Quale futuro per la lingua veneta ad Arborea? di Alberto Medda Costella

La questione della lingua è al centro di un ampio dibattito culturale, e anche culturale-politico, in Sardegna, da almeno quattro decenni, a volerci collocare all’origine dell’esperienza ardita di “Nazione Sarda”, giornale bilingue dell’identità diretto da Antonello Satta e con collaborazioni ampie e prestigiose dall’intero arco dell’intellettualità isolana. Non si trascuri che nello stesso anno di uscita del periodico – il 1977 – si pose all’università di Cagliari il problema della discussione in limba della tesi di linguistica sarda: furono protagonisti della vicenda, su fronti opposti, lo studente Leo Talloru e l’indimenticato professor Antonio Sanna. Addirittura al 1973 rimonta l’inizio delle pubblicazioni, ad Oristano (per passare poi a Nuoro), di “Su Populu Sardu”, di matrice indipendentista.

Nell’approccio, suggestivo ma anche storicamente realistico, alla Sardegna “quasi un continente” – per evocare la formula della maggior opera di uno studioso come Marcello Serra – non potrebbero non considerarsi però anche quelle altre esperienze comunitarie  (e sociali-produttive) che nell’Isola hanno allignato sul filo della colonizzazione dei territori bonificati (Arborea, Fertilia) o industrializzati (Carbonia), negli anni della dittatura. Per non dire naturalmente delle sedimentazioni storiche in Alghero e Carloforte, anch’esse portatrici di ricchezze eteroglosse. Perché tutte – in modo diverso ma verificabile – hanno espresso, nel tempo più remoto e in quello più prossimo, motivazioni identitarie di cui la lingua è stato il segnale più evidente.

In questo articolo di Alberto Medda Costella – studioso della bonifica e della riforma agraria, da alcuni mesi consigliere comunale e delegato dal sindaco di Arborea alla promozione del patrimonio materiale e immateriale del centro oristanese – affaccia alcune sue riflessioni circa l’esigenza della tutela della parlata veneta, portata nell’Isola dai primi coloni provenienti dalle zone orientali della Pianura Padana.

 

di Alberto Medda Costella

«Parlano veneto come i padri i combattenti di Arborea» titola il 21 aprile 1957 il “Corriere dell’Isola”, quotidiano sassarese – espressione dell’Etfas e dei democristiani più vicini ad Antonio Segni – di lì a poco destinato a perire. E ancora nelle prime righe: «Arborea è abitata da coloni veneti, romagnoli e sardi, che costituiscono la maggioranza (solo i veneti sono presenti per il 70%), conservano tuttora le loro abitudini, il loro dialetto, malgrado si trovino a lavorare queste terre da quasi trent’anni. Li vedete passare a frotte, in bicicletta, sui vialoni diritti della bonifica, tenendo una mano al manubrio e l’altra a reggere gli arnesi del lavoro, appoggiati sulle spalle. Le donne appena c’è un po’ di sole, portano grandi cappelli di paglia. I figli di carnagione più scura, perché nati e cresciuti al sole della Sardegna, non tradiscono i padri nel pronunciare l’accento della terra d’origine».

La testimonianza del cronista Renato Albanese, firma dapprima del “Corriere Lombardo” poi nientemeno che dello stesso “Corriere della Sera” e della collegata testata settimanale “Domenica del Corriere” (ma anche di “Le vie d’Italia e del mondo”, periodico del Touring club italiano), è di fondamentale importanza, perché di lì a qualche anno, con il boom delle industrie del nord, il territorio sarà soggetto a un esodo che ridurrà la sua popolazione di circa un terzo. Dopo qualche anno saranno i sardi a prendere possesso dei poderi abbandonati, ponendo fine di all’esistenza di quell’enclave continentale a maggioranza veneta per far spazio a una comunità più eterogenea della precedente.

I due gruppi etnici hanno convissuto da separati in casa per qualche decennio come viene descritto in una tesi di laurea di carattere antropologico di circa trent’anni fa, conservando lingua e costumi delle zone di origine, prima di iniziare a conoscersi e frequentarsi regolarmente. L’unione tra le due culture è avvenuta in tempi piuttosto recenti e attualmente i discendenti dei continentali insieme a quelli sardi lavorano fianco a fianco e non è infrequente che tradizioni riconducibili a un gruppo siano state fatte proprie anche dall’altro.

Tornando alla lingua dei padri, gli arborensi parlano ancora il veneto? Che ruolo gioca oggi la lingua veneta, o di quello che ne rimane, ad Arborea? Purtroppo scontiamo l’assenza di ricerche che possano attestare il suo stato di salute. Il veneto pur non essendo riconosciuto come minoranza linguistica dall’articolo 6 della costituzione italiana, viene comunque classificato dall’Unesco come lingua regionale a rischio estinzione. La Regione Veneto, dal canto suo, con una apposita legge del 2007 ne «favorisce la tutela e la valorizzazione del patrimonio», mentre la confinante Friuli Venezia-Giulia, già avendo all’interno dei suoi confini altre minoranze linguistiche (friulane, slovene e tedesche), «valorizza i dialetti di origine veneta parlati nella Regione». E la Sardegna? La giunta regionale nel 2008 aveva approvato una proposta normativa per riscrivere regole e metodi della politica linguistica. Oltre ad avere previsto per il sardo l’insegnamento «in orario curricolare, la segnaletica bilingue, la certificazione linguistica e la ricerca di un nuovo status sociale», aveva riconosciuto per le parlate alloglotte (come catalano, tabarchino, etc ) il medesimo trattamento, contemplando tra queste anche «le parlate venete di Arborea e istriane di Fertilia». Quel progetto non ebbe poi seguito, perché l’anno successivo chi subentrò non accolse l’idea lanciata dai suoi predecessori.

Due anni fa nella cittadina della bonifica si è svolta la prima edizione del festival di storia di contemporanea “Istoria”. Le locandine e il programma degli eventi sono stati riportati oltre che in italiano, anche in sardo e in veneto. In pochi si sono resi conto dell’iniziativa, seppur simbolica, portata avanti dalla consulta giovanile arborense, organizzatrice dell’evento culturale.

Il dibattito sul vernacolo di Arborea è oggi fermo. Per Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Autonoma della Sardegna dal 2006 al 2014, “veneto e sardo certo possono e devono coesistere, ma bisognerebbe capire qual è la situazione reale dei parlanti”, per questo occorrerebbe favorire una ricerca sul campo accompagnata da iniziative che stimolino il suo utilizzo, magari partendo proprio dai giovani, movimento innovatore e dinamico per eccellenza…speremo ben ciò!

 

Condividi su:

    Comments are closed.