Il futuro roseo del nuovo fascismo, di Bernard Guetta

“The Donald n non vincerà. Ma lo si deve temere perché incarna una crisi delle democrazie simile a quella che favorì la presa del potere di Mussolini. Da L’ESPRESSO,  28 aprile 2016.


NON DOBBIAMO CADERE preda della pau­ra sbagliata: di Donald Trump non preoc­cupa il fatto che possa conquistare l’inve­stitura repubblicana, perché sarebbe mol­to improbabile per lui riuscire a insediarsi alla Casa Bianca. Negli Stati Uniti gli elettori “indipendenti” – quelli decisivi di centro – non voteranno per lui, perché sono tutto salvo che estremisti. La frangia moderata dei repubblicani, molto più ampia di quanto si creda, gli preferisce quell’ Hillary Clinton che la destra ameri­cana però detesta. Molti astensionisti, in­fine, usciranno dalla loro indifferenza per non fargli prendere le redini del Paese.

“The Donald”suscita un rigetto così maggioritario che proprio per non regala­re questa elezione presidenziale ai demo­cratici l’apparato repubblicano sta facen­do tutto ciò che è possibile per sbarrargli la strada. E quindi, perché temerlo?

La risposta è che quest’uomo non è solo un incidente di percorso della democrazia, o un miliardario pronto a spendere per compiacere il suo ego spropositato e acce­dere allo starus di star internazionale. È tutto questo, certo, ma il vero motivo per il quale lo si deve temere è che egli è diven­tato l’incarnazione di una crisi della rap­presentanza in Occidente, una crisi comu­ne alle democrazie europee e americana, e le cui due cause di fondo sono durature.

La prima è che i grandi partiti tradizio­nali – di sinistra e di destra – non sono più in grado di promettere nulla agli elettori che vedono ristagnare e perfino contrarsi i salari, le tutele sociali fare passi indietro, il numero dei posti di lavoro diminuire, la precarietà avanzare. Non è un brutto

momento destinato a passare: è lo stravol­gimento definitivo dei rapporti di forza tra aziende e salariati, perché i tempi del do­poguerra nei quali ricostruzione e piena occupazione permettevano agli operai e ai dipendenti di imporre le loro condizioni sono finiti.

In quei tempi, gli scioperi erano frequen­ti e vi si partecipava in massa perché un’ a­stensione dal lavoro era sufficiente a pie­gare i consigli di amministrazione che avevano difficoltà a reperire dipendenti. I salari aumentavano, le tutele sociali pure. Quel movimento sembrava irreversibile anche perché la paura del comunismo spronava a un’effettiva condivisione dei benefici. Ma, dalla metà degli anni Settan­ta in poi, la fine della ricostruzione e l’au­mento del prezzo delle materie prime hanno inferto la prima battuta d’arresto ai “Trent’anni Gloriosi”.del dopoguerra. Da allora è ricomparsa la disoccupazione, che ha riportato in vantaggio il capitali­smo. Da allora gli scioperi non sono più stati sempre vincenti, e dopo il 1989 sono diventati tanto rari quanto inutili perché nulla ha più obbligato il capitale a nego­ziare compromessi.

NON SOLO NON C’È PiÙ una minaccia -cornunista.rna la conversione all’econo­mia di mercato di Paesi prima chiusi e dirigisti ha permesso al capitale di anda­re a cercare ovunque i migliori tassi di rendimento, di delocalizzare la produ­zione, di spingere al rialzo la disoccupa­zione in Occidente. E di ottenere un ri­baltamento del rapporto di forze.

Ai salariati non resta che scegliere tra il persistere di elevati tassi di disoccupazione e l’accettazione di un’ininterrotta erosione dei diritti acquisiti. Questa scelta si impo­ne anche ai partiti di governo che hanno tutti optato per quella che con eufemismo si chiama “flessibilità”.

Sulle due sponde dell’Atlantico si è ve­nuta a creare un’enorme angoscia sociale, terreno fertile per Trump e le estreme de­stre europee. Tra Donald e Marine Le Pen o i loro analoghi le similitudini sono scon­certanti. Tutti propongono di tornare al protezionismo. Tutti vedono nei Paesi emergenti il nemico. Tutti sono ostili verso l’immigrazione. Tutti, in sintesi, provano nostalgia per i tempi in cui l’Occidente era formato da Stati forti, che non soffrivano la concorrenza di Paesi dalle tutele sociali inesistenti.

Questa nostalgia oggi fa ancora più presa sugli elettorati perché all’angoscia sociale si è aggiunta l’angoscia per la sicu­rezza, una volta diventato palese che nem­meno gli Usa sono onnipotenti, che New York, Parigi o Bruxelles non possono più considerarsi al riparo dai problemi del Medio Oriente, e che insieme ai Trent’an­ni Gloriosi sono giunti al termine anche cinque secoli di supremazia occidentale.

Questa è la seconda motivazione che spiega il successo di Donald Trump e delle estreme-destre europee, portatori di un fascismo del XXI secolo: quel mix di na­zionalismo, di desiderio di poteri forti, di difesa dei più deboli col quale fece il suo esordio il fascismo italiano. Per il fascismo, -alimentaro dal terrore islamisra, in Occi­dente si prospetta un roseo futuro.

Il fascino che Vladimir Putin esercita su Donald Trump e Marine Le Pen ne è una conferma. T rump non ha più proba­bilità di diventare presidente nel 2016 di quante ne avrà Marine Le Pen nel201? Ma il rintocco della campanella d’allar­me è ogni giorno più forte.

traduzione di Anna Bissanti

 

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