“Come ospite e pellegrino, vengo per confermare la fede dei credenti in Gesù”, ha detto il Papa Francesco rivolgendosi al presidente della Bolivia Morales…

A proposito di teologia della liberazione, di don Fernando Pavanello

“Come ospite e pellegrino, vengo per confermare la fede dei credenti in Gesù”, ha detto il Papa Francesco rivolgendosi al presidente della Bolivia Morales, alle autorità civili ed alla folla venuta a El Alto. Forte appoggio dal Papa appena giunto a La Paz dall’Ecuador, al cammino di inclusione sociale della Bolivia, alla sua tutela delle nazionalità, idiomi, culture, al suo riconoscere i diritti delle minoranze al suo opporsi al dio denaro che scarta anziani e giovani. Davanti a 500mila persone che lo hanno accolto all’aeroporto di El Alto, papa Francesco ha citato il preambolo della Costituzione boliviana. Subito prima del Papa, Morales, primo presidente indio dello Stato plurinazionale della Bolivia ha detto grazie al Papa “che ha scelto i poveri e ha scelto di chiamarsi come san Francesco d’Assisi, e gli ha chiesto “di aiutare il nostro cammino di cambiamento”, “della nostra terra di pace – ha detto – che chiede giustizia”.

A proposito di teologia della liberazione, di don Fernando Pavanello

 

Ho ben presenti gli alcuni motivi della diffidenza del magistero ecclesiale nei confronti di questa teologia nata nell’America Latina: 1, il rischio di enfatizzare talmente l’impegno per la liberazione dell’uomo da marginalizzare di fatto la pre­valente e precedente relazione di fede e di amore con Dio; 2, rinchiu­dere di fatto l’impegno e la prospettiva del Regno in questa nostra storia senza tenerla aperta e in prevalente tensione verso l’éschaton (la vita eterna) sapendo che solo “alla fine” si realizzerà compiutamente; 3, so­pravalutare l’impegno politico per modificare strutture e legislazione senza evidenziare adeguatamente la necessità di convertire, prima e as­sieme, l’uomo liberandolo dalla violenza che porta dentro; 4, non avere presente la necessità di integrare le esigenze della giustizia con quelle della carità; ecc.

Sono rischi e limiti reali. Devo riconoscerlo. Special­mente negli anni ruggenti e appassionati del ’68 sia con certi amici preti dell’America Latina, sia con amici laici del S.Cuore dove ero parroco, c’era il pericolo di enfatizzare troppo – come detto – il dovere di impe­gnarsi per la giustizia tanto da ridurre a volte il cristianesimo alla pas­sione per la difesa dell’uomo.

Mi piacerebbe però che di fronte a queste unilateralità e a questo rischi, la Chiesa riconoscesse con altrettanta forza di denuncia e di allarme l’opposta unilateralità di ricorrenti “spiritualismi” talmente proiettati in Dio e nella vita eterna da disattendere di fatto e abitualmente la pas­sione per l’uomo; e quindi l’impegno, l’urgenza e il dovere di fare un mondo più giusto e solidale.

Perché – a spiegare e, in parte, giustificare le esagerazioni della “teolo­gia della liberazione” (di certa teologia della liberazione) – sarebbe da ri­cordare quanto osservava Mons. Sartori in un suo vecchio libro: “Spesso l’eresia nasce soltanto come tentativo di evidenziare un valore che si ritiene non sufficientemente atteso; ma l’accentuazione e l’unilateralità delle opposizioni conduce spesso a forzare e radicalizzare la novità. Ciò che potrebbe risultare complementare e convergente, viene costretto a porsi come antitetico e diver­gente”. Ed è interessante, su questo controverso argomento dell’impegno storico della Chiesa e specialmente del credente laico per l’instaura­zione del Regno, l’equilibrio che io trovo invece nei testi conciliari:

“L’opera della redenzione di Cristo, mentre per sua natura ha come fine la sal­vezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche animare e perfezionare l’ordine tempo­rale con lo spirito evangelico” (AA, 5). “Sbagliano (quindi) coloro che, sa­pendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter trascurare i propri doveri terreni ( … ). Spetta alla coscienza dei laici, già convenientemente formata, di iscrivere la legge di­vina nella vita della città terrena (GS, 43).

E personalmente ho goduto profondamente – come una correzione e una integrazione attese ­quando i Vescovi del mondo nel Sinodo sui Laici hanno affermato: “Lo Spirito ci fa comprendere più chiaramente che oggi la santità non è possibile senza impegno per la giustizia, senza solidarietà con i poveri e gli oppressi. Il modello di santità dei laici deve integrare la dimensione sociale della trasfor­mazione del mondo secondo il piano di Dio” (Messaggio finale). Anche perché solo allora e finalmente si comincia a riconoscere e rispettare i diritti di tutti, anche dei più deboli; e non si continua a “dare per carità” quello che è già dovuto all’uomo per giustizia. (cf AA, 8).

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Dietrich Bonhoeffer in “Resistenza e resa” ha scritto: “Il nostro essere cristiani si riduce oggi a due cose: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia.” In una precedente circostanza aveva affermato: “Hanno diritto a cantare le melodie gregoriane solo coloro che sotto il Terzo Reich si sono adoperati attivamente e con rischio a favore degli ebrei.” (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa”, ed Bompiani, 1969, pg. 237 e pg 40)

 

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