Sardi, i più «identitari», di Giuseppe Meloni

L’UNIONE SARDA, 30.09.2015.

Al campionato mondiale delle identità locali, i sardi sarebbero testa di serie. Forse i favoriti. Nei giorni della storica avanzata elettorale dell’indipendentismo catalano, fa un certo effetto rispolverare alcune recenti statistiche che attribuiscono, agli isolani, sentimenti di appartenenza superiori ad altre «nazioni senza Stato». In un sondaggio del 2012, curato dall’Università di Cagliari, l’identità sarda risulta prevalente rispetto a quella italiana per il 65% del campione statistico. Il dato analogo, nella simile rilevazione in Catalogna, si è fermato al 37%. E neppure altre regioni a forte spirito indipendentista, dalla Scozia ai Paesi Baschi, raggiungono le vette identitarie dei sardi. I DATI Sono le risposte alla cosiddetta «Moreno’s question», la domanda di Moreno: dal nome del ricercatore spagnolo che per primo indagò le identità regionali confrontandole con quelle nazionali. Cioè: anziché chiedere «vi sentite catalani?», ha chiesto «vi sentite catalani o spagnoli?», oppure «più catalani o più spagnoli» e così via, con un ampio spettro di risposte. Metodo corretto perché «spesso le identità sono concentriche e non escludenti», sottolinea la costituzionalista dell’ateneo cagliaritano Ilenia Ruggiu, in un breve saggio che riassume lo studio accademico del 2012. «Se la Scozia è la prima regione con il 28% di persone che rigettano del tutto l’identità statale», prosegue, «la Sardegna è la prima regione con il 39% di persone che ritengono l’identità regionale prevalente su quella statale». Non solo. Come mostra il grafico in questa pagina, sommando le risposte più nette (mi sento sardo ma non italiano, oppure più sardo che italiano), si arriva a quel 65% di sardità prevalente che supera pure la somma (58%) del sondaggio scozzese, e il 60% del Quebec. I sardi sono anche i più avari di risposte in cui prevale l’identità nazionale: solo il 4% si sente più italiano, o solamente italiano. L’ANALISI Una nuova edizione del sondaggio sardo, ancora in corso, sta per ora registrando dati un po’ meno marcati. Ma il forte sentimento identitario è confermato, com’è evidente nella percezione comune. Perché allora non si traduce in una forte opzione politica, come in Catalogna e Scozia? «È l’effetto dell’italianizzazione spinta che è passata attraverso varie vie, dalle lezioni tv del maestro Manzi al Piano di rinascita sull’industrializzazione», osserva il politologo dell’Università di Sassari Carlo Pala: «Ma è anche per la connessione disorganica degli attori regionalisti». Vale a dire il mancato raccordo tra i protagonisti delle varie dinamiche (economiche, politiche, sociali) che valorizzano le specificità locali. I POLITICI «Il fatto è che abbiamo lavorato soprattutto per creare nei sardi la consapevolezza di essere un popolo», commenta Bustianu Cumpostu, leader storico di Sardigna natzione, «e mai come oggi ne siamo stati così consapevoli. Abbiamo inventato una lotta di liberazione di massa particolare: ci portiamo ovunque la nostra bandiera, la mettiamo sugli asciugamani e le ciabatte con cui andiamo al mare». Se questo poi non si traduce in forza elettorale «è per l’insufficienza della cultura politica sarda. Il nostro popolo non ci crede capaci di governare. Ma se ne esce proponendo un sistema alternativo ai partiti italiani, non alleandosi con loro». Non la vede così Franciscu Sedda, segretario di quel Partito dei sardi che amministra la Regione col centrosinistra: «Il partito di Artur Mas ha governato per anni col Partito popolare, e gli indipendentisti di Esquerra republicana coi socialisti. Anziché l’aspettativa irreale di un indipendentismo che diventa da solo maggioritario, crediamo che sia importante cogliere le occasioni per governare e governare bene». Il peccato originale, secondo Sedda, è stato «il trauma dei padri dell’autonomia sarda, che ci hanno convinto di essere una nazione che non si sarebbe potuta mai realizzare, e che avrebbe sempre avuto bisogno di un sostegno esterno, economico e anche culturale». Giuseppe Meloni

 

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