Un percorso massonico nel camposanto cagliaritano di San Michele, di Gianfranco Murtas

Nella mattinata dello scorso sabato 19 marzo 2016 un cospicuo gruppo di aderenti a diverse logge massoniche di Cagliari ha preso parte ad inedite onoranze di Fratelli scomparsi in tempi relativamente recenti. L’iniziativa è stata assunta dall’Archivio storico generale della Massoneria sarda, impiantato in città, anni fa, da Gianfranco Murtas, che ai temi propri della dottrina e della storia liberomuratoria nella nostra Isola ha dedicato una ventina di libri, animando anche numerosi dibattiti e incontri di studio. n questo articolo, lo stesso Murtas ne riferisce proponendo anche i ritratti umani dei massoni celebrati dai loro “eredi” elettivi in città.

La memoria, la vita, la storia

A sette anni dalla morte di Armando Corona – Gran Maestro della Massoneria di Palazzo Giustiniani dal 1982 al 1990 –, una rappresentanza dell’arco ampio delle logge massoniche di Cagliari ne ha onorato la memoria, lo scorso sabato 19 marzo, rendendo visita alla sua modesta tomba, ad un passo soltanto dalla grande cappella del cimitero civico San Michele del capoluogo. La bellezza significativa dell’evento, a mio parere – che è il parere di chi, senza tessera del Grande Oriente d’Italia ma certamente in piena comunione di idealità con la Libera Muratoria la cui storia si identifica per larga parte con quella dell’Italia unita, dell’Italia civile e patriottica, democratica ed umanitaria – è stata nell’aver incluso quella sosta e quel ricordo nel percorso che numerosi altri illustri (per l’animo, non importa se anche o no per la notorietà pubblica) ha inteso celebrare. Nel corpo civico, materiale e morale, di Cagliari e della Sardegna.

L’iniziativa è stata promossa dal mio Archivio storico generale della Massoneria sarda, alla vigilia dell’uscita in libreria di uno studio biografico su due delle figure più eminenti della Fratellanza giustinianea dell’ultimo cinquantennio, vale a dire proprio Armando Corona e Mario Giglio. L’Archivio in più di quarant’anni ha raccolto (ma purtroppo non ancora pienamente riordinato) faldoni rilevanti di documenti ed evidenze pubblicistiche e saggistiche, memorie private scritte e fotografiche, fascicoli obbedienziali conferiti con liberalità – direi anche con inaspettata generosità – da dignitari e… semplici militanti (non soltanto del GOI ma anche di altre Famiglie massoniche radicatesi in Sardegna nell’ultimo secolo e mezzo) con il solo scopo di evitare dispersioni e perdite irrecuperabili alla memoria condivisa. Purtroppo infatti non si è fissata ancora nelle sedi liberomuratorie isolane – almeno questa è l’impressione – una piena sensibilità alle fatiche (ma anche alle preziosità) delle raccolte e classificazioni archivistiche nelle quali risiede, per dato fermo, il più della memoria storica di una qualsiasi complessa corporazione, e di questa corporazione umanistica, iniziatica e civile.

In altre occasioni mi era stato chiesto da logge (giustinianee o anche scozzesi/neoferane) di guidare una visita mirata alle tombe storiche dei massoni cagliaritani del secondo Ottocento e/o del primo Novecento, fino cioè all’abbrivio dell’età bacareddiana e da questa all’inizio della esperienza fascista che significò la interruzione di ogni attività latomistica in Italia (tanto che il vertice del Grande Oriente d’Italia dovette migrare, così come dovettero diverse altre direzioni democratiche, non soltanto politiche, a Parigi, patria elettiva dell’antifascismo e antinazismo e antifalangismo europeo).

Fu, quella compiuta nei viali purtroppo ancora gravemente accidentati del monumentale di Bonaria, una bella avventura che riuscì, mi sembra, a saldare nella consapevolezza dei partecipanti il corso non parallelo bensì incrociato della storia civica e di quella liberomuratoria. I massoni – cercai allora di dimostrare, e non fu davvero impresa difficile –, non hanno mai costituito, meno che meno a Cagliari, una “cupola” o una “consorteria”, una materializzazione di pretese o suggestioni del genere di quelle tante volte evocate da certa dietrologia chiacchierona («the hands over the city»), ma una combinazione di offerte civiche e professionali, e anche amministrative e politiche, saldatesi con la più generale offerta regolata dagli statuti di albi od ordini, di associazioni ed istituzioni, di chiese ed aziende liberamente operanti nel campo sociale.

Dai percorsi nel monumentale si ricavò a suo tempo una pubblicazione purtroppo oggi introvabile, in cui venivano marcati i profili privato-pubblici e quelli prettamente fraternali di personalità di spessore della Cagliari postunitaria e, poi, liberal-giolittiana. Valgano i nomi – dieci, quindici dei possibili trecento – di Ettore Vassallo e Georges Chapelle, di Angelo Garau ed Eugenio e Romolo Enrico Pernis, di Giuseppe Castello – con la squadra e il compasso sulla sua lapide – ed Enrico Serpieri – costituente della gloriosa Repubblica Romana del Mazzini –, di Pasquale Umana, Mario Mela (che tanto avrebbe lasciato all’Asilo della Marina e Stampace per sovvenire le sue correnti necessità) ed Efisio Toro, di Nicolò Pugliese e Guido Algranati, di Stefano Rocca e Felice Mathieu e Domenico Salvago…, Uomini del commercio e della chirurgia, dell’industria e dell’università, della politica e dell’amministrazione ospedaliera, della docenza liceale (sfortunata quella di Algranati) e del mutualismo (il Rocca fondatore della Società degli Operai e consigliere comunale), del Municipio e dell’Esercito, delle banche e della Camera di commercio… Nel mezzo, a segnalare il tratto di cosmopolitismo, il Looman olandese, caduto a Cagliari nell’anno stesso del passaggio all’Oriente Eterno – fascinosa ricorrente metafora latomistica – di Giuseppe Mazzini, e la cui tomba, come anche quella di Mathieu, reca incisa la squadra e il compasso.

La maligna e pezzente allegoria del cappuccio – inesistente di fatto se non nella commedia o, appunto, nella caricatura del “Borghese piccolo piccolo” (soggetto di Cerami e regia di Monicelli) o di “Sole a catinelle”del geniale Checco Zalone – non rende giustizia alla umanità e al merito civico/morale e professionale, se volessimo soltanto affacciarci alla galleria prima citata, del reduce dalla Repubblica del 1849 che abolì, prima nel mondo, la pena di morte e statuì il suffragio universale cento anni prima che nella nostra santa costituzione repubblicana. Quegli fu Serpieri, accompagnato al camposanto cagliaritano dai labari delle logge nel novembre 1872 (con tardivo dispetto del nuovo arcivescovo Giovanni Antonio Balma). Né rende o renderebbe giustizia a un Angelo Garau, il grande chirurgo che si presentò a Mussolini, allora in visita in Sardegna, con il camice bianco e non con la camicia nera che gli era stata prescritta e per lui – mazziniano puro – divisa imbecille dell’imbecille conformismo corrente, e di più continuò ad operare, prima della evacuazione, nell’ospedale civile a rischio di bombardamenti nel 1943.

La squadra e il compasso

Ecco qui: la squadra e il compasso, o il ramo d’acacia, o le lettere B e J delle Colonne del mitico tempio di Salomone innalzato dagli operai agli ordini dell’architetto Hiram, secondo il racconto delle suggestive pagine bibliche, nel libro delle Cronache e in quello dei Re.  E’ questo l’accompagnamento simbolico che orna taluna delle tombe anche nel camposanto di San Michele, inaugurato in tempo ancora di dittatura e purtroppo già di guerra, pronto ad accogliere i resti martoriati e spesso irriconoscibili di tanti concittadini rimasti vittime della pioggia d’acciaio. Non si tratta, evidentemente, di nessuna precettistica: è lasciato alla libera sensibilità dei Fratelli (che potrebbero averne disposto in tempo) o dei loro familiari l’adempimento iconografico, il possibile decoro simbolico del sepolcro in chiave liberomuratoria.

Tale addobbo risulta presente, al momento, in cinque cippi o lastre marmoree: in accompagno ai nominativi di Hoder Claro Grassi – noto pittore metafisico e apostolo della causa esperantista negli anni ’60 – e della sua sposa (incardinata nella loggia femminile) Swanyld Mulas, del figlio Efrem (anche lui, come il padre, nel piedilista della cagliaritana loggia Hiram), della figlia Ileana. La mano magistrale di Franco d’Aspro ha modellato nomi e simboli e cartigli bronzei.

Non è diverso il monumento che celebra i Bussalai e la loro testimonianza di vita, nel riquadro erboso dirimpetto, giusto alla base della scalinata che porta alla grande cappella cattolica: un cumulo di pietre alto quanto una persona, evocazione della pietra soggetto-oggetto del perfezionamento costituito in missione per l’uomo che dall’individuale si volge al sociale con forze solidali e insieme efficaci: i nomi sono quelli del patriarca Francesco, già partigiano e consigliere regionale di formazione comunista e approdi riformisti, funzionario doganale e musicista, fondatore e Venerabile della loggia Sigismondo Arquer; di Fides Pilo sua moglie, per molti anni (quando la sede massonica era ancora a palazzo Chapelle) animatrice del capitolo Sandalyon dell’Ordine della Stella d’Oriente, di Giuseppe e Bruno – tecnico comunale il primo, capitano di lungo corso il secondo –, i figli anch’essi in organico alla medesima loggia (e Giuseppe anche Venerabile negli anni ‘80).

La squadra e il compasso appaiono incisi altresì sulle lastre di memoria di altri liberi muratori cagliaritani (di nascita o di elezione non importa): Alberto Silicani, Paolo Carleo e Giulio Lecca.

I partecipanti all’incontro itinerante di sabato 19 marzo hanno voluto ora ascoltare ora dire di ciascuno dei tanti che, per questa edizione, sono stati scelti quasi in una ordinata rappresentanza morale delle diverse logge cittadine, lungo una scala temporale che ormai ha attraversato/collegato l’ultimo settantennio di vita nazionale, cittadina ed obbedienziale. Guidati essi dall’autorità dei Venerabili della Alberto Silicani n. 936 (gemmata nel 1976 dalla loggia Risorgimento) e della Europa n. 1165 (costituitasi nel 2000, raccogliendo le forze liberate dalla demolita loggia Vittoria), e con il supporto del mio notiziario, le soste hanno risvegliato e celebrato le memorie, dopo che dei Grassi e dei Bussalai, di Vincenzo Tuveri, Walter Angioy, Alberto Silicani, Mario Cherchi, Armando Corona, Vincenzo Delitala, Giuseppe Solinas, Paolo Spissu, Gianfranco Cusino, Paolo Carleo, Emanuele Zirone ed Eligio Orrù. Per l’iniziativa estemporanea di taluno si sono aggiunte le soste davanti ai sepolcri di Giorgio Cusino (le cui ceneri si affiancano a quelle del suo fratello di sangue e Fratello elettivo Gianfranco), Giulio Lecca, Vindice Gaetano Ribichesu e Leo Ambrosio.

Ragioni estranee alla volontà dei presenti hanno purtroppo impedito di raggiungere altri siti che erano in agenda: per onorare Natalrigo Galardi, Luciano Rodriguez, Virgilio Lai, Enrico Ganga e Salvatore Loi, personalità anch’esse tutte di straordinario rilievo nell’economia comunionale di Palazzo Giustiniani e di perfetta distinzione nei settori professionali frequentati. Per Galardi, Rodriguez, Lai, Ganga e Loi erano già state preparate le schede biografiche (e sono perciò anch’esse, qui di seguito, riportate).

Testimonianza dell’evento qui richiamato soltanto per flash, sono i quadri biografici via via proposti, che hanno offerto efficace rappresentanza, proprio in chiave diacronica, delle diverse identità delle logge cagliaritane. E quel che più è parso significativo e degno di nota è stato, a mio parere, il dato di immediatezza dei partecipanti, in libera supplenza talvolta di dignitari indolenti e comunque in ritardo nella comprensione profonda del loro stesso ufficio, il che potrebbe dirsi – in positivo appunto per il riscatto – della Mediterranea n. 1343 o della Tetraktis n. 1413, della Francesco Ciusa n. 1054 o della Rudyard Kipling n. 1272, della Lando Conti n. 1056, e in negativo – se mai le logge potessero essere e dirsi figlie immemori della storia –  della Armonia n. 1403, della Concordia n. 1124, della Sardegna n. 981 e così via.

Un quadro diacronico

Un supporto informativo, circa la stratificazione/ramificazione dell’esperienza massonica cagliaritana, ha consentito ai singoli partecipanti di meglio inserire ogni tessera nel suo specifico temporale all’interno del composito arco popolato, nel presente, da 24 officine simboliche – ovviamente al netto di quelle nel frattempo cadute (la Risorgimento n. 354, la Cavour n. 574, la XX Settembre n. 575, la Libertà n. 599, la Giordano Bruno n. 656, la Jacques De Molay  n. 1094, la Vittoria n. 1134). In altre parole, esso ha plasticamente mostrato le dinamiche interne alla circoscrizione sarda del Grande Oriente d’Italia e particolarmente al polo cagliaritano, rivelando anche rallentamenti o accelerazioni in rapporto a più complesse vicende nazionali (ad esempio la già richiamata titolarità della gran maestranza al sardo Armando Corona, ma non solo).

Ne è venuta fuori, se così sia possibile esprimersi, una lezione di storia civico/obbedienziale, sviluppatasi sì per rapidi cenni ma con focalizzazioni certe e impressionanti.

Il panorama si è perciò, per semplificare, rappresentato lungo cinque stagioni (tanto da coprire l’intero settantennio postbellico). Con l’avvertenza che la prima loggia della serie recuperava elementi operativi fin dal 1944, e taluno già dal prefascismo, avvalendosi di rinforzi provenienti dal doppio circuito scozzese degli ALAM e degli AALLAAMM (per dire Antichi Liberi Accettati Muratori), ecco l’elenco dei titoli distintivi con il numero d’ordine e l’anno di fondazione («innalzamento delle Colonne»):

logge “storiche”: Nuova Cavour n. 598, anno 1959; Hiram n. 657, 1966; Sigismondo Arquer n. 709, 1969; Risorgimento n. 770, 1972;

logge dei secondi anni ‘70: Alberto Silicani n. 936, 1977; Sardegna n. 981, 1979;

logge fondate in costanza di leadership Corona: Francesco Ciusa n. 1054, 1986; Giorgio Asproni n. 1055, 1986; Lando Conti n. 1056, 1986; Hur n. 1068, 1988;

logge fondate negli anni ’90: Enrico Fermi n. 1105, 1991; Concordia n. 1124, 1992; Wolfang Amadeus Mozart n. 1147, 1998; Europa n. 1165, 2000;

logge fondate nell’ultimo quindicennio: Giordano Bruno n. 1217, 2004; Heredom n. 1224, 2004; Rudyard Kipling n. 1272, 2006, Libertà n. 1341, 2009; Mediterranea n. 1343, 2009; Quatuor Coronati n. 1356, 2010; Athanor n. 1380, 2010; Armonia n. 1403, 2012, Tetraktis n. 1413, 2012; Kilwinning n. 1485, 2015.

Si tratta di formazioni in lista nei siti internet dell’Obbedienza di riferimento e spesse volte richiamate nei mesti necrologi pubblicati dai giornali.

Gli ottocento artieri praticanti a Cagliari, nei Templi di palazzo Sanjust, la ritualità antica e suggestiva e saggia della Massoneria ed aperti alle discussioni critiche e positive, composte sempre per insuperata regola che impone l’ascolto come prima (gradevole) applicazione ed obbligazione, sono distribuiti al momento in tali 24 logge di cui sarebbe interessante approfondire (ma non lo farò qui) il titolo distintivo, perché in esso è talvolta celata una sensibilità che s’affaccia e dà il tono – quantomeno nei primi tempi di vita – all’intera compagine: colpiscono in questo senso i rimandi alla storia nazionale e alla democrazia isolana più frequenti in anni in cui anche nel mondo “profano” le scuole del pensiero politico valevano ancora qualcosa: così ecco affacciarsi, di lato al titolo di Risorgimento (presente anche a Carbonia), i nomi di Camillo Cavour, di Giorgio Asproni, di Lando Conti (il sindaco repubblicano di Firenze trucidato dalle Brigate Rosse), ma anche quelli della tradizione e della cultura sarda, come Sigismondo Arquer o, di qua nel tempo, Francesco Ciusa (iniziato e/o frequentante proprio l’antica Sigismondo Arquer di via Barcellona infine saccheggiata dai fascisti), cui potrebbero sommarsi taluni di quelli degli altri Orienti isolani, da Gio.Maria Angioy a Sassari a Giuseppe Garibaldi a Nuoro (e di recente, in recupero però di Ottocento, a La Maddalena), a Caprera (in quel di Tempio, dove in antico operarono due logge e nel 1908 fu celebrato il primo e ultimo congresso regionale del libero pensiero).

Negli anni di crescente evanescenza delle dottrine civili e più ancora politiche (e di invadente penoso adattamento ex contagio berlusconiano, fortunatamente lontano dall’esser maggioritario con i suoi portati di utili banalità convenzionali ), le scelte hanno seguito altri input: certo con le icone del libero pensiero come fra Giordano Bruno domenicano o con quelle dell’orgogliosa appartenenza come Wolfang Amadeus Mozart (iniziato nel  1784) o Rudyard Kipling (iniziato nel 1886) o Enrico Fermi (iniziato nel 1923), o con l’omaggio ora alle virtù (è il caso della Concordia, della Libertà, della Armonia) ora ai territori del mito e dell’oggi concreto (Hur, Heredom, Kilwinning, Europa, Mediterranea), ora ai soggetti o alle arti dell’esoterismo (Quatuor Coronati, Tetraktis).

Chiamati alla costante riflessione circa la caducità della vita che impone ad ogni uomo un sovrappiù di rigore nell’adempimento tempestivo e pieno del dovere connesso al proprio stato, i massoni incontrano nello studio o nell’acquisizione dei cosiddetti “fondamentali” iniziatici quanto a loro risale dalle secolari elaborazioni della leggenda di Hiram con i suoi valori di riscatto virtuosamente vitale, contro ogni mortificazione imposta dalla venalità delle intenzioni, dal tradimento della parola e dell’azzardo delle (male) opere. E’ questo insegnamento trova ancora espressione nei rituali che pur nella modernità dei tempi mantengono una propria permanente attualità.

«immutabile Origine d’ogni trasformazione, fa’ che il nostro Fr. possa vivere eternamente con te… »

«… Forza infinita, Fuoco venerato, che tutto ciò che vive fecondi, immutabile Origine d’ogni trasformazione, fa’ che il nostro Fratello possa vivere eternamente con te, come ha vissuto con noi. Possa la sua morte insegnarci a morire e la sua venerata memoria mantenerci costanti nelle vie della onestà e del dovere». E’ l’invocazione che il Maestro Venerabile della loggia rivolge al Grande Architetto dell’Universo «Forza immensa che regola e muove la natura» nell’occasione dei funerali celebrati secondo il rito della Libera Muratoria. Un rito che supera i formulari delle singole religioni e delle Chiese cui pure il singolo Fratello può aver, con piena legittimità e consolazione, appartenuto (ed ancora appartenga), e di tutti coglie l’essenza in quel rapporto fra la creatura e la Fonte che l’ha generato: Fonte di pensiero partecipativo, cioè di intima compromissione detta d’amore.

«Come l’astro che nasce disperde le tenebre della notte, così la speranza che il nostro Fratello riposi nel grembo del Grande Architetto dell’Universo dissipa ogni nostro dolore e cambia in giubilo il nostro sconforto», è l’auspicio-ammonimento del Primo Sorvegliante, che parla dalla sua cattedra posta ad Occidente del Tempio ancora parato a lutto.

La morte come docenza di vita per ciascun uomo. «Che la memoria dell’estinto Fratello ci ritorni alla mente con dolcissima soavità. In presenza di questi tetri colori e del lugubre silenzio di morte che qui domina, ricordiamoci, o Fratelli, che dalla corruzione nascono i profumi e le bellezze della vita: che la morte non è che l’iniziazione ai misteri di una vita seconda, e che nulla si disperde o si estingue nella natura», ha appena detto il Maestro Venerabile, invocando dal Grande Architetto dell’Universo che «la memoria e l’esempio delle virtù è [del Fratello defunto] parlino all’anima e conducano [i Fratelli superstiti] con assiduo lavoro alla ricerca della verità e della luce».

La morte come docenza di vita nell’armonia sociale: «dinanzi a questi simboli della morte, ogni pensiero egoistico, ogni risentimento deve esser bandito. V’invito dunque a giurare con me che obliate ogni offesa. La pace e la concordia regnino fra noi; non si pensi che alla nostra opera e alla grandezza della Massoneria: non dimentichiamo giammai il fondamentale precetto: non fare ad altri quello che non vorresti fatto a te stesso, e fa’ agli altri quello che per te medesimo vorresti».

In occasione dei funebri massonici e comunque almeno una volta all’anno – se n’è accennato: in Italia, già per la delibera del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni che accoglieva gli auspici della Loggia genovese il Caffaro,  nella data che ricorda la morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta in clandestinità! nella casa Rosselli di Pisa, il 10 marzo 1872 – gli artieri delle logge massoniche si stringono in Catena d’Unione e volgono, a Chi è oltre ogni visibilità, l’invocazione della pace perenne per il Fratello involatosi dalla Valle terrena. La Catena che s’era rotta – «uno dei suoi anelli è spezzato e la parola è smarrita» ha avvertito il Secondo Sorvegliante – presto, con un atto di coscienza e volontà, si ricostituisce nella sua integrità: «Noi abbiamo compiuto un penoso dovere. Più fortunati che alla apertura dei nostri lavori, non ci separeremo senza esserci… scambiati il bacio della fratellanza. Fratelli, unitevi a me e formiamo intorno al tumulo la Catena d’Unione».

E’ possibile, è probabile, che anche in diverse delle occasioni di lutto ricordate nelle pagine a seguire, la Fratellanza massonica cagliaritana abbia tenuto assemblea e invocato, ad una sola voce, la solidarietà pietosa e gentile del Grande Architetto dell’Universo per l’artiere migrato nel suo seno. Certo è che in numerose circostanze – tutte le volte che se ne è data la possibilità – rappresentanti della loggia d’appartenenza dell’estinto hanno pronunciato in pubblico parole di testimonianza e di riflessione su un’esistenza consumatasi nella tensione, com’è per ogni creatura pensosa del senso di missione proprio dell’esistenza, fra l’essere e il dover essere, fra l’essere e il voler essere, in sempre maggiori gradi di virtù morale e civica, privata e pubblica.

Da un quarto di secolo ormai funziona a Cagliari – proprio grazie alla spinta venuta alla Amministrazione civica dalla Fratellanza massonica attraverso la So.Crem. (suo atto costitutivo del 14 febbraio 1980, primo presidente Gianfranco Porcu) – il forno crematorio che riconsegna alla natura, in forme diverse dalle tradizionali inumazioni o tumulazioni, le spoglie umane passate da vita a vita, altra e diversa. Sempre più frequenti sono i casi in cui i Fratelli – fra essi anche diversi di quelli sottoelencati – abbiano scelto per sé questa forma di “riconsegna”.

Da sempre, può dirsi, la Massoneria patrocina una tale prassi, che già nel 1774 venne valorizzata dall’abate Piattoli, professore di storia ecclesiastica all’Università di Modena. In Italia la prima cremazione fu, ad opera di Giorgio Byron (col mezzo rudimentale della pira), quella della salma del poeta inglese Shelley, nel 1822. Ma soltanto nel 1870 – l’anno di Porta Pia – avvenne un pubblico incenerimento: fu a Firenze, sulle rive dell’Arno e del Mugnone, con la pratica del rogo.

La prima società di cremazione in Italia è datata 1876 e ne furono promotori vari dignitari massonici, fra cui Malachia De Cristoforis. Iniziative analoghe si adottarono, prima della fine del secolo, in successione a Roma, Cremona, Brescia, Padova, Udine, Varese, Novara, Firenze, Livorno, Pisa, Asti, Sanremo, Torino, Mantova, Bologna, Modena, Venezia, Spoleto, Perugia, Pistoia, Bergamo, Monza, Genova, Savona… E all’inizio del Novecento si proseguì in altre province e regioni, nonostante le riserve o l’opposizione dichiarate dalla Chiesa cattolica (e da tempo, comunque, revocate)…

Ad ogni modo, seguendo la pianta diacronica della Libera Muratoria cagliaritana, i partecipanti hanno firmato questa prima corale esperienza nella storia, lasciando a me, ad integrazione del mio, la traccia dei loro interventi. Qui appresso riporto i loro e i miei testi celebrativi (senza attribuzioni particolari, conferendo anche il mio  nella dimensione del grande abbraccio. Soltanto debbo specificare, nel novero, quelli riferiti ai gruppi familiari Grassi e Bussalai, introduttivi della lunga sequenza e donati nel luogo di incontro dei convenuti, perché costituiscono una sintesi dei profili riportati nel mio “La Catena s’è rotta, la Parola smarrita…”, il già richiamato quaderno la cui pubblicazione fu patrocinata dalla loggia Alberto Silicani nel 2006).

Per Hoder Claro Grassi, Swanyld, Efrem e Ileana

Le date dei percorsi di vita: 1905-1967, 1946-1970, 1934-1988, 1912-2000. Inquietudini esistenziali, prove d’arte nella bontà.

Quando s’invola all’Oriente Eterno, il 6 dicembre 1967, il Fr. Hoder Claro Grassi è Segretario della loggia Hiram, ultima nata nella Valle del Mannu e del Flumendosa, destinata – anche per il dinamismo impressole dal primo Venerabile Mario Giglio – a un ruolo di motore dell’aggiornamento culturale-civile dell’Istituzione muratoria in Sardegna. Ad officiare il suo funerale, secondo l’antico rituale, al Monumentale, è Alberto Silicani, vertice dell’Obbedienza sarda. In attesa della costruzione del suo sepolcro, la salma – vestita dei suoi paramenti di Maestro massone – viene collocata nella tomba di famiglia, nel camposanto vecchio di Cagliari.

Da qualche tempo egli ha lasciato «istruzioni tassative» per le sue esequie, che vuole civili ed austere, povere addirittura. Ha disposto per la bara, per il carro, per l’avello: «io preferirei essere seppellito in piena terra, possibilmente in campagna, oppure nel cimitero di Bonaria di fronte a mio padre, nell’orto delle palme, ma, se mia moglie ci tiene potete acquistare un appezzamento di m. 2 x 2 e costruirvi un masso di pietra scura di quella della rocca di Calasetta o altra trachite scura…».

Ne dà anche una rappresentazione grafica – allusiva forse della pietra grezza, soggetto-oggetto del lavoro del libero muratore: dirozzamento e levigazione per l’offerta ad una più efficace funzione associativa –, e scrive pure le epigrafi, come in un fumetto, rispettivamente di dodici e cinque righe, per sé e per l’adorata Swanyld (sposata nel 1934): proprio quelle che, effettivamente, sono sbalzate sul bronzo e possono leggersi nel cimitero di San Michele, nel quadrato erboso giusto alla destra dell’inizio della mega-scalinata: «Hoder Claro Grassi ha chiuso il suo operare in terra ed è risalito a vivere in fra le stelle», e «Swanyld Grassi così come lui con lui». Swanyld ha donato, per lunghi anni, un appassionato contributo, dopo l’iniziazione avvenuta il 13 maggio 1976, alla loggia femminile Libertà, dove è stata promossa alla Maestria nel 1986, protraendo la sua militanza attiva fino al 1994, quando ragioni di salute, legate essenzialmente all’età, le hanno imposto il ritiro…

 

Certo mai si sarebbe pensato che nell’arco teso di quel trentennio circa (1967 – 2000), la morte avrebbe bussato ben altre due volte, per chiamare prima (1970) Efrem, il terzogenito iniziato e quotizzante nella Hiram, quindi (1988) Ileana, la maggiore dei tre figli…

Nella casa massonica di Cagliari esiste (esisteva?) un quadro riportante le pagine del testamento di Hoder Claro Grassi. L’Archivio ne aveva avuto, già più di trent’anni fa, una copia fotostatica. Eccone il testo completo (incluse le parole tutte al maiuscolo e quelle sottolineate):

«Istruzioni tassative per il mio FUNERALE

«Niente Messe. Niente preti-frati-monache et similia. Le spese previste devolverle ai poveri – direttamente ai poveri –, senza intermediazioni di preti, monache od altro, questo se lo vorrete, altrimenti… ciccia.

«CASSA di legno di pino bianco della qualità peggiore, potrete farla costruire dal falegname che ha fatto le porte per la vigna (Salvatore Puxeddu lo sa) = semplice, senza croci né anelli, né altri fronzoli.

«CARRO FUNEBRE di III classe ripeto senza preti: dall’ospedale o da casa direttamente al cimitero nelle prime ore del mattino.

«TOMBA io preferirei esser seppellito in piena terra, possibilmente in campagna, oppure nel cimitero di Bonaria di fronte a mio padre, nell’orto delle palme, ma. se mia moglie ci tiene potrete acquistare un appezzamento di m. 2×2 e costruirvi un masso di pietra scura, di quella zona di Calasetta o altra trachite scura (due-tre massi grandi che raggiungono l’altezza consentita dal Comune).

«Tutto qui.

«NIENTE LUTTI. NIENTE MESSE.

«VI STRINGO FORTE FORTE AL MIO CUORE che ha sempre palpitato per voi con tanto amore.

«Non disturbate nessuno. Non pubblicate annunci mortuari. Pregate Giglio e gli altri di fare altrettanto. Non mandate partecipazioni.

«Lasciate ch’io vada in silenzio.

«Dite a Giglio, o chi per esso, di devolvere al primo poveraccio i soldi che dovrebbero regalare all’Unione Sarda».

Hoder Claro, armiere in quanto a professione, nel quartiere della Marina, pittore metafisico per vocazione…. Metafisico. La morte incombe nei suoi quadri e s’affaccia pure nei suoi versi. Forse il lutto patito da bambino ne ha segnato per sempre l’animo e sconterà quell’angoscia vivendo e dipingendo. E, appunto, poetando. “Inverno” è titolata la descrizione d’una natura che sposa la storia in un’unione di morte:

«I fiumi diventano strade, / L’acqua scorre sotto il ghiaccio / E ci fa sentire una musica, / Triste come il suono di un carillon / Chiuso dentro una bara.

«Canti rochi, canti di Morte, gridi / Provengono da una capanna lontana, / Nel deserto squallido, bianco, / Dove le vecchie strade storte / Sono cancellate dalla neve.

«Sulle cime d’un cipresso secco / Stride un uccello scheletrico: / E’ uno sparviero tramortito / Dalla lunga fame / Che grida il suo canto di Morte.

«Quei canti che entrano nei timpani / Vuoti come tombe antiche, / Che spingono nel cervello stanco / Le note gelide di ghiaccio, / Che si ripercuotono nel cuore / Gonfio di malinconia / E negli occhi gonfi di pianto».

Nell’insondabile mistero del rapporto tra figlio e padre si consuma la breve esistenza di Efrem, che apre gli occhi alla Luce massonica il 13 giugno 1967, fra le Colonne dello stesso Tempio frequentato dal Fr. Hoder Claro. Il Venerabile che officia il rito d’iniziazione è Mario Giglio, assistito da Franco d’Aspro Primo Sorvegliante. L’Oratore che gli dà il benvenuto è Sabino Jusco, gli Esperti Gianni Ferrara e Vincenzo Delitala (entrambi a piedilista della Nuova Cavour che è solita lavorare in abbinata con la Hiram, con presidenza alternata). Al banco del Segretario, a verbalizzare l’evento, proprio lui, Hoder Claro, il padre-Fratello adesso. Potrà, questo rigore paritario, placare, fino a risolverla, la contrapposizione, rispettosa ma netta, continua ed anche amara, tra un giovane di neppure ventuno anni e suo padre che appartiene ad una generazione tanto diversa? Saprà o potrà riassorbire, questa parentela massonica i termini e i toni d’una opposizione tenace che investe i comportamenti anche se mai travalica i limiti imposti dai ruoli (mediati, nella dialettica domestica, dalla finezza di Swanyld e dal misurato buonsenso di Ileana e Rossana)?

Non avranno tempo che poche settimane, Hoder Claro ed Efrem, per risolvere massonicamente il contenzioso di caratteri, valori e voleri, aspettative e programmi. L’Apprendista a dicembre perde per sempre la sua guida, che s’invola improvvisamente… Mediterà sull’esempio paterno, ma la sua inquietudine esistenziale non troverà risposte. Tre anni soltanto, neppure tre anni, e lui pure, Efrem, risalirà «a vivere in fra le stelle»…

Il 4 maggio 1967 Efrem ha dato un nipotino a suo padre. L’ha voluto chiamare come lui, omaggio simbolico al suo “grande” di casa, un segno di amore per un genitore ch’egli sa capace di ogni tenerezza ma che, non di meno, si preclude ogni slancio in sua direzione, come a punirlo di scelte che non comprende o non apprezza. Ultima quella dei parà.

Ecco, una settimana più tardi, il 13 maggio, egli ha deciso per l’avventura (che, per necessità, è un po’ clandestina). E’ l’ora del primo volo. Scrive: «Stasera, alle ore 19 circa, partirò per Alghero. Ad Alghero ci sarà un lancio di paracadutisti, fra i quali ci sarò anch’io. Dovrebbe andare tutto bene, ma sfortuna non voglia, qualcosa non dovesse andare come previsto, le mie volontà sono queste…».

Al centro di tutto è il bambino, il piccolo nella culla, al quale vorrebbe lasciare una guida sicura, forte, più sicura e più forte di quella che lui avrebbe potuto, per evidenza di cose, rappresentare: «La cosa più importante: Affido mio figlio Hoder, per ricevere una buona educazione e condurre una vita migliore di quella mia, a mio padre Hoder Claro Grassi».

Salda due generazioni non successive, Efrem, con questa disposizione testamentaria formulata immaginando la sua improvvisa fuoriuscita da questo mondo. Sottolinea alcune parole: «La cosa più importante», «a mio padre Hoder Claro Grassi». Marca la sottolineatura sull’aggettivo «importante», ripassa tre volte la penna sul comparativo «più»… Nel piccolo s’identifica lui stesso, bisognoso di guida sicura e forte: una guida che riconosce apertamente, per levatura morale, per sapienza, all’ormai anziano suo genitore. Auspica però che quella levatura morale, quella sapienza di vita siano come attraversate da un dubbio e corrette, “umanate” da una presa di coscienza: «…raccomandandogli [a mio padre] di tener conto dell’esperienza fatta con me e di non commettere gli stessi errori, anche se pochi, che ha commesso con me»…

Sospeso con il pensiero e con l’ardimento fra cielo e terra («Arrivederci a tutti in una vita migliore speriamo!», sono le ultime parole del documento), egli sembra qui marcare la propria consapevolezza dei doveri da compiere…  Adora suo padre. E’ rimasto nella memoria familiare il suo grido di dolore, di disperazione, davanti alla salma del genitore appena composta in una saletta del Policlinico del viale Fra Ignazio. Il padre e la morte, il padre e il tempo, il padre e i silenzi e i “no” irremovibili e sovente non motivati altro che con l’autorità della fonte, e dunque non accettati ma subiti. Il padre così definitivo nel suo autocontrollo, nella sua severità, nella coerente disciplina delle sue azioni. E dall’altra parte lui che rivendica la propria autonomia, la libertà di scegliere anche quel che pare fuori dagli schemi, e ampi spazi di responsabilità da amministrare con i furori dei diciotto o dei vent’anni…

Scava esistenzialmente in se stesso, Efrem, adesso, davanti a quel padre che non gli oppone più i suoi dinieghi; il suo linguaggio spirituale si fisserà nei versi d’una poesia-confessione, che non a caso intitola “Lo specchio”:

«Nel silenzio della notte, in attesa che Morfeo mi porti nel suo regno, / il mio sguardo ricade sempre su uno stesso punto, / in quel punto, su quell’oggetto freddo, silenzioso: lo specchio! / un piccolo specchio appeso al muro di fronte a me.

«I miei pensieri corrono, / tanti pensieri, problemi, domande, molte senza risposta. / E lui è là, col suo aspetto ghignante, / come se gioisse delle mie sventure, delle mie tristezze.

«Distolgo lo sguardo da lui, ma poi ecco! / E’ di nuovo davanti ai miei occhi. / Lo guardo a lungo, come per interrogarlo, / come per chiedergli una risposta alle mie domande, / una parola di conforto, no!

«Anche lui mi guarda, sempre col suo aspetto ghignante, / freddo, silenzioso, morto. E non risponde. / Ti odio specchio! Ti odio! E Morfeo ancora non arriva»…

Vive la sua perenne adolescenza, Efrem, negli anni del boom economico, all’interno del ciclo consumistico che segna l’emancipazione del Paese dall’austerità postbellica, nei consumi privati così come in quelli collettivi. Vive la stagione nuova che lo fa insieme più grande e più piccolo di un suo coetaneo d’altra epoca neppure remota. Hoder Claro ha colto nel figlio soprattutto lo scarto “negativo” rispetto al modello che egli sentiva di aver potuto legittimamente rappresentare, e di aver rappresentato, per lui. Ma questa è un’epoca dialogica, che smonta o almeno interroga, con riserva o sospetto, le autorità, incluse quelle familiari. E in quante case di un’Italia in rapida trasformazione modernista si recita lo stesso soggetto!…

La frequentazione della loggia lo sprona a un recupero di speranza, lo aiuta ad interiorizzare il programma della Libera Muratoria: «essere all’altezza dei doveri del proprio stato», «fare agli altri il bene che vorresti fosse fatto a te»… Ma la febbre dell’inquietudine esistenziale non lo abbandona.

Chiude la sua giornata terrena in una strada di Torino, in piena notte. Causa la velocità, l’ardimento… A 24 anni, il 7 ottobre 1970, reincontra, nel mistero del non-tempo, suo padre.

Per Francesco Bussalai, Fides, Giuseppe e Bruno

Le date dei percorsi di vita: 1913-1972, 1932-1997, 1912-2000, La lunga traversata verso la democrazia.

Un’altra grande pietra che, nell’area erbosa alla sinistra della base del solenne scalone cimiteriale, s’alza in verticale ad indicare la sepoltura di Francesco e Fides Bussalai, reca anch’essa gli strumenti per eccellenza dell’arte muratoria: squadra e compasso. E con essi, pure in bronzo, sono le targhe con i nomi in corsivo – «Francesco Bussalai» e «Fides» – ed una pianta d’acacia, che spunta da terra per piegarsi alludendo a funzioni protettive. Poi i figli.

Fondatore e fra i primi Maestri Venerabili della nuova Sigismondo Arquer – tale è quando s’invola, il 5 novembre 1972, nonché Oratore del Collegio Circoscrizionale della Sardegna e Gran Sacerdote del Capitolo Ichnusa dell’Arco Reale – Francesco Bussalai, classe 1913 è nativo di Nuoro. Musicista per studi e soprattutto per gusto e passione sempre coltivata è stato a lungo funzionario delle Dogane ed impegnato in politica. Dopo una breve detenzione a Regina Coeli, nel 1943, ha partecipato alla resistenza antinazifascista e militato fino alla metà degli anni ‘50 nel PCI, di cui è stato anche consigliere regionale della Sardegna nella prima legislatura autonomistica. Successivamente ha aderito alla socialdemocrazia.

In Massoneria è stato accolto nel 1966, nella romana P2. Ha quindi impiantato a Cagliari una sorta di filiazione di quell’officina centenaria e singolare, senza rituali, all’obbedienza personale del Gran Maestro, che nel 1969 è stata regolarizzata in una loggia ordinaria. La sua è stata una militanza, tutto sommato, di breve periodo – il soffio d’un lustro appena – ma tanto è bastato a rivelarlo come personalità eminente nelle sue intuizioni. La sua visione massonica, forse minoritaria, era quella di un massonismo protagonista civile.

Il giorno in cui, all’età di soli 59 anni, egli migra all’Oriente Eterno è in svolgimento, proprio nella sua città, un importante convegno dei giustinianei con il Gran Maestro Lino Salvini, l’ex Giordano Gamberini ed altri Grandi Dignitari. La notizia giunge dal Centro Tumori di Milano, nel quale il Fr. Bussalai, colpito da un male che soltanto troppo tardi si è rivelato, ha accettato di farsi ricoverare.

Un disturbo all’inizio apparentemente banale, poi riconosciuto serio, serissimo, è stato l’avvisaglia di quel che sarebbe presto accaduto. Un’analisi disposta dal prof. Andrea Foddai, direttore del Centro Antitubercolare e Fratello di loggia, per venire a capo di una febbre insistente ed inspiegabile, ha messo a fuoco la causa della malattia. Un polmone già fuori uso, l’altro gravemente compromesso da un cancro devastante. Una corsa a Milano, più per legittimare ai suoi occhi una terapia avanzata per debellare la forma… virale, che non per combatterla. Troppo tardi. La salma viene imbarcata al porto di Genova e giunge a Cagliari mercoledì 8.

Tutte le logge ed i corpi rituali s’uniscono in Catena proclamando in forma pubblica il proprio lutto: le Stelle d’Oriente del Capitolo cagliaritano, i Fratelli della Valle del Mannu e del Flumendosa distribuiti fra i Templi della Nuova Cavour, della Hiram, della nuova Risorgimento, quelli della Gio.Maria Angioy nella Valle del Turritano e del Bunnari, quelli della Giuseppe Garibaldi nella Valle del Cedrino e del Marreri, quelli della Giovanni Mori e della Risorgimento nella Valle del Cixerri e del Palmas, quelli della esordiente Ovidio Addis nella Valle del Tirso, i Dignitari tutti del Collegio circoscrizionale, e quelli del Capitolo Nazionale Italiano dei Liberi Muratori dell’Arco Reale. Oltre naturalmente ai Fratelli della Sigismondo Arquer n. 709 all’Oriente di Cagliari, l’officina che ha esordito giusto mille giorni prima.

Il cordoglio è generale: investe la politica – fra quelli che lo ricordano radicato nell’istanza socialista sono i FF. Rinaldo Botticini e Giuseppe Tocco («carissimo compagno e fraterno amico»), il prof. Sebastiano Dessanay (a lui legato da «vincoli di fraterna amicizia maturati attraverso le lotte combattute insieme in difesa della classe operaia») – ed investe il mondo teatrale, musicale e turistico, che lo ricorda  presidente del Comitato per il teatro regionale di Sardegna, consigliere d’amministrazione dell’Istituto dei Concerti e del Teatro Lirico G. Pierluigi da Palestrina, sindaco dell’ESIT… Le note di stampa ne richiamano le esperienze più forti: combattente antifascista decorato al valor militare partigiano, legislatore regionale al debutto dell’autonomia speciale, il militante nel socialismo riformista…

Nel pomeriggio dell’8 novembre i funerali, con semplice rito civile al cimitero di San Michele. Alla presenza di parenti ed amici, i Fratelli si stringono tutti in una intensa Catena d’Unione davanti alla bara del Maestro. Presiede i lavori funebri dell’interloggia il Fr. Mario Giglio, la Tavola di commemorazione è tracciata dal Fr. Umberto Genovesi.

Improntata alla stessa religiosità laica è l’addio a Fides Pilo, oltre tre decenni dopo. Di un anno più anziana di lui, Fides è stata – fin dall’adolescenza – la compagna di vita di Francesco, così nei percorsi privati (segnati dal matrimonio nel 1930 e dalla nascita di cinque figli) come in quelli pubblici della politica e delle associazioni. E’ stata anche lei comunista e poi socialista nel filone saragattiano.

Nei primi anni ’70 ha partecipato in prima persona all’avventura del Capitolo Sandalyon U.D. – la compagine rituale mista d’influsso americano che a Cagliari fa capo alla Stella d’Oriente (Gran Maestra Franca Bettoja). Allo scioglimento dell’organizzazione, nel 1975, ha impiegato il suo talento di leader nata dando vita alla loggia femminile Libertà, di cui è stata eletta Maestra Venerabile ad vitam.  Soltanto «dopo aver completato la squadratura della pietra» è avvenuto il suo passaggio all’Oriente Eterno, l’11 dicembre 2004.

In più occasioni si è richiamata la vicenda di vita di questo esemplare collettivo familiare. Nel richiamo, anche qualche tratto che riporta agli anni crudi della ultima guerra mondiale. «Chiedo perdono a mia moglie ed ai miei piccoli figli Turi – Pino – Irene – Bruno – Anita di quanto posso averle arrecato di danno. Desidero che vengano su retti – liberi da ogni pregiudizio – vero nemico dell’evoluzione umana – animati di buona volontà verso il prossimo – e sopra tutti nemici di ogni forma di tirannia – sopruso – arbitrio. Considerino il prossimo come se stessi: rifuggano da ogni forma di sfruttamento… Queste povere creature mi perdonino se non ho potuto lasciare loro di che sostentarsi in mia mancanza. Credano nel mondo nuovo – nella Giustizia – nell’equità – nella fratellanza degli uomini così come ho creduto io. Ricordino che per questi ideali mi sono sacrificato e questo sacrificio mi auguro cancelli qualche mia colpa dovuta, credo, alle circostanze ed all’ambiente corrotto esterno. Riconosco in mia moglie la migliore delle compagne dotata di uno spirito di abnegazione e di sacrificio non comuni…».

E’ lo stralcio di una lettera datata da Roma il 5 ottobre 1943. Riempie quattro facciate numerate da lui stesso, in alto a sinistra: 93 righe di scrittura ora fitta ora larga, con le disposizioni testamentarie rivolte alla famiglia, con gli ammonimenti morali e il consuntivo di vita, il tutto «nell’imminenza di avvenimenti nei quali – scrive Francesco Bussalai – potrei incontrare morte violenta». Lasciato il servizio a Milano per sfuggire alle rappresaglie nazi-fasciste incrudelitesi all’indomani dell’armistizio, egli  s’è rifugiato a Roma, dove è braccato e prossimo a cadere nella rete, prossimo anche a condividere il carcere con uomini come Sandro Pertini e Giuseppe Saragat.

Ma c’è pure un’altra lettera, non meno significativa, precedente soltanto di qualche settimana quella romana: questa è partita da Milano il 25 luglio, giorno del golpe ordito dal Gran Consiglio. Ed è indirizzata all’adorata compagna della sua vita.

«Mia cara, ti scrivo con le lagrime agli occhi e con un nodo alla gola dalla gioia. Come ti vorrei avere con me in questo momento! Da ieri notte Milano è insorta. L’ora della tanto agognata liberazione finalmente è suonata. Il fascismo è morto! Milano ha un grande cuore ed è degna delle Cinque Giornate… Abbiamo occupato e distrutto il “popolo d’italia” di quel sudicio, il guf, i sindacati. Di tedeschi neanche l’ombra; così pure della milizia. Si cominciano ad organizzare i partiti d’azione social-democratica. Gli aderenti sono innumerevoli, il Popolo di Milano l’è un gran bel popolo. Ma superiori ad ogni elogio sono le donne: pensa che hanno avuto il coraggio di affrontare le mitragliatrici fasciste: sono stupende, degne compagne degli uomini. Abbiamo anche liberato i prigionieri politici. Piangevamo tutti! Stamane in ufficio ho fatto piazza pulita di tutti i quadri. Molti vigliacchi mi facevano i sorrisini. Abbi fiducia in me. Fra poco ci riabbracceremo. Infiniti abbracci a Marianna, ai miei piccini ed in particolare a te. Tonino. (Ritira Brunetto da Nuoro)».

Tonino. Il diminutivo del secondo nome è entrato nelle abitudini di casa fin dall’inizio, reso necessario per mettere rimedio agli effetti della… distrazione paterna. All’ufficiale dell’anagrafe di Nuoro, quel certo giorno dell’agosto 1913, il signor Salvatore ha denunciato la nascita del piccolo Francesco Antonio, ed ha replicato la scena – facendo registrare un’altra Francesca – pochi anni più tardi…

La madre, una Quesada, è la terza moglie di Salvatore Bussalai, rimasto vedovo due volte. Dal primo matrimonio è nato Salvatore jr., impiegato postale, antifascista penalizzato nella carriera, i cui figli muteranno negli anni avvenire il cognome in un più corto Bussa (ed è il filone nel quale si riconosce il noto attore Ubaldo Lay, che così recupera in arte… la frazione perduta).

Del secondo matrimonio sono le sorelle Marianna e Ignazia, pasionarie del sardismo invise al regime. Ed infine ecco la terza unione, appunto quella con Giuseppina Quesada, da cui nascono in successione Francesco, Francesca (Cicita: che si laureerà in medicina e sposerà il vice prefetto Giorgio Flagiello), ed Assuntina (che andrà a nozze con Antonio Sanna, veterinario e direttore del mercato comunale a Nuoro, prossimo Fratello).

Appaltatore dell’Ufficio postale nel capoluogo barbaricino, Salvatore Bussalai entra nei ruoli statali all’atto della costituzione della Provincia di Nuoro, nel 1927. Deve allora trasferirsi nella vacante sede di Porto Torres, comune presso cui la famiglia prende residenza per diversi anni.

Francesco studia a Sassari, ginnasio e poi liceo (all’Azuni): non prenderà però la licenza, distolto e coinvolto da altri e più forti interessi, e soprattutto dalla musica. Segue la banda civica ovunque si posizioni per i suoi pubblici concerti, ed ancora ragazzo si cimenta in un’orchestrina che, nel cinema del capoluogo turritano, accompagna con un gradevole sottofondo la proiezione delle pellicole mute… Frequenterà anche un corso triennale organizzato, nella capitale, dall’Accademia di Santa Cecilia, acquisendo un patentino che lo accredita come musicista di un certo livello. D’estate suona nell’orchestrina che si esibisce allo chalet Lo scoglio lungo, a Porto Torres…

Intanto prorompe nella sua vita di adolescente superattivo una coetanea, studentessa all’Istituto Tecnico, Fides. Si conoscono a Porto Torres. Amore veloce e contrastato, a casa Pilo… La “fuitina”, la famiglia capitola…

A casa del funzionario comunale i ragazzi conoscono un anziano impiegato, celibe e solitario, espulso dall’Amministrazione civica per palese, ancorché non declamato, antifascismo. A Francesco e Fides il signor Carta tiene lezioni clandestine di marxismo. Così sarà, con qualche assiduità, per alcuni anni, almeno fino a quando – siamo ormai nel 1933 – il giovanissimo capofamiglia, cui la moglie ha già dato i primi bambini (Salvatore e Giuseppe), non vince un pubblico concorso presso l’Amministrazione doganale, ottenendo l’assegnazione alla sede di Reggio Calabria…

Apostoli del comunismo, nelle catacombe imposte dalla dittatura. Al porto di Reggio Calabria, negli anni fra il 1935 e il 1936, la coppia assiste all’imbarco di tanti volontari, che per il soldo s’intruppano alla volta dell’Abissinia. E fa opera di sobillazione, cerca di contagiare almeno un dubbio nella mente dei tanti che s’affollano entusiasti sui moli: non è una festa, ve ne accorgerete…

Nel 1937 arriva il trasferimento a Livorno. La famigliola, ormai sempre più numerosa – a Reggio è nata anche Irene e in Toscana vedranno la luce pure Bruno ed Anita –, prende casa proprio dirimpetto al cantiere navale: una posizione ideale per la semina del verbo rivoluzionario, perché facilita l’incontro con gli operai, semplifica la pur guardinga distribuzione dei manifestini di propaganda. Si può contare inoltre su un alleato interno al cantiere, un Jean Valjean – questo è il suo soprannome – che funziona da staffetta.

Anche Fides tiene accesa, in proprio, una miccia… La mattina presto, già alle quattro, si mette in fila con i popolani che, tessera alla mano, attendono il turno davanti alle botteghe. Sa di accantonamenti di merci e viveri, per l’utilità dei privilegiati del regime… Sobilla la gente, alimenta lo scontento, diffonde i suoi consigli che scontano una conoscenza esperta della psicologia popolare. I gerarchi della milizia la richiamano all’ordine più volte. Lei ha sempre la risposta pronta: mandatemi pure al confino, mi farete un piacere, ho cinque figli da mantenere!

Si avvicinano i giorni della guerra mondiale. Francesco è richiamato e spedito a Cividale del Friuli, dove è inizialmente incaricato della direzione dello spaccio nonché di quella, più gradita, della banda musicale.

A proposito di bande ed orchestre. Nell’anno scolastico 1942-43 egli ha finalmente acquisito, come privatista, il diploma di “licenza e magistero” di flauto presso l’Istituto Musicale pareggiato G. Pacini di Lucca. Ha sostenuto ben cinque prove nelle materie principali (concertino di Chanimade, studio n. 5 op. 60 e studio n. 12 op. 5 di Andersen, interpretazione dell’andante op. 20 di Porzio, lettura e trasporto, cultura), riportando la media dell’8,30 decimi. Bene anche nelle materie complementari tecniche.

La guerra. I comandi vorrebbero inviarlo al fronte: lui è però abile nel defilarsi, accusando un inoppugnabile carico di famiglia il quale, infatti, gli vale l’esonero dal servizio…

Mentre anche Livorno, come Cagliari e mezza altra Italia, entra nei piani di bombardamento dell’aviazione alleata, Fides e i bambini riparano prima a Sora, in provincia di Frosinone, dove vivono alcuni parenti dei Pilo, e successivamente in Sardegna. Sarà allora necessario addirittura un lasciapassare del prefetto di Livorno, dato che l’emergenza bellica impone lo stop ai traghettamenti di civili, attraverso un mare che è cosparso di mine esplodenti. I bombardamenti a Livorno sono rovinosi nei loro effetti di lutto e distruzione materiale. Francesco e Fides perdono tutto fra le macerie della città.

1943. Francesco Bussalai è mandato dalla Dogana in missione d’ufficio a Milano. Ha giusto trent’anni e già, però, un consuntivo di vita notevole: tanti figli, un lavoro impegnativo, residenze in varie città d’Italia, un hobby che vale una professione, una robusta fede politica e un fervoroso apostolato clandestino… Ora può aggiungere un nuovo capitolo: l’antifascismo attivo e l’azione partigiana.

La delazione di qualcuno ne causa l’arresto, con quanto l’accompagna: sono sevizie. Dopo due mesi di detenzione, a metà gennaio 1944, evade dal carcere di Regina Coeli, braccio tedesco, e partecipa a varie azioni di sabotaggio contro il nemico, comandando il 1° GAP della VI zona del PC. A febbraio parte da Roma per raggiungere i partigiani dell’Abruzzo, dove guida un distaccamento di patrioti attivo nel circondario di Avezzano e fa parte della divisione Marsica. Gli sarà concessa la medaglia di bronzo al valor militare sul campo.

Il 12 giugno – una settimana dopo la liberazione della capitale – torna a Roma: non ha mezzi, non ha neppure un capo di vestiario per il cambio. La puntata è poi ad Orani, dove brilla la stella di Marianna Bussalai, la sorella poetessa. Si ricongiunge a Fides ed ai bambini e con loro si trasferisce a Porto Torres dove è distaccato dall’Amministrazione doganale.

Con Fides – ancora e sempre inseparabile compagna di vita e di lotta – fonda la locale sezione del Partito Comunista Italiano, mentre lei diventa la responsabile del settore femminile (così sarà a Cagliari, quando la famiglia dovrà trasferirvisi). Ricopre incarichi importanti nell’ambito della Federazione provinciale che contribuisce a strutturare. Prende parte ai primi congressi del partito, assumendo la corresponsabilità dell’organizzazione nell’ambito del Comitato federale di Sassari, dopo l’assise del marzo 1945.

A Porto Torres organizza lo sciopero degli scaricatori del porto. Partecipa anche, con Fides, all’occupazione delle terre da parte dei contadini. Si inizia nelle aree incolte del largo Baratz, nella zona di Fertilia, nella Nurra (si dorme nei capannoni liberati dei loro lucchetti)… La polizia interroga, ferma, porta in caserma. Per Fides arriverà una condanna a otto mesi con la condizionale. Contesta: siete peggio dei tedeschi!, e si prende un’altra condanna per oltraggio. In carcere compie una esperienza politicamente, oltre che umanamente, straordinaria.

Con la polizia tutta la famiglia avrà a che fare nel 1948, nei giorni dell’attentato a Togliatti. Un altoparlante è posizionato fuori dalla Camera del Lavoro per un comizio. Gli agenti intervengono prontamente per disarmare l’apparecchio. In Tribunale verrà un’assoluzione. Ma solo per… insufficienza di prove.

L’8 maggio 1949 Francesco Bussalai viene eletto, per il collegio di Nuoro, al primo Consiglio regionale della Sardegna, insieme con altri dodici compagni. Non è ricandidato dal partito nel 1953 alla seconda legislatura. E’ già inviso, infatti, a taluno di quelli che contano ed hanno la forza di tirare le fila nel partito: Girolamo Sotgiu, il più stalinista di tutti, lo accuserà perfino di autopropaganda; c’è poi l’imputazione d’esser titoista, ecc.

Ma è nel 1956 – all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest – che egli decide di alzare la bandiera della libertà: adesso contro il conformismo e l’arrogante faziosità della dirigenza comunista, non solo locale. E’ una svolta di vita.

Insegna musica alle scuole medie, a Maracalagonis, a Burcei, a Settimo San Pietro. Rinuncia a suonare perché non ha più tempo per esercitarsi, per far prove. Dopo la pensione, nei primi anni ’60, dà vita a un comitato di promozione teatrale con personalità importanti della vita cagliaritana come Dario Ferrari – direttore del liceo musicale – e il direttore de “L’Unione Sarda” Fabio Maria Crivelli (e diversi altri: da Botticini a Rodriguez, da Molè a Giua, da Zizi a Duce, da Rizzu a Tocco). Entra anche nel  Consiglio d’amministrazione dell’Istituzione dei Concerti e Teatro Lirico, e nel Collegio sindacale dell’Ente Turistico.

Ad introdurlo in Massoneria è un parente, Livio, figlio del suo fratello maggiore (quel Salvatore che l’ospitava nelle puntate romane durante gli studi all’Accademia di Santa Cecilia). Livio, medico, è massone iscritto alla Loggia Propaganda 2 ed è lì, nella capitale, che per la prima volta egli mette piede nell’ambiente. E’ il 1966. Il brevetto di Apprendista porta la data del 26 giugno 1966 (registrato dal Grande Oriente d’Italia al n. 18079/32). Nell’ambito della stessa officina ottiene, unificati nella stessa giornata – il 19 giugno 1967 – i due aumenti di salario ai gradi di Compagno d’Arte e di Maestro

Porta a Cagliari una filiazione di quella loggia (che avrà altro insediamento a Nuoro, promosso dal Fratello – e suo cognato – Antonio Sanna). Si appoggia, logisticamente, all’Associazione dei partigiani non comunisti. L’esperienza non è gradita alle officine giustinianee e dura soltanto due anni. Alla fine del 1969 il Grande Oriente impone, infatti, la regolarizzazione: la loggia riservata deve scoprirsi, ristrutturarsi in un ensemble ordinario. Nasce la nuova Sigismondo Arquer e lui – Francesco Bussalai – ne è l’effettivo Magister, anche se il primo Maglietto è appannaggio del Fr. Pargentino. A Roma Lino Salvini, che lo considera uno dei più intraprendenti fra i suoi referenti sardi, ha intanto raccolto il testimone passatogli da Giordano Gamberini.

Il proselitismo che l’Arquer sviluppa, fin da subito, ne distingue il tratto e anche gli obiettivi. Nel novero di quelli che, già nei primi tempi, bussano alla Porta d’Occidente è anche Giuseppe (Pino) Bussalai, il secondogenito di Francesco e Fides, accolto nel Tempio nel 1972.

Nato a Sassari nel 1932 (25 marzo), Pino ha seguito – soprattutto con il fratello maggiore Salvatore e già da bambino – tutte le attività pubbliche, ideologiche e di relazione, dei genitori ancora protagonisti, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale e per oltre un lustro, delle attività del PCI. In quel contesto, proprio agli inizi del nuovo decennio, si collocano – come già accennato – le grandi lotte del bracciantato agricolo, con l’occupazione delle terre da parte dei lavoratori. E il carcere non sarà soltanto per gli adulti, ma anche per i minori, Pino incluso…

Ha studiato all’Istituto Nautico, ha frequentato un certo numero di corsi professionali (disegno, edilizia…). Lavorerà per diverso tempo, negli anni a cavallo fra ’50 e ’60, nei cantieri regionali, come assistente dei direttori dei lavori; nel 1963 passerà nei ranghi dell’Amministrazione comunale di Cagliari, assegnato presto all’Ufficio Tecnico, dove si svolgerà larga parte della sua carriera. Parallelamente si compirà, anche per lui come per entrambi i genitori, quel percorso ideale dal comunismo alla socialdemocrazia, per stabilizzarsi poi, dopo l’unificazione socialista del 1966, nel PSI.

La sua militanza – sempre fedele, mai troppo austera, temperata anzi da una certa bonomia ed indulgenza alla cionfra tipica sassarese, quasi come omaggio alla sua città natale – vivrà stagioni anche di speciale impegno, come quando a lui la Loggia chiederà di reggere il Maglietto…

Una lunga malattia ai reni, che lo costringe per anni alla dialisi, ne limita per forza di cose, progressivamente, le attività. Ma non smette mai di essere ottimista, così come ha imparato dai suoi… Sarà il 18 marzo 1997 il giorno del suo passaggio all’Oriente Eterno.

Uomo di mare, capitano di lungo, è stato Bruno Bussalai, uno dei figli più giovani,venuto al mondo a Livorno nel 1937, passato all’Oriente Eterno da Cagliari il 29 dicembre 2006. Di lui, accolto nella stessa loggia del padre e del fratello, eccelle, fra i ricordi, quella cordialità spontanea che gli nasceva, potrebbe dirsi, dai rilanci del cuore propri di chi, trascorrendo gran parte delle sue giornate e settimane, e talvolta perfino dei lunghi mesi, lontano dalla terraferma, al rientro aveva necessità assoluta di dilatare nella dimensione sociale il corpo unico rassodato col suo equipaggio. Anche per questo, forse soprattutto per questo, i suoi ritorni rapsodici in loggia – nella Sigismondo Arquer – erano particolarmente calorosi. era come un ricongiungere l’umanità che aveva spaziato per meridiani e paralleli al punto fermo, geografico, geometrico, geodetico, della sua identità muratoria condivisa. Chiamava i residenti sulla terraferma i “terrazzani”, e non si vergognava di dichiarare però, nonostante tutto e sempre, più forte l’amore al mare, il suo specchio.

Rimane, legato al suo nome, un bellissimo dvd dedicatogli dal suo grande amico Paolo Baggiani per i testi e da Giorgio Baggiani per la regia e l’accompagnamento musicale: una raccolta di foto, immagini e suoni raccolti a bordo della nave “Giuseppe Lembo” – la sua preferita – lungo un anno intero, dal novembre 2005 all’ottobre 2006, quando già il male s’era affacciato, e lui s’era però impegnato nella rotta dall’Europa del nord alla Colombia sudAmericana per tre volte di seguito…

E’ stata una intuizione magnifica quella di onorare Bruno con i versi di Charles Baudelaire del 1857, quelli intitolati proprio a “L’uomo e il mare”. Eccoli:

«Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
«Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
«Nello svolgersi infinito della sua onda,
«E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
«Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
«L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
«Si distrae a volte dal suo battito
«Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
«Siete entrambi tenebrosi e discreti:
«Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
«O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
«Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
«E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
«Vi combattete senza pietà né rimorsi,
«Talmente amate la carneficina e la morte,
«O eterni rivali, o fratelli implacabili!».

Per Vincenzo Tuveri

Il carissimo Fr. Vincenzo Tuveri fu membro onorario della mia loggia, la Rudyard Kipling n. 1272 all’Oriente di Cagliari; incardinato originariamente nella R. L. Hiram, fu a piè di lista per diversi anni nella R. L. Wolfang Amadeus Mozart e poi nella R. L. Ugolino all’Oriente di Iglesias.

Di lui potrebbe dirsi – date le unanimi testimonianze raccolte – che fece della Libera Muratoria il massimo dei suoi interessi civili, per ben 27 anni, dal 1985 – quando fu iniziato nella loggia Hiram – al 2012, quando dalla R. L. Ugolino passò all’Oriente Eterno.

Cagliaritano, nacque in un anno di guerra, il 1941. Ci ha lasciato 71enne.

Rappresentante di commercio nel settore dell’abbigliamento, indirizzò questa sua attività professionale anche in luoghi attivi di solidarietà, ad esempio sostenendo il programma del suo club rotariano, quello di Cagliari est, concordato anche con il comando militare della Sardegna, a favore dei sinistrati afgani.

Il suo ufficio, ai piedi del colle San Michele, divenne progressivamente una specie di centrale massonica, sia per le relazioni di fratellanza sia per la raccolta di materiali documentari che mostrava a tutti con orgoglio.

Nel febbraio 1998 fu nella ventina di Fratelli che, con gli ex Venn. Racugno, Angioi e Marrone, innalzarono le Colonne della Mozart n. 1147.

Di essa divenne egli stesso Venerabile, dopo i FF. Sanna e Biggio e prima del Fr. Nurchi, nel triennio 2001-2003. In quel periodo e anche dopo fu un motore di iniziative, ad esempio promuovendo una tavola rotonda pubblica e poi un premio scolastico sui problemi dell’AIDS, nonché un convegno sull’Alzheimer (alla Fiera, insieme con le logge Asproni e Conti), animando diverse edizioni di monumenti aperti a palazzo Sanjust, accogliendo gli studenti dell’istituto iglesiente Asproni che interrogavano su natura e fini della Libera Muratoria e, prima ancora, premiandoli per un concorso sulla figura di Giordano Bruno, ristampando un libro sulla nostra istituzione che era uscito nel 1944 (alla caduta della dittatura) e che egli aveva trovato malconcio in una bancarella del mercatino domenicale, partecipando al convegno asproniano di Bitti nel 2008, ecc.

Nel 2002 consegnò la pergamena del 33° grado del R.S.A.A. al Fr. Racugno, che l’anno successivo sarebbe stato chiamato alla dignità di Gran Maestro onorario.

Egli fu un ponte di collaborazione con l’intera Fratellanza cagliaritana e sarda, e non solo: cooperò per molti anni agli incontri nazionali delle logge intitolate a Wolfang Amadeus Mozart, collaborò con molti scritti per un decennio e più ai volumi stampati dalla Quatuor Coronati di Perugia (uno di questi: “Pensieri sulla Morte”).

Tesoriere del Collegio, presidente del Consiglio dei Maestri Venerabili di Cagliari, membro delle commissioni elettorali, sia della Circoscrizione che Nazionale, garante d’Amicizia.

Da noi fu presentissimo alle tornate rituali ed agli incontri conviviali delle officine che ricambiarono associandolo come Fratello onorario: così fu nel 2006 da parte della Kipling, a maggio dello stesso anno dalla Conti, a giugno dalla Hiram e poi dalla Giordano Bruno. Nel 2009 fu chiamato onorario anche dalla loggia Rinascita di Sassari.

Per Walter Angioi

Il Fr. Walter Angioi ebbe una presenza nella vita pubblica sarda sia come esponente politico, nelle file del Partito Liberale, che come professionista. Fu avvocato di nome nel foro di Cagliari.

Classe 1921, completò gli studi al ritorno dalla guerra; fu, giovane venticinquenne, fra quei reduci che faticarono nel 1945 a riprendere il loro posto nella società civile. E’ memoria ancora inedita quella consegnata in  una intervista (acquisita dall’Archivio) su quel periodo di vita che lo vide da subito anche proiettato nell’impegno politico, all’inizio nelle file del Fronte dell’Uomo Qualunque, che a Cagliari ebbe un grosso risultato elettorale, con 6 consiglieri nel primo Consiglio comunale dopo vent’anni di dittatura. E Walter fu eletto consigliere comunale con più di 700 preferenze.

La confluenza dell’Uomo Qualunque nel Partito Liberale, avvenuta nel 1948, lo fece liberale e nel PLI sviluppò una carriera importante, fino alla segreteria regionale. Fu anche consigliere regionale della Sardegna nella V legislatura (1965-69), subentrando all’on. Sanna Randaccio.

In Massoneria fu iniziato, nel 1978, fra le Colonne della Hiram.

Gli toccò di fare il Venerabile in una stagione triste: dopo la fuga del Gran Maestro Di Bernardo e il riassesto con la gran maestranza Gaito, si pose il problema di come regolare la posizione del Gran Maestro emerito Corona, che per ragioni regolamentari si orientò per l’assonnamento. E’ documentato lo scambio doloroso di lettere fra il Ven. Angioi e il Gran Maestro Gaito, quando si formalizzò la sorprendente decisione del Fr. Corona.

Eletto giudice supplente del Tribunale circoscrizionale nel 1996, due anni dopo partecipò con molti altri Fratelli della Hiram alla gemmazione e all’innalzamento delle Colonne della loggia Mozart.

Lo abbiamo perso nel 2004.

Per Alberto Silicani

In quanto Venerabile della loggia che ne porta il nome nel titolo distintivo, desidero ricordare il Pot.mo Fr. Alberto Silicani così come lo presentò nel 25° del passaggio all’Oriente Eterno il Fr. Marchi, con una Tavola contenuta nel libro “il giusto come fine” di Gianfranco Murtas (2001). Ecco la vivida, efficace Tavola Architettonica tracciata in suo onore:

«Il ricordo dell’attività del Car,mo Ven.mo Maestro Alberto Silicani mi conferma continuamente il Magistero nella Tradizione Massonica.

«Attuali e validi: Antichi Doveri, Simboli, il Lavoro dei FF. in Loggia vanno letti, riletti, meditati, rimeditati, perché non giacciano passivi nella nostra memoria (superficiale), ma approfondendosi rinascano continuamente e con solide radici nutrano ed elevino dritto-verticale l’albero fruttifero della nostra individualità, con una scelta di comportamento secondo una deontologia illuminata: il dovere d’operare per il Bene ed il progresso dell’Umanità.

«Così fece il Car.mo Ven.mo Fratello Alberto Silicani. Uomo vero, inflessibile, coerente costruì secondo le Tre Luci, con esatto uso degli Strumenti Muratori. Grande e modesto, sempre attivo, operante, forte di Virtus, rigido con se stesso, tollerante e prodigo con il prossimo, visse da Maestro Perfetto ogni attimo del suo tempo nella Stretta Osservanza a Gloria del Grande Architetto dell’Universo.

«In Lui pensiero ed azione, Verità e Realtà rimasero coerenti, inscindibili, la sua parola diventava opera concreta, costruì tutto il suo possibile nella L.U.F. con Squadra e Compasso sotto il Delta Vigile.

«Ancora è presente in noi che lo conoscemmo, non ci ha lasciati, rimane senza soluzione di continuità una traccia, un debito, una riconoscenza, una viva eredità d’affetti stimolanti e fecondi.

«Se… per la materia profana nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, a maggior ragione, la necessità in noi verso l’intelligenza della Suprema Architettura dell’Universo; la ricerca, l’intuizione ineffabile verso l’anello mancante tra le due nature umane, l’io non s’annullerà con la vita, col corpo materiale, sono indotto a credere sia atemporale, come viene insegnato dall’esoterica Catena d’Unione nei nostri Rituali Lavori: comunione – continuità.

«Appena all’inizio della Liberazione i pochi FF. rimasti uniti, e primo fra questi sempre il più tenace ed attivo il Car.mo Ven.mo Fratello Alberto Silicani, elevarono le solide Colonne ricostruendo la prima Loggia di Cagliari, sulle basi indistruttibili celate nelle loro menti e nei loro cuori. Per cui questo luogo contempera le due accezioni di Tempio ed Officina, ovvero conoscenza iniziatica per operare rettamente nell’Umanità.

«I Lavori interrotti ripresero forza e vigore. Rimane un periodo luminoso illuminante nella storia della Muratoria Sarda».

Per Mario Cherchi

Ogliastrino di Ierzu – compaesano dunque del nostro Gran Maestro onorario Vincenzo Racugno – classe 1926, il Fr. Mario Cherchi era un militare, giunto al grado di colonnello di fanteria.

Prestò servizio per conto dell’ONU in Palestina dal 1968 al 1970, ottenendo la medaglia commemorativa delle Nazioni Unite, cui si sommarono nel tempo altre decorazioni: la croce d’oro per anzianità di comando e la medaglia di lungo comando, il cavalierato dell’ordine al merito della Repubblica.

Nel suo curriculum si segnalano anche il comando del 152° battaglione fanteria “Sassari”, e la direzione dell’ufficio Personale e Benessere del Comando Militare della Sardegna.

Fu iniziato nel 1973, fra le Colonne della Sigismondo Arquer. Era allora maggiore capo ufficio Forze in congedo e mobilitazione del Distretto militare di Cagliari.

Nel 1985 partecipò, con altri 18 Fratelli, alla gemmazione che dette vita alla Giorgio Asproni n. 1055, insediatasi nel marzo 1986. Della nuova officina assunse da subito la dignità di Oratore, essendo Venerabile il Fr. Galardi.

In quel rodaggio che impegnò le logge nel cruciale 1986 – perché allora presero corpo, nel giro di pochi mesi, ben tre nuove officine – si ricordano molti lavori svolti in raccordo, come a voler recuperare in positivo quello che, per certi aspetti, sembrò, con le gemmazioni non sempre pacifiche, uno sfilacciamento.

Così il 4 novembre, in una tornata dedicata dalla loggia Ciusa alla figura di Giorgio Asproni, e cui parteciparono in massa i Fratelli proprio della Asproni, toccò al Fr. Cherchi di tracciare la Tavola forte, che fu quella riferita all’affascinante tema dell’esoterismo islamico.

Dal 1989 al 1991 resse, il Fr. Cherchi, il Maglietto della loggia Asproni, ceduto poi ai Venn. Orrù e Cuzzeri.

Accanto alla militanza di loggia merita citare quella di Compagno del Capitolo del Rito di York.

Lo abbiamo perso al termine di un doloroso ricovero all’ospedale Binaghi.

Per Armando Corona

Passò all’Oriente Eterno nel giorno di vigilia del suo 88° compleanno, nel 2009, lui classe 1921, nativo di Villaputzu, con radici paterne e materne ogliastrine.

Medico specializzatosi in ginecologia, titolare di condotte dapprima, dal 1947, a Senis quindi, dal 1955, ad Ales, direttore sanitario e amministratore della casa di cura Villa Verde, nel viale Merello di Cagliari, dal 1968 e per dieci anni, fu esponente politico di notevole peso e seguito elettorale fiduciario fin dai primi anni ’50, nelle file del Partito Sardo d’Azione alleato dei repubblicani, poi nello stesso Partito Repubblicano Italiano quando, nel 1968, quell’intesa cessò per la scelta tendenzialmente separatista del PSd’A. Segretario provinciale del PSd’A per un anno e consigliere provinciale ed assessore all’assistenza psichiatrica dal 1964 al 1970, fu dal 1969 al 1984, per tre legislature, consigliere regionale, e dal 1977 anche assessore regionale agli Affari generali e coordinatore di giunta. Nel 1979 e per quasi due anni fu presidente del Consiglio regionale. Dopo quelli regionali – come segretario politico – ebbe intanto anche vari incarichi politici nel suo partito a livello nazionale, dapprima come presidente del Collegio dei probiviri (dal 1975) e poi come co-vicesegretario nell’anno e mezzo – 1981-82 – di presidenza del Consiglio dei ministri di Giovanni Spadolini, il quale manteneva la segreteria nazionale del PRI.

In parallelo a questi incarichi di crescente importanza egli sviluppò la sua carriera massonica avviatasi nell’ottobre 1969, quando venne iniziato fra le Colonne della Giovanni Mori di Carbonia, presentato dal Fr. Livio Melis, accolto dal Ven.  Tiberio Pintor e interrogato dal Pot.mo Alberto Silicani; trasferitosi nel 1971 nei ranghi della cagliaritana loggia Hiram, di questa divenne nel 1975 il Secondo Sorvegliante e, dal 1976 e per tre anni, il Maestro Venerabile, associandovi la carica di presidente del Collegio circoscrizionale. E’ del 1978 la sua presidenza nazionale della commissione elettorale e, immediatamente successiva, in contesto di gran maestranza Battelli, l’alta dignità di primo presidente della Corte Centrale; eletto Gran Maestro nel marzo 1982, rimase al vertice di Palazzo Giustiniani per otto anni, fino al 1990.

In quanto Gran Maestro promosse la riforma della costituzione e del regolamento generale dell’Ordine che modificò anche il regime temporale dell’ufficio di Gran Maestro: non più tre possibili mandati triennali consecutivi, ma soltanto cinque anni senza possibilità di immediata conferma.

Con una intensa attività anche di promozione culturale e convegnistica del Grande Oriente – che nel 1988 trasferì la sua sede definitivamente da Palazzo Giustiniani a Villa Medici del Vascello – recuperò un rapporto corretto anche con il mondo politico, nonostante che purtroppo, lungo gli anni ’80, proprio il mondo politico andasse peggiorando il proprio stato, preparando così la stagione tremenda (e di vergogna per la Repubblica) di tangentopoli.

Diresse, con Augusto Comba, la rivista (bimestrale, poi mensile) “Hiram” e fortunata stella della sua gran maestranza fu il recupero inaspettato dei vecchi libri matricola di inestimabile valore storico con le registrazioni di settantantamila Fratelli dall’unità d’Italia alla vigilia del fascismo e quindi alla obbligata fuoriuscita del vertice del Grande Oriente d’Italia a Parigi. Proprio quelle registrazioni hanno consentito l’avvio di numerose piste di ricerca delle vicende storiche della Fratellanza massonica italiana, di fianco alle attività, dal 1986, del Centro per la storia della Massoneria affidato al prof. Mola.

Fu, Armando Corona, uomo anche di impresa o piuttosto di finanza, e questa dimensione forse ha appannato, sotto diversi aspetti,  la sua virtù e il nome di uomo pubblico, senz’altro fra i più significativi dell’intera quasi settantennale stagione autonomistica. Fu altresì e anzi fondamentalmente, egli, in quanto professionista e pur nell’attenuazione progressiva dell’esercizio, medico e medico leale, così fino alla fine, con il suo giuramento di Ippocrate. Ed è proprio tale sua identità sposata alla sincera convinzione massonica che ne definisce meglio e più profondamente la complessa personalità.

Gli ultimi suoi anni di vita furono attraversati da amarezze di varia natura e da ripetuti assalti della malattia che, a detta di molti (incluso chi ne riferisce), ne attenuarono la fermezza delle posizioni e compromisero in parte la nettezza della sua immagine pubblica massonica e anche politica (essendo il populismo e il plebiscitarismo di Forza Italia l’esatto contrario della moralità mazziniana e del minoritario azionismo lamalfiano da sempre onorato in quanto fondatore dello stato democratico e repubblicano).

L’accostamento ad altra cadetta Obbedienza massonica paradossalmente ammiratrice di Licio Gelli e sedicente titolare di tradizioni scozzesi, nel contesto derivato dalle determinazioni che nel 1995 lo avevano portato a chiedere l’assonnamento, parve indebolire una militanza importante maturata lungo un quarto di secolo e più nei ranghi giustinianei. Molto opportunamente le logge di Cagliari non dettero importanza a uno sviamento ritenuto del tutto accidentale e ne onorarono la memoria accogliendone le spoglie con la camera ardente allestita nel palazzo di piazza Indipendenza nell’aprile 2009 ed accompagnandole al rito funebre celebrato, nella basilica di Nostra Signora di Bonaria, dal padre Salvatore Morittu alle cui comunità di recupero giovanile offerse in più occasioni i segni della amicizia sua e della sua famiglia,

Sappiamo che da più parti viene suggerita ed anche progettata, in ambito GOI, la costituzione formale di una nuova officina intitolata alla memoria di Armando Corona. Un segno di maturità massonica e di un “pensare in grande” sarebbe, a mio parere, quello di far precedere una tale iniziativa con un’appropriata tempistica e con procedure del tutto degne dell’uomo che si vorrebbe onorare: intanto mettendo in cantiere, da prima di quella costituzione formale e per un triennio almeno, delle sessioni di studio documentato ed approfondito della sua figura storica (compresi gli aspetti politici, imprenditoriali e professionali) e, naturalmente, delle peculiarità del suo ufficio di Gran Maestro giustinianeo, con uno sforzo del tutto inedito (ma necessario) di inquadramento della rete liberomuratoria isolana nel maggior contesto italiano lungo gli anni della sua fruttuosa militanza, ma anche della preparazione della sua militanza ed a seguire la stagione di quella stessa generosa e, per molti riguardi, illuminata militanza. Che poi sarebbe a dire dall’immediato secondo dopoguerra ad oggi.

Per Vincenzo Delitala

Fu, il Fr. Delitala, uno degli uomini di spicco della Fratellanza muratoria cagliaritana lungo tutti gli anni ’60 e ’70, e conservò le posizioni di vertice nel Rito Scozzese Antico e Accettato fino al suo passaggio all’Oriente Eterno avvenuto nel 1985, dopo un doloroso ricovero all’INRCA. Fu ripetutamente Venerabile della Nuova Cavour e presidente del Collegio circoscrizionale.

Di famiglia di ceppo planargese migrata nel Campidano – suo nonno, don Vincenzo come lui, fu consigliere comunale a Quartu per trent’anni circa, fra Ottocento e Novecento, e sindaco in due consigliature, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento – egli nacque a Iglesias, tappa della carriera statale del padre, ma fu Cagliari la sua più stabile residenza anche giovanile.

Classe 1911, studiò alla scuola complementare che si sviluppava allora nella Normale, si iscrisse quindi a Magistero (a indirizzo linguistico), al suo esordio a Cagliari come facoltà autonoma da Lettere. Dovette interrompere per il servizio di leva, svolto a Torino (Cavalleria) e per gli arruolamenti successivi nei contingenti della missione coloniale africana (Artiglieria). Così nel 1935.

Mise su famiglia, nel 1939con Maddalena Sedda, una insegnante gavoese sua coetanea, che amò sempre di un amore tenerissimo. Preparò per lei la casa a Mogadiscio ma la sopravvenuta chiusura delle vie di comunicazione impedì il ricongiungimento del nucleo familiare. Lasciò così la moglie incinta, avrebbe conosciuto la sua primogenita già grandetta, addirittura settenne, al rientro in patria, a guerra finita e dopo lunga prigionia in una decina di campi, dalla Somalia al Kenya, dalla Rodesia al Mozambico al Sud Africa ecc.

Rientrato finalmente in patria, a Cagliari, nel gennaio 1947, s’impiegò al Provveditorato alle Opere Pubbliche, per passare poi alla Corte dei Conti, dove svolse una brillante carriera fino al 1971. In questo segmento della amministrazione statale avrebbe incontrato alcuni fra gli amici con i quali avrebbe sviluppato nel tempo una intensa relazione umana e poi anche fraternale tanto più all’interno del Grande Oriente d’Italia: con Gianni Ferrara, con Tancredi Pilato, con Alfredo Civello, tutti Fratelli…

Al Grande Oriente d’Italia giunse nel 1963, dopo una militanza quindicennale nello scozzesismo prima di Palazzo Brancaccio (loggia Mazzini Garibaldi, fra gli altri con il Fr. d’Aspro), poi di Piazza del Gesù (loggia Pitagora da Samo), prima durante e dopo i tentativi di unificazione fra ALAM ed AALLAAMM. Fino ai primissimi anni ’60 fu uno dei pochi che resistettero alla decadenza progressiva dell’Obbedienza neoferana, fra gli altri con i FF. Giuseppe Delitala (suo cugino) e Bruno Arba, ch’essi poi giustinianei.

Si regolarizzò nella Nuova Cavour, assumendo già da subito funzioni dignitarie, data la distinzione che subito gli regalò rispetto e sequela da parte dei Fratelli.  Amò l’Ordine ma forse il suo mondo vero fu il Rito Scozzese, nel cui ambito era stato iniziato nel 1948. Qui giunse fino al 33° grado.

Gentiluomo nel senso antico, ottocentesco, del termine, coltiva tanto più dopo il pensionamento molti hobby, fra cui la pittura che balzava dagli acquarelli o dagli oli alle ceramiche, produceva bozzetti mignon, motivi sardeschi che, con altra firma, vennero pure messi in commercio. Dipinse anche per il nemico, a suo tempo, negli anni della prigionia africana.

Praticava un discreto humor, forse contagiato dagli inglesi tanto… detestati. Rifiutò incarichi politici, anche dopo il pensionamento. Il suo orientamento era moderato, sempre devoto ai simboli della Nazione, oltre l’ordinamento costituzionale monarchico o repubblicano. Nel 1967 Umberto II di Savoia gli conferì, con motu proprio da Cascais, la croce di cavaliere ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia; l’anno successivo fu il presidente Saragat ad insignirlo del titolo di cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.

Per Giuseppe Solinas

Nativo di Sassari, il Fr. Solinas – Venerabile fondatore della loggia Lando Conti – ci ha lasciati, ancora giovane, all’età di 47 anni, nel marzo 1987. Ingegnere, lavorava all’Ente Sardo Acquedotti e Fognature.

In Massoneria era stato iniziato nel 1974 fra le Colonne della Risorgimento, in quella fase di vita della loggia che era quasi ancora di impianto. Nella Risorgimento cagliaritana, sotto la guida di Venerabili di esperienza come i FF. Carleo, Mascia, Gusmeri e Gianni Delitala, s’era formato, favorito anche da una sorta di intesa generazionale con molti dei giovani Apprendisti, Compagni e Maestri dell’officina. Fra essi il Fr. Addis al quale era legato da un rapporto, oltre che di personale amicizia, anche di affinità.

Si puntò molto su di lui quando nel 1986, concludendosi parte della esperienza di rinascita dell’oristanese Ovidio Addis (fondata nel 1972) che aveva avuto il rinforzo di numerosi Fratelli cagliaritani, si decise di procedere all’innalzamento delle Colonne di una nuova officina che si volle intitolare al Fr. Lando Conti, già sindaco repubblicano di Firenze per due anni, trucidato dalla Brigate Rosse nel febbraio di quello stesso anno.

Il Fr. Solinas partecipò attivamente alle fasi fondative della loggia che traeva la metà del suo piedilista originario dalla sua stessa Risorgimento e l’altra metà dagli organici di diverse altre compagini della Circoscrizione. Certamente il suo carattere misurato ed educato, timido perfino, insieme però cordiale ed affettuoso, lo proposero come ideale primo Venerabile della storia della nuova loggia.

Ma fu, il suo mandato, avviatosi nel luglio 1986, condizionato ripetutamente dal suo stato di salute. Una volta capitò addirittura che egli non potesse concludere il rito di iniziazione di due profani, e dovesse essere sostituito da un collega Venerabile della loggia Hiram, presente alla cerimonia.

Tredici giorni soltanto e una nuova crisi, silenziosa, nella notte, presso la sua abitazione al quartiere del Poetto, lo travolse migrandolo all’Oriente Eterno.

Testimonierà  il Fr. Marongiu: «Mercoledì 25, è morto così come ha vissuto, tranquillamente, senza disturbare nessuno. Nel sonno. E’ morto prematuramente un uomo buono, intelligente, colto, arguto… Quanto la morte di Giuseppe colpì l’Officina lo testimonia il fatto che nel verbale di Apprendista non si fa riferimento al suo passaggio all’Oriente Eterno, quasi a voler rimuovere, non parlandone, quanto accaduto».

La loggia, orfana del suo Venerabile fondatore, dovette comunque andare avanti. Si sarebbero anticipate le elezioni egli sarebbe subentrato, con apposita votazione, il Fr. Baldussi.

Per Paolo Spissu

Veniva da una famiglia cagliaritana che aveva segnato l’economia cittadina del secondo Ottocento e primo Novecento: legata ad una delle maggiori concerie industriali della Sardegna ed alla conduzione della Società Operaia, presente anche nella militanza della nostra Comunione (loggia Fede e Lavoro, in quel della Marina).

Per lui si era profilata, da giovanissimo, una vocazione religiosa che avrebbe dovuto passare anche gli stadi del ministero ordinato. E invece altro si sarebbe profilato nella sua esistenza, pur restando sempre egli legato ai valori della sua fede cristiana e cattolica. C’è chi lo ricorda teso partecipante alle liturgie… Fece famiglia, lavorò nel settore della consulenza scientifica, collaborò con spirito di volontario nella casa di riposo San Vincenzo, di fianco al Buon Pastore.

Iniziato fra le Colonne della Alberto Silicani, a lungo Oratore di questa officina, nel 2004 partecipò alla gemmazione della Giordano Bruno di cui divenne, nel tempo, anche il Venerabile.

Nella tornata dedicata alla commemorazione dei Fratelli defunti, nel 1998, disse: «Il pensiero della morte vogliamo che sia portatore di serenità perché questo rappresenta solo il primo momento di un movimento più complesso che porta al risveglio e alla vita: solo morendo nella terra il seme genera la pianta e produce i frutti. Tutta la vita è un continuo ciclo di sacrificio-dolore-morte che porta alla ricchezza-gioia-vita.

«Oggi dobbiamo un particolare ricordo per tutti quei fratelli che hanno lavorato massonicamente prima di noi… la ricerca della verità sempre al primo posto, la accettazione di tutti gli uomini come fratelli, la dedizione del proprio tempo perché il mondo diventi più simile al progetto del GADU sono le virtù che ci sono state trasmesse quali luci da tenere accese perché siano consegnate a chi ci seguirà».

Dieci anni dopo, di ritorno da una lunga esperienza di malattia, tracciò nella Giordano Bruno una Tavola, «leggendo dentro di me – disse – mentre la leucemia mi teneva in ospedale». Il testo è presente nel libro-dvd “Liberi Muratori” alle pagine 699/701. Invito tutti quanti a recuperarle e leggerle e meditarle, dal punto in cui dice «A sedici anni mi sono trovato a fare l’infermiere all’ospedale Cottolengo di Torino…».

Per Gianfranco Cusino

Incaricato dal mio M.V. e portatore, nella mia stessa esperienza, in anni trascorsi, dei carichi morali di Venerabile della loggia Europa, porgo alla conoscenza di noi tutti la seguente Tavola biografica:

E’ il 1965, il 27 di marzo, quando il Fr. Quintino Fernando sottoscrive la domanda per l’ingresso nell’istituzione massonica del profano Gianfranco Cusino, nato a Sanluri il 6 novembre del 1930. Il profano, prima di apporre la propria firma nella domanda, indica le persone che possono riferire sul suo conto. Queste persone sono nell’ordine: Addis prof. Ovidio, Ferrero dott. Sante, Lai avv. Flavio, Paderi prof. Gesuino. L’unico Fr. massone è Ovidio Addis, che, dopo averlo conosciuto e frequentato, e aver scoperto in lui una buona pietra grezza, gli parla della Massoneria, dei suoi principi e delle sue finalità. Ovidio Addis tegola Gianfranco a Seneghe. Gianfranco allora, cancelliere di pretura, risiedeva lì, nel paese alle pendici del Monti Ferru. La domanda viene presa in considerazione il 2 aprile del 1965. Nel frattempo le condizione di salute del suo amico e tegolatore Fr. Addis si aggravano sempre più. Il 21 ottobre del 1966 avviene il passaggio all’Oriente Eterno. Venuto a mancare il suo amico ed effettivo presentatore, la domanda di ammissione resta sospesa.

Passa non poco tempo prima che la richiesta riprenda il suo iter. E’ il 14 marzo del 1967, data della prima votazione per la sua ammissione nell’Ordine. In una delle tavole informative si legge: «Gianfranco Cusino è persona dotata di estrema sensibilità morale… lo spirito di intransigenza etica ed un intenso modo di sentire i doveri del proprio stato può indurre il profano Gianfranco Cusino ad assumere atteggiamenti iper critici. Ha buona cultura, ingegno e spiccata attitudine ad assimilare i principi della dottrina massonica». Gianfranco è iniziato a Cagliari il 13 giugno del 1967 nella R.L. Hiram n. 657 all’Oriente di Cagliari, di cui è M.V. il Fr.  Mario Giglio e segretario il Fr. Hoder Claro Grassi. Gianfranco non perde una tornata di lavori e la loggia, il 5 aprile del 1968, in Camera di compagno gli  concede l’aumento al 2° grado. Gianfranco è sempre più entusiasta dei lavori con i fratelli; il 7 febbraio del 1969 la Camera di maestro delibera il suo passaggio al 3° grado.

E’ l’inizio di una tanto appassionata, quanto entusiasmante, attività all’interno dell’Ordine. Nel 1972 è tra i fondatori della R.L. Ovidio Addis n°769 all’Oriente di Oristano, e sempre nel 1972 lo ritroviamo tra i fondatori della R.L. Risorgimento n°770 all’Oriente di Cagliari.

Gli anni ’70 e ’80 rappresentano per la Libera Muratoria sarda gli anni della svolta. Il Maestro, con la M maiuscola, Fr. Mario Giglio è la guida e l’artefice della Rinascita Massonica, trovando in Gianfranco il Fr. intelligente e capace di seguire e concretizzare il suo lungimirante disegno architettonico: dare la luce massonica ai tanti profani meritevoli di sostenere le fatiche del lavoro muratorio.

Per molti anni Gianfranco ha ricoperto nelle diverse logge la carica di Oratore ed è stato M.V. nella R.L. Ovidio Addis all’Oriente di Oristano. Successivamente fondatore della R.L. Lando Conti e della R.L. Vittoria all’Oriente di Cagliari, ne ha ricoperto negli anni la carica di M.V.

E’ stato Consigliere dell’Ordine ispettore, presidente (e già prima ripetutamente segretario) del Collegio circoscrizionale, e consigliere di amministrazione della società URBS. E’ in questa veste che si prodigò prima per l’acquisto della casa massonica dell’Oriente di Nuoro, poi, con un impegno e una perseveranza non comuni, per la realizzazione della complessa ristrutturazione della nostra casa massonica cagliaritana. Con sua grande soddisfazione poté  vederla in parte realizzata.

Il lavoro di Gianfranco è stato instancabile, sia all’interno che all’esterno del Tempio, e caratterizzato dalla dedizione e dall’entusiasmo.

Era sensibile e disponibile ad ascoltare, difendere e confortare non solo i Fratelli ma tutti coloro che si trovavano in difficoltà. Per Gianfranco ogni uomo era un fratello. Qualcuno, purtroppo, per invidia o per piccineria non ha capito lo spirito che ha animato Gianfranco, rivolto sempre ed esclusivamente al bene dell’Ordine e dell’Umanità. E noi FFr. dell’ Europa, e non solo, e sottolineo non solo, gli siamo grati ed eternamente riconoscenti. Grazie a te, Gianfranco.

Per Paolo Carleo

La militanza nella socialdemocrazia (Partito Socialista unificato, poi nel Partito Socialista unitario) e la stretta amicizia con il Fr. Mario Giglio, anch’egli militante del PSDI – in tempi nei quali gran parte dei quadri dirigenti di quel partito avevano un’appartenenza massonica – credo fossero state le condizioni personali che portarono Paolo Carleo alla domanda di iniziazione.

Egli fu iniziato fra le Colonne della Hiram nel 1967. Veniva da Napoli ed a Cagliari aveva un incarico di Economia agraria nella facoltà di Economia e commercio – poi sarà associato di Economia agroalimentare – e un posto nel Centro regionale di programmazione, con competenza l’agricoltura.

Nel 1972 fu tra i fondatori della Risorgimento, loggia che derivò da gemmazione spontanea e positiva della Hiram: di essa divenne Oratore da subito e presto Venerabile, alternandosi con Fratelli come Salvago, Mascia e Gusmeri.

Nello stesso periodo partecipò attivamente all’impianto del Capitolo Ichnusa del Rito di York, unitamente ad altri Fratelli soprattutto della sua Risorgimento, della Arquer e della Mori.

Quando non ricopriva incarichi di loggia o di Rito, assolveva a funzioni circoscrizionali come Ispettore (così prima come dopo la distinzione dal ruolo di Consigliere dell’Ordine).

Nel 1980, con altri undici Compagni del Rito fu tra i fondatori della SOCREM, la Società per la cremazione che opera in questo stesso camposanto.

Intanto nel 1976, al terzo mandato del Gran Maestro Salvini, era stato eletto giudice della Corte Centrale; lo fu anche nel triennio della gran maestranza Battelli, con il Fr. Corona primo presidente, il quale lo incaricò di presiedere nel 1981 il tribunale che deliberò infine la espulsione di Licio Gelli dal GOI.

Nel 1982 fu con i FF. Marchi e Lucarelli fra i promotori di una loggia di studi, denominata Epsilon, che però, incontrando difficoltà di accettazione nell’Oriente, rimase un progetto inattuato.

In sede di discussione della riforma della Costituzione e del Regolamento generale dell’Ordine voluto fra il 1984 e l’85 dal Ven.mo Corona, difese fermamente impostazione e articolato, anche in contrasto con l’opinione di Fratelli a lui carissimi e della sua stessa loggia: ciò rivelò lo spessore della sua partecipazione alle fasi elaborative di quei testi e la sua stretta intesa con il Gran Maestro  circa alcune linee riformatrici ritenute allora utili.

C’è qui chi lo ricorda presente, con molti altri, all’insediamento, nel marzo 1986, della loggia Francesco Ciusa.

Oltre che giudice centrale (in carica dal 1976 e così fino al 1990) fu in quell’anno anche segretario del Collegio presieduto dal Ven. Bucarelli.

Attorno a lui molte curiosità profane si accesero al tempo della pubblicazione delle liste, nel 1993. Paolo allora ricopriva l’ufficio – e fu ufficio sfortunato – della SIPAS (la società regionale degli investimenti agro-alimentari) dopo aver presieduto la Nuova Valriso.

Nel 1994 venne eletto ancora una volta Ispettore circoscrizionale nonché giudice del Tribunale circoscrizionale, optando per la prima delle due cariche, cui presto rinunciò però in uno alla autosospensione – in attesa del recupero della sua onorabilità, per noi perfetta sempre – data la comunicazione di garanzia per le questioni SIPAS.  Purtroppo si dovette, in ragione del protocollo firmato dal Gran Maestro Gaito con il prefetto Parisi, formalizzare la sospensione anche da parte del vertice del GOI.

Tante amarezze – pur se era uomo che pensava sempre positivo – e i malanni al cuore, negli ultimi anni; il ricovero al Cardarelli, dove lo abbiamo perso nel capodanno 2006. Riportato a Cagliari per la cremazione, lo abbiamo qui.

Per Emanuele Zirone

Negli ultimi giorni del dicembre 2002, quasi in contemporanea con il Fr. Gianfranco Porcu – altro eminente dignitario di lunga data della Circoscrizione sarda, passava all’Oriente eterno il Fr. Nello Zirone. Cagliaritano ma di nascita olbiese, classe 1938, medico ginecologo, era stato iniziato fra le Colonne della Sigismondo Arquer nel maggio 1975 (un anno record, per il numero di ammissioni nelle logge funzionanti all’interno dell’Oriente cagliaritano). Quello era un periodo di vita della Sigismondo Arquer che ancora risentiva delle fatiche dell’impianto così originale o anomalo, con un piedilista per i tre quarti identificabile nell’ex gruppo di lavoro P2, e con una sorprendente e inedita spinta civile di cui i Fratelli fondatori e alcuni dei primi iniziati – da Anton Francesco Branca a Sergio Caddeo a Elisio Spiga ecc. – si facevano portatori, marcando un indubbio arricchimento nel concerto delle voci dell’Oriente e della Circoscrizione.

Promosso Compagno d’arte nel 1976 e Maestro nel 1977, era stato per svariati anni – dal 1982 al 1985 – consigliere dell’Ordine Ispettore, quindi – fra il 1986 ed il 1992 –  Oratore e poi Maestro Venerabile della sua officina e presidente del Collegio circoscrizionale (fra il 1990 ed il 1993).

In questo contesto aveva assunto posizioni assai critiche verso la nuova gran maestranza di Giuliano Di Bernardo il quale, come si sa, avrebbe poi inopinatamente abbandonato il Grande Oriente d’Italia per dar vita ad un’altra Obbedienza che strappava a noi il riconoscimento della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.

Aveva inoltre ricoperto le funzioni di garante d’Amicizia della Gran Loggia Columbia (dal 1999 al 2000) e della Gran Loggia Orientale Francisco de Paula Saint’Ander n. 199-104 dal 2001 alla morte.

In ogni occasione aveva mostrato determinazione di obiettivi, sempre rispettabili anche quando non condivisi.

Per Eligio Orrù

Conoscevo il Fratello Eligio da circa quarant’anni, cioè  da quando entrambi  abbiamo  iniziato  la nostra attività lavorativa nel settore del Turismo. Era nato a Muravera  nel 1941 e dopo diverse esperienze formative e professionali all’estero riapprodò nella sua Sardegna per lavorare prima al Forte Village e poi all’Hotel Is Morus (per dirigere il “sistema” alberghiero ad esso collegato).

Il Fratello Eligio era un esperto professionista  del settore turistico-alberghiero legato in maniera profonda alla sua terra. Uomo severo dall’ironia sottile, serio e rigoroso sul lavoro verso se stesso e verso i suoi collaboratori, capace tuttavia, al momento giusto, con il suo stile d’altri tempi, di gesti di magnanimità e sorrisi generosi.

Il nostro rapporto di conoscenza si è arricchito quando ragioni di famiglia l’hanno felicemente favorito, e la relazione si è ancor meglio approfondita e consolidata nella comune partecipazione ideale e associativa alla Libera Muratoria cagliaritana.

Fu iniziato il 26 novembre 1986  nella loggia Francesco Ciusa 1054 all’Oriente di Cagliari.

Fu incaricato delle funzioni di 1°Diacono fin dalle prime elezioni di loggia, mentre nell’anno 1987 fu iniziato al grado di Compagno d’Arte e nel 1988 a quello di Maestro. Ha ricoperto, nel tempo, diversi ruoli come Ufficiale e Dignitario di loggia con sentimento e diligenza.

Nel 2012 dopo un quarto di secolo di militanza nella loggia Francesco Ciusa ha aderito al progetto di fondazione della loggia Armonia. Proseguì poi nella sua attività di ricerca ed approfondimento, l’anno successivo, nell’accogliente piè di lista della loggia Concordia.

Un vero massone, fatto di sostanza e convinzione. Un Fratello di grande esperienza  sia nella vita profana, che in quella muratoria.

Mi confidava spesso le sue riflessioni su quanto sia difficile, oggi più che mai, appartenere alla nostra istituzione. Era consapevole del fatto che siamo parte, nel mondo profano, di un consorzio umano  che  umilia i valori  e soffoca gli ideali, che calpesta i diritti e ignora i doveri e che impone stili di vita osceni e regole destabilizzanti.

Temeva che da questo mondo profano si potesse correre  il rischio, come massoni,  di essere, probabilmente, contaminati. Aveva  il  timore di non essere capace d’impegnarsi abbastanza per proteggere le persone che amava e soccorrere i Fratelli più fragili.

Soffriva di non riuscire come avrebbe voluto a praticare la virtù della tolleranza ma si sforzava di farlo convinto che saper ascoltare il proprio Fratello lo avrebbe aiutato a guardare al futuro con fiducia e con  tanta voglia di fare e forse con la possibilità di riuscire.

Sono felice, io che ormai mi avvio verso i quattro decenni di militanza liberomuratoria nella ideale sequenza delle logge Sardegna e Ciusa, e che ho portato sulle mie spalle la responsabilità della conduzione pro tempore della familiarità muratoria nell’ambito dell’officina che celebra, nella Comunione, il nome del più grande scultore sardo del Novecento, di aver avuto oggi la fortuna  di ricordare il carissimo Fratello Maestro Eligio Orrù e di onorare, con la sua, la memoria dei tanti Fratelli passati all’Oriente Eterno, ma anche di riflettere sulla limitatezza e la precarietà dell’esistenza, che può essere bruscamente interrotta da qualsiasi accidente e che perciò deve essere vissuta con l’intensità che la consapevolezza della grandiosità del  Grande Architetto dell’Universo ci  dona.

Grazie, ciao Eligio.

Per Natalrigo Galardi

A pochi giorni dal passaggio all’Oriente Eterno della moglie (e Sor. del Capitolo Sandalyon dell’Order of the Eastern Star) Lia Rapezzi, nel gennaio 2007 si congedava da noi, degente nella casa di cura Città di Quartu, stremato dalla malattia, il Fr. Ghigo Galardi, senz’altro una delle figure che, per l’attività svolta sia all’Oriente di Carbonia che in quello di Cagliari e nel Rito di York, ed infine come perfetto Maestro di Casa della nuova sede di piazza Indipendenza, s’è distinta fra le più notevoli degli ultimi decenni.

Lo ricordiamo iniziato nella Giovanni Mori nel 1968 e qui Venerabile dal 1974, e poi anche vice presidente del Collegio, vicario del presidente Corona; lo ricordiamo tra i fondatori, nel 1980, della SOCREM, ci cui fu per lunghi anni anche l’amministratore; lo ricordiamo fondatore, fra il 1985 ed il 1986, della loggia Giorgio Asproni, di cui fu anche, e per un triennio, il primo Venerabile.

Maremmano di Massa Marittima, classe 1920, perito minerario della Carbosarda, visse stabilmente a Carbonia dal 1946, anche se il suo primo incontro con l’Isola fu più remoto ancora, datando dal 1941. A Carbonia raggiunse il padre, anch’egli tecnico minerario. Dovette lasciare qualche anno per combattere sul continente, dopo aver frequentato la scuola allievi ufficiali di Fano, ed esser assegnato ad un presidio sul Brennero. L’8 settembre 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Polonia. Liberato a condizione di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, già da subito collaborò invece con le formazioni partigiane (Brigata Osoppo).

Militante, fin dalla stagione referendaria, del mazzinianesimo – secondo la tradizione della Toscana tirrenica –, e più volte candidato, sempre per la bandiera, con i repubblicani dell’Edera simbolo della Giovine Europa, condivise fra il suo partito e la sua loggia sulcitana molte delle sue energie negli anni più creativi.

Nonostante il suo “caratteraccio”, egli fu tra i più impegnati  e generosi nel lenire le ferite prodottesi nello spirito della Fratellanza locale per la gemmazione del 1971, così come fu fra i più attivi – con Lia, Annalisa ed Estella – negli allestimenti rituali del Capitolo Sandalyon, dal 1971 al 1976, e, dal 1972, nell’impianto sardo nel Capitolo Ichnusa yorkese  – minoritario ma vivacissimo nella Fratellanza cagliaritana e sarda, dove erano gli scozzesi a dominare la scena.

Con il suo trasferimento a Cagliari, all’indomani dell’entrata in quiescenza, si incardinò nella Sigismondo Arquer, da cui venivano molti quadri del suo capitolo rituale. Le tensioni di varia natura sviluppatesi poi all’interno di questa officina consigliarono una riarticolazione delle forze in due distinte formazioni: ne derivò la loggia Giorgio Asproni, che recuperò il titolo distintivo da un progetto mai attuato in quel di Iglesias rimontante giusto a dieci anni prima e storicamente presente però nelle intitolazioni delle Camere rituali scozzesi…

Anche con i suoi contatti internazionali, con l’impegno continuativo nella promozione di iniziative sociali e culturali, è indubbio che la Giorgio Asproni abbia costituito per lunghi anni, per merito iniziale proprio del Fr. Galardi, una delle compagini simboliche di maggior presenza sulla scena della Circoscrizione. Né molto di quanto fu necessario mettere in atto per avviare l’operatività di palazzo Sanjust avrebbe potuto essere cosa concreta senza la sua diretta, continua e sacrificata partecipazione. Onore al merito!

Per Luciano Rodriguez

Nativo di Gonnesa, Luciano Rodriguez veniva da una famiglia iglesiente che aveva maturato numerose presenze nella Massoneria di impianto minerario di fine Ottocento-primissimo Novecento (tutti alti dignitari scozzesi: Giuseppe Carta, Silvio Olla Nobilioni, Libero Rodriguez, lo stesso suo padre Cesare, operativo a Bacu Abis prima di trasferirsi in Toscana come direttore generale delle miniere di Valdarno).

Funzionario dell’INAM, venne iniziato nella Nuova Cavour, salvo errore, nel 1960, all’indomani di quelle operazioni che portarono prima alla regolarizzazione nel GOI della brancacciana loggia Cavour, quindi all’assorbimento da parte di questa dei ranghi della Risorgimento n. 354, della Mazzini e della XX Settembre – queste ultime provenienti da altra Obbedienza –, infine all’abbattimento delle Colonne e alla ricostituzione come Nuova Cavour n. 598 in gemellaggio con la Libertà n. 599 (in capo al Fr. Marchi, ma che poi rinunciò confluendo egli stesso, con i suoi, nella Nuova Cavour).

Dopo cinque anni di militanza nella Nuova Cavour aderì al progetto del Fr. Anichini di dar vita alla Giordano Bruno (cui fu dato il numero 656), che ebbe però salute stentata e cadde dopo pochi anni. Egli ne era stato l’Oratore.

Nel 1970 passò all’organico della Sigismondo Arquer e qui presto divenne il Venerabile, riempiendo il vuoto lasciato, nel giro di pochi mesi, dal passaggio all’Oriente eterno dei FF. Francesco Bussalai e Anton Francesco Branca, che ne era stato l’Oratore.

In quanto Venerabile fu anche, nell’anno massonico 1974-75, il presidente del Collegio e colui che dovette quindi curare la pratica complessa (anche dal punto di vista finanziario) dell’acquisto della nuova casa massonica di Cagliari, in via Zagabria: dopo 17 anni di permanenza a palazzo Chapelle le cinque logge cagliaritane si trasferirono nel 1977 a Genneruxi, per restarci un decennio abbondante.

Presiedette anche lo sfortunato Circolo Le Arti che si volle allora impiantare come copertura profana alla Istituzione nella nuova sede.

Negli anni del Venerabilato e della presidenza fu fra i più attivi tanto nel sostegno all’esordiente Capitolo Ichnusa n., 13 dell’Arco Reale di obbedienza americana – Rito di York, cui aderirono Fratelli soprattutto della Sigismondo Arquer, della Risorgimento e della carboniese Giovanni Mori – sia del Capitolo, anch’esso esordiente, Sandalyon, dell’Ordine (pure di impianto americano) della Stella d’Oriente che coinvolse molte familiari mogli, figlie, sorelle e anche madri di i Fratelli.

In campo profano, partecipò anche, in quegli anni, al Comitato regionale per il teatro – di supporto alla Regione per le politiche dello spettacolo – lavorando insieme con altri Fratelli fra cui Francesco Bussalai, Rinaldo Botticini, lo stesso Fabio Maria Crivelli (al tempo direttore de “L’Unione Sarda” e commediografo).

Insignito del collare della Giordano Bruno – al tempo di rarissima concessione da parte del Gran Maestro Salvini – per qualche tempo si ritrasse dalla prima linea, mettendosi comunque a disposizione della sua Sigismondo Arquer e del Collegio circoscrizionale per chiamate più o meno rapsodiche: fu ancora Oratore di loggia e giudice del Collegio stesso.

Nel 1989 rientrò nella loggia d’origine, la Nuova Cavour.

Ci ha lasciati nel 1997, all’età di 83 anni, dopo un ricovero al policlinico Lay. Era un gentiluomo di stampo antico, formale e spontaneamente cordiale insieme. Meriterebbe fossero raccolti i suoi interventi scritti, se reperibili. Nel libro-dvd “Liberi Muratori” se ne trovano alcune tracce non irrilevanti.

Per Virgilio Lai

Classe 1926, egli era un ogliastrino di Ulassai ma a Cagliari viveva da giovanissimo, studente a Lettere negli ultimi anni della guerra. Figlio di insegnanti e nato intellettuale senza la minima ombra di spocchia però, era  invece minatore umile e disciplinato e paziente di biblioteche ed archivi.

Virgilio Lai aveva portato la sua anima e la sua educazione nella loggia Risorgimento, dove era stato iniziato alla fine degli anni ’70, primissimi ’80, per passare poi alla Nuova Cavour. Aveva trovato segni di Massoneria negli studi sulla Sardegna della rivolta antifeudale, quella di Gio.Maria Angioy, e forse aveva maturato allora l’idea di bussare alla porta del Tempio. C’era poi l’amicizia personale con il nostro Vindice Gaetano Ribichesu, suo collega di giornalismo e sodale nei maggiori riferimenti ideali, in quell’Italia e quella Sardegna che forse non ci sono più, fra radical-socialismo ed autonomismo sardista ma di sentimento italiano, e la cosa aveva contato moltissimo.

Era stato, giovane di 25 anni, il primo addetto stampa del Consiglio regionale, scelto dal primo presidente dell’Assemblea, l’avv. Anselmo Contu. Era stato, negli anni ’70, tra i fondatori della editrice Edes, con Ribichesu e colleghi in maggioranza di provenienza sassarese ed esperienze a “La Nuova Sardegna” ormai passata nelle mani e nelle censure della SIR di Rovelli. Aveva curato vari libri di storia isolana, tanto più – come accennato – della stagione giacobina, quella post-Rivoluzione francese, quando anche si ipotizzò di diverse logge operanti a Cagliari: “La rivoluzione sarda”, “Il giornale di Sardegna 1795-96”, i primi titoli. Poi “La nostra storia per immagini”, un libro fotografico che racconta la Sardegna più di molte pagine scritte.

Ebbe questa sensibilità particolare per la fotografia come fonte storica, e pubblicò anche diverse cartelle di immagini, anche della città di Cagliari, fra Ottocento e Novecento, utili per tessere la storia sociale, tanto più quella legata al movimento operaio e poi antifascista ed autonomista della Sardegna.

Ebbe l’intelligenza e la sapientia cordis di non snobbare nessuno, uomini e cose, e anzi di coltivare grandi e piccoli. Per questo, salvò materiali preziosi che sembravano perduti nel buio degli archivi privati, e tutto mise a disposizione del pubblico, non soltanto degli studiosi ma della cittadinanza, di chiunque mostrasse amore alla storia condivisa. Perché Virgilio aveva della cultura una idea partecipativa, profondamente democratica nel suo sentire umanistico.

Ebbe, in famiglia, sofferenze acute, altre si aggiunsero negli anni, e furono di salute. Meriterebbe che la Fratellanza di Cagliari, associandosi a quella in procinto di organizzarsi in Ogliastra, lo ricordasse in quest’anno che sarebbe il 90° della sua nascita.

Per Enrico Ganga

Alla vigilia del ferragosto 2010 passava all’Oriente Eterno il Fr. Enrico – Chicco – Ganga, figlio di massone, iniziato lui nel dicembre 1985 fra le Colonne della Sardegna n. 981, loggia di cui egli  sarebbe divenuto perfino il Venerabile – e che Venerabile! – , dopo aver ricoperto altri uffici e dignità, nel triennio 2005-2007.

E’ caduto giovane, 53enne, il Ven. Chicco, dopo avere tanto tribolato, e combattuto. Dopo le cure qui e all’estero affrontate con ammirevole coraggio, era sembrato aver superato il suo male, che poi si è ripresentato uccidendolo.

Negli anni del suo Venerabilato egli tracciò alcune Tavole, pubblicate nel libro-dvd “Liberi Muratori”, relative alla morte: “Le ragioni della morte”, “Conosco l’acacia”. Ne consiglio la lettura. Sono Tavole bellissime, profondissime, di cui è impossibile fare sintesi. Propongo appena qualche rapido stralcio dalla prima delle due:

«L’uomo contemporaneo cerca in ogni modo di allontanare da sé l’idea della precarietà della sua esistenza; nei secoli passati non la occultava, ma anzi la rappresentava anche nel suo aspetto più terrificante; nelle società contemporanee sembra quasi che la vita si difenda dalla morte, rimuovendola… La stessa parola “morte” viene sostituita da eufemismi e modi di dire…».

«Ogni individuo sente, in cuor suo, la paura dell’evento, il timore di soffrire, lo struggimento nel lasciare i suoi cari. Si trincera dietro la fiducia in una vita ultraterrena o la speranza che sarà un evento tanto repentino da non permettergli di rendersene conto. Predomina la rassegnazione verso un appuntamento che… è una caratteristica ineluttabile della nostra esistenza».

«Per la mia professione conosco bene il volto pietoso dello stato di morte corporale, le assurde pose, la fissa rigidità del cadavere. Sono ben consapevole che ogni mia cellula abbia un orologio biologico che, come una candela accesa, consuma il tempo di sua spettanza; così come so bene di essere depositario di un meccanismo cellulare che indirizza la singola cellula ad una morte programmata in base alla scelta di uno specifico interruttore… Il corpo vive, e mentre vive si disintegra».

«… è in discussione il riconoscimento del “diritto dell’individuo” di decidere il come e il quando della propria morte, una volta che le sofferenze di una malattia senza speranza di guarigione non gli consentano altro che il prolungamento di un’esistenza che egli non giudica più degna di essere vissuta. Per molti, un atto dovuto quanto il rispetto della libertà di ciascuno di disporre dei propri progetti e del proprio futuro…».

«La letteratura medica cita più di uno studio che raccoglie le così dette esperienze in prossimità della morte di pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Emerge un quadro con elementi piuttosto simili quali: sensazione di pace o di gioia; accelerazione del tempo; visione di tunnel e di luce; inconsapevolezza del corpo o esperienze molto coinvolgenti fuori dal corpo; visione di persone amichevoli attorno alla propria salma; sensazione di entrare in un altro mondo, di incontrare un essere mistico, di giungere ad un punto di non ritorno. Si tratta di esperienze che si pongono nell’esiguo spazio fra la morte e l’incoscienza a forte rischio di sfociare nella morte, ed è verosimile che mediante esse il cervello tenti di dare senso ad un’esperienza insolita e sconvolgente: la mente infatti è strutturata per attribuire un senso ad ogni evento, integrando memorie e sentimenti con la prefigurazione delle conseguenze, in modo da indurre il comportamento più favorevole per l’individuo».

«La nascita e la morte: sono i due momenti che delimitano la vita terrena, così com’è limitato il cammino apparente del sole tra i due solstizi. La nascita è fissata con precisione sia nello spazio che nel tempo; la morte esce dal tempo e si dissolve nello spazio. In prospettiva massonica si va non dalla nascita alla morte, ma dalla morte alla nascita; con l’iniziazione prende un nuovo valore il concetto di morire e rinascere».

«Il morire, dal punto di vista iniziatico, ha valore di rinuncia: la rinuncia che ogni massone volontariamente fa all’atto della sua iniziazione… La morte iniziatica è quindi svincolata dall’incognita temporale…, e resta ben fissata nello spazio e nel tempo. Nel concetto iniziatico, rinascere e morire coincidono: si muore e si rinasce continuamente. Ad ogni gradino di ascesa c’è una morte ed ogni morte c’è una rinascita all’interno della nostra coscienza… Si può immaginare il cammino iniziatico di ogni massone come un insieme di tappe per conseguire l’immortalità… La Vita può proseguire ad un’unica condizione: che coloro che essa ha generato… cedano il posto ai nuovi esseri».

Per Salvatore Loi

Il nome di Salvatore Loi si lega all’esperienza di tre logge: la Hiram di Cagliari, dove fu iniziato nell’autunno 1975, la Risorgimento di Carbonia cui collaborò fin dall’inizio, con presenze assidue, accolto e anzi invitato dal Ven. Bianchi, giusto al rilancio di quella officina per l’intervento generoso di numerosi Fratelli cagliaritani fra 1975 e 1976; la Concordia, cui egli con altri dette vita nel 1992.

Nel tempo naturalmente molti altri incarichi ebbe il Fr. Loi nel servizio delle logge e della Circoscrizione. Lo ricordiamo segretario del Collegio nel 1982 e per diversi anni, tesoriere successivamente (dal 1987) – scrupoloso in entrambi gli uffici come forse pochi altri avrebbero saputo essere –, giudice supplente dal 1990.

Nel 1992 con altri quindici Fratelli della Hiram, fra cui piace ricordare adesso in special modo il Fr. Porcu, gemmò, come detto, fondando la loggia Concordia. Le riunioni preparatorie avvennero proprio nel suo ufficio e della loggia egli fu il primo, apprezzatissimo,  Maestro Venerabile: tenne la carica per un triennio (gli sarebbe subentrato il Fr. Ajtano).

Cagliaritano di nascita, professionalmente il Fr. Salvatore Loi era un insegnante: fu maestro ai corsi di istruzione primaria nelle carceri circondariali di Buoncammino per molti anni, associando questo impegno a quello di impiegato amministrativo della Franz Mobili, in capo al Fr. Franz Bianchi per molti anni, più di trenta, nello stabilimento di Quartu. Testimone delle trasformazioni di quel centro dell’hinterland, da prevalentemente agricolo ancora negli anni ’50-60, divenuto col tempo la terza città della Sardegna.

Fu, Salvatore Loi, uomo buono e discreto, educato e gentile, capace di ascolto. Ci ha lasciato, all’età di 73 anni, e dopo un doloroso ricovero all’ospedale Binaghi, nel 2003.

 

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