Perché mi iscrivo al Partito sardo d’Azione, di Salvatore Cubeddu

Cagliari, 18 settembre 2015

A   Giovanni Columbu,

segretario generale

del Partito Sardo d’Azione

Caro Giovanni,

con questa lettera ti chiedo di rinnovarmi la tessera del Partito Sardo d’Azione che ‘persi’ – nel senso che non mi trovai nella condizione neanche di doverci rinunciare – in occasione del commissariamento del distretto di Cagliari una decina d’anni orsono. In ogni caso è dal 1995/6 che sono assente dal gruppo dirigente del partito a seguito della preferenza data all’esclusivo impegno intellettuale.

La mia scelta è legata alla tua presenza al vertice e alla promessa – evidentemente confortata da un numeroso gruppo di amici – di rilanciare il  partito sardo.

Qualche mese fa mi dicesti che sarebbe bastata la fede schietta e solida di soli due militanti per rilanciare questo partito. Mi ci sono subito buttato: “Io sono uno dei due …!”. Mi sono, dunque, incastrato da solo.

In realtà – e tu lo stai verificando meglio di me – la cosa è più complessa e difficile. Ma è quell’approccio lo stimolo che serve, il volontarismo che caratterizza l’impegno per le giuste cause, il percorso che quasi cent’anni orsono ha portato dei giovani sardi ex-soldati a sognare un futuro di libertà per la Sardegna quando tutta l’Europa si muoveva verso l’autoritarismo.

Il Partito sardo d’Azione deve vivere perché può servire ancora la Sardegna.

Un augurio per il tuo lavoro ed un abbraccio

SALVATORE CUBEDDU

Ieri ho consegnato nelle mani del segretario del partito sardo la lettera che avete letto. Dovendo esserci un ‘presentatore’ del richiedente la tessera, mi ha comunicato che lo farà Lui stesso. Lo ringrazio.

Mi ero iscritto al PSd’Az nel 1985, allorché anche un rivolo sindacale intersecò le idee del fiume poi denominato del ‘terzo sardismo’. Andava risolto l’esito non felice della prima autonomia, quello che era andato a sbattere nella fine della ‘rinascita’ dopo il crollo dell’impero petrolchimico di Nino Rovelli (1978). Gli elettori sardi avevano capito bene l’ordine del giorno, ritornò il partito sardo.

Ma, degli aspetti economici, culturali e politico – istituzionali coinvolti in quella fine non si è data risposta da parte di nessuno. Non il fallito ‘terzo sardismo’, non le giunte di sinistra (più o meno laiche), non la  disperata versione sarda del berlusconismo. Chi ha governato non è riuscito a fare uscire la Sardegna dal pantano, ma è stato bravo ad impedire le ricorrenti e continue proposte alternative e propositive. Quel blocco di potere ha difeso i propri interessi fino a due anni orsono, data degli ultimi scioperi generali per la chimica. Après moi le déluge, adesso siamo in pieno diluvio. Questa storia, non solo triste, iniziamo a ricostruirla.

Il partito sardo è parte non secondaria di questi fallimenti, rappresentando da quasi un secolo tanto del meglio (e pure del peggio) del popolo sardo. Avendo ripreso a scriverne la storia in una fase di sonno del segmento di pensieri-linee-organizzazioni che interessano i sardisti-sovranisti-indipendentisti, ho scelto di non starne fuori, di non ‘studiare e basta’. Considerando il partito sardo come l’albero di cui in tanti alimentano nuovi rami, è normale che la scelta di partecipare a quel poco di politica che tempo e disponibilità mi consentono, mi riporti al filone principale del discorso, indipendentemente dal fatto che  altri rami possano meglio interpretarlo.

Anche in Sardegna andiamo rievocando i fatti ed i protagonisti della prima guerra mondiale, tra cinque anni celebreremo i cento anni del partito sardo d’azione. Ci saremo ancora? Lo spero, avendo presente il nuovo segretario e il congresso di rinnovamento che si appresta a celebrare. Riuscirà nell’intento? Non lo so, ma non voglio avere sulla coscienza di sardo il rimorso di non avere fatto quanto era nelle mie possibilità.

A un secolo dalla prima guerra mondiale, molti segni descrivono la nostra condizione paragonabile a quella delle peggiori dell’800. Rispetto ad allora ci siamo lasciati prosciugare la ricchezza delle miniere, abbiamo inquinato terra-acqua-mare,  abbiamo concesso le banche ai forestieri, i trasporti boccheggiano, i migliori giovani se ne vanno. A completare il finis Sardiniae, dei folli vogliono riempire i nostri paesi di cittadini africani educati nelle loro città. Intanto, l’assenza di una proposta condivisa per la Sardegna del futuro, attraverso l’approvazione di un nuovo statuto di autonomia, sta portando i sardi a lotte intestine in cui tutti sono contro tutti (scuole da chiudere, ospedali, asl, province, aree metropolitane, università, …). Quando finirà, ci troveremo solo ulteriori macerie?

La risposta al degrado presente è ancora il sardismo. Studiato e ‘agito’.

 

P. S.  Ogni sabato questo sito, di cui sono l’amministratore’, pubblicherà una rubrica contenente i documenti che qualificano la storia del sardismo.

 

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