Storia di Gavinantonio, comunitario di Mondo X, di Gianfranco Murtas

Non credo esistano le storie minime, dico le storie minime di uomini, perché non esistono gli uomini minimi se non per rappresentazione convenzionale, di comodo discutere geometrico, dei sociologi. Esistono gli uomini virtuosi quanto la formazione personale e sociale e le circostanze consentono. La faccio breve così per dire e onorare un giovane, ex giovane delle comunità di vita di padre Salvatore Morittu, abbattuto da un infarto improvviso e ferale meno d’una settimana fa, a quindici anni ormai dalla fine di quel programma terapeutico che lo aveva visto attivo, brillante perfino, fabbro di se stesso – se vale parafrasare Montale –, ricostruttore di una personalità che era rimasta ferita fin dalla prima infanzia e s’era poi perduta  per lunghi anni dietro la droga. Gavinantonio l’avevo chiamato in “Lo specchio del vescovo”, dove gli avevo trovato un posto e un ruolo con sua soddisfazione: era stato lui ad accompagnarmi, più volte, dall’arcivescovo Alberti proprio quando con il presule avevo chiuso un tempo di rivendicazione (non per il mio utile ovviamente) per aprirne un altro più costruttivo. E quando don Ottorino, insistendo tutti i giorni, e dovendo/volendo riparare con don Cannavera (a torto inchiodato da una imbecille punizione canonica e da me protetto con ogni sforzo lungo un intero sfiancante anno), mi aveva “costretto” a condurlo, mano nella mano, un certo magico giovedì, nella serata deputata all’assemblea meditativa ed della cena comunitaria, alla Collina di Serdiana, chi ci aveva offerto il proprio servizio di trasporto, autista tuttofare abile e gentile, era stato proprio Gavinantonio di Sassari, in stazione a casa mia ormai da molti mesi (da domenica 24 settembre 2000) dopo la strattonata separazione dalla moglie, anche lei in comunità.

Egli stesso aveva preso a frequentare la Collina, in quel periodo, e le lezioni di yoga di Simonetta, sviluppando le relazioni di gruppo con quei giovani-adulti in responsabile espiazione di condanna. Era il tempo ancora quasi del primo impianto, e c’era ancora alla Collina, ad indicare un modello di autodisciplina e generosità, Antonio Zinzula. Nome e cognome di un ventenne resosi complice di un assassinio, e risorto però a vita magnifica, destinato anche lui a cadere infine per improvviso accidente, nella solitudine di una cameretta, in una notte che doveva essere vigilia di festa a S’Otta di Serdiana.

Può essere, questo di Gavinantonio, un soggetto meritevole di ribalta pubblica, nella rete degli affacci liberi, un po’ voluti un po’ casuali? Io dico di sì, perché evocandone il nome porto testimonianza veritiera di un successo profondo e certo della esperienza comunitaria compiuta a Mondo X Sardegna, che ha riportato a pienezza identitaria, dal 1980 ad oggi, molte centinaia di giovani nostri sardi e no. Fra essi Gavinantonio classe 1965, elementari e medie – al Satta di Sassari – con licenza nel 1978. Una famiglia fragile per aspetti diversi, segnata da cadute e anche lutti immaturi, rovinosi di ogni pur labile apparenza di armonia. Addetto mensa alla Marina Militare di La Maddalena, barista nella sua città, aiuto pizzaiolo a Lurisia Terme di Cuneo. Ancora in pizzerie e ristoranti e anche alberghi, aiuto cuoco o cameriere, lavapiatti e anche agroflorivivaista a Milano e Modena, perfino ad Amsterdam, Brema e altrove in Germania, e da noi a Santa Teresa, a Baja Sardinia, a Chia Laguna, a Cala ‘e Moru… Tante esperienze  tutte frazionate, quasi in fuga continua, in una doppiezza esistenziale, sempre inseguito dai ricatti dell’eroina. Fino alla resa, alla savia decisione di darsi sconfitto e quindi di obbligarsi a risalire con il sostegno pedagogico di una struttura non istituzionale ma familiare, nella formula comunitaria proposta da quel talentuoso monumento di umanità che è il francescano frate Salvatore da Bonorva. Prima S’Aspru di Siligo, poi San Mauro in Villanova a Cagliari, infine Campu’e Luas a Macchiareddu, fra la fine del 1995 e la fine del 1999 e un semestre ancora, quattro anni segnati dagli oggetti simbolici donatigli ora per compleanno ora per festa di Natale, e che egli mi girò poi per abbellire gli spazi anch’essi comunitari della mia casa. Segni di prossimità e d’affetto venutimi con altre carte, i diari di comunità pieni di annotazioni riferite soprattutto alle mansioni lavorative affidate a questo o a quello, a Roberto e Fabio, ad Agostino e Gianluca, ad Andrea e Davide, a Giovanni e Gianni, a Valentino e Gianluigi, a Danilo ed Efisio e Arturo, a Patrizia e Tonino e Sergio, a Nunzio e Franco e Cristiano… titoli di storie minime e nomi di ragazzi fragili e di valore, potenzialmente talentuosi anch’essi non meno del religioso che li aveva accolti come fratelli nel bisogno. Assegnato ciascuno ad un settore ergonomico, chi agli animali chi all’orto, o alla falegnameria, o alla cucina, alla muratura o alla lavanderia…

Cambiano collocazioni, compagni e carichi di lavoro – ora anche ceramica e legatoria, naturalmente ancora muratura, orto e pulizie… Ogni anno i responsabili delle varie comunità (erano quattro in quegli anni lì, tre lustri e passa fa, regge soltanto S’Aspru oggi) concordano un turnover parziale, utile ai singoli e ai gruppi;  nel calendario entrano le riunioni organizzative, quelle formative dei giovani e degli intermedi, dei vecchi, il diario registra i titoli dei film da vedere insieme («Amleto con introduzione di Baingio»), gli appuntamenti d’attività («Incontro con Gianfranco», «Preparazione per psicodramma con Gianfranco», «Riunione genitori»), i congedi («Ultimo giorno di permanenza di Fabiana»), i nuovi arrivi («Roberto da SS sta con Marco», «Ingresso di Quirino da Ballao affidato a Andrea e Luca»), le feste, la ginnastica (anche yoga) e le lezioni («Lezione di cucina con la sig. Pirastu»), i dopocena rotativi, la religione («Celebrazione delle ceneri», «S. Salvatore da Horta, messa di mattina», «Riunione con Padre Dario sulla Pasqua)…

Domenica delle Palme A.D. 1998: «Rappresentazione autodafè: Il figlio dell’Uomo»), e prosegue la programmazione quotidiana nel rilascio delle settimane e dei mesi: «Conferenza di Leonardo Marras a Camp’e Luas», «Giornale», «Dinamica», «Lezione di Marco: la costituzione», «Partita del cuore», «Salvatore S. 22 anni», «Concerto Marco Ravasio 17-18», «Film», «Partita mondiali 17,30», «Lezione sull’ergastolo», «Confer. avv. Concas: i sequestri ore 18», «Riunione vecchi», «Giornale», «Lezione di Cristian: il secondo dopoguerra», «Tutti a Sassari per l’inaugurazione della casa famiglia partenza ore 6,30», «Giochi di società», «Visita in Castello con Enrica e Margherita», «Partita ore 16 Italia-Austria», «Partita di calcetto», «Meditazione», «Concerto di Marco Ravasio», «Domenica 5 luglio: Uscita dei ragazzi», «Orto: cancello, manici pozzetti, intonaco scale, tettoria, chiostro, piante, parlatoi, farmacia, studio, innaffiatura, pulizie settori», «Matteo dep. detersivi, Andrea alim. vernici, Luca dep. video, G.Luca dep. elettr. biancheria, Marco dep. scarpe valigie pompe, Leonardo sveglia, porte e telefono Lina, Andrea, Matteo, Marco, Cristian, Antonello e Massimo cappellina, ginnastica Andrea»… E’ arrivata l’estate: «Casa, casa, casa», sono soltanto tre giorni di vacanza in famiglia a Sassari fino a un… «Sono rientrato», e si riprende secondo ritmo che è esso stesso metodo educativo: «Studio e redazione», «La guerra fredda, Luca fa la lezione», «Giochi senza Frontiere»…

Il trasferimento a Campu’e Luas è datato 31 luglio: «Arrivo, stanza ok!!!!! Animali orto io Max Dav. And. L. Mauro Nunzio GianLuca», «Riunione organizzativa con Piero – Animali stalla riparare recinzioni varie falciature pulizie generali – orto: mettere a dimora piantine cipolle». Postferragosto martedì 18: «Partenza per Badesi» di un gruppo, e altri appunti a seguire lungo le settimane che vengono ancora su. Sono ulteriori dieci, cento fogli con i nomi dei nuovi arrivati (da Sorso, Castelsardo, Ozieri…) e dei sobri richiami agli affidamenti individuali, agli incarichi in campagna o laboratorio, e sempre alle feste, alle partitelle, alle meditazioni («Il pieno e il vuoto»), alle lezioni («sull’Africa», «di Fabio sulla Grecia»), ai film, alle dinamiche, agli incontri con lo psicologo («Viene Massimo Portas»), alle missioni a Sassari  «dei falegnami per montare alcuni lavori» o per la mostra dei prodotti… C’è di meglio? Sì, domenica 3 gennaio 1999 «arriva Giuseppe figlio di Gianni sino al 6». Parte un altro anno, tempo di Actores alidos e di lezioni sulla scultura contemporanea…

In un quaderno lasciatomi in dono-deposito, con altre annotazioni, leggo una paginetta riempita da Gavinantonio (forse appuntando qualche mia battuta, o elaborando quella di altri) nei giorni in cui ci misuravamo nelle prove per la rappresentazione letta in San Mauro, in quella trascorsa primavera del 1998 – noi tutti seduti attorno ai tavoli del refettorio sistemati a ferro di cavallo, avendo per solo spettatore, nel gran giorno, il padre Morittu –,  immaginando che Annibale, Roberto, Carlo, Andrea, Matteo, Quirino, Cristian, Luca, Marino, Andrea e Baingio avessero accolto la truppa evangelica in arrivo dalla Palestina, con Andrea e Filippo, Bartolomeo e Giuda Taddeo, Giacomo il minore e Giuda Iscariota (il mio ruolo), Maria pia donna e Simone di Cirene, Giuseppe d’Arimatea e Cleopa, e con tutti essi avessero imbastito una conversazione per reciproca gustosa conoscenza, tu di Guspini lui di Cafarnao sulla sponda del lago di Tiberiade…

Riporto la pagina per come la trovo, ingenua e innocente, e mi pare di omaggiare già soltanto così una memoria cara e preziosa per il mondo, offrendo la ribalta pubblica ad una storia all’apparenza, soltanto all’apparenza, minima: «L’uomo contemporaneo: discussione Globalizzazione, rapporto tra Isola e mondo – identità ben precisa – pag 8 Gesù di Nazareth pag. 9 Seb. Satta.

«Ciò che vale per i popoli vale per la persona. Questa discussione su l’uomo planetario e la Sardegna – sulla necessità di mantenere la propria identità e insieme aprirsi agli altri – mi ha suggerito un pensiero sul problema dell’identità e dell’apertura per il singolo individuo. Quindi parlo di me, del mio vuoto, risultato di un’infanzia povera di formazione umana e religiosa dove il valore principale era possedere. Per queste ragioni non ho sviluppato un’identità solida. Si è creato in me un terreno per accogliere i messaggi esterni trasmessi TV compagnie che molto spesso sono superficiali. Ed è così che la mia adolescenza si consumata in gran parte tra le sofferenze alla ricerca di un’identità precisa.

«I valori, ma quali valori, mi passavano appena davanti, volevo afferrarli ma era troppo difficile  per me capire quella vita. Ho continuato a vivere insoddisfatto dentro realtà che non erano mie, senza riuscire a sviluppare la mia vera personalità. Finalmente ho avuto la possibilità di fermarmi a riflettere. La comunità mi ha dato la possibilità di guardarmi dentro e di riconoscere alcuni miei talenti che sto cercando di valorizzare e su questi ci so costruendo. Cerco vivere in armonia con gli altri, rispetto i miei pensieri e quelli degli altri.

«Sono una piccola tessera di questo mosaico che è la Sardegna sana, che vuole pace e unione, che accoglie il diverso e ne valorizza le sue doti nel rispetto delle sue idee. Come diceva Gesù di Nazareth “una tessera” che si impegna a rimanere se stessa se vuole essere tale, originale. Io sono convinto che l’uomo di oggi debba approfondire la sua ricerca di spiritualità peraltro abbastanza forte. Andare più a fondo a ciò che fa così da proiettarsi nel futuro con i piedi più attaccati al suolo. Per fortuna non tutti gli uomini hanno questi problemi. Identità nel dialogo rapporto con gli altri».

Hanno pesato eppure sono stati leggeri questi… quanti sono? millequattrocento, millecinquecento giorni, giorni e notti vissuti nella fraternità di Mondo X. Lazzaro è risorto, fabbro di se stesso ha abbozzato un profilo di vita nuova che ora si misura con altre logiche, fuori dai recinti della disciplina regolata o magari imposta. Viene il momento del rientro in società, della ripresa di più larghe ed esposte (e rischiose) relazioni sociali, e del lavoro nuovamente in pizzerie od hotel, fra Flumini di Quartu e Muravera, al camping, e ancora Chia. In comunità ha frequentato un corso di nove mesi curato dell’ENAIP decimese, che gli ha rilasciato una qualifica di agro-zootecnico, ma trova da lavorare anche da badante di un anziano diabetico scompensato grave e mutilo d’un arto, poi d’un quasi novantenne che vorrebbe entrare alla casa serena di Dolianova appena promossa dalla diocesi… Ne parliamo insieme con don Ottorino, quella volta che, volando in tre per la Collina, dopo aver svoltato dalla 554, io ricordo all’arcivescovo – a lui che è stato biografo entusiasta di Pio IX candidato beato –, la ghigliottina in esercizio nello stato pontificio nonostante che il triumvirato repubblicano del ’49 l’avesse abolita, e altri capi d’imputazione al clericalismo insopportabile nella sua ottusità, sicumera e prepotenza. Al rientro in episcopio, a mezzanotte, l’abbraccio di don Ottorino a Gavinantonio per me ha contato assai più di quello riservato al protestante scomunicato.

Non sono mancate, nella vita di Gavinantonio, le cadute anche dopo l’uscita dalla comunità, anche dopo la lettura di “Cirenei della gioia” di don Tonno Bello e di altri libri che mi era venuto in mente di regalargli. Ma sempre, con un ammirevole spirito d’umiltà e senza cercare alibi alle debolezze, egli s’era rialzato, responsabile e più impegnato a fare bene, sincero nei propositi, mai furbo. E bene aveva fatto, per la sua vita e per quella di altri, di non pochi altri, in questi anni in cui s’era portato a lavorare sulla costa gallurese e ancora nel nord Italia. Con progetti nuovi, ma senza fughe in avanti, attento alla parola data e rispettoso delle obbligazioni dell’oggi. In un ambiente che affettivamente, direi esistenzialmente, lo aveva ripagato con dolcezza e speciale cura, era ora!, delle attese frustrate, inappagate del tempo di prima e gli aveva mostrato nel concreto come il fabbro di se stesso, nella stagione comunitaria, era stato davvero abile a dare al mondo un prodotto rifinito.

 

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