Una Die noa, per celebrare una Nazione ospitale, di Franziscu Sedda

 

Leggo da una nota dell’Assessore Claudia Firino che il filo rosso delle iniziative per “Sa Die de Sa Sardigna 2016” sarà il tema della “migrazione”.

Dice l’Assessore:

 

“Sardi nel mondo, che portano con sé la propria identità e la intrecciano a culture e tradizioni altre, in terre dove posano la loro valigia e spesso mettono radici. E nuovi cittadini dell’isola, popolazioni che in Sardegna hanno trovato rifugio facendone la propria casa d’adozione.
Vorrei che la ricorrenza sia quest’anno un’opportunità perché vecchie e nuove generazioni possano identificarsi e riconoscersi nel proprio passato per superare le nuove sfide che l’Isola deve affrontare in Europa, nella sua dimensione di terra ospitale e solidale con i popoli che si affacciano nel Mediterraneo”.

 

Mi piace. È un tema umanamente alto coniugato con una riflessione – potenzialmente dirompente – su ciò che la Sardegna e i sardi sono stati, sono e vogliono essere. Come terra, come popolo, come…

Ecco, il punto sono i puntini di sospensione.

Sa Die è nata come festa nazionale del popolo sardo. Non tanto nel testo di legge del 14 settembre del 1993, come spesso capita da noi avaro di slanci, quanto nel dibattito che portò alla sua istituzione. Tuttavia, passati i primi anni di celebrazioni spettacolari nel tempo la giornata del 28 aprile è diventata il pretesto per parlare di tutto tranne che dei significati, passati e odierni, della Sarda Rivoluzione. E men che meno dell’idea di sovranità della Nazione sarda nel passato, nel presente e nel futuro.

Ora, le mancanze di anni non si recuperano in un giorno ma credo che non ci sia giorno in cui non si può incominciare a recuperare il tempo perduto.

Per questo credo che serva uno sforzo per rendere esplicito l’elemento natzionale implicito nel filo rosso tessuto dall’Assessore: ovvero la Sardegna come Nazione ospitale, la Sardegna Nazione ospitale proprio perché ha maturato la sua coscienza nazionale nella sofferenza de su Disterru.

Del resto non è forse in disterru, in esilio in Francia, che Giovanni Maria Angioy, l’uomo simbolo di quegli eventi, esplicita l’esigenza di costruire una Repubblica di Sardegna? Non è forse da su disterru, questa volta volontario, che in quella congerie di eventi Domenico Alberto Azuni scrive un saggio indirizzato al Parlamento Sardo e dedicato alla “felicità della Nazione”? Non è forse dal disterru che Francesco Cillocco e Francesco Sanna Corda meditano il ritorno in patria per dichiarare “Uguaglianza e Libertà: A nome del Popolo e della Sarda Nazione”?

Ecco, non sarebbe male ricordare che se oggi siamo una Nazione ospitale con chi fugge dalle guerre e dall’assenza di libertà è anche perché gli eventi che celebriamo il 28 di Aprile ci parlano di decine e decine di patrioti sardi fuggiti dalla Sardegna per evitare l’oppressione e la repressione del regime sabaudo.

E ancora non sarebbe male ricordare che se a quei disterrati fino ad oggi ne sono seguiti tanti e tanti altri, per motivi apparentemente puramente “economici”, è proprio perché quella emancipazione interrotta, quell’autodeterminazione repressa sul finire del Settecento ha tenuto i sardi sotto uno dei più cupi regimi feudali, fiscali, burocratici delle cui conseguenze, morali ed economiche, paghiamo ancor oggi il prezzo. Mentre l’Europa avanzava gli italici Savoia tenevano la Sardegna nel freezer della loro miseranda storia.

Nel mentre però, mentre noi scappavamo, altri ci ospitavano. In primo luogo in Corsica.

Come non pensare dunque a questa storica coincidenza? A questa Die dedicata a su Disterru e all’ospitalità, ai sardi vecchi e nuovi, d’elezione e d’azione, proprio mentre stiamo ricostruendo i legami con la Corsica e si prospetta una seduta congiunta dei due Parlamenti a Cagliari, proprio il giorno de Sa Die?

Prendiamo il vento della storia. Facciamoci forti della nostra capacità di accogliere, pur in mezzo a mille difficoltà, chi soffre più di noi offrendogli la possibilità di diventare sardo. Facciamoci forti della capacità di dar valore ai nostri disterrados, sparsi per il mondo, magari perfettamente integrati ma che non smettono di sognare la loro patria lontana, di contribuire alla sua storia, di lavorare per ritornare. Facciamoci forti del sostegno reciproco che stiamo ricostruendo con la Corsica, per ridare forza alle nostre istituzioni e al nostro ruolo nel Mediterraneo e in Europa. Facciamoci forti della nostra storia di Nazione, ospitale e inclusiva con i deboli, pronta a sollevarsi contro i potenti che vogliono sottrare a persone e popoli libertà e diritti.

Potrebbe essere una Die noa, una die galana. Assessore, non perdiamo l’occasione.

A innantis!

Franciscu Sedda

Segretario Nazionale Partito dei Sardi

 

Condividi su:

    1 Comment to “Una Die noa, per celebrare una Nazione ospitale, di Franziscu Sedda”