I problemi, le polemiche, lo svago e i successi nello sport, di Antony Muroni

(nella foto: Fabio Aru, premiato per aver vinto la Vuelta in Spagna, con la bandiera sarda sulle spalle).  RASSEGNA DELLA STAMPA SARDA DI OGGI SULL’IMPRESA DEL CICLISTA SARDO.

Abbiamo tanti problemi, è vero. Guerre, crisi economica, il lavoro che non c’è, gli Stati nazionali in grande difficoltà e l’enorme pressione esercitata dai rifugiati in fuga da morte, malattia e fame.
È proprio per questo che non è banale fermarsi a pensare a quali e quanti sono i privilegi di cui ancora godiamo, sempre dati per scontati. In attesa di sedimentare un senso della realtà che sia veramente globale, e dunque parametrato all’interezza del mondo e non solo ai pochissimi che stanno meglio di noi, è doveroso e normale vivere cercando di scacciare i patemi.
Crediamo che ci sia questo alla base della reazione psicologica che induce la gran parte di noi – ancora, la più fortunata – a non cambiare le proprie abitudini: la socialità, il passare del tempo fuori casa semplicemente per mangiare una pizza e un gelato o gioire e disperarci guardando al mondo dello sport.
Del resto lo svago e l’evasione rappresentano, nella storia, uno sfogo necessario, diremmo imprescindibile, per l’essere umano. Gli eventi sportivi di questi giorni, che coinvolgono l’Italia e in qualche modo anche la Sardegna, sono importanti in sé e anche per il messaggio che racchiudono.
Il Cagliari, lasciatosi alle spalle una retrocessione ingloriosa, è partito col piglio del protagonista nel campionato di serie B, raccontando una storia di riscatto e insospettata coesione tra la società e i suoi tifosi. Regalando al giovane sardo Deiola di San Gavino (dopo l’ancora acerbo Murru e i grandissimi Cossu, Pisanu e Sau) il sogno del riscatto e del palcoscenico del grande calcio.
Il villacidrese Aru, non pago delle imprese al Giro d’Italia, dove ha vestito anche la maglia rosa, è stato per tre settimane grande protagonista sulle impervie salite della Vuelta di Spagna, gettando le basi per cogliere – oggi – uno storico successo. Mai un sardo, nella storia del ciclismo italiano, aveva raggiunto queste vette di eccellenza. E crediamo, sperandolo anzitutto, che data la classe del villacidrese, non sia finita qua.
Cos’altro racconta, la storia di un villacidrese che in due stagioni ha saputo trionfare sulle Alpi, sulle Dolomiti e sulle strade di Spagna, se non un esempio di grande sacrificio, umiltà e determinazione? Un qualcosa che ognuno di noi dovrebbe provare a replicare nella vita quotidiana.
Che dire del tennis femminile italiano? Flavia Pennetta e Roberta Vinci, in rigoroso ordine alfabetico, hanno conquistato New York e gli americani. E la federazione guidata dal cagliaritano Angelo Binaghi può, a buona ragione, rivendicare un ruolo centrale. Non si tratta di rondini che non fanno primavera, ma di un movimento che conferma quanto già di buono aveva raccolto a livello internazionale: non si vincono (in doppio) sei tornei del Grande Slam a caso e non si trionfa per quattro volte in Federation Cup (la Davis al femminile) senza avere qualità e coraggio. La managerialità di Binaghi, che ha portato gli Internazionali d’Italia nella culla mondiale del tennis, è un altro esempio di buon fare.
Molti sardi, infine, hanno riscoperto in questa settimana il basket e la sua nazionale, che fa sognare agli Europei. Le imprese di Gallinari e Belinelli non sono altro che una proiezione del grande trionfo Dinamo Sassari (Scudetto, Supercoppa e Coppa Italia) della scorsa stagione. Un successo storico che va ricondotto anzitutto alla testardaggine, alla competenza e alla managerialità di quel gran sardo che risponde al nome di Stefano Sardara. Peccato che uguali successi Sassari non possa vantare nel calcio (sia maschile, che femminile), dove un patrimonio di entusiasmo, messaggi e vittorie è stato depauperato in appena un paio di stagioni.
Vincere, anche in Sardegna, si può. E non solo nello sport.

L’UNIONE SARDA,  13 settembre 2015

 

L’UNIONE SARDA – Cronache : Trionfo di Fabio Aru: il cavaliere dei 4 Mori conquista la Spagna

14.09.2015

Negli ultimi duecento metri ha rallentato, ha radunato i compagni in coda al gruppo, e ha tagliato il traguardo trionfante e sorridente tra i compagni, in maglia rossa, come una fiamma alimentata da un carburante celeste. Fabio Aru ha scritto la storia, ha fatto la rivoluzione, ha aggiornato gli standard. La Vuelta a España è sua, è italiana per la sesta volta (su 70), è sarda per la prima e per la prima lo è una corsa così importante. Non ci sono paragoni sportivi da fare, perché nello sport sardo non ci sono termini di paragone con ciò che questo ragazzo sta facendo da cinque anni a questa parte. L’asticella sale sempre di più, verso il cielo, verso i sogni proibiti dei sempre più numerosi fan. C’era tanta Sardegna ieri a Madrid, per l’ultima tappa che i distacchi dilatati sabato dall’Astana hanno ricollocato nel suo ruolo di passerella. La famiglia, qualche amico, nessun aereo di Stato. Tutta roba genuina, come Paolo Tiralongo, il suo compagno più fidato, che si è ripreso dalle ferite della seconda tappa ed è tornato per la festa che ieri è andata avanti sino a tarda notte. Squadra, famiglia e tifosi: le dediche di Fabio sono i termini del suo mondo tridimensionale. Senza la squadra non ce l’avrebbe fatta ed è questa la sua vittoria più grande: leader di un’armata forte, fortissima, solida. La fiducia di un team kazako – che ha tanti soldi ma pretende tanti risultati e di altissimo livello – non si conquista facilmente e non è gratis. Serve dedizione, coraggio, voglia di non mollare. Serve essere i migliori sulla strada e sul bus, durante le riunioni di squadra. E Fabio lo è stato. È sceso nell’arena con un caschetto personalizzato: il “Cavaliere dei 4 mori” corre con le sue insegne. Sabato sul podio di Cercedilla, con la Vuelta in tasca, sulla maglia roja appena indossata, quella definitiva, ha voluto stendere la bandiera con i 4 mori. Mica quella tricolore. Siamo in Spagna, dove la lotta per l’autonomia è qualcosa di molto, molto serio. Se non è personalità questa… Ma questo ragazzo di 25 anni, villacidrese orgoglioso delle proprie origini, sembra forgiato nell’acciaio. È caduto due volte, ha perso alla prima tappa due dei compagni più importanti, tra i quali quel Vincenzo Nibali che poteva aiutarlo a portare sulle spalle il peso della responsabilità. Ha conquistato la maglia rossa, poi la persa, danzando tra il primo e il secondo posto sul filo dei secondi. Roba da far crollare un toro. Ma non lui. Non uno che ha perso il Giro perché ha preso un batterio a tre settimane dalla corsa, dopo un inverno di sacrifici e dedizione da monaco benedettino. Da ogni sconfitta torna più forte: lo sa “Purito” Rodriguez, lo sa Tom Dumoulin, lo sa il ciclismo. C. A. M.

 

 

LA NUOVA SARDEGNA 14 settembre 2015-09-14Il campione villacidrese esulta sul podio di piazza Cibeles a Madrid sventolando i quattro mori
«Sono molto emozionato e felice, dedico questa vittoria alla mia fidanzata e ai miei compagni»

La giornata magica di Fabio Aru:
«Ho realizzato un grande sogno»

MADRID Anche il ciclismo dice la sua nella festa no limits dello sport azzurro che in questo bellissimo settembre fa festa nel basket, nel tennis e nel ciclismo appunto. Lo fa con il sorriso luminoso, quasi imbarazzato tanta è la gioia che esprime, di Fabio Aru, il corridore di Villacidro che ha vinto da trionfatore la Vuelta, il Giro di Spagna, giunto quest’anno alla 70ma edizione. Sul podio in Plaza de Cibeles, uno dei simboli di Madrid, ha sventolato la bandiera sarda dei quattro mori, che si è messa sulle spalle con orgoglio durante l’inno di Mameli, che ha ascoltato con una mano sul cuore, canticchiando qualche verso. Poi è arrivato anche il tricolore, mentre i due bambini di Purito Rodriguez sul secondo gradino del podio col padre, si divertivano da matti. «Ho realizzato un sogno e sono molto emozionato e felice – ha detto Aru dopo la premiazione –, ringrazio i miei compagni che hanno creduto in me e mi hanno aiutato fino all’ultimo, abbiamo fatto un gioco di squadra molto bello. Dedico la vittoria alla mia famiglia, alla mia ragazza e ai compagni» . Poi il campione di Villacidro si lascia andare a uno spot per il ciclismo. «E’ un bellissimo sport, noi cerchiamo di dare sempre il massimo. Spero che questa vittoria faccia avvicinare al ciclismo altri appassionati». Nella domenica di Valentino Rossi sempre più leader iridato in Motogp e del titolo mondiale vinto dalle ragazze della ginnastica ritmica, della vittoria dell’Italbasket che vola ai quarti degli europei, l’azzurro che corre per l’Astana, squadra kazaka che guarda caso veste una divisa azzurra, ha vinto da vero trionfatore in quella che ormai è considerata la terza più importante corsa a tappe dopo il Tour e il Giro d’Italia: sabato è andato con rabbia a riprendersi con gli interessi i 6 secondi che lo distanziavano dal capoclassifica, l’olandese Tom Dumoulin. Negli ultimi 50 chilometri verso Cercedilla, l’italiano ha messo alle corde il rivale e gli altri uomini di classifica. Un colpo decisivo, mortale per i rivali. «Solo dopo il traguardo – ha commentato il campione sardo – ho cominciato a capire cosa avevo fatto». Nella passerella finale, tutta in onore del nostro campione, la tappa conclusiva è andata al tedesco John Degenkolb. L’impresa del 25enne sardo fa felice l’Italia e la Sardegna, che non ha mai avuto uno sportivo così in alto da solo, e consacra un atleta salito già due volte sul podio del Giro (terzo nel 2014, secondo invece quest’anno dietro un campionissimo come Contador) e che aveva fatto vedere tante buone cose, sempre al servizio del suo capitano Vincenzo Nibali. Fabio Aru in cima alla Vuelta ha anche salvato la stagione dell’Astana che finora era andata così così rispetto alle attese, con Nibali sfortunato al Tour de France, e poi fatto fuori in Spagna da giudici troppo severi. Sulle spalle del giovane sardo sono così finite le attese e le speranze dei tifosi italiani orfani dello squalo messinese, e quelle del suo team a corto di risultati. Aru ha accontentato tutti, ed è andato davvero oltre ogni più rosea aspettativa. Il suo duello a distanza con Dumoulin e con lo spagnolo Rodriguez (alla fine giunto secondo; terzo il polacco Majka) ha esaltato gli appassionati, tutti lì, fino all’ultimo metro, a guardare cronometri e contare secondi. Fabio Aru s’è dimostrato freddo in gara, attento a dosare le energie, calmo anche di fronte alle scorrerie dei rivali. Soprattutto ha avuto dalla sua un grande gioco di squadra della Astana. Il corridore di Villacidro è uscito definitivamente dal cono d’ombra di Nibali, e le strade dei due a questo punto sono destinate a separarsi. Il ciclismo azzurro ha trovato infatti un nuovo campione. Che ora potrà volare da solo a caccia di nuovi successi prestigiosi: i due podi conquistati al Giro d’Italia., confermano insomma che questa Vuelta non può essere che l’inizio di una strepitosa avventura sportiva.

 

 

 

Applausi da Matteo Renzi. E la miss Manuela Galistu esulta: «Una grande gioia»

Il manager Vinokourov: «Ora il Tour»

MADRID Il futuro di Fabio Aru sembra già pianificato, alla luce della splendida prestazione della Vuelta. A sottolinearlo è Alexandre Vinokourov, general manager dell’Astana, che si gode il successo di Fabio Aru nella classifica generale della 70esima Vuelta a Espana e dice: «E’ stata una bella vittoria di squadra. Abbiamo passato brutti momenti per l’esclusione di Nibali e il ritiro di Tiralango – ha aggiunto l’ex olimpionico di Londra2012 -. È stato difficile cercare di rimotivare tutta la squadra: non abbiamo cambiato obiettivi e siamo rimasti con lo stesso spirito. Arrivare a Madrid con la maglia rossa è una soddisfazione incredibile». Secondo Vinokourov «Aru non avrebbe potuto vincere da solo, sono stati bravi tutti i suoi compagni a cominciare da Vanotti, che nell’ultima tappa è partito nonostante una brutta caduta». Vinokourov quindi ammette che per Aru è tempo di cimentarsi, nel 2016, al Tour de France: «Bisognerà vedere bene i programmi ma credo che nei suoi ci sarà la Grande Boucle. Fabio ha già dimostrato al Giro, con il secondo posto, che deve ambire alle corse di tre settimane». Le reazioni. Applausi da tutta Italia per il campione di Villacidro. A cominciare da Matteo Renzi, che da New York, dove era andato a seguire la finale dell’Us Open fra Flavia Pennetta e Roberta Vinci ha twittato: «Mitico Aru, la Vuelta è tua». Successivamente, in una intervista, il premier ha parlato del la «grande forza dello sport italiano, come dimostra Fabio Aru che trionfa alla Vuelta». Commenta il risultato di Aru anche Giorgio Squinzi, ex patron della Mapei. «La vittoria della Vuelta di Aru. Lui è stato splendido. La tappa di sabato è una di quelle che resterà come pagina nella storia del ciclismo». Applausi anche da Manuela Galistu, Miss Sardegna 2015, finalista di Miss Italia a Jesolo. «È una grande gioia che coinvolge tutta la Sardegna, anche se non siamo tutti e appassionati di ciclismo. La maglia rossa del Giro di Spagna di Fabio è anche un pò nostra. Io sono molto orgogliosa. Ho festeggiato con le mie compagne».

 

 

LA SCHEDA

Dagli esordi con la Carrera Ozieri
ai successi di Cervinia e Sestriere

VILLACIDRO Fabio Aru è nato a San Gavino il 3 luglio del 1990, ma è Villacidrese doc. Nella cittadina del Linas è cresciuto e ha iniziato anche ad appassionarsi di ciclismo. La sua carriera ha preso il via con la maglia della Carrera Ozierese, una delle società più blasonate della Sardegna. Quindi si è messo in evidenza nel Team Palazzago tra i dilettanti: ha vinto due volte il Giro della Valle d’Aosta. Dal 2012 è diventato professionista con lo squadrone kazako dell’Astana dove ha esordito negli Stati Uniti al Tour de San Luis (un 7° posto tra l’altro). Nel 2013 nel Giro del Trentino un brillantissimo quarto posto nella classifica generale, vinta da Nibali. Sempre nel 2013 la prima partecipazione al Giro d’Italia, dove contribuisce alla vittoria del suo capitano Nibali e conquista il quinto posto nella durissima tappa delle Tre cime di Lavaredo. Lo scorso anno la definitiva consacrazione, con il primo successo di tappa al Giro, a Montecampione, e il terzo posto finale. Quest’anno nella corsa rosa si migliora ulteriormente. Intanto indossa dopo Jesolo per la prima volta la maglia rosa simbolo del primato e si aggiudica due tappe consecutive : la 19a e la 20a, su traguardi prestigiosi come quelli di Cervinia e del Sestriere. Chiude in classifica generale al secondo posto alle spalle del suo idolo Alberto Contador. Ora la vittoria alla Vuelta, dove un anno fa era finito quinto.(en.g.)

Il dirigente ozierese ricorda l’incontro iniziale con il ragazzino di Villacidro:
«Si presentò con una bici arrugginita, ma 4 pedalate mi bastarono per capire»

Camboni, Il primo patron:
«Ho visto subito il talento»

SASSARI E’ una soddisfazione che aspettava da quasi dieci anni e ieri, quando ha visto Fabio Aru tagliare il traguardo della Vuelta con la maglia rossa sulle spalle non è riuscito a rimanere seduto in poltrona. Antonio Camboni, patron della Carrera Giorgione Ozieri, è stato il primo a intravedere nei polpacci del ragazzino di Villacidro i segni del campione. Il primo a credere in lui, il primo a lavorare per trasformare un diamante grezzo nel brillante che è oggi. «Ho sempre detto che Fabio aveva qualcosa in più degli altri – racconta – e i risultati di questi ultimi anni mi stanno dando ragione. Ero sicuro che sarebbe arrivato primo a Madrid. Conosco la sua grinta e ho studiato bene il percorso della Vuelta. Tre giorni fa ha provato a mettere in difficoltà Domoulin e sabato ha piazzato il colpo del ko. Sapeva che quella era la sua tappa ed è stato aiutato da una squadra che ha lavorato benissimo. Però per vincere la Vuelta bisogna essere campioni con la C maiuscola». Antonio Camboni di fuoriclasse se ne intende se è vero che ha capito subito che Fabio aveva la stoffa giusta per fare strada. L’ha messo in bici e lo ha seguito, passo dopo passo, per 4 anni, consolandolo nei momenti di difficoltà e riportandolo coi piedi per terra dopo le prime, importanti, vittorie. Lui era un ragazzino innamorato della mountain bike. «Allora – racconta Camboni – avevo in squadra un altro ragazzo di Villacidro, Giancarlo Saiu, che era nazionale di bike e aveva vinto un sacco di gare. Ad agosto mi chiamò il padre per dirmi che c’era un quindicenne appena tesserato per una squadretta locale (la Piscina Irgas ndc) che riusciva a stare dietro al figlio. La domenica dovevamo fare una gara di cross country a Guspini e ho fissato un appuntamento con la famiglia Saiu e con gli Aru: babbo, mamma e Fabio. Lui si è presentato in tuta e con una bici tutta arrugginita. Io ho chiesto a Giancarlo di prestargli la sua e mi sono bastate quattro pedalate per capire di aver davanti un talento. L’ho fermato e gli ho promesso un posto in squadra». L’avvio di Aru non è stato facile e Camboni ha dovuto sudare per convincerlo a passare dal cross alla strada. «Sbatteva i piedi, diceva che non si divertiva e che la strada non era la sua specialità. Alla fine si è convinto e ha cominciato a bruciare le tappe. Nel 2007 gli hanno rubato il campionato sardo (e io ho rischiato la squalifica tanto mi sono adirato) l’anno dopo si è rifatto con gli interessi. Nel frattempo sono arrivate le prime soddisfazioni anche oltre Tirreno». Nel 2009 Camboni convince la Palazzago a inserire la giovane promessa sarda nel suo team ed Ezio Tironi, presidente, della società bergamasca, centra il sei al Supernalotto. Fabio continua a crescere e mette in bacheca un secondo posto al Giro d’Italia dilettanti, un argento al campionato italiano juniores e tante, tantissime vittorie importanti. Il passaggio al professionismo è dell’altro ieri (il primo contratto è datato 2013), l’ingresso nell’elite internazionale delle due ruote è arrivato l’anno scorso al Giro. «Fabietto ha tutte le carte le regola per continuare a vincere – pronostica Camboni –. Ha i mezzi fisici, ha grinta che ci vuole ed è un ragazzo con la testa sulle spalle. Credo che sia l’uomo giusto per rilanciare l’immagine del ciclismo italiano. E credo che abbia già cominciato a farlo. Erano anni che non vedevo tanta passione lungo le strade, tanto affetto per un ragazzo pulito e capace di sognare. Sapere che è partito da qui mi riempie davvero di orgoglio».(a.l.)

Dopo la grande felicità di sabato ieri solo brindisi nei bar. I tifosi: «La festa rimandata a ottobre»

Villacidro aspetta soltanto di abbracciarlo

di Luciano Onnis wVILLACIDRO «Niente feste particolari, per ora. Giusto qualche birra in più per ricordare questo grande momento». Al bar di via Gennaro Murgia i tifosi di Fabio Aru scherzano e brindano. Del resto la gioia l’hanno sfogata sabato, quando il loro beniamino ha assestato il colpo vincente riconquistando la maglia rossa di leader della Vuelta. Ieri era solo una formalità, che il ciclista sardo ha sbrigato come tutti si aspettavano. Villacidro insomma ora aspetta solo il ritorno del suo campione. «Ha promesso che verrà a ottobre – dice Marco Cocco, il presidente del fan club Aru – e in quella occasione, state certi che organizzeremo una festa mai vista in onore del nostro campione e nostro concittadino». Ieri dunque, Villacidro ha vissuto la giornata dell’incoronazione di Aru a re della Vuelta in maniera quasi sonnacchiosa. La cittadina del Linas era quasi vuota. E, inoltre, la festa dell’Unità aveva smobilitato, dopo che sabato tutti si erano raccolti davanti al maxi schermo allestito per l’occasione, per assistere al capolavoro di Aru. Dunque ieri la tappa finale è stata vissuta nell’intimità domestica, o al massimo in alcuni bar che dispongono di maxi schermo. Restano però le reazioni d’orgoglio di una intera comunità. «Questa di Fabio è una festa di tutti, non ci sono colori politici che tengano – ha ripetuto l’euforica sindaco Teresa Pani -. Personalmente provo un sentimento di grande emozione. Fabio è un grande sotto tutti gli aspetti: atleta sensazionale, forte, indomabile, coraggioso. Come persona posso solo dire che è un ragazzo d’oro, esemplare nella sua modestia, nella generosità, nei suoi valori umani. Lo aspettiamo a Villacidro per tributargli i giusti onori. Non mancheranno i riconoscimenti istituzionali da parte dell’amministrazione comunale. Siamo orgogliosissimi di lui, è il fiore all’occhiello di Villacidro e di tutta la Sardegna». Il sindaco l’aveva definito nei momenti successivi alla tappa decisiva di sabato «Il nostro Cavaliere dei Quattro Mori». Un eroe sportivo che la cittadina si tiene stretto e ora aspetta solo che “Fabietto nostro” arrivi per tributargli un’accoglienza indimenticabile. Un campione fatto in casa, cresciuto anche ciclisticamente alle falde del “Monti Mannu” e ora diventato un campione di levatura mondiale. C’è da essere certi che nel salotto buono della città, a ottobre, organizzeranno qualcosa di straordinario per onorare Aru. Ma pensando già al futuro del loro campione. A 25 anni, infatti, c’è tempo per sognare altre grandi imprese, a cominciare dal successo al Giro d’Italia che per due volte lo ha visto comunque già protagonista».

 

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