Se Panebianco non può esprimere opinioni (che non condivido) meglio partire, di ILVIO DIAMANTI

La contestazione in aula al professor Panebianco, all’Università di Bologna .

Ho studiato a Padova negli anni ’70. E a Padova ho cominciato a insegnare – da precario, ovviamente – alla fine di quel decennio. Ho conosciuto bene, per questo, quegli anni bui. Quando studiare e insegnare non era facile. Perché l’Autonomia, allora, non era solo – né principalmente – una rivendicazione di libertà e indipendenza. Ma, spesso, l’esatto contrario.

Così rabbrividisco di fronte alle contestazioni dei giorni scorsi contro Angelo Panebianco, durante le sue lezioni. Nelle aule dell’Università. Perché si tratta di un attacco alla libertà e all’indipendenza di un docente. Quindi, contro l’autonomia – uso l’iniziale minuscola solo per evitare confusioni –  dell’insegnamento e della ricerca. E contro la libera espressione delle opinioni. In definitiva: un attentato all’Opinione Pubblica libera. Angelo Panebianco è uno Scienziato Politico fra più noti e riconosciuti. Autore e co-autore di manuali sui quali si sono formati gli studenti di numerose Università. Anche nel mio corso, a Urbino. Il suo testo sui partiti politici è tradotto e utilizzato in tutte le principali sedi scientifiche internazionali. Impedirgli di insegnare, di tenere lezione è un atto indegno. E autolesionista: per l’Università e per gli studenti. Tanto più se il motivo – l’alibi – sono le sue opinioni espresse su un importante quotidiano. In questo caso, sulla guerra, sull’intervento in Libia. Ma lo stesso discorso sarebbe valido per qualsiasi altro argomento. Perché le idee si possono discutere, non impedire. Non si possono “arrestare”.

Per questo: tutto il mio sostegno ad Angelo Panebianco. Al suo diritto di esprimere le proprie idee e opinioni. Liberamente e apertamente. Anche quando sono diverse dalle mie – come, peraltro, succede. Perché non c’è futuro per la nostra Università (io insisto a scriverla con l’iniziale maiuscola) e per la nostra democrazia, se si impedisce ad Angelo Panebianco – e a qualsiasi altro professore, ricercatore, intellettuale – di insegnare. A causa delle sue idee. Delle sue opinioni. Espresse in un giornale o in un’altra tribuna pubblica. Perché l’Università, insieme ai suoi docenti e ricercatori, deve partecipare al dibattito pubblico. Per questo manifesto pubblicamente il mio aperto sostegno a Panebianco. Non per “spirito di casta”. Ma per legittima difesa. Per continuare ad esprimere – io stesso – opinioni e idee, in sedi pubbliche, con la stessa libertà e autonomia di sempre. Anche se può non piacere. Anche – e tanto più – se può dispiacere.

Diversamente, meglio andarsene. Altrove.

Da La Repupbblica, 24 febbraio 2016.

 

 

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