LA GEOPOLITICA DELLA MISERICORDIA, di Agostino Giovagnoli

IN Messico, Francesco non ha solo testimoniato appassionatamente la misericordia verso gli ultimi: li ha anche invitati ad impegnarsi per il proprio riscatto. Pur chiedendo perdono agli indios, non ha lasciato spazio all’autocompatimento. Pur fermandosi a lungo davanti alla Vergine di Guadalupe che “protegge” il popolo messicano, è stato durissimo contro la metastasi del narcotraffico e severo con i giovani che entrano nel giro dei narcotrafficanti. Ai vescovi e ai religiosi ha chiesto di essere “pastori del popolo di Dio e non chierici di Stato”, mentre rinnovava la condanna della corruzione che distrugge gli Stati e abbandona i più deboli alla violenza. Il suo messaggio ha raggiunto il culmine nella prigione di Ciudad Juarez. Se «chi ha sperimentato l’inferno può diventare un profeta nella società», come ha detto ai carcerati, allora davvero tutto è possibile. Quel che è fatto è fatto, ha riconosciuto alludendo realisticamente ai reati commessi dai detenuti, ma «questo non significa che non ci sia la possibilità di scrivere una nuova storia». Rivolgendosi ai carcerati, Francesco non parlava solo del carcere. La cultura dello scarto, che qui è dominante, condiziona in realtà tutta la società. Il carcere è espressione di una più ampia «cultura che ha smesso di scommettere sulla vita» e di una «società che ha abbandonato i suoi figli». In quest’ottica, la misericordia è ciò che rimette in moto la storia: non un di più auspicabile, ma un quid necessario per «una migliore convivenza ». La religione di Francesco non somiglia affatto all’oppio dei popoli di cui parlava Karl Marx. Si collega, invece, ad un disegno in cui gli incontri con i leader politici (da Obama a Putin, da Merkel a, se possibile, Xi Jinping) e con i leader religiosi (da quello recente con Kirill al prossimo con el-Tayeb, sheickh di al-Azhar) sono in funzione di una geopolitica dei popoli. Francesco è, infatti, in sintonia con la “geopolitica delle emozioni” di Dominique Moisi secondo cui i popoli sono dominati di volta in volta da sentimenti diversi: paura, umiliazione speranza. Francesco appare un grande leader del XXI secolo perché in grado di spostare milioni di persone dalla paura o dall’umiliazione alla speranza.

Ma per molti europei — lo mostrano i commenti di questi giorni — questo papa resta soprattutto un “modernista” (visto da destra) o un “progressista” (visto da sinistra), un pontefice che non difende abbastanza i valori morali o che critica audacemente il capitalismo ultraliberista. In realtà, la dichiarazione congiunta con il patriarca di Mosca non è certo un documento modernista; è stata, però, firmata al termine di un incontro di grande portata storica che avvicina, dopo mille anni di separazione, non solo due Chiese ma anche Europa orientale e Europa occidentale. In Messico, Francesco è stato molto severo con chi distrugge la famiglia, «base di ogni sana società»; lo ha fatto, però, parlando di colonialismo ideologico, uno dei modi attraverso cui si esprime la sopraffazione dei popoli forti su quelli deboli. Gli è stato, inoltre, attribuito un atteggiamento tipico da papa sudamericano anti- yankee, ma agli Stati Uniti ha inviato soprattutto un messaggio contro l’uso politico della paura verso i migranti, come ha sottolineato il

New York Times. Non solo l’applicazione delle categorie di modernista e di progressista urta contro troppe contraddizioni, ma entrambe tradiscono anche la convinzione che, qualunque cosa dica o faccia, Francesco si inserisce comunque in un sistema chiuso e in giochi già fatti. Il papa, insomma, può solo spostare un po’ più a destra o un po’ più a sinistra gli equilibri esistenti. Francesco, invece, vuole cambiare la storia e questo è, per molti europei, semplicemente impossibile.

È però interessante che, proprio in Europa, la “geopolitica della misericordia” abbia avuto un precedente illuminante. Nel 1943, in piena Seconda guerra mondiale, un prestigioso esponente del pensiero laico e anticlericale e antifascista convinto, Benedetto Croce, espresse un sentimento diffuso. Sostenne, infatti,che, dopo la devastazione provocata dal nazismo e dal fascismo, solo una parola cristiana avrebbe potuto rimettere in modo la storia europea: perdono. Dopo il passaggio dell’Europa dalla guerra al dopoguerra, anche molte altre transizioni del XX secolo hanno implicato processi di riconciliazione. Croce irrideva con sarcasmo gli studiosi modernisti di inizio Novecento che, sulla base di rigorose argomentazioni esegetiche e filologiche, negavano l’autenticità della pagina del Vangelo di Giovanni che lui considerava più espressiva di tutto il cristianesimo. È il brano dell’adultera perdonata da Gesù perché «chi è senza peccato scagli la prima pietra». Proprio a questo brano, non a caso, si è riferito Francesco concludendo il suo viaggio in Messico con la visita nel carcere di Ciudad Juarez.

 

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