera piana e guidare le famiglie dei mezzadri nella gestione del fondo. La mamma, Maria Fenati, era cugina del noto statista democristiano Adone Zoli, che alla fine degli anni ’50 fu presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Erano arrivati da Predappio nel febbraio del 1931, su interessamento di Rachele Guidi, moglie del duce, per prendere possesso della casa d’agenzia nel centro colonico di Pompongias, una delle borgate della bonifica di Arborea, l’allora Mussolinia[2].

A ogni modo Livio Ferruzzi è stato l’uomo di fiducia del noto gruppo omonimo per tantissimi anni, perlomeno nel campo agricolo, dato che la holding aveva interessi anche in altri settori industriali in tutti i continenti. Il fatto che portasse lo stesso cognome del noto imprenditore ravennate è soltanto un caso. Più volte gli si chiese conto di questo particolare e, come conferma la moglie Maria Giulia Monetti, per non perdersi in spiegazioni dovette accettare in certe situazioni di passare per il figlio del patron[3].

Il rapporto con Serafino Ferruzzi ebbe inizio agli albori degli anni ’70, quando questi acquistò in North Carolina, negli USA, la tenuta di Open Grounds Farm. Livio era nato in una terra di confine ed estrema, nota in Italia per i grandi risultati ottenuti in campo agricolo, ragion per cui era conseguente considerarlo l’uomo giusto per trasformare una landa paludosa da bonificare in un’azienda modello. Le ultime persone che avevano provato a rendere produttivi quegli acquitrini erano stati gli schiavi prima della guerra civile americana[4].

Serafino, venendo anche lui dalla terra, capì subito che ci si poteva fidare di quel giovane sardo. La bonifica di Open Grounds Farm venne anche osteggiata dall’EPA (Enviroment Protection Agency), l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, ma, grazie allo studio legale di Claude R. Wheatly III, si riuscì a portare avanti le idee dell’agronomo di Arborea e a raggiungere tutti gli obiettivi propostisi avviando quell’impresa. E l’allora giovane, competente ed ambizioso Livio si conquistò così sul campo la stima e la fiducia dei massimi vertici aziendali. Grazie ad uno studio approfondito e costante del suolo, si arrivò ad ottenere dei risultati mai raggiunti prima[5].

Era partito per Bologna con un volo da Cagliari, dove aveva condotto gli studi superiori in agraria. L’iscrizione all’università fu automatica. Aveva preso lezioni da professori del calibro di Maria Teresa Amaducci e Gianpietro Venturi, alternando il tempo sui libri a quelli trascorsi nell’azienda di pesche dello zio (il famoso Giulio Colombani “re” delle conserve) a Copparo, nel Ferrarese. Il mondo universitario era però impregnato della mentalità agricola degli anni ’60 – così diceva lo stesso Livio nel 2011 – che privilegiava interventi a calendario, semplici per chi li fa, remunerativi per chi vende i prodotti chimici: «Nessuno utilizzava gli IPM (Integrated Pest Management), ossia la lotta integrata». Così Livio, dopo aver incontrato Serafino Ferruzzi, prese l’aereo per gli Stati Uniti. Era il 1974[6].

Intanto le attività del gruppo andavano progressivamente allargandosi ad altri campi, con l’acquisizione del controllo del gruppo Montedison. Un impero che con le sue proprietà fondiarie ed agroindustriali partiva da Udine per arrivare alle Ardenne, passando per il North Carolina e l’Alto Paranà, per tornare nuovamente a Ravenna, mentre in Italia decollava il progetto sulla produzione di soia di Raul Gardini – genero di Serafino – , grazie alle rassicurazioni date proprio dallo stesso Livio. Quest’ultimo, accreditato ormai come una delle menti più brillanti dell’intera holding, proseguì con il suo lavoro in Brasile. Nel 1977 l’azienda di Mogno avviò uno dei più grandi disboscamenti della foresta Amazzonica, per strappare alla natura terreni da trasformare in grandi coltivazioni. Il governo brasiliano dava la possibilità a moltissimi giovani di sostituire il servizio militare con il lavoro nei cantieri di disboscamento. Fu questo forse, negli anni della vecchiaia, l’unico pentimento di Livio ferruzzi, che col senno di poi avrebbe convenuto di essere stato protagonista di quel disastro: «Nella mente, di tanto in tanto, ascolto ancora il rumore della foresta che crolla». Per soggiungere: «Ho cambiato idea sul disboscamento e me l’hanno fatta cambiare gli esperti della Duke University». Da parte sua, il professore di ecologia marina Kirby-Smith avrebbe dichiarato: «Livio Ferruzzi è l’uomo d’affari più etico che abbia conosciuto e una delle persone di questo ambiente più sinceramente interessate all’agricoltura ecocompatibile. Per lui la buona pratica agricola include tutto, compresa la tenuta di una strada poderale per prevenire l’erosione della foresta pluviale»[7].

Nel 1978 fu la volta del Paraguay. Nell’azienda Agropeco venne impiantata una coltivazione di soia OGM di 7.800 ettari. Il resto della tenuta fu destinata a riserva ecologica, ed oggi essa rappresenta la più grande foresta atlantica e tropicale privata, svolgendo anche la funzione di barriera rispetto agli impatti negativi della messa a coltura. Sarebbe stato proprio Kirby-Smith a dare consigli preziosi sulla gestione della foresta. Si avviava così una collaborazione tra Università e Agropeco per lo sviluppo sostenibile[8].

Las Cabezas, in Argentina, è stata invece il quartier generale del gruppo Ferruzzi[9]. L’azienda era soprannominata “il miracolo italiano”. Si trattava di una tenuta di 10.000 ettari di seminati e 8.000 destinati all’allevamento di vacche Hereford, le migliori per la produzione di carne. In questo caso non era stata fatta nessuna bonifica, ma si era soltanto proceduto alla razionalizzazione dei sistemi di coltivazione e dell’allevamento, con investimenti importanti nella meccanizzazione. Si coltivava soia, mais e frumento.

Venne poi la volta del progetto in URSS, a Stavropol, sotto Mikhail Gorbaciov. Si era nel 1988, in piena Glasnost. L’ultimo segretario generale del Partito Comunista Sovietico, grazie anche ai suoi studi in agraria (proprio a Stavropol), aveva pensato al gruppo italiano dei Ferruzzi per risolvere i grossi problemi di approvvigionamento alimentare della popolazione. Inizialmente all’operazione dovevano essere destinati 500.000 ettari, ma poi si limitò l’intervento alla sola parte agricola. Si cominciò a coltivare mais, soia, barbabietole da zucchero e girasole; a migliorare gli allevamenti e ad ampliare la gamma, ad introdurre nuove macchine ed a creare degli stabilimenti industriali efficientando l’organizzazione del lavoro. Il fallito colpo di stato ai danni di Gorbaciov e il conseguente dissolvimento dell’Unione Sovietica che portò Boris Eltsin al potere, fecero saltare l’accordo e vanificarono i risultanti raggiunti dalla cura Ferruzzi (Livio).

All’indomani della morte tragica di Raul Gardini e con i vertici del gruppo in carcere, in seguito alle inchieste giudiziarie di tangentopoli, Livio Ferruzzi rientrò in Italia per passare al gruppo Cragnotti come consulente generale di Cirio-Bertolli-De Rica e gestore della fagianeria e dei toteri di Caserta. Se Cirio agricola è potuta rimanere in vita con ottimi risultati, anche dopo il crack degli inizi del Duemila, il merito è da ascriversi tutto all’agronomo nato ad Arborea, che nelle stalle del gruppo campano seppe introdurre miglioramenti tecnici nella mungitura e per il benessere animale.

Fu nel 2000 che egli tornò alla guida di un’impresa del ricostituito gruppo Ferruzzi, ovvero FerSam, ricreato per volontà della figlia del commendator Serafino, Alessandra, e del marito Carlo Sama. Di essa, che nel frattempo aveva riacquistato le imprese in Paraguay e in Argentina ed il 2% del capitale delle Bonifiche Ferraresi, il sardo Ferruzzi divenne amministratore delegato. A favore degli OGM e rivoluzionario nell’organizzazione dei costi, egli riteneva sbagliato affidare a terzisti le operazioni in campagna, perché ci si sarebbe legati mani e piedi a soggetti non interessati all’utile aziendale e neanche allo sviluppo del bene fondiario.

«Los hombres que trabajan la tierra son los caballeros del mundo» è scritto nella quarta di copertina dell’opera biografica scritta da Paolo Viana. Non poteva essere diversamente per chi ha le sue radici nell’area a più alta vocazione agricola della Sardegna, e che, nonostante abbia lavorato nei cinque continenti, è rimasto profondamente legato al suo paese, Arborea[10].

Nel 2012 Livio Ferruzzi è morto per un male incurabile. Oggi è sepolto nella tomba di famiglia del cimitero della cittadina in provincia di Oristano e a lui è dedicata una borsa di studio nell’Università del North Carolina.


[1] P. Viana, Aioh! Livio Ferruzzi, una vita per l’agricoltura, Torino, FerSam Uruguay S.A. Ediciones, 2011.

[2] Tutte informazioni raccolte grazie alle testimonianze rilasciate da Maria Giulia Monetti e Giovanna Ferruzzi, rispettivamente moglie e sorella di Livio, il 27 luglio 2016 ad Arborea.

[3] Ivi.

[4] Dopo la guerra di secessione queste terre ritornarono ad essere popolate da orsi e serpenti.

[5] OGF è un’area in cui il fosforo sparisce rapidamente, che anche se si sapeva leggere attentamente le analisi si rischiava di sbagliare cura a causa della nitrificazione violenta del suolo.

[6] P.Viana, Aioh!, op. cit.

[7] Venne messa in piedi un’azienda di 500.000 ettari. Ivi.

[8] Lo sfruttamento agricolo, per condurre alla massima produttività possibile, presuppone il rispetto degli equilibri dell’ecosistema.

[9] Dove si prendevano le decisioni più importanti. P. Viana, Aioh!, op. cit.

[10] Ivi.

 

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    1 Comment to “Livio Ferruzzi, un arborense cittadino del mondo, di Alberto Medda Costella”

    1. By Gianni Sardo, 25 agosto 2016 @ 18:07

      La nostra comunità gli dovrebbe delle scuse, avevamo uno dei migliori agronomi del mondo e non gli abbiamo mai chiesto un consiglio. che da lassù ci perdoni !