Tre nomi, tre storie. L’accelerazione massonica, a Cagliari, nel 1986. E la protesta del sindaco De Magistris , di Gianfranco Murtas

In occasione della recente pubblicazione, proprio nel sito di Fondazione Sardinia, della cronaca di un percorso massonico, laico e civile eppur denso di intima religiosità, celebrato nel camposanto municipale di San Michele da parte dei rappresentanti di alcune fra le più vivaci logge giustinianee di Cagliari, e dei brevi profili biografici delle personalità onorate in quella inedita visita comunitaria, mi è stato chiesto, da varie parti, qualche approfondimento o comunque un più generale inquadramento dello sviluppo “moderno”del sistema liberomuratorio cittadino.

Sulla scorta dei materiali raccolti dall’Archivio storico generale della Massoneria sarda, dei memoriali, delle carte amministrative e dell’abbondante emeroteca obbedienziale non mi è stato difficile rispondere, ma credo che un focus meriterebbe – come per debito di calendario – l’anno 1986.

Contestualizzare gli eventi che segnarono, giusto trent’anni fa, la composita e complessa realtà della Libera Muratoria cagliaritana e sarda, non è granché difficile anche per l’abbondanza della documentazione che meriterebbe una adeguata sede di raccolta regionale, per un evidente obbligo morale dei contemporanei verso la storia, e dunque – mi riferisco agli interni – verso i predecessori, gli apripista, gli anticipatori, di cui sarebbe saviezza apprendere le vicende, ma obbligo morale anche verso i futuri, quelli che verranno ed avranno diritto di conoscere meglio chi e come ha preparato loro la strada. In altre parole, per gli interni tutto sarebbe volto ad una immediata fruizione in quanto necessità o impellenza formativa – d’altra parte la Massoneria come società di tradizione non potrebbe prescindere dalle memorie dei suoi archivi!

Per la platea degli studiosi o cultori della materia l’ordinata raccolta dei materiali sarebbe non meno utile, ancorché vada precisata – la cosa va da sé – una tempistica di consultazione rigorosamente rispettosa delle leggi sulla privacy, dunque fuori da ogni bassa intrusione di curiosi banali o da improprie finalità di speculazione avversaria.

La prospettiva nella quale collocare ogni approccio storico alle carte obbedienziali deve essere sempre, a mio avviso, quello di penetrare, e dunque comprendere, i dati dello specifico fraternale nel più vasto ambito delle dinamiche sociali e culturali del tempo analizzato. Ciò vale espressamente per i contenuti delle interne attività di studio e discussione su discipline di stretto esoterismo come su altre di profilo piuttosto letterario e civile lato sensu. Ma vale anche per le modalità prettamente organizzative della Compagnia, per la formazione del suo ceto magistrale, per le relazioni che si sanno sviluppare con soggetti esterni, chiamali profani, o con altri, della stessa della pertinenza fraternale, operativi altrove e anche lontano, magari nella logica dei gemellaggi (regionali, nazionali, internazionali).

S’è visto come, tanto più nei decenni di passaggio fra secolo vecchio e secolo nuovo, a ridosso di questo nostro presente cioè, si sia abbondantemente sviluppata la convegnistica massonica, con formule mixate e dunque con partecipazioni, non soltanto d’apparenza, di personalità eminenti della società religiosa, di quella professionale, accademica ed amministrativa (locale ma anche nazionale ed oltre) che ci sono note. Direi – soltanto a pescare dalla memoria breve – il padre Morittu e il professor Giorgio Pellegrini, i colleghi Giulio Angioni e Sergio Bullegas ed il saggista storico Paolo Fadda, il prorettore (allora) Maria del Zompo e i professori Tito Orrù, Stefano Pira, Maria Dolores Dessì, il medievista Andrea Pala ed Enrico della Ca’, docente di meditazione buddista,Ester Gessa direttrice della Biblioteca universitaria e don Mario Farci, direttore dell’Istituto di scienze religiose a Cagliari e titolare della cattedra di teologia sistematica e liturgia presso la facoltà del Sacro Cuore della Sardegna, altri docenti di teologia valdese, ebraica od islamica (Garrone, Di Segni e Adnane Mokrani) ed il lama GesheJangchubGyaltsen (del Centro della Compassione di Milano), i giuristi Gastaldi e Flores d’Arcais, Bonvecchio e Ricotti (degli atenei di Pavia e Siena, Insubria e Carli-Luiss), ecc. Sono trattenuti nella memoria breve anche i concorsi scolastici, per adolescenti e giovanissimi, ora sulla figura di Giordano Bruno ora, in tutt’altro campo,sull’hiv e le difese dai rischi d’infezione, così come l’organizzatissima accoglienza negli appuntamenti di Monumenti Aperti…

Sono dunque in formidabile implementazione i notiziari che possono oggi, ma veramente non da oggi soltanto, favorire una conoscenza rispettosa e intelligente delle attività massoniche anche nella nostra regione e, specificamente, a Cagliari. Tutto è in divenire, si sa, e seppure non al livello attuale anche di quanto realizzato trenta e passa anni fa i materiali di studio non mancano.

Ho detto del 1986. Al tempo funzionavano, in città, logge appartenenti esclusivamente al range del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani. Dopo la crisi dei circuiti scozzesi di Piazza del Gesù risvegliatisi anch’essi alla caduta della dittatura (e in particolare nelle ultime distinte formulazioni denominate ALAM ed AALLAAMM – Antichi Liberi Accettati Muratori), covava comunque – invero non a Cagliari ma a Nuoro – la ripresa di quelle compagini: l’anno successivo (1987) un gruppo di nuovi massoni barbaricini si sarebbe incardinato, come Triangolo (o subloggia), nei ranghi della romana Giustizia e Libertà, attivando un processo di crescita che avrebbe portato entro pochi anni alla formale fondazione, ai piedi dell’Ortobene già presidiato dalla giustinianea Giuseppe Garibaldi, della loggia ALAM e mista (cioè composta da uomini e donne) portante il titolo, giù utilizzato nell’Ottocento, di Eleonora [d’Arborea]. Da lì molto sarebbe venuto negli anni avvenire, in diversi Orienti sardi, ed a Cagliari soprattutto, in cui gli ALAM di Piazza del Gesù, ora ridenominatisi di Palazzo Vitelleschi, avrebbero conosciuto uno sviluppo cospicuo, non sempre coordinato e tranquillo, se è vero che incomprensioni ed eterogeneità di sensibilità ed anche di obiettivi avrebbe portato a frequenti rotture e dolorose e infeconde dispersioni.

 

L’esclusività territoriale

Aver indugiato su questo scenario eccentrico rispetto al tema che vorrei affrontare mi è parso necessario perché occorre metter in chiaro che molto, se non tutto, di quanto ha dato sostanza e dinamismo alla galassia massonica sarda di questi ultimi decenni ha preso le mosse allora. Perché quello che era stato per lungo o lunghissimo tempo un monopolio della Comunione di Palazzo Giustiniani – e correttamente allora si potevano giustapporre, sul nostro territorio, i termini “Massoneria” e “Grande Oriente d’Italia” – non è stato più valido od attuale in quest’ultimo trentennio, e meno che meno oggi, in quanto le Obbedienze massoniche radicatesi nell’Isola dalla fine degli anni ’80 e in crescendo, sono ormai diverse e direi anche numerose (nell’ordine della decina). Ed esse sono mutuamente concorrenti, vigendo il principio consolidato della esclusività territoriale, secondo cui in ogni nazione una, e una sola, è la Comunione (detta Gran Loggia o Grande Oriente) che entra in un circuito internazionale di coerenze protocollari, vale a dire di reciproci riconoscimenti.

Questa, invero, è stata la rigorosa interpretazione che dell’antico principio ha dato, storicamente e in una comprensibile autoreferenzialità, il Grande Oriente d’Italia, il quale dalla tradizione recupera a sé i valori della legittimità (che ha valore carismatico, così come nella Chiesa è per la “successione episcoporum”) e la regolarità (che è concetto piuttosto giuridico e disciplinare).Un certo ecumenismo praticato attualmente dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, cioè dalla massima autorità mondiale in campo liberomuratorio, tende ad allargare le maglie, ipotizzando coesistenze nazionali di Obbedienze diverse, purché rispondenti ad alcuni principi etici e d’ordinamento rituale costituenti veri e propri insuperabili landmarks (e fra questi rimane comunque l’iniziazione esclusivamente maschile, oltreché i riferimenti religiosi monoteisti associati all’aconfessionalismo ed all’apoliticità, la distinzione per gradi a crescere e la gerarchia di comando ed onore, la cosiddetta leggenda di Hiram, ecc.).

Sta di fatto che, a tutt’oggi, il campo, anche in Sardegna, è invaso da molte sigle – talune di conio nazionale altre di derivazione francese e comunque straniera – e sarebbe savio approccio alla materia da chi ne tratta sovente sulla stampa o nelle conferenze tener conto di tali complessità in parte effettivamente irriducibili. Ogni esperienza peraltro ha la sua nobiltà e porta alla società civile, quella che tutti ci comprende, valori e talenti intellettuali ed pratici degni di rispetto e considerazione.

Ciò non toglie che il primato, quanto meno per la dimensione dei suoi apparati, permanga all’area giustinianea che, come detto più volte, si differenzia dalla maggioranza delle concorrenti per il tratto multirituale, nel senso che alla base indiscussa dei tre gradi iniziali (il cosiddetto Ordine) fa seguire libere opzioni specialistiche nei Riti, da quello Scozzese a quello Scozzese rettificato, da quello dell’Arco Reale e/o di York a quello di Memphis e Misraim, a quello Noachita ecc,  quando invece le altre Obbedienze, non in rapporti di riconoscimento e scambio con la centrale londinese, sono, per il più, monorituali, inserite cioè, fin dal primo grado, all’interno di una stessa scuola di pensiero etico-filosofico.

Tutto era veramente più semplice, tanto più in Sardegna, nel 1986. Il sistema giustinianeo, che disponeva allora – come detto –del monopolio liberomuratorio isolano, comprendeva appena sei logge (a fronte delle 24 attuali) a Cagliari ed altre sei fra Carbonia, Oristano, Sassari, Cala di Volpe e Nuoro (a fronte delle attuali 19) e la popolazione complessiva che frequentava i Templi allogati, nel capoluogo, presso la moderna sede di Genneruxi e nelle altre città presso case taluna di rango storico (come era ed è Palazzo Tola, a Sassari), altre di più ordinaria funzionalità, non superava le 350 unità. Che comunque, se era numero modesto confrontato all’attuale (1.340, di cui 838 a Cagliari, a fine 2015), certo era un dato importante quando confrontato con i 250 (di cui 183 a Cagliari) effettivi del decennio precedente, e più ancora, evidentemente, con i dieci-venti apostoli della ripresa postbellica affidati, nella loggia Risorgimento n. 354 del capoluogo, alla guida sapiente di Alberto Silicani e, di fianco a lui, di Domenico Salvago.

 

Corona gran maestro e il 20 settembre

A Roma sedeva da ormai quattro anni un gran maestro sardo, Armando Corona. Attraverso la persona del magister maximus, reduce dalla triennale esperienza di primo presidente della Corte centrale che aveva ratificato, l’anno precedente, l’espulsione di Licio Gelli (decretata da un tribunale presieduto dal sardo Paolo Carleo), l’Isola aveva ricevuto nel 1982 nuova luce dai riflettori nazionali e, in specie, della stampa, a sua volta proiezione degli interessi (e delle curiosità, non sempre commendevoli) della pubblica opinione. Il più delle volte, purtroppo, il discorso restava in superficie, infarcito di pressapochismo e dei soliti luoghi comuni, con una sgradevole restrizione delle complessità proprie di un sodalizio una volta e mezzo secolare (in patria, e due volte e mezzo secolare in Europa),e con una base nazionale di affiliati nell’ordine dei 15-20mila, ai dati elementari della pur ragguardevole personalità del numero uno.

Né era pienamente (o forse non lo era per niente) nella consapevolezza degli esterni, e anche di molti interni, quanto la gran maestranza Corona fosse un anello della serie che aveva visto la Sardegna, pur marginale per molti aspetti (demografici, socio-economici e geografici), presente alla testa della Obbedienza liberomuratoria nazionale. Si pensi ai ruoli ricoperti dal cagliaritano (di Castello) Ferdinando Ghersi, colonnello liberale dell’esercito Savoia, Sovrano Gran Commendatore dal 1864 al 1866; da Gustavo Canti, Gran Segretario e poi Gran Maestro aggiunto alla vigilia della grande guerra, e già Venerabile della cagliaritana loggia Sigismondo Arquer alla fine degli anni ’90 dell’Ottocento, nonché tra i fondatori della locale sezione della Dante Alighieri; o ancora da Alessandro Tedeschi, Gran Maestro a Parigi negli anni dell’esilio antifascista, lui che, massone toscano, era stato professore per alcuni anni alla facoltà di Medicina dell’università di Cagliari proprio al tempo del Venerabilato Canti, nel centrale Tempio di Palazzo Vivanet, a un passo dal porto e dalla stazione ferroviaria e di lato all’incipiente cantiere del nuovo municipio bacareddiano; o da Guido Laj, genero del celebratissimo garibaldino fra Pantaleo, il quale – occasionalmente nato a Messina (data la sosta di carriera del padre, direttore dell’ospedale militare) – aveva sangue paterno e materno cagliaritano, studi adolescenziali al liceo-ginnasio Dettori e collaborazione giovanile all’Unione Sarda: già funzionario del ministero della Pubblica Istruzione, consigliere di Stato e vice sindaco CLN di Roma dopo la liberazione, egli fu, come Corona, Gran Maestro, coprendo il triennio1945-1948.

Ecco il quadro. E venne quindi, dalla Sardegna periferica ma non isolata, Corona, nel 1982 e fino al 1990, alla testa della Comunione giustinianea per sanare, come fu possibile, i travagli del dopo-P2, e restituire, anche attraverso un’intensissima attività di repulisti interno, nonché convegnistica ed editoriale, credibilità all’Obbedienza nel vasto campo della opinione pubblica, della politica e delle istituzioni repubblicane. Altri uomini avevano preservato prima di lui, negli ultimi decenni, la bontà dei legami isolani con la madrepatria massonica: a Cagliari, ma anche altrove, Mario Giglio e Franco d’Aspro, oltreché Silicani ed Emilio Fadda, a Carbonia Flavio Multineddu, ad Oristano Ovidio Addis, a Sassari Annibale Rovasio e Bruno Mura. Nomi certamente riflettenti esperienze umane, civili e culturali molto diverse fra di loro, fra socialismo riformista e liberalismo, autonomismo sardista, matrice radicale e comunismo, nondimeno tutte orientate a saldare l’etica associativa di estrazione fraternale al rigore della democrazia repubblicana ed all’ossequio del permanente magistero di Giuseppe Mazzini.

Dunque il 1986 trova nell’agenda massonica sarda e, specialmente, cagliaritana almeno quattro date degne di rilevazione e commento, tutte inquadrabili nella novità che la Costituzione e il Regolamento generale approvati fra il 1984 e il 1985 dalla Gran Loggia – cioè dall’assemblea legislativa del GOI di Palazzo Giustiniani – su proposta del Gran Maestro Corona e della sua Giunta esecutiva, portavano nella vita presente e futura della Comunione. Non si trattava di poco. Non si trattava cioè soltanto del fatto puramente amministrativo interno dell’adeguamento dell’anno sociale a quello solare – 1° gennaio-31 dicembre, invece che, come da sempre, 1° luglio-30 giugno –, ma si trattava intanto di una derubricazione, discutibile e infatti discussa da molti, della data del 20 settembre dalla celebrazione della memoria storica della santa breccia di Porta Pia al memento puramente esoterico dell’equinozio di autunno, con tutti i suoi significati reconditi. Insomma, l’associazione del fatto astronomico a certe valenze proprie delle antiche scuole iniziatiche (i misteri eleusini – greci ma di derivazione egizia – o i misteri di Mithra – latini ma di remota origine indo-persiana), restituiva la data del calendario civile al tanto di universalità che restava nelle vincenti ambizioni di… purificazione dalle letture profane, o profano-politiche, del GOI ma indubbiamente impoveriva – questa è anche la mia opinione – di quella specialità nazionale tutta nostra l’evento che lo storico tedesco Gregorovius ebbe a definire come “il giorno più grande del secolo decimonono” e che, in verità, portava, esso pure, un contenuto universale, a volerci vedere l’affermazione della distinzione, laica e moderna, e definitiva, della sfera spirituale da quella temporale.

Esordiva, nella prassi amministrativa del Grande Oriente d’Italia, ma con questo risvolto di contenuto etico-civile e anche culturale, un calendario sociale nell’ordine di quello proprio di pressoché tutti gli enti associativi ed il 20 settembre diventava la data di apertura non più dell’anno massonico ma della seconda sessione, post-estiva, dell’anno massonico, per di più orientata ormai ai consuntivi e alle valutazioni sui rinnovi delle cariche dignitarie delle singole logge.

Insomma, il “la” storico-civile di rimando risorgimentale veniva depotenziato, per scelta autonoma e in chiave di tacita pacificazione con una certa sensibilità ecclesiale. Sotto certi profili, e almeno all’apparenza, il GOI perdeva quello smalto d’orgoglio laicamente liberaldemocratico e socialdemocratico – utilizzo le categorie non in senso partitico evidentemente – che lo aveva caratterizzato per un secolo ed oltre, quasi anticipando così quella certa neutralità e forse indifferenza ideologica che sarebbe stato il portato non certo esaltante della nuova stagione politica alle viste dopo i trambusti avvelenati di tangentopoli.

Quella apertasi nel 1986 e durata almeno sino alla conclusione della gran maestranza Corona mostrava peraltro, a Cagliari, di voler resistere, permanendo nel solco fecondo della tradizione storica del Grande Oriente d’Italia che aveva memoria dei suoi gran maestri – da Garibaldi a De Luca, da Frapolli a Mazzoni, da Petroni (il prigioniero delle segrete pontificie!) a Lemmi, da Nathan a Ferrari – tutti di fede democratica e mazziniana. Non si cedeva, anche dalla parte moderata e liberale, ad allettamenti negativi e distorsivi – come sarebbe avvenuto con qualche problematicità nei tempi posteriori –, quasi che la sensibilità politica, cioè all’interesse generale, di un massone davvero formato potesse combinarsi con produzioni, nell’amministrazione o nella legislazione, usa e getta od opportunistiche e trasformiste.

Tre nuove logge

A distanza ormai di sette anni dacché era stata data vita alla Sardegna n. 981, sembrava esser venuto il tempo, in quel 1986,per un riassetto del panorama liberomuratorio organizzato a Cagliari. E fu proprio Armando Corona, mai invadente nelle questioni locali ma certamente riferimento sicuro, pur nella libertà e varietà delle opinioni particolari e generali di ciascuno degli effettivi, a raccogliere ed incoraggiare le pulsioni naturalmente volte ad una complessiva ristrutturazione dei corpi attivi nel maggior Oriente isolano. Perché di certo si trattava di procedere ad una ricomposizione del quadro cagliaritano, ma non si mancava, per diverse tessere del mosaico, di intervenire per conseguenza anche in realtà foranee, e fra esse era quella oristanese la più interessata ad aggiustamenti e rilanci.

Venivano installate nel marzo le logge Francesco Ciusa, con il numero d’ordine 1054, e Giorgio Asproni, con il 1055 (progressivo a partire dal censimento effettuato nel 1947). A luglio toccava alla Lando Conti, recante il numero d’ordine 1056. Nel panorama non soltanto regionale ma anche nazionale Cagliari affermava così i suoi propositi di una presenza massonica che si sosteneva dover essere non soltanto sul riservato ambito dello studio e della discussione fra simboli e rituali, nel chiuso suggestivo del secolare teatro templare, ma anche sulla scena pubblica, attraverso una convegnistica che avrebbe infatti avuto, nel tempo successivo, ripetute occasioni di prova (si pensi soltanto alle iniziative di dibattito conoscitivo, per dire soltanto del campo sanitario, delle problematiche già accennate dell’hiv e dell’alzheimer) o, sul piano ideale, dell’ecumenismo interreligioso e umanistico. Così negli affollati spazi delle scuole, della Fiera internazionale, del Mediterraneo, del CIS, ecc.

Importa soffermarsi, a mio avviso, sui titolari delle tre logge perché in quelle scelte – cui non fu estraneo, almeno per Asproni e Conti, il suggerimento dello stesso Gran Maestro – pare rivelarsi, come ho prima cercato di definire, una sensibilità alla storia massonica quale fu nella realtà isolana o nazionale, legata anche a idealità democratiche sempre rinnovate nella inalterata identità del Grande Oriente d’Italia. In essa, infatti, il risorgimento unitario, il profilo antifascista e la pratica libertaria nel massimo riguardo istituzionale, negli incontri e nelle mediazioni fra risalto nazionale e originalità territoriali, costituiscono il fil rouge, insieme formativo (nel cumulo delle epoche storiche vissute) ed espressivo (nell’attualità), che rende l’Obbedienza giustinianea un unicum irriducibile.

Francesco Ciusa fu il genio dell’arte plastica del Novecento isolano. Ventiquattrenne esordì, con il suo capolavoro denominato “La madre dell’ucciso”, alla Biennale di Venezia del 1907. Ebbe riconoscimenti (al di là di ogni formale vittoria) che lo segnalarono al miglior pubblico nazionale ed internazionale ed il suo nome si affiancò a quello di Grazia Deledda nella promozione della Sardegna agli occhi del mondo.

Quattro anni dopo quel successo, venne iniziato fra le Colonne della loggia oristanese Libertà e Lavoro, costituitasi – per pura coincidenza di calendario – nello stesso anno del trionfo veneziano, per gemmazione dalla Sigismondo Arquer. Quest’ultima lo ebbe fra i propri effettivi due anni dopo, quando egli si trasferì a Cagliari. Qui ricevette il secondo grado e la maestria.

La distruzione o la perdita delle maggiori carte dell’archivio della Sigismondo Arquer, per colpa imbecille degli imbecillissimi fascisti, impedisce purtroppo di ricostruire il corso e il senso della partecipazione dello scultore alla vita fraternale, almeno in quel decennio circa che separò il suo incardinamento e la sua progressione dalla sospensione dei lavori per malefico diktat della dittatura.

Ma la presenza, fin da una età relativamente giovanile, di suo figlio Nino, fra le Colonne di diverse logge cagliaritane negli anni fra ’60 e ‘70 (dalla Nuova Cavour alla Giordano Bruno alla Hiram), pareva quasi assicurare una sequela ideale, una purezza dei rimandi – a dire una parola importante – esistenziali che associavano i Ciusa, ancora per generazioni, a principi e valori umanistici di cui è un’eco anche negli appunti autobiografici del Grande, pubblicati a suo tempo con i commenti di Remo Branca e per le edizioni dei Fossataro.

Proponendosi come corpo parallelo alla sua loggia madre – appunto la Sardegna n. 981 – la nuova compagine di quest’ultima rinnovava, nel suo stesso documento fondativo, l’ispirazione ed i propositi tutti orientati alla riflessione glocal, cioè allo studio dell’… universalismo sardo, ed alla pratica solidaristica in favore dei meno fortunati, con fattive collaborazioni (quanto meno per segnalazioni da recepire e valorizzare) ora con i servizi sociali comunali, ora coni  giudici del tribunale minorile, ora con i parroci ed i ministri di culto o gli operatori del volontariato laico e religioso.

Dalla Francesco Ciusa sarebbe venuta, fra 2012 e 2013, la Armonia n. 1403, una piccola loggia nata con l’intenzione di accentuare, fra le Colonne muratorie, la sensibilità all’arte, in specie a quella musicale, da sempre presente nella Fratellanza italiana ed europea, e che una raffinata espressione ebbe, quantomeno nei programmi e negli atti iniziali, fin nel 1948 – ma nella filiazione cagliaritana degli scozzesi di Palazzo Brancaccio –, la Leonardo da Vinci, una compagine rituale affidata al Maglietto nientemeno che di Franco d’Aspro (successivamente confluito, con un giuramento… carbonaro! a Palazzo Giustiniani). Allora, per dire di arte plastica e di musica in rielaborazione massonica, il Fratello Enzo De Bellis, professore al Conservatorio, ispirò un suo spartito ad un’opera – il Cieco – proprio di d’Aspro.

 

Dopo la Ciusa, la Asproni

A Cagliari esisteva da almeno dieci anni l’intenzione di intitolare un’officina simbolica a Giorgio Asproni (e al Grande bittese, canonico e deputato mazziniano nonché, dal 1867, massone iniziato nella loggia “politica” Universo e alto dignitario del Grande Oriente d’Italia, da principio nella capitale Firenze e poi nella capitale Roma, si sarebbe potuto associare il nipote prediletto ed omonimo, ingegnere minerario, anche lui massone, in forza alla loggia cagliaritana Sigismondo Arquer e, per breve tempo, alla Nuovo Secolo, ed in precedenza, sembra, alla Ugolino o alla Vittoria-Fedeltà ). Ad Asproni sr. era intitolato, ormai dagli anni ’40 del Novecento, pressoché dal tempo della ripresa post-bellica cioè, il capitolo scozzese cagliaritano (quello sassarese si intitolava invece a Gavino Soro Pirino, altra splendida figura della democrazia mazziniana sarda e dignitario e anche Venerabile della Gio. Maria Angioy nella Valle del Bunnari e del Turritano).

La derivazione della nuova compagine, in quel principio del 1986, era dall’organico affollato della Sigismondo Arquer n. 709, una loggia costituitasi nel 1969 come regolarizzazione di un gruppo cosiddetto P – gruppo di discussione civile, pur se con battesimo iniziatico anch’esso –, e richiamante nel titolo distintivo quel giurista e teologo cagliaritano del Cinquecento, bruciato vivo dall’Inquisizione nell’autodafè di Toledo del 1571, il cui nome era stato adottato anche dall’officina (allora di rito scozzese) costituitasi nel 1890 e abbattuta dai dark nel tremendo 1925.

Nasceva, la Giorgio Asproni, anch’essa con i propositi migliori di metter a frutto esperienze per il più maturate in ranghi cagliaritani e carboniesi. Esprimeva un orientamento che, con formule inedite, avrebbe marcato un certo impegno civile a pro della società tutta – si pensi che la Socrem, cioè la Società per la cremazione con forno acceso nel camposanto di San Michele, fu in gran parte esito della iniziativa e della fatica di diversi di quegli Artieri ora impegnati nel nuovo cantiere – e altro ancora. Essa avrebbe sviluppato rapporti consuetudinari con logge sorelle di altre nazioni – significativo, al riguardo, il gemellaggio, nel 1992 (rinnovato nel 1995), con l’ateniese Giuseppe Garibaldi n. 130– ancor più, in tal modo, dando contenuto all’afflato universalistico che è costitutivo della identità liberomuratoria.

Nel 2010 sarebbe gemmata, dalle sue Colonne, la loggia Quatuor Coronati n. 1365, impegnata a sviluppare programmi di cultura, anch’essa aperta a modalità convegnistiche secondo piani già impostati anni addietro con il supporto dell’associazione Giorgio Asproni scaturita essa stessa dalla loggia omonima (e/o dalle fatiche di quei Fratelli ora in transizione verso la nuova formazione). Un rapido spoglio della rassegna stampa mostrerebbe agevolmente l’entità e la qualità delle iniziative promosse, nell’ultimo decennio, in luoghi pubblici istituzionali, dal palazzo Viceregio alla Biblioteca regionale, ma anche fuori città, sul versante soprattutto storico, della democrazia repubblicana.

Valide risorse maturate nel Tempio della Giorgio Asproni (e magari, prima, fra quelle della Sigismondo Arquer nuovo styling) avrebbero contribuito all’impianto, l’anno successivo, anche della Athanorn. 1380, in questo caso – per quanto se ne sa – marcando il prevalente interesse allo studio puramente esoterico.

 

Nel terzo tempo, la Lando Conti

Risale all’estate l’installazione dei dignitari – Venerabile, Sorveglianti, Oratore, Segretario e Tesoriere – della terza nuova loggia cagliaritana autorizzata da apposito decreto del Gran Maestro Corona, presente in persona quel 2 luglio. La Lando Conti recuperava le sue forze non tanto da una gemmazione – operazione che conserva una sostanziale unità e coesione del corpo fondante– ma da un incontro… sparso di Fratelli inseriti in una molteplicità di logge, diverse delle quali pertinenti a territori delle altre province isolane, per ragioni soprattutto professionali trasferitisi a Cagliari. Più precisamente le provenienze erano dalle cagliaritane Risorgimento e Sardegna, dall’oristanese Ovidio Addis, dalla sassarese Gio. Maria Angioy e dalla nuorese Giuseppe Garibaldi.

Anche nel caso della Lando Conti il titolo distintivo rimandava alle vicende nazionali, ma in questo caso si trattava di storia bruciante, particolarmente sofferta e di sofferenza: perché Conti – un repubblicano già sindaco di Firenze per due anni (fra 1984 e 1985) – era stato trucidato dalle Brigate Rosse al Ponte della Badia, mentre si recava in Consiglio comunale, giusto nel febbraio di quello stesso 1986. Egli vantava allora una già quasi trentennale militanza massonica, per esser stato iniziato nella pratese Giuseppe Mazzini.

Repubblicano e massone: anche per questo fu forse facile al Gran Maestro di suggerire al presidente del gruppo dei fondatori la nuova officina, anch’egli mazziniano di nascita sardista in quel di Sanluri, il nome nobile di Lando Conti, che sarebbe stato anche particolarmente onorato nel tempo avvenire, non soltanto federando la loggia cagliaritana alle altre continentali recanti lo stesso titolo, ma anche a lui dedicando una giornata di studi mazziniani che, a Palazzo Sanjust, ebbe nel marzo 2007, per regista il Gran Maestro Onorario, e già Venerabile, Bruno Fadda. Il quale, nella circostanza, donò alla casa massonica di Cagliari un bel busto bronzeo del Profeta dell’unità – opera di un artista albanese –, presente il figlio di Lando Conti, Lorenzo, mentre un coro intonò l’Inno degli italiani, con le parole di Goffredo Mameli.

Fra le benemerenze di questa loggia – da cui, nel tempo (esattamente nel 2004), un’altra ne deriverà, la Rudyard Kipling n. 1272 – è la stampa di un bellissimo libro antologico delle tavole tematiche portate in discussione nell’arco di molti anni (uscì nell’occasione del ventennale, titolandosi “Lavorando la pietra grezza…”: pari titolo porta un libro analogo, non meno prezioso e recentissimo, dato alle stampe dalla loggia W.A. Mozart n. 1147). Pubblicazioni forse più modeste, ma pure esse apprezzabili come testimonianza di un impegno collettivo e solidale, sono state prodotte anche dalle altre due consorelle: dalla Francesco Ciusa “Quaderno di loggia. Compasso belle époque”, dalla Giorgio Asproni“Decennale, 1986-1996”.

Né sarebbero mancati, nel corso degli anni, momenti di speciale riguardo della loggia aperta ad una cagliaritanità perfino esaltante, come fu nel febbraio 1996, quando l’intero piedilista si convocò per i suoi lavori presso il Teatro lirico: con il resto della compagnia artistica si esibirono allora, ed erano risorse doppiamente speciali, il direttore musicale del Rigoletto, il prim’attore, il primo violino, il direttore artistico.

Sua, con la Giorgio Asproni (e la W.A.Mozart), l’organizzazione, il 30 marzo 2003, della” giornata d’informazione”  sull’alzheimer, nella sala Dino Zedda alla Fiera, relatori diversi clinici ed operatori sardi (Putzu, Viale, Bianchetti, la stessa Del Zompo) e continentali (Maso, Salvini Porro). Prezioso il contributo scritto fatto pervenire dalla professoressa Rita Levi Montalcini.

Non di minor rilievo sarebbe stata l’iniziativa assunta, il 18 ottobre 2012, nella sala convegni del CIS, all’insegna di “La fede permette il dialogo?”. Al microfono – come sopra accennato – teologi (di varie confessioni e specializzazione) e liberi pensatori agnostici, un rabbino, un lama tibetano ed un docente di meditazione buddista.

Né è, ovviamente, sarebbe stato tutto qui…

 

Rapide considerazioni

L’aver insistito su alcuni passaggi della vita interna di una Compagnia fraternale che, per sua stessa natura, piuttosto rifugge dai clamori o dalle indagini esterne, sovente impertinenti e incongrue, è stato motivato essenzialmente da una considerazione: che, cioè,pare di scorgere proprio nella vivacità intellettuale, nella ricchezza delle sue relazioni ad intra e ad extra, nella varietà dei campi attraversati, inevitabilmente anche nelle cadute e nelle fragilità dell’umano e però anche nei pronti recuperi, quel quid massonico aperto e civile, colto e sociale, che orgogliosamente mantiene le posizioni. Anche in Sardegna e nella sua capitale, ancora a distanza di 155 anni dal suo primo apparire nel cantiere della loggia cavouriana Vittoria.

Come realtà associativa dinamica la Libera Muratoria conferma una natura ed una funzione formativa e insieme, di stretta conseguenza, oblativa sul piano tutto sociale.

Naturalmente si tratta sempre, ogni giorno, di scamparsela dalle trappole che l’abbassamento del tono ideale, patriottico e civico, prima ancora che politico, diffuso in una società ad un tempo di sviluppo e di decadenza, può disseminare ovunque. E dunque può anche essere che i pur positivi bilanci di consuntivo obbedienziale, o magari di circoscrizione o di loggia, non bastino a soddisfare la missione esigente che è nella coscienza individuale e di gruppo. Di questo occorrerà tener memoria nel prepararsi, nel fare. E il riordino dei ricordi del pregresso – come s’è fatto qui adesso relativamente al 1986 –  dovrebbe servire, con tutto il resto, ad una riflessione critica e santamente autocritica, per andare avanti.

Lo scrivo io che, come altre volte ho evidenziato, non ho tessera di appartenenza – sicché posso mantenere una giusta indipendenza nei giudizi –, ma ciò nondimeno mi identifico pienamente nelle idealità umanistiche della Fratellanza, di cui conosco i travagli e anche le rapsodiche infedeltà, ma di cui conosco anche, e con l’appagamento del civis e del democratico sociale, i tesori spesi, nel tempo, a favore della comunità tutt’intera e, con modalità assolutamente riservate ma altrettanto efficaci, delle sue fasce deboli.

 

La protesta di Paolo De Magistris

Forse era stato un’eco, o magari un rimbombo, delle novità giustinianee di primavera ed inizio estate a raggiungere in autunno, senza valido filtro, il sindaco De Magistris il quale, durante una riunione dei quadri dirigenti locali del suo partito – la Democrazia Cristiana – fece riferimento ad inconfessate, e invero soltanto supposte, pressioni esterne sull’amministrazione municipale volte ad ottenere risultati pratici, di utile partigiano cioè, e forse ai limiti del lecito.

La denuncia, che peraltro il sindaco stesso si affrettò a ridimensionare nella effettività della sua portata, muoveva – si sarebbe detto successivamente, a mente fredda – da preoccupazioni più generali riguardanti il calo verticale di tensione etica e valoriale registrato – appunto anche allora! – nella politica cittadina (e non solo) e nello stesso partito del Biancofiore, divenuto balena di potere sempre più indifferente ai principi ispirativi dell’impegno pubblico ed istituzionale dei cattolici. La cultura fieramente antimassonica del sindaco, e segnalazioni rapsodiche a lui giunte di adesioni a questa o quella loggia anche di giovani suoi compagni di partito, avevano indotto il primo cittadino a coniugare un termine con l’altro, insomma a combinare indifferenza valoriale o spregiudicato pragmatismo con il dato di trasversalità proprio della Libera Muratoria persistente e forse ancor più avanzato nel tempo della conciliazione laici-cattolici, cioè dell’abbandono pieno di ogni pregiudiziale anticlericale da parte della Massoneria (come di ogni pregiudiziale antiliberale da parte della Chiesa). Molto bella, da questo punto di vista, l’analisi compiuta da Fabio Maria Crivelli, direttore de L’Unione Sarda, nel suo fondo “Pirandello in Municipio”, uscito il 2 novembre 1986.

L’errore compiuto allora dal sindaco – un galantuomo di altissimo spessore e morale e culturale rispettato ed anche ammirato, da quel che ne so, da non pochi massoni (ve ne erano, di massoni, anche nella sua giunta e nella sua maggioranza) – fu però soprattutto quello di aver concesso alla stampa le sue confidenze, e in esse quel tanto di supposizioni non rispondenti ad alcuna verità di fatto, circa le appartenenze di Tizio o di Caio al sistema latomistico locale. Fu un boomerang, ed egli dovette trarre, dalle polemiche che si alzarono incrociate e rinforzate anche da qualche querela per diffamazione – compresa quella del Gran Maestro Corona –, le conseguenze politiche: dimettendosi dalla carica e trascinando nel crollo anche il suo esecutivo.

Dell’acceso contraddittorio si fece tribuna, per lunghi giorni, la stampa scritta locale, mentre l’emittente televisiva Videolina trasmise in diretta diverse sedute del Consiglio comunale che andava alla resa dei conti, con il gruppo democristiano in palese difficoltà a sostenere le ragioni del sindaco, essendo esso stesso, sia pure indirettamente, coinvolto dalla parte degli accusati.

Al solito, però, poi tutto si ricompose, ed a Paolo De Magistris toccò di arrivare al completamento della consigliatura, ancora con una maggioranza di centro-sinistra ed una giunta inclusiva di almeno un assessore – stimatissimo – massone (e già Venerabile di loggia).

Ecco l’anno 1986. Paradossalmente la tempesta che metteva in gioco anche qualche residuo arcaismo dottrinario scoppiò quando ad Assisi il papa Giovanni Paolo II si incontrava con i capi di tutte le religioni, animisti inclusi, per un patto di pace…

 

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